Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Quel che accade a Las Vegas: Harmony Jolly
Quel che accade a Las Vegas: Harmony Jolly
Quel che accade a Las Vegas: Harmony Jolly
E-book156 pagine2 ore

Quel che accade a Las Vegas: Harmony Jolly

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Chi lo ha detto che i milionari devono essere sempre solo belli e dannati? Esistono anche quelli romantici e sognatori e ve lo dimostreremo!
Questa è l'ultima volta che indosso i panni dello sceriffo... da domani si cambia vita! Ecco quel che si dice lo sceriffo Grace Delaney prima di correre in aiuto di un affascinante sconosciuto che non ricorda il suo nome e se ne va in giro con al polso un orologio da settantamila dollari. Grace decide di aiutarlo, e lui si dimostra così dolce e affascinante che ancor prima dello scoccare della mezzanotte l'ha già conquistata. Quando scopre che in realtà lui è il crudele Jackson Hawke, magnate di Las Vegas e playboy, è troppo tardi per fuggire: ormai ne è innamorata, anche se lui non potrà mai ricambiarla. A Capodanno, però, tutto può succedere...
LinguaItaliano
Data di uscita10 nov 2020
ISBN9788830521100
Quel che accade a Las Vegas: Harmony Jolly
Autore

Teresa Carpenter

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

Leggi altro di Teresa Carpenter

Autori correlati

Correlato a Quel che accade a Las Vegas

Ebook correlati

Narrativa romantica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Quel che accade a Las Vegas

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Quel che accade a Las Vegas - Teresa Carpenter

    978-88-3052-110-0

    1

    «G. Delaney, questa sera sei bellissima» biascicò Chet Crowder.

    Lo sceriffo Grace Delaney abbassò lo sguardo sull'uniforme che indossava, pensò alla massa dei suoi capelli neri, raccolti dietro la nuca alla bell'e meglio, alla mancanza di trucco, a parte un velo di mascara e un tocco di lucidalabbra, ed ebbe la conferma che Chet era ubriaco fradicio.

    «È mezzanotte, vero?» domandò l'uomo anziano. «A mezzanotte mi aspetto un bacio.» Detto questo, si curvò su se stesso e diede di stomaco sul pavimento di pietra.

    «È contro la procedura baciare i prigionieri» citò Grace, spostandosi di lato per evitare il diluvio e sostenendolo poi per portarlo nella sua cella.

    «Ma è l'ultimo dell'anno» protestò Chet con un singulto. «Potresti fare un'eccezione.»

    Non c'era bisogno che glielo ricordasse, pensò Grace. Non erano ancora le undici e avevano già per le mani tre ubriachi barcollanti. Durante le festività succedeva sempre, ma per lei quella sarebbe stata l'ultima volta. Entro un'ora o poco più, avrebbe consegnato la pistola, il distintivo e avrebbe rassegnato le sue dimissioni.

    «Le leggi sono state fatte per una ragione» replicò, ripetendo le parole che suo padre le aveva detto fin dall'infanzia. «Senza eccezioni.»

    «Tu sei una bella donna, G. Delaney» affermò Chet, dirigendosi verso la brandina incatenata alla parete. «Ma non sei divertente. È per questo che non ho votato per te. Sei troppo seria. Devi bere qualcosa di forte, così cambierai umore.»

    Grace s'irrigidì. Non era la prima volta che si sentiva rivolgere quella critica, ma continuava a non capirla. Fare lo sceriffo era una faccenda seria. Il suo compito era applicare le leggi.

    «Mettiti a dormire, Chet. Domattina ti rilascerò.» In realtà sarebbe stato qualcun altro a liberarlo. Lei sarebbe stata in viaggio per San Francisco. Morto suo padre e terminato il periodo di servizio, non aveva alcun motivo per restare. Di certo non l'avrebbe trattenuta il miserevole impiego offertole dal suo successore, ribadì tra sé mentre lavava il pavimento imbrattato da Chet.

    Il capodanno era una delle feste che spingeva i residenti a sbronzarsi nella cittadina di Woodpark, in California. L'altra era la fiera annuale e il rodeo del Quattro Luglio. Le avevano detto che l'anno precedente la giornata era stata più tranquilla a causa di una forte nevicata, tuttavia in prigione erano finiti otto ubriachi.

    Quell'anno faceva freddo, ma il cielo sereno lasciava presagire notti di baldoria. Il suo successore aveva stabilito che le persone ebbre e confuse avrebbero potuto passare la notte in cella ma che non sarebbe stato necessario schedarle.

    Grace stava finendo di pulire la stanza quando entrò un agente, Mark Parker, spingendo davanti a sé un pezzo d'uomo che indossava un paio di jeans e una T-shirt bianca, macchiata di sangue. L'uomo avanzava a testa bassa cosicché i capelli castani gli nascondevano il viso.

    «Che cosa abbiamo qui?» domandò Grace.

    «Un ubriaco semi incosciente. L'ho trovato che percorreva la strada di accesso alla città. Puzza di birra ed è privo di documenti. Ho controllato le sue orme e ho constatato che nessuno lo inseguiva, ma si rifiuta di darmi le sue generalità. Suppongo che domattina ci spiegherà tutto.»

    «E quelle macchie di sangue?»

    «Quando l'ho trovato, c'erano già. Penso che sia stato coinvolto in una rissa e che abbia perso il portafoglio.»

    «L'hai fatto medicare?»

    «Sì. Ha un bernoccolo sulla testa e una leggera scalfittura. Niente di grave.»

    «Perché ha le manette?»

    «Non gradiva le mie domande e ha opposto resistenza.»

    Grace annuì e aprì una cella per alloggiare il prigioniero. Data la mole dell'uomo, capiva che Mark avesse preferito prendere delle precauzioni.

    «Da questa parte, signore.»

    «Non dovrei essere qui» L'uomo alzò la testa e la fissò con durezza. Il suo volto era pallido e incupito. «Non ho fatto niente di male.»

    «Qui a Woodpark non tolleriamo gli ubriaconi.» Adesso che poteva osservare la sua faccia, Grace ebbe l'impressione d'averlo visto da qualche parte.

    «Non ho bevuto alcolici» replicò l'uomo, sorpreso. «Non ho toccato un solo goccio di alcol» ripeté.

    «Qual è il suo nome, signore?»

    Invece di rispondere, lui andò a sedersi sulla branda e lasciò cadere di nuovo la testa sul petto.

    «Qual è il tasso alcolico del suo sangue?» domandò Grace a Mark.

    «Non l'ho misurato. Barcollava e puzzava di birra. Fuori la gente ha cominciato da un pezzo a festeggiare, e in gabbia sono finite già tre persone. Non mi è sembrato necessario sottoporlo al test. Se non hai più bisogno di me, torno a perlustrare le strade.»

    Benché non approvasse quella leggerezza, Grace lasciò perdere. Ormai le sue responsabilità erano finite. «Puoi andare» rispose.

    «Se non dovessimo rivederci, ti auguro buona fortuna a San Francisco. In città ti troverai meglio. Qui da noi la tecnologia è molto limitata.»

    «Grazie» rispose lei, notando che a parte i modi gentili, nessuno manifestava del rimpianto nel vederla andare via. «Prima che tu vada. Hai gli effetti personali del nostro uomo misterioso?»

    «Ho messo tutto nell'armadietto, ma non c'è molto: un giubbotto, due gambali da cowboy, un orologio e una cintura. Temo che questi oggetti non ti consentiranno di identificarlo.»

    «È probabile» convenne lei, poi dato che non aveva molto da fare, a parte monitorare le pattuglie e sorvegliare la cittadinanza, decise che più tardi avrebbe controllato ugualmente ogni oggetto.

    La città contava meno di duemila residenti. Le pattuglie comprendevano sei uomini. Quando era stata in marina aveva dovuto addestrarne tre volte tanti. Rimpiangeva quell'ordine e quella disciplina. Aveva rinunciato alla vita militare per assistere suo padre, a cui era stato diagnosticato un cancro alla prostata, e anche se l'aveva perso dopo sei mesi, non se n'era mai pentita. In seguito, per onorare la sua memoria aveva accettato la richiesta dei cittadini di prendere il suo posto di sceriffo. Aver perso alle ultime elezioni dimostrava che non era stata all'altezza del suo compito.

    Per trent'anni aveva seguito le direttive padre e quel fallimento le pesava. Forse a Los Angeles, a San Francisco o magari a San Diego avrebbe avuto maggior fortuna.

    Desiderava vivere in una metropoli cosmopolita e grazie all'assicurazione sulla vita, stipulata da suo padre, avrebbe potuto scegliere che cosa fare.

    Controllate le pattuglie e il prigioniero, decise di dare un'occhiata ai suoi oggetti personali. Individuò la busta di plastica con la scritta John Doe, nome affibbiato agli individui non identificati, e portò ogni cosa sulla sua scrivania.

    Quando aprì la busta sentì un forte odore di pelle, proveniente da un giubbotto e dai gambali. Erano entrambi di ottima qualità, cuciti a mano. Grace frugò dentro le tasche, ma non trovò niente, a parte una confezione di fiammiferi con il marchio di una taverna all'ingresso della città.

    Tirò fuori i gambali, li sollevò e cercò di visualizzarli addosso all'uomo in cella. L'immagine che le balzò gli occhi le diede un brivido di emozione.

    Tuttavia qualcosa non quadrava. L'atteggiamento avvilito di John Doe non andava d'accordo con le sue spalle larghe e il fisico muscoloso e nemmeno con le sue proteste d'innocenza, ma la vera sorpresa fu l'orologio. La forma e il materiale erano quelli di un oggetto prezioso. Guardò meglio e vide che era marcato Cartier. Cercò in Internet la marca e notando il prezzo, sbarrò gli occhi. Costava più di settemila dollari. Verificò la lista degli oggetti rubati, ma non trovò niente.

    Era chiaro che JD aveva delle risorse. Che poi fossero legali o meno, era un'altra faccenda. Comunque la mancanza delle sue impronte digitali dimostrava che non era mai stato arrestato. Perché non voleva dire il suo nome? Il suo aspetto le era familiare, eppure non riusciva a inquadrarlo.

    Il giubbotto di pelle faceva pensare a una moto, ma dov'erano i guanti, il casco e il veicolo stesso? E perché camminava sul bordo della strada? La 101 puntava dritta verso il centro della città. Forse qualcuno l'aveva buttato fuori strada e poi derubato? Ma per quale motivo non denunciare quell'aggressione? Aveva ricevuto una botta sulla testa ed era rimasto istupidito?

    Molta gente perde la memoria dopo un incidente. Forse aveva delle ferite più gravi di quanto il medico avesse rilevato.

    Era venuto il momento d'interrogarlo.

    Pum. Pum. Pum. La testa gli pulsava dolorosamente e tenere gli occhi chiusi gli dava un minimo di sollievo. Tra l'altro, quando li apriva, solo vedeva delle pareti grigie e la porta a sbarre della cella.

    Dannazione, doveva averla combinata grossa per essere finito in galera. Il problema era che non ricordava quello che aveva fatto. L'agente che l'aveva arrestato, aveva detto che era ubriaco, ma si era sbagliato. Non si sarebbe sentito così debole se avesse avuto in corpo dell'alcol.

    Pum. Pum. La spalla destra e la gamba gli facevano un male del diavolo. Per lo meno gli era rimasto il cellulare. Ma qual era il pin?

    Se avesse avuto la mente sgombra, si sarebbe ricordato tutto e a quel punto avrebbe spiegato ogni cosa all'agente e se ne sarebbe andato per la sua strada.

    La porta della cella cigolò e lui aprì un occhio.

    Era la donna poliziotto. Si ricordava di lei. L'uniforme, l'atteggiamento, i begli occhi azzurri.

    «Come si sente?» domandò lei in tono più amichevole di quando era arrivato.

    «Come se fossi stato investito da un camion a rimorchio.»

    «È ciò che è successo?»

    Pum. Pum. Il dolore alla testa divenne più forte. Perché non lo lasciavano in pace?

    «Credevo di essere stato arrestato perché ero sbronzo.»

    «Ha negato di esserlo.»

    Lui non seppe che cosa ribattere. Aveva risposto in quel modo nella speranza che lo liberassero, anche se non sarebbe stato in grado di muoversi.

    «L'agente l'ha visto che camminava.»

    «Camminare non è proibito dalla legge.»

    «No. Ma è molto raro che un turista arrivi fin qui a piedi.»

    Non essendo una domanda, lui non rispose. La voce bassa e roca della donna sarebbe stata piacevole, se non l'avesse tormentato con quelle richieste di informazioni.

    «Con quale mezzo si muove?»

    Mezzo? Lui inarcò le sopracciglia. Non aveva appena detto che lo avevano visto camminare?

    «Indossava un giubbotto di pelle e dei gambali. Viaggiava in moto?»

    Pum! Pum!

    L'uomo premette l'avambraccio sulla fronte. Aveva la sensazione che se non l'avesse sorretta, la sua testa sarebbe esplosa.

    «Si sente bene?» La voce femminile era vicina, adesso, e lui sentì un dolce profumo di pesche.

    «Possiamo parlare un'altra volta? La testa mi fa molto male.»

    «Voglio controllare le sue ferite» l'avvertì Grace. «Forse sono più gravi di quanto abbiamo supposto.»

    Il calore diffuso dal corpo della donna, lo riscaldò. Il dolore gli aveva impedito di accorgersi d'essere semi congelato.

    Pum! Pum! Una fitta di dolore gli trapassò il cranio.

    «Ahi!» gridò, sottraendosi al suo tocco.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1