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Desiderio senza freni: Harmony Destiny
Desiderio senza freni: Harmony Destiny
Desiderio senza freni: Harmony Destiny
E-book186 pagine2 ore

Desiderio senza freni: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Il cavaliere moderno arriva in Ferrari.

VJ Lewis di solito non crede nella fortuna, ma ora deve proprio cambiare idea. Decisa a dare una svolta alla propria vita ha lasciato la sua casa per andare a Dallas. E per una ragazza smaliziata come lei l'autostop è il modo migliore di viaggiare. Ma non avrebbe mai immaginato di attraversare gli Stati Uniti a bordo di una favolosa Ferrari. Per non parlare del pilota: sexy e accattivante, il milionario e regista Kristian Demetrious è il cavaliere che lei aspettava da anni e che ora è decisa a conquistare. La strada è lunga, e se lei riuscisse a manomettere il motore il viaggio potrebbe durare qualche notte in più. VJ, però, ignora che i pensieri di Kristian sono ancora più infuocati dei suoi.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ott 2019
ISBN9788830506251
Desiderio senza freni: Harmony Destiny

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    Anteprima del libro

    Desiderio senza freni - Kat Cantrell

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Things She Says

    Harlequin Desire

    © 2013 Katrina Williams

    Traduzione di Giada Fattoretto

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-625-1

    1

    Perdersi è già di per sé una scocciatura, ma perdersi nel Texas è un vero disastro.

    In agosto poi.

    Kris Demetrious si appoggiò al cofano della Ferrari gialla fiammante che aveva preso in prestito, si tolse la camicia fradicia di sudore e afferrò il cellulare. La cartina su Internet segnalava un percorso che non combaciava con le strade attuali. Lezione del giorno: consultare guide online solo se aggiornate.

    La Ferrari non era d’aiuto con quel bell’impianto MP3 ma senza GPS. O gli ingegneri meccanici italiani non si perdevano mai o non gli importava un bel niente di dove andavano.

    Il paesaggio era circondato da montagne in ogni direzione, ma a differenza di Los Angeles non c’erano cartelli stradali. Niente case, niente segnali e nessuna dritta per venirne fuori.

    Non si perdeva mai sul set. Gli bastava starsene distaccato da tutto e tutti dietro una macchina da presa e se la scena non funzionava ricominciava da capo.

    Cosa gli era saltato in mente? Guidare fino a Dallas invece di prendere l’aereo.

    Un modo per prendere tempo, ecco cos’era.

    Morire nel deserto non era di certo una sua priorità, ma evitare di arrivare a destinazione invece sì. Perché una volta arrivato a Dallas avrebbe dovuto ufficializzare la cosa con Kyla Monroe, la sua pseudofidanzata. E anche se aveva accettato il suo piano, avrebbe volentieri gettato al vento sei settimane di prime pagine su tutti i giornali piuttosto che prendere parte a questa storia.

    Mise in tasca il cellulare. Il sole pomeridiano era implacabile e il calore riverberava lungo la strada, facendo ribollire l’orizzonte.

    Proprio in quel momento vide della polvere sollevarsi da terra, l’unico segno di vita da quindici minuti a questa parte. Un arrugginito furgoncino arancione avanzò pigro oltre la nuvola di polvere, deviando dalla strada principale per andare a fermarsi dietro alla Ferrari. Un mulinello di sabbia sferzò Kris, che si scostò i capelli dal viso e s’incamminò verso il suo salvatore.

    Aveva già girato a vuoto due volte e adesso aveva perso l’orientamento. Quell’autista era arrivato proprio al momento giusto, e con un po’ di fortuna avrebbe potuto dargli le indicazioni corrette per ritornare sulla strada principale.

    Un attimo dopo la portiera del furgoncino si aprì con un cigolio e i raggi illuminarono il logo sbiadito incollato sulla vernice. Officina Grande Bobby al tuo servizio dal 1956. Scarponcini impolverati e malconci fecero capolino dalla portiera e piombarono pesantemente a terra. Dalla polvere emerse un’esile figura. Una ragazza. Poco più che maggiorenne che, evidentemente, non era affatto il Grande Bobby.

    «Problemi con la macchina, capo?» chiese in modo strascicato avvicinandosi. Il forte accento texano era aspro come la polvere, ma in compenso la voce era melodiosa. La ragazza si tolse gli occhiali da sole e il mondo sembrò arrestarsi per un secondo.

    Lo scrutò con un paio di occhi azzurri più del cielo, una massa di capelli castano chiaro a incorniciarle il viso da bambolina. Non aveva un filo di trucco, cosa talmente sorprendente da meritare una seconda occhiata. Era fresca, innocente e bella da togliere il fiato. Come un girasole. Voleva riprenderla.

    Lo guardò. «Problema con el coche, señor?»

    Kris richiuse la bocca e si schiarì la gola. «Non sono spagnolo, sono greco.»

    Ma che razza di risposta gli era uscita? E poi, non era neanche del tutto vero: aveva rinunciato alla cittadinanza greca a sedici anni e da allora si era sempre considerato americano a tutti gli effetti. Come aveva fatto quella ragazzina ad annebbiargli il cervello in meno di trenta secondi?

    «Wow. Eccome se lo sei, accento sexy e tutto il resto. Di’ qualcos’altro» ordinò roteando un dito, gli occhi azzurri improvvisamente carichi di malizia. «Dimmi che non puoi vivere senza di me e che faresti di tutto per avermi.»

    In qualche modo riuscì a fargli spalancare la bocca ancora una volta. «Stai dicendo sul serio?»

    Lei rise, un suono cristallino che gli arrivò diritto allo stomaco. Sensualità pura, come ogni cosa in lei.

    «Solo se lo pensi veramente» rispose.

    Quella sicurezza, la postura diritta delle spalle, non potevano appartenere a un’adolescente. Doveva avere almeno venticinque anni.

    Lei sollevò il mento rivolgendogli un ampio sorriso. «Voglio darti una possibilità, Tonto. Puoi parlare di quello che ti va. Non si vedono molti stranieri interessanti da queste parti, mi fa piacere darci un’occhiata. Alla macchina, volevo dire.» Scosse il capo e chiuse gli occhi un istante. «La macchina. Vedrò che posso fare. Potrebbe essere una cosa da niente.»

    La macchina? Doveva essere un aiuto meccanico del Grande Bobby. Interessante. La maggior parte delle donne facevano fatica anche solo a capire dov’era il serbatoio.

    «Non è un guasto. Mi sono perso» spiegò mentre ripensava all’idea di farsi dare un’occhiata da quella ragazza, in una sorta di gioco infermiera e paziente, con annesse palpatine. Si sentì pervadere da un desiderio irrefrenabile, tanto potente quanto inaspettato.

    Forse doveva ricordarsi che non era più un ragazzino. Le donne gli cadevano ai piedi senza ritegno, anche se non gli interessava alcun tipo di relazione romantica, a meno che non si trattasse di proiettarla sul grande schermo.

    Questa donna era riuscita a stuzzicarlo con un paio di frasi. Impressionante.

    «Perso, eh?» Lo squadrò dall’alto in basso. «Allora è una fortuna che ti abbia trovato. Mi devi un favore, no?»

    Tutto quello che le usciva dalla bocca aveva un non so che di provocante. Sommato a quell’atteggiamento schietto e a quel visino acqua e sapone era una vera e propria bomba. «Be’, non hai fatto niente per me. Ancora.»

    Ciglia sottili si sollevarono maliziose. «Cosa vorresti che facessi?»

    Le si avvicinò abbastanza da percepire il profumo dei suoi capelli. Cocco e brillantina, un connubio che avrebbe giurato non fosse per nulla intrigante fino a quel momento. E lo stesso valeva per la T-shirt con su stampato un adesivo consunto e un paio di jeans da pochi soldi. Capi d’alta moda, indosso a lei.

    La invitò ad avvicinarsi piegando un dito e lei ubbidì, con misteriosa naturalezza, quasi si conoscessero da sempre.

    «In questo momento c’è solo una cosa che vorrei da te» le disse.

    Fece scivolare lo sguardo sulle sue labbra, e quello che era iniziato come un gioco provocante si tramutò in qualcosa di decisamente pericoloso nel momento in cui immaginò di baciare quel miraggio desertico senza nome, scivolare lungo quelle labbra rosa, perdersi in quella calda bocca. Sentirla ridere, pelle contro pelle, addossata a lui.

    Baciare le sconosciute non era nel suo stile, peccato.

    «Sì? E cosa?» Si umettò le labbra con la punta della lingua, facendogli ribollire il sangue nelle vene.

    «Dimmi dove sono.»

    La sua risata argentina lo stordì nuovamente. «Little Crooked Creek Road, la strada del ruscello. Un posto dimenticato da Dio.»

    «C’è un ruscello da qualche parte in mezzo a tutta questa sabbia?» Acqua fresca, perfetta per un bagno nudi.

    No. Niente sconosciute nude. Ma cosa diavolo gli stava succedendo?

    «Figurati.» Arricciò il naso, diventando ancora più carina. «È in secca dal 1800. Non avevamo abbastanza fantasia per cambiargli nome.»

    «Allora dimmi, visto che sei di queste parti. Fa sempre così caldo qui?» A dire la verità aveva smesso di pensare ai vestiti fradici e appiccicaticci, ma il desiderio di continuare a sentirla parlare non se ne voleva andare.

    «No, per niente. Di solito fa più caldo. Ecco perché non indossiamo niente di nero quando ci sono più di quaranta gradi» rispose, scrutandolo con uno sguardo bollente quanto il cemento. «Anche se mi piace come ti sta. Comunque com’è che sei finito così fuori strada?»

    «Vorrei raccontarti qualcosa di più interessante.» Sorrise, affatto dispiaciuto di essersi perso. «Quando ho lasciato El Paso ero sicuro di andare nella direzione giusta, ma non ho più visto un cartello che indicasse Dallas.»

    «Già. Ti sei perso. Questa strada svolta verso sud in direzione di Rio Grande. Anche qui neanche l’ombra di un rio, un fiume. E non lo consiglierei per un giro turistico, quindi fossi in te me ne tornerei a Van Horn e procederei verso est.»

    «Van Horn. Non mi ricordo di esserci passato.»

    «Ci credo, non è un gran che. Comunque, devo darmi una mossa. Il pezzo di ricambio che ho preso non si monterà per magia da solo nel furgone di Gus.» Sospirò e puntò il pollice alle sue spalle. «Van Horn è da quella parte. In bocca al lupo e stai attento alla polizia. Si divertono a multare i bolidi come il tuo.»

    «Oppure» continuò in tono vivace, «puoi prendere quella strada e svoltare alla prima a destra. Ti troverai al centro di Little Crooked Creek, dove fanno il miglior pollo fritto della contea.»

    Non ne aveva mai abbastanza di quella voce armoniosa. O del modo affascinante che aveva di attrarre la sua attenzione anche parlando di stupidaggini. La vita reale lo attendeva al varco, e non riusciva a rassegnarsi.

    Ma, si ripeté per l’ennesima volta, ne valeva la pena. Se voleva girare Visions doveva ottenere una valanga di pubblicità gratuita grazie al fidanzamento con la sua ex, l’osannata vincitrice di un Oscar. Un fidanzamento fasullo.

    «Adoro il pollo fritto.» Ed era affamato. Che male c’era se avesse perso un paio d’ore? Dopotutto aveva deciso di prendere la macchina proprio per questo, per metterci una vita ad arrivare a Dallas. «Che cos’è Little Crooked Creek?»

    «L’esempio più misero di città che avrai la sfortuna di vedere nella tua vita» disse lei con un’espressione disgustata. «È li che abito.»

    Il dio greco la stava seguendo. VJ sbirciò un’altra volta attraverso lo specchietto retrovisore. Proprio così. La Ferrari muy amarilla andava al passo con il furgone di papà. Il Signore aveva fatto piombare quel miracolo dal cielo in un luogo dove non succedeva nulla da secoli e la stava seguendo.

    Montagne russe. Ecco cosa sentiva nello stomaco. Aveva aspettato da sempre un cavaliere dalla scintillante armatura e mai e poi mai si sarebbe aspettata di incontrarlo a meno che non se ne fosse andata da Little Crooked Creek per sempre, amen. E invece eccolo qui in carne e ossa, in tutto il suo splendore, mentre la seguiva fino alla tavola calda di Pearl. Pelle d’oca a tremila.

    Parcheggiò e storse la bocca nel vedere il furgone bianco. Fantastico. C’erano anche Lenny e Billy. Doveva essersi fatta una certa ora senza che se ne accorgesse. I suoi fratelli non si alzavano mai dal letto prima delle tre e di solito solo perché li svegliava a calci in culo, minacciando di lasciarli senza colazione se non si fossero dati una mossa.

    Sperava solo che non fossero già alla seconda tazza di caffè, così non avrebbero fatto caso al forestiero. L’ultima cosa che voleva era condividere il suo prezioso cavaliere con quei due buoni a nulla.

    La Ferrari rombante prese posto accanto al furgone di papà, e il dio greco ne uscì come melassa calda. Era semplicemente delizioso, ed era tutto suo. Per ora. Non era così ingenua da credere che un simile pezzo d’uomo, cortese e sofisticato, sarebbe rimasto a lungo, ma non c’era niente di male nel godersi la sua presenza finché non si sarebbe volatilizzato dalla sua vita. Un vero peccato. Prese lo zaino e lo aspettò sul marciapiede.

    Il locale era semivuoto. Il suo straniero dava nell’occhio come una farfalla in pieno inverno, e tutte le otto paia di occhi presenti impiegarono solo pochi secondi per accorgersi di loro mentre lo guidava oltre i tavoli sgangherati verso un posticino appartato vicino alla cucina, solitamente riservato alle coppiette in cerca di un po’ d’intimità. Lei si lasciò cadere sulla panca, scegliendo il lato riparato alla buona con del nastro isolante argentato per lasciare a lui la parte meno rovinata.

    Come le era venuto in mente di portarlo in un posto del genere?

    «Carino qui» commentò lui.

    Fatiscente, triste e puzzolente di grasso lubrificante rancido forse, ma carino non si addiceva esattamente a quella bettola. «Il miglior ristorante nel raggio di chilometri. E l’unico.»

    Lui rise e lei si sforzò di trovare qualcos’altro di divertente da dire per poter sentire ancora quel suono profondo. Ma accantonò l’idea non appena la fissò con occhi del colore del cioccolato fuso. Si accontentò di osservarlo. Aveva tratti delicati, quasi scolpiti nel marmo, e lei pensò che gli antichi greci era così che immaginavano le loro divinità.

    «Sono Kris.» Allungò una mano e alzò le sopracciglia, in attesa. «Da Los Angeles.»

    Lei ripulì il palmo della mano dalla polvere e dal sudore e poi strinse la sua. Quel contatto diede la scossa a entrambi, lasciandola piacevolmente sorpresa.

    «Scusa, è l’elettricità statica. È la stagione secca.» Si portò la mano alle ginocchia, accarezzandola con l’altra. Troppo sdolcinato se avesse deciso di non lavarla mai più? «Io sono VJ. Dal nulla. E continuerò a starmene intrappolata nel nulla se non mi metto a lavorare. Sto mettendo da parte i soldi per andarmene da qui.»

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