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Ossessioni nella notte (eLit): eLit
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Ossessioni nella notte (eLit): eLit
E-book375 pagine5 ore

Ossessioni nella notte (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Wings in the night 7
Sensuali e misteriosi, cavalcano le ali della notte, incalzati da spietati nemici...

Un sogno ricorrente perseguita Amber Lily, un sogno che la affascina e la terrorizza insieme. Chi è il vampiro dai capelli biondi e dagli occhi infuocati che le regala una preziosa scatola intagliata? Lui le fa ribollire il sangue nelle vene, mentre il suo dono le trasforma il cuore in ghiaccio per il terrore. Perché? Al risveglio Amber non riesce mai a ricordarlo, tuttavia è un particolare troppo inquietante per poterlo ignorare. Morte. Chiunque lui sia, le porterà la morte. O forse la sedurrà per l'eternità.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2018
ISBN9788858989074
Ossessioni nella notte (eLit): eLit
Autore

Maggie Shayne

RITA Award winning, New York Times bestselling author Maggie Shayne has published over 50 novels, including mini-series Wings in the Night (vampires), Secrets of Shadow Falls (suspense) and The Portal (witchcraft). A Wiccan High Priestess, tarot reader, advice columnist and former soap opera writer, Maggie lives in Cortland County, NY, with soulmate Lance and their furry family.

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    Anteprima del libro

    Ossessioni nella notte (eLit) - Maggie Shayne

    Titolo originale dell'edizioni in lingua inglese:

    Edge of Twilight

    Mira Books

    © 2004 Margaret Benson

    Traduzione di Gigliola Foglia

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-907-4

    Prologo

    Estate, 1959

    «Quel tizio se l’è proprio fatta addosso, tanto gli ho messo paura» disse Bridget ridendo, mentre tagliavano per il vicolo, balzavano su per i resti di una scala antincendio e si lanciavano attraverso la finestra rotta per atterrare sul pavimento molto più in basso.

    I tavolati del magazzino abbandonato erano incrinati da quegli impatti ripetuti. Ma quella era una casa per la Banda dei Cinque.

    Edge voleva bene alla marmocchia. Tuttavia, in quel momento, non era contento di lei. Le arruffò i riccioli, spostandole le mollette assortite. Aveva dodici anni quando era stata trasformata, e a dodici sarebbe rimasta, anche se era non-morta da più di un decennio ormai. L’aveva trovata per strada, mentre vagabondava, da sola. Orfana di chi l’aveva trasformata, proprio com’era stato lui. Proprio com’erano tutti gli altri.

    «Dunque, chi diavolo era lui?» domandò.

    Alzando le spalle, Bridget salì una scala a pioli fino al secondo piano, che era simile a un loft, dove si incontravano tutti dopo una nottata a spazzare le strade, per spartirsi il bottino.

    Edge fece un balzo. Quando atterrò, si sollevò una nuvoletta di polvere.

    «Bell’entrata» commentò Ginger senza alzarsi da dove stava seduta sul pavimento, la voce che stillava sarcasmo. Era vestita tutta di nero, teneva di quel colore anche i corti capelli e le unghie affilate come pugnali, come se cercasse di incarnare il cliché. Si spazzò la polvere dai jeans neri come se lui ce l’avesse buttata di proposito.

    «Piantala di fare la stronza, Ginger» scattò Bridget.

    «Tieni a bada la tua bocca, moscerino.»

    Ci fu uno scatto e in un lampo le due si stavano fronteggiando.

    «Ehi, ehi, dateci un taglio!» Scott, col suo viso infantile, si alzò, frapponendosi tra loro. «Andiamo, qual è il problema, dopotutto?» Era ossuto ma forte. Quanto chiunque di loro, certo, il che significava maledettamente forte a paragone degli umani.

    Come vampiri, erano cuccioli. Pivellini, era il termine che Edge aveva sentito usare ai più anziani. Sia Ginger sia Scottie erano non-morti da meno di cinque anni. Lei ne aveva diciotto, e lui era di un anno più giovane, quand’era avvenuto il cambiamento. Bambini. Ma era per questo che avevano bisogno l’uno dell’altro. E che avevano bisogno di lui.

    Ginger e Bridget non mostrarono alcun segno di arretramento. La testa bionda, gli occhi azzurri e la struttura sottile come un binario di Scottie non intimidivano più della sua voce, morbida come burro.

    «Calmatevi» ordinò Edge severo. «Adesso

    Battendo le ciglia con fare colpevole, le femmine si allontanarono.

    Lui non si era proposto per il compito di leader, gli era solo toccato in modo naturale. Era il più anziano. Aveva ventitré anni quando era stato mutato. Ed era un vampiro da più tempo di chiunque di loro. Dodici anni erano passati ormai. Il nascondiglio era suo. Loro l’avevano per così dire... seguito fino a casa, uno per uno, finché si era ritrovato questa banda di vampiretti senza dimora.

    Una evoluzione naturale, dedusse.

    Lui aveva fatto parte di una gang di strada in Irlanda, l’anno in cui era stato trasformato. Anche se quella gang era diversa. Delinquentelli senza casa, ciascuno che cercava di far peggio degli altri.

    Questo gruppetto... Accidenti se non erano diventati quasi... una famiglia.

    Edge voleva loro bene, se ne prendeva cura. E loro guardavano a lui perché li guidasse, si affidavano perché li proteggesse. Per la sua età, la sua esperienza, non lo sapeva. Era solo così che erano andate le cose.

    «Dov’è Billy Boy?» chiese Ginger. «Avrebbe dovuto essere tornato, a quest’ora.»

    Bridget scrollò le spalle e aprì lo zainetto. «Ho raggiunto un obiettivo tutto da sola, oggi» annunciò, rovesciandone fuori il contenuto. Un portafogli, gemelli da camicia e un orologio costoso.

    «E, come ti ho già ricordato, Bridget» esordì Edge, «tu non dovresti...»

    «All’inferno, Edge, non ho sul serio dodici anni, li dimostro soltanto.» Sorrise, con profonde fossette nelle guance da bambina. «Avreste dovuto vedere quel tipo» raccontò agli altri. «Studente di college, penso. Giovane, forse una matricola. Ricco come il diavolo e con l’aria smarrita. Probabilmente la sua prima volta nella grande città, giusto? Allora, ho intravisto il Rolex che aveva al polso e ho deciso che era una occasione troppo ghiotta per passarci sopra. Così l’ho preceduto e mi sono infilata in un vicolo. Quando è passato, ho chiamato con questa dolce vocina da bimba.» Abbassò il volume, alzò la tonalità fino a un innocente piagnucolio. «Mi aiuti. Per favore, mi aiuti, signore

    Edge si accigliò, ma vide l’attenzione rapita sulle facce degli altri.

    «Così lui viene passo dopo passo dentro il vicolo, ed è allora che gli salto addosso.» Bridget fece spallucce. «Caspita, avevo comunque fame.»

    «Bridget, non l’hai ucciso, vero?» chiese Scottie, scoccando a Edge un’occhiata preoccupata. «Non vogliamo attirare l’attenzione su di noi.»

    «Non ho bevuto abbastanza da ucciderlo. L’ho solo spaventato a morte. Alleviato la sete, anche.» Si leccò le labbra. Poi sorrise, riprendendo il filo della storia. «Gli sono saltata sulla schiena, gli ho agganciato le gambe attorno alla vita e le braccia attorno al collo e l’ho morso forte. Era così spaventato che si è bagnato i pantaloni!»

    Scottie borbottò, scrollando la testa: «Oh, Bridget... che cosa ti aveva fatto quel poveretto?».

    «Oh, lasciala stare, Scottie» latrò Ginger. «È sopravvivenza del più idoneo, là fuori. Uccidere o essere ucciso. Noi facciamo quello che dobbiamo fare. E poi non gli ha fatto del male.»

    «Non doveva neanche spaventarlo così.»

    Bridget alzò gli occhi al cielo. «Tutto quel che ho preso è stato l’orologio, il portafogli, e quei gemelli da elegantone» insistette.

    «Gli hai preso molto di più, Bridget» contestò Scottie. «Gli hai portato via il suo orgoglio.»

    Edge si trovò a concordare. «Oltretutto, metti a rischio il resto di noi» disse alla ragazza. «Che cosa immagini stia per fare quell’uomo adesso? E se va alla polizia o parla alla stampa, e chiacchiera di una ragazzina dalla forza sovrumana che gli ha rubato il portafogli e gli ha morso il collo?»

    «Non lo farà» ribatté lei. «È un uomo, dopotutto. Ha il suo amor proprio a cui pensare. È già abbastanza brutto che debba vivere col ricordo. Non si sognerebbe mai di ammetterlo con nessun altro. E poi chi gli crederebbe?» Sogghignò. «Avreste dovuto sentirlo quando l’ho lasciato là, steso in mezzo alla spazzatura coi calzoni pisciati e il collo sanguinante. Comincia a strillarmi contro, giurando che avrà vendetta. Così mi giro e dico: Già, sono proprio spaventata da un uomo che si bagna i calzoni per paura di una ragazzina dai denti aguzzi.» Gettò all’indietro la testa e rise. «Quello gli ha chiuso il becco in un battibaleno.»

    Edge sospirò, mentre un’oscura sensazione gli serpeggiava nell’animo. Bridget non stava sviluppando nessun genere di empatia, né alcun principio morale, malgrado i suoi sforzi di instillarle un minimo di etica. Prendi solo ciò che ti serve, non far del male agli innocenti senza necessità, insomma quel genere di cose.

    Scottie aveva un cuore grande come la notte, ma era già così prima della trasformazione. Ginger era semplicemente meschina, e crescendo lo era solo diventata di più; e Bridget non era abbastanza grande per sapere che cosa sarebbe diventata. Sembrava volersi modellare su Ginger, tuttavia, più che su altri di loro.

    Edge prese il portafogli, ne tolse la patente di guida ed esaminò la foto di un giovanotto piuttosto piacente con occhi e capelli scuri.

    «Frank W. Stiles» lesse. «Ventun anni.» Frugò, trovando poco d’altro di interessante, a parte un biglietto da visita con un numero di telefono e le lettere DPI impresse in nero. Non sapeva che cosa fosse, ma il nome sul biglietto era J. D. Smith, e il titolo che seguiva era reclutatore. A quanto pareva il giovane signor Stiles veniva corteggiato da una qualche compagnia. Doveva essere uno studente dotato. Scosse il capo. «Quel che è fatto è fatto, suppongo. Ma tu e io dobbiamo fare una lunga chiacchierata, Bridget.» Con un sospiro rimise via la patente e il biglietto da visita, e gettò il portafogli sul pavimento. «Allora, come siete andati, voi altri?»

    «Totalizzato settantacinque in contanti e tre carte di credito» annunciò Scottie. «Ho usato quella tecnica di controllo mentale che ci hai insegnato, Edge. Ha funzionato, nessuno di loro ricorderà un bel niente. E, dal momento che ho preso solo un po’ di contante e una carta da ciascuna vittima, supporranno di aver messo da qualche altra parte le carte mancanti e non si accorgeranno nemmeno del denaro che manca.» Guardò Bridget mentre parlava, come se volesse aiutarla a cogliere il messaggio. «Vedi, marmocchia? Si può fare senza spaventarli a morte e proclamare al mondo la nostra presenza.»

    Lei gli mostrò la lingua.

    «Io ho fatto trecento sacchi e una collana di diamanti» aggiunse Ginger, con soddisfatta espressione di superiorità. «Unica vittima. Mi sono nascosta nel retro della sua limousine, ho stordito l’autista e ho atteso. Lei è montata, e io le ho strappato la borsetta e la collana e sono saltata fuori dall’altro lato. Ha capito a malapena che cosa diavolo l’ha colpita.»

    «Povera piccola cagna ricca, spero non fosse troppo traumatizzata» commentò Bridget.

    Scottie capì che l’osservazione era diretta a lui. «Solo perché è ricca non significa che meriti che le si faccia del male o la si spaventi.»

    Edge sospirò.

    «Aggiungi il contante alla cassa. Il resto lo impegneremo.» Lanciò un’occhiata al Rolex col nome di Frank Stiles inciso sulla cassa. «Sarà l’alba tra due ore. Io torno fuori a cercare Billy Boy. Non mi piace che sia così in ritardo.»

    «Avremo abbastanza per andarcene di qui presto, Edge?» chiese Bridget.

    Lei desiderava un posto in campagna. Un posto sicuro dove non dovessero preoccuparsi di venire scoperti in una giornata di sole, mentre dormivano. Francamente, lui pensava che sarebbe stato necessario molto di più di quella miseria che riuscivano a ricavare da piccoli crimini e borseggi. Avrebbe dovuto pensare a qualcosa di meglio, qualcosa di più grosso.

    «Presto» le rispose. «Presto davvero, zuccherino.»

    Poi uscì. Ma non trovò Billy Boy. Non fino a quando tornò, appena prima dell’alba, e li trovò tutti quanti.

    Erano appesi a testa in giù alla trave del loft. Delle funi erano state loro legate alle caviglie e fatte passare sopra la trave. Il pavimento sotto era zuppo del loro sangue. Avevano tutti la gola tagliata.

    Ginger, Billy Boy, il buon Scottie dall’animo dolce, e la sua diletta piccola Bridget.

    Morti. Assassinati.

    Quella vista gli tolse il fiato.

    Edge cadde sulle ginocchia. Non ebbe bisogno di controllare i corpi. Il puzzo di morte era fortissimo. L’aveva percepito dall’istante in cui si era avvicinato al magazzino, e aveva corso a tutta velocità per gli ultimi isolati.

    Ma era troppo tardi.

    Chiuse gli occhi davanti al dolore, purtroppo questo non lo alleviò. E alla fine dovette fronteggiare il macabro compito che lo attendeva. Doveva prendersi cura di loro un’ultima volta.

    Si arrampicò fino al sottotetto per calarli giù. E lì, sul pavimento, vide il mucchietto di portafogli rubati, contanti e carte di credito, proprio dov’erano quando era uscito. Alcuni oggetti erano stati aggiunti alla pila, il bottino di Billy Boy, senz’altro. La collana di diamanti scintillò. A quanto pareva l’assassino non vi si era interessato.

    Accigliandosi, si avvicinò. Il Rolex era sparito. I gemelli pure. E il portafogli che era appartenuto all’uomo di nome Frank W. Stiles.

    Aveva avuto la sua vendetta, proprio come aveva promesso. Come avesse fatto, Edge non sapeva.

    Un solo uomo contro quattro vampiri? Pareva davvero impossibile. Eppure era successo.

    Chiuse gli occhi, giurò vendetta sull’uomo che aveva assassinato la sua famiglia. «Pagherai, Frank Stiles» urlò. «Mi ci volesse un’eternità, ti troverò, e pagherai

    1

    Oggi

    La donna non avrebbe potuto sapere che lui stava aspettando nel suo appartamento, quando entrò quella notte. Non poteva percepire il suo calore corporeo, perché lui non ne emetteva.

    Aveva lui tutto il vantaggio. Poteva vederla altrettanto bene nel buio quanto in piena luce. Forse meglio. Riusciva a sentire ogni suono che lei produceva, giù giù fino al deciso pulsare del suo cuore e allo scorrere del sangue nelle vene. Riusciva a sentirne l’odore. Shampoo alla fragola, deodorante all’aroma di borotalco, smalto per unghie vecchiotto, una traccia di profumo, perfino la fragranza dell’ammorbidente sui vestiti.

    Lei chiuse la porta dietro di sé e bloccò le serrature, il tutto senza tendere la mano a un interruttore della luce. Si appoggiò di schiena contro la porta e si sfilò le scarpe; si scosse dalla spalla la borsetta pesante, insieme alla giacca, e le appese a un gancio.

    Sospirò e avanzò a piedi nudi sul tappeto, sprofondò nel divano, lasciò cadere la testa all’indietro. Lavorava come infermiera in una scuola elementare nella Pennsylvania rurale, passava le sue giornate asciugando nasi sanguinanti e controllando testoline in cerca di pidocchi. Lontano un miglio dalla sua precedente professione.

    Lui attese finché ebbe chiuso la mano sul telecomando e l’ebbe puntato verso il televisore, poi parlò.

    «Quello non accenderlo.»

    Il telecomando cadde a terra, e la donna scattò in piedi con un grido, le mani premute al petto scrutando l’oscurità con enormi occhi spaventati.

    «Non è il caso di spaventarsi» disse lui, avanzando.

    Poteva vederlo adesso. Una sagoma nera nel buio.

    Scosse una sigaretta dal pacchetto, se la portò alle labbra, l’accese. Osservò la sua paura che si faceva più profonda mentre la fiamma brevemente gli illuminava il viso. Tirò una lunga boccata ed emise il fumo mentre lei se ne stava lì col cuore che martellava come quello di un coniglio. «Non sono venuto per farti del male. Lo farò, certo, se mi costringi. Probabilmente mi piacerebbe. Ma sta a te.»

    «Ch... chi sei? Cosa vuoi?»

    Roteò gli occhi alla totale prevedibilità della domanda.

    «Siediti. Rilassati. Voglio solo parlarti.» Tese il pacchetto. «Vuoi fumare?»

    «N... no.» Lei sedette in bilico sul bordo del divano, tremando dalla testa ai piedi. «M... ma...»

    «Ma cosa? Avanti, chiedi. Il peggio che posso fare è dire di no. Che cosa vuoi?»

    «Potresti a... accendere una luce?»

    «No.» Sorrise, divertito dal suo stesso piccolo scherzo. «Vedi? Non è stato così brutto.»

    Lei lasciò cadere la testa in avanti, reggendosi il viso tra le mani. Piangendo, adesso.

    Dio, lui detestava le donne che piangevano. Si protese ad afferrare una manciata dei capelli biondi, le alzò la testa. Non le causò dolore, ma lei piagnucolò lo stesso. «Andiamo, via. Avrò bisogno della tua piena attenzione.»

    La donna tirò su col naso, strizzò gli occhi nell’oscurità.

    Lui aveva rifiutato di accendere le luci soltanto perché lei le voleva accese. Aveva bisogno che fosse a disagio, spaventata e spiazzata. «Ho dato la caccia a quest’uomo per... Oh, più di quarant’anni. E, nel corso della ricerca, ho scoperto che ha avuto un legame con te. Uno recente. Così eccomi qui.»

    «Che uomo?» La voce fu solo un bisbiglio.

    «Frank Stiles.» Vide il suo improvviso trasalire e poi il tentativo di nasconderlo.

    «Perché stai cercando questo... Stiles?»

    Non era tenuto a rispondere. Ma lo fece. «È un cacciatore di vampiri. Io sono un vampiro, vedi. Ho pensato potesse essere divertente. Capovolgere le carte, il cacciatore diventa cacciato...»

    «Oh Dio, oh Dio...»

    «Ho inteso che hai lavorato per Stiles cinque anni fa o giù di lì.» Prese un’altra boccata, esalò alcuni anelli di fumo. «Questo è vero?»

    «No. Io... non l’ho mai sentito nominare.»

    Lui mosse la mano troppo in fretta perché lei la seguisse, le afferrò la gola e strinse. Abbastanza per mandarla nel panico. Non abbastanza per schiacciarle la laringe. Non gli sarebbe servita a niente da morta. La tirò su un po’ dal sofà, per la gola, prendendo un’altra boccata dalla sigaretta. Poi la lasciò andare.

    Lei cadde di lato, e le mani le scattarono alla gola mentre ansimava per respirare.

    «Tu mi dirai tutto ciò che voglio sapere prima che questa notte finisca.» Si sedette sulla soffice poltrona, fumando e dandole il tempo di riprendere fiato. «Il tuo nome è Kelsey Quinlan» dichiarò alla fine. «Sei un’infermiera professionale. Lavori alla Scuola Elementare Remsen. Queste informazioni sono esatte?»

    Mettendosi di nuovo dritta, ancora premendosi una mano sulla gola, la donna annuì.

    «E, cinque anni fa, lavoravi per Frank W. Stiles come assistente di ricerca. Giusto?»

    «Sì. Lo facevo. M... ma...»

    «Ssst. Rispondi solo alle mie domande. Non sono qui per punirti dei tuoi crimini.»

    Lei alzò la testa, deglutì a fatica. Sentì male nel farlo. Lui lo percepì. «È lui che vuoi punire, vero? Che cosa intendi fare? Ucciderlo?»

    «Oh, l’ho già ucciso. Un paio di volte, in effetti. Bizzarramente, continua a riprendersi.»

    La faccia della donna impallidì nell’oscurità. «Questo... non è possibile.»

    «È quel che pensavo io. Ma l’ho ucciso proprio per bene la seconda volta. Era molto, molto morto. E poi... ecco, poi semplicemente non lo era.» Fece spallucce. «Così quel che mi serve sapere adesso è, con esattezza, che genere di ricerche stava facendo quando lavoravi per lui.»

    Lei spalancò gli occhi di scatto.

    Edge sentì l’odore della sua paura. «Non ho intenzione di punirti, Kelsey. Te l’ho già detto.» Alzò di nuovo le mani. «A meno che ti piaccia quel genere di cose, in tal caso...»

    «Io non ho fatto niente alla ragazza! Non sono stata io. Ha fatto tutto Stiles. Lo giuro.»

    «Che ragazza?» chiese abbassando pian piano le mani adesso che l’aveva fatta parlare.

    «La prigioniera che teneva cinque anni fa. La vampira mezzosangue.»

    Questo si accordava con ciò che il soldato mercenario che aveva lavorato per Stiles gli aveva raccontato... dopo molti tentativi di persuasione.

    «Questa... mezzosangue aveva un nome? O le avevate solo assegnato un numero?»

    «Lei diceva di chiamarsi Amber Lily Bryant. Nei fascicoli era il Soggetto X-1.»

    Amber Lily. La Figlia della Promessa. Allora esisteva. Lui aveva sentito delle storie, certo. Quale vampiro non le aveva sentite? Tuttavia le aveva liquidate come leggende. E il soldato che aveva interrogato era male informato su ciò che accadeva dentro la vecchia casa nel Connecticut dove Stiles conduceva la sua ricerca. «Questa ragazza... era una vampira mezzosangue, dici?»

    La donna annuì.

    «Non esiste niente del genere. Stai inventandoti storie per distrarmi dal mio scopo qui. Tutti sanno che i vampiri sono sterili.»

    «Solo i maschi. Le femmine sembra abbiano l’ovulazione per i primissimi mesi dopo esser state trasformate. Credevo... credevo che tu già sapessi. Pensavo che tutti voi sapeste tutto ciò.»

    «Perché allora non fingi che io non sappia e mi metti al corrente?»

    La donna sembrò frugarsi nella mente. «C’è stato un mortale, uno dei Prescelti. Sai, gli unici che possono diventare vampiri. Hanno tutti lo stesso raro antigene Belladonna nel sangue.»

    «E tendono tutti a morire giovani se non vengono trasformati. Tutto questo lo so, va’ avanti.»

    Lei annuì. «Ecco, i geni di questo mortale, un maschio, vennero accoppiati con quelli di una vampira appena trasformata, e X-1 fu la prole risultante.»

    «Fu un esperimento del DPI, deduco.»

    «Sì. Ebbe luogo tutto prima che la Divisione delle Investigazioni Paranormali venisse smantellata. Allora Stiles lavorava per loro. Ritengo fosse coinvolto direttamente in quell’esperimento. Tuttavia un gruppo di vampiri attaccò il centro ricerche...»

    «Centro ricerche» sbottò lui beffardo. «Campo di sterminio, vuoi dire.»

    «I genitori scapparono insieme alla bambina.» La donna chinò la testa. «Questo è tutto l’antefatto che mi fu fornito su di lei.»

    «Così, anche se il DPI non fu mai ripristinato come agenzia governativa, Frank Stiles continuò per conto suo. E il suo lavoro includeva cacciare e catturare questa bambina mezzosangue che era loro sfuggita anni prima?»

    «A quanto sembra. Ma lei non era certo una bambina, allora.»

    «No?»

    «Diciotto anni, quando lui la teneva nel Connecticut.» I suoi occhi si spostarono verso il basso e poi a sinistra. «Feci del mio meglio per proteggerla, durante la prigionia. Ed era ancora viva quando i vampiri arrivarono e la fecero evadere.» Incontrò di nuovo il suo sguardo e forse vi vide il dubbio. «Non mi uccisero quando vennero a prenderla, senz’altro questo dovrebbe dirti qualcosa.»

    «Di regola, i miei simili tendono a rifuggire dall’omicidio a sangue freddo, perfino quando è meritato. Il fatto che ti abbiano lasciato in vita non mi dice nient’altro se non che avevano lo stomaco debole.» Scrollò le spalle. «Sono una sorta di eccezione a quella regola, io.»

    Lei sedeva immobile, tenendo il fiato.

    «Stiles trattenne la ragazza per quanto?»

    «Io... non mi ricordo. Pochi giorni. Non di più.»

    «Ed eseguì esperimenti su di lei?»

    La donna chinò il capo. «Sì.»

    «Dettagli, Kelsey. Ho bisogno di dettagli.» Le spinse in alto la testa così che lo guardasse in viso. «E capirò se stai mentendo. So che stavi mentendo sul cercare di proteggerla. Fosti crudele verso di lei come chiunque altro. Per tua fortuna, non me ne importa un fico. Il mio interesse è nei confronti di Stiles. Per cui dimmi, e dimmi tutto.»

    Lei si inumidì le labbra. «Voleva sapere che genere di poteri avesse. Se fosse immortale o no. Che cosa potesse ucciderla. Quel genere di cose. La drogava, però, così lei non era consapevole di gran parte degli esperimenti. Probabile che non abbia sentito niente.»

    «E che genere di cose lei non sentì, Kelsey?»

    Lei prese un respiro, ebbe la decenza di apparire piena di vergogna. La voce fu un mero sussurro. «Scossa elettrica, sufficiente a fermarle il cuore, tanto per vedere se sarebbe ripartito. Annegamento, per vedere se l’avrebbe uccisa. Varie tossine introdotte nel flusso sanguigno in dosi mortali. Prelievo di sangue. Colpi alla testa.»

    «Gesù» mormorò Edge.

    «Lei si riprese ogni volta, e se n’era andata da un pezzo prima che lui potesse provare cose come proiettili nel cervello o paletti nel cuore.»

    Paletti! Strabuzzò gli occhi.

    «Sembra invecchiare come un’umana. Almeno, aveva l’aspetto di una diciottenne che cresceva in modo normale, ma si rianimava come un’immortale.»

    «E cos’altro?»

    «Lui prese i consueti campioni. Sangue, sacche e sacche di sangue. Tessuti, capelli, midollo osseo.»

    «Che cosa ne faceva?»

    «Non lo so. Io pensavo stesse cercando di mappare il suo DNA, ma lui era solito chiudersi a chiave in un laboratorio personale per ore. Uno degli altri che lavoravano per lui credeva che avesse due serie di appunti, una che potevamo vedere e l’altra solo per i suoi occhi.» Fece spallucce. «Una volta l’ho beccato che si iniettava qualcosa. Ma non ho mai saputo cosa fosse.»

    «Stiles trovò mai il punto debole della ragazza? Ha scoperto che cosa l’avrebbe uccisa?»

    «Non che io sappia, no. Se lui l’avesse fatto, lei non sarebbe stata viva al momento della fuga.»

    Non aveva importanza. L’avrebbe fatto lui. Avrebbe trovato Amber Lily Bryant, e allora avrebbe scoperto la sua vulnerabilità. Il suo veleno. La sua kryptonite. Poiché, qualunque cosa fosse, sarebbe stata l’arma che gli sarebbe servita per uccidere Frank Stiles.

    E, per più di quattro decenni, il suo unico scopo nella vita era stato uccidere Frank Stiles.

    Nessuno avrebbe potuto bloccargli la strada. Neppure la cosiddetta Figlia della Promessa.

    Lasciò cadere sul tappeto il mozzicone della sigaretta, lo schiacciò sotto il tacco mentre si alzava in piedi. «Sei stata molto utile, Kelsey.»

    Lei chiuse gli occhi, sedendo immobile. «E adesso mi ucciderai, vero?»

    «Grazie, ma ho già mangiato.» Sorrise, ma lei non sembrò cogliere l’umorismo. «Non sei una minaccia per me, Kelsey Quinlan. Mi hai detto ciò che avevo bisogno di sapere, e dubito che tu sia così stupida da cercare di avvertire Stiles, anche se sapessi dove trovarlo, e non è così. Dunque perché pensi che adesso ti ucciderei?»

    «Per i miei crimini contro... i tuoi simili.»

    Scosse la testa andando verso la porta. «Non me ne frega un accidente dei miei simili.»

    Amber infilò la sua bassa e allungata Ferrari nera nel viale della casa dei suoi genitori, a mezzanotte.

    Era una dimora georgiana di mattoni rossi in un’isolata, piccola insenatura della Baia Irondequoit sul Lago Ontario. Era completa di passaggi segreti e uscite di sicurezza nascoste, ed era una dei loro più recenti acquisti. La casa sul Lago Michigan, infatti, aveva dovuto essere venduta cinque anni prima.

    «Allora, di cosa supponi che tratti questa riunione di famiglia?» chiese Amber. «Un altro tentativo ragionato di indurci a tornare da loro?»

    Alicia sganciò la cintura di sicurezza e aprì la portiera. «Finora hanno mantenuto la promessa di non farci pressioni al proposito.»

    «Già, in cambio del fatto che noi restiamo entro un raggio di venti miglia.»

    «Dopo la nostra piccola disavventura a New York, siamo fortunate che non ci abbiano rinchiuse in un convento da qualche parte.»

    Amber aprì la portiera e smontarono entrambe. Richiuse lo sportello e premette il pulsante di chiusura sul portachiavi.

    «Quale presumi sia lo statuto delle limitazioni, in questi casi?»

    «Per le normali famiglie, o per la nostra?» Alicia alzò le spalle, passando una mano sul liscio, lucido paraurti della Ferrari. «Tuttavia, immagino che le normali famiglie non comprino regali così carini per le loro figlie vagabonde.» Inarcò le sopracciglia. «Anche se penso ancora che avresti dovuto tirare avanti con la piccola Corvette rossa. Allora potevamo essere pari.»

    Amber roteò gli occhi, gettò indietro i capelli e camminò a fianco a fianco con sua sorella. E non gliene importava molto quanto ufficiale o non ufficiale fosse, Alicia era sua sorella.

    Era una bizzarra famiglia, una bizzarra, iperprotettiva, oscenamente ricca famiglia. Le ragazze avevano due madri, da sempre. Una vampira, una mortale. E il padre di Amber vegliava su entrambe e le proteggeva, anche se sembrava abbastanza giovane da essere il loro fratello.

    Era per questo che lei non gli aveva raccontato del sogno che la stava tormentando ormai da più di un anno. Un sogno che l’affascinava, e la terrorizzava. I suoi sogni

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