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Le fortune del Capitano Blood
Le fortune del Capitano Blood
Le fortune del Capitano Blood
E-book277 pagine3 ore

Le fortune del Capitano Blood

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Info su questo ebook

"Le fortune del Capitano Blood", pubblicato un anno dopo l'uscita del film incentrato sull'omonimo personaggio (1936), raccoglie sei nuovi racconti che, nelle intenzioni di Sabatini, non avrebbero dovuto costituirsi come sequel del fortunato "Captain Blood" (1922), bensì come avventure indipendenti, ambientate nel periodo in cui il protagonista si dà alla pirateria nei mari caraibici. Che dire, quindi, se non abbozzare un profilo del protagonista di tali avventure? L'irlandese Peter Blood – personaggio puramente fittizio – è un medico ed ex avventuriero che, poco prima della Gloriosa Rivoluzione (1688), è accusato ingiustamente di aver preso parte a una ribellione contro re Giacomo II. Deportato alle Barbados insieme ad altri esuli, riuscirà tuttavia a fuggire e a diventare un pirata. Fra mille peripezie e colpi di scena, si intende... -
LinguaItaliano
Data di uscita15 feb 2023
ISBN9788728514962
Le fortune del Capitano Blood

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    Anteprima del libro

    Le fortune del Capitano Blood - Rafael Sabatini

    Le fortune del Capitano Blood

    Translated by Alfredo Pitta

    Original title: The fortunes of Captain Blood

    Original language: English

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1940, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728514962

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    LE FORTUNE DEL CAPITANO BLOOD

    PRIMO EPISODIO

    La Gola del Drago.

    I.

    Era una bella nave, la fregata San Felipe, curata non soltanto nella sagoma, ma anche in tutti i particolari, con quell’amorevole sollecitudine che non di rado usavano i costruttori navali spagnuoli. Il nome di San Felipe le era stato dato quasi a contemperare il sentimento religioso con la fedeltà al sovrano; ed era stata rifinita ed equipaggiata con una meticolosità che ben si addiceva alla bellezza delle sue linee.

    La grande cabina, ora inondata dai raggi del sole che passavano dalle alte finestre di poppa aperte sulla spumosa scia della nave, era stata resa addirittura lussuosa dai mobili di legno intagliato, dalle tappezzerie di damasco che ricoprivano le pareti, dagli ornamenti dorati che si accompagnavano a quelli della riquadratura esterna. E là Pietro Blood, ora padrone della San Felipe, chino sullo spagnuolo giacente su una branda, riprendeva pel momento la sua originaria professione di chirurgo. Le sue mani, vigorose quanto belle e fini, rese dall’agilità delicate di tocco come quelle di una donna, avevano rifatta la fasciatura alla coscia del ferito, là dove l’osso fratturato aveva forato i muscoli.

    Egli completò la legatura delle fasce che avrebbero dovuto tenere a posto le assicelle di legno intorno all’arto offeso, si rialzò, e con un breve cenno di testa licenziò il servo negro che gli aveva fatto da assistente.

    — Andiamo benissimo, don Ilario — disse poi. Parlava quietamente, in uno spagnuolo corretto e scorrevole. — Posso assicurarvi ora sulla mia parola che fra non molto camminerete come prima.

    Un lieve sorriso parve far dileguare dal viso del patrizio spagnuolo quelle ombre di sofferenza che l’avevano offuscato durante la dolorosa medicazione.

    — E di questo debbo rendere grazie a Dio ed a voi — rispose. — È un vero miracolo.

    — Non è un miracolo; si tratta semplicemente di chirurgia.

    — Ah! Ma, e il chirurgo, allora? Ecco dove sta il miracolo. Mi si crederà quando affermerò che a risanarmi è stato il capitano Blood?

    Il capitano, alto e snello, stava in quel momento riabbassandosi le maniche della camicia di tela d’Olanda, che si era rimboccate sino al gomito per eseguire la medicazione. I suoi occhi, meravigliosamente azzurri sotto le nere sopracciglia, e splendenti in un viso dal profilo di falco abbronzato sino a esser divenuto del colore del mogano, osservavano gravemente lo spagnuolo. Poi egli rispose, a guisa di spiegazione:

    — Una volta chirurgo sempre chirurgo, si potrebbe dire adattando al caso mio un noto proverbio. Ed infatti ero in passato chirurgo come probabilmente avrete udito dire.

    — Per lo meno ho potuto accertarmene personalmente, e a mio vantaggio. Ma ditemi, per quale bizzarria del destino un chirurgo è divenuto filibustiere?

    Blood sorrise pensosamente.

    — Ecco, don Ilario, i miei mali vennero dal fatto che io volli tener conto unicamente del mio dovere di chirurgo, come nel caso vostro, e vedere in un ferito soltanto un uomo che aveva bisogno dell’opera mia, a prescindere dal motivo per cui egli si trovava in quelle condizioni. Colui del quale vi parlo era un povero ribelle che aveva seguito la fazione del Duca di Monmouth; e io fui chiamato a curarlo. Ma chi soccorre un ribelle è egli stesso un ribelle: questo stabilisce la legge, fra cristiani! Così fui colto in flagrante mentre curavo quel disgraziato, e per quest’abominevole delitto fui condannato a morte. La pena mi fu poi commutata, non per clemenza, bensì perchè c’era bisogno di schiavi nelle piantagioni. Così, con molti altri compagni di sventura, fui imbarcato per le isole Barbados, dove fummo venduti come schiavi. Riuscii a fuggire; e credo che, col nascere del capitano Blood, il chirurgo Blood morisse. Ma il fantasma del chirurgo segue ancora il corpo del filibustiere, come voi avete potuto constatare.

    — Con mio grande vantaggio e con profonda gratitudine. Così, il fantasma si attiene ancora a quelle pericolose pratiche di carità che uccisero il chirurgo?

    — Ah! — fece semplicemente il capitano; e i suoi vividi occhi diedero uno sguardo scrutatore al viso dello spagnuolo, osservando il lieve rossore che coloriva ora le pallide guance, la strana espressione dell’occhiata che aveva accompagnate quelle parole.

    — Non temete che nel caso vostro la storia possa ripetersi? — insistè don Ilario, a guisa di spiegazione.

    — Io non temo di nulla — replicò Blood, mentre riprendeva le vesti che si era tolte per eseguire la medicazione.

    Si rimise il panciotto di raso nero ornato di galloni d’argento, si aggiustò davanti allo specchio la cravatta di preziosi merletti di Mechlin, scosse i riccioli della nera parrucca, e così riassestato — incarnazione dell’elegante virilità, figura che meglio si sarebbe intonata alle anticamere dell’Escuriale che al cassero di una nave di filibustieri — riprese:

    — Ora dovete starvene in assoluto riposo, e cercar di dormire sino a che suonerà la campana delle otto. Non avete febbre; ma la mia prescrizione è questa. Alle otto ritornerò a vedervi.

    Don Ilario, però, pareva non volere pel momento ubbidire.

    — Don Pedro… — ricominciò, piuttosto imbarazzato. — Prima che ve ne andiate… Insomma, ecco che cosa voglio dirvi. Questa situazione mi fa vergognare… Col debito di gratitudine che ho verso di voi non posso mentirvi. Sappiate dunque che navigo sotto falsa bandiera.

    Le labbra di Blood si atteggiarono a un sorrisetto ironico.

    — Anche a me è parso conveniente fare la stessa cosa, a volte — replicò.

    — Ah, ma c’è una bella differenza! Il mio senso dell’onore si rivolta contro una simile finzione. — Poi, come improvvisamente deciso, e fissando i suoi neri occhi in quelli del capitano, don Ilario continuò: — Voi mi conoscete soltanto come uno dei quattro naufraghi spagnuoli che avete salvati sulla roccia delle Chiavi di San Vincenzo, imprendendo poi con molta generosità a sbarcarli a San Domingo. L’onore mi obbliga a dirvi qualche cosa di più.

    Il capitano Blood sembrava piuttosto divertito da quell’annuncio di una rivelazione.

    — Ecco, non so se possiate dirmi molto oltre quello che già so — sorrise. — Voi siete don Ilario de Saavedra, nuovo governatore di Hispaniola per volontà del vostro signore il Re di Spagna. Prima che quel fortunale la facesse naufragare, la vostra nave faceva parte della squadra del marchese di Riconete, la quale deve operare nel Mare dei Caraibi per sterminare quell’indemoniato filibustiere, quel nemico di Dio e della Spagna, che è il capitano Pietro Blood. È così?

    L’espressione attonita del viso di don Ilario rivelava il suo profondo sbalordimento.

    — Vergine Santissima! — potè egli dire appena dopo qualche momento. — Sapete questo?

    — Con lodevole prudenza vi siete posto in tasca il brevetto di governatore quando la vostra nave stava per affondare; ed io, con una prudenza non meno lodevole, vi ho dato uno sguardo appena siete stato trasportato a bordo. Non possiamo essere troppo schizzinosi in fatto di correttezza, noi, nel nostro mestiere.

    Se fece dileguare la meraviglia di don Ilario, la semplice spiegazione di Blood fece anche subentrare a quella meraviglia un’altra.

    — E nonostante questo non soltanto mi avete amorevolmente curato, ma mi conducete a San Domingo! — esclamò egli. Poi l’espressione del suo viso si mutò. — Ma capisco: voi contate sulla mia gratitudine, e…

    — Gratitudine? — interruppe il capitano Blood, ridendo. — Ma è questo l’ultimo sentimento di cui mi fidi! Per meglio dire, don Ilario, non mi fido che di me stesso, io. Vi ho detto che non ho paura di nulla. La vostra gratitudine, se mai, deve andare non al filibustiere, ma al chirurgo, vale a dire a un fantasma; e perciò non è il caso di parlarne più. Nè vi tormentate a cercar di sapere quale sia il vostro dovere nel caso nostro, e cioè se dobbiate o meno ubbidire alla volontà del Re nei miei riguardi: io sono avvertito, e mi basta. Perciò datevi pace.

    E detto questo Blood se ne andò, lasciando lo spagnuolo sbalordito e perplesso.

    Nel passare sul ponte, dove oziavano una quarantina di filibustieri — la metà all’incirca dell’equipaggio — egli si accorse che l’aria era divenuta cupa e afosa, mentre invece poco prima era stata limpida e fresca. Il tempo era rimasto instabile dopo il fortunale di circa dieci giorni prima, quando cioè egli aveva raccolto don Ilario e tre suoi compagni sull’isoletta rocciosa in cui si erano rifugiati dopo il naufragio della loro nave; ed era per quell’avvicendarsi di furiosi venti contrastanti con intermittenti bonacce che la San Felipe non si avvicinava alla sua destinazione. La nave, infatti, si avanzava appena sulle lievissime onde di un mare oleoso del più cupo violetto, con le vele a volta a volta gonfie e afflosciate. Le lontane alture di Hispaniola, fino a poco tempo prima chiaramente visibili da tribordo, erano ora scomparse in una cinerea foschia. Chaffinch, il nostromo, volle comunicare a Blood le sue osservazioni mentre quello gli passava davanti.

    — Capitano, pare che siamo daccapo. Comincio a domandarmi se finiremo con l’arrivarci, a San Domingo. Si direbbe che abbiamo a bordo un altro profeta Giona, da gettare in acqua perchè il mare si plachi.

    Che si fosse daccapo, come aveva detto Chaffinch, era proprio vero. A mezzogiorno un vento occidentale portò una così terribile tempesta, che il dubbio quasi scherzosamente espresso dal nostromo, che cioè si potesse non arrivare mai a San Domingo, era divenuto prima di mezzanotte un dubbio ben altrimenti serio in tutti coloro che erano a bordò. Sotto un diluvio di pioggia accompagnato da incessanti scoppi di tuono, la San Felipe, spesso ricoperta da enormi ondate, era trascinata dall’uragano verso nord-est. Soltanto all’alba la tempesta cessò, lasciando la sbattuta nave a ballonzolare su lunghe ondate nere, mentre l’equipaggio cercava di ripararne alla meglio le gravi avarie. La balaustrata di poppa era stata strappata via, e così parecchi cannoni. Una delle scialuppe, inoltre, aveva subita la stessa sorte, e i rottami di un’altra erano ancora impigliati nelle catene delle ancore.

    Ma l’avaria maggiore della San Felipe era quella dell’albero maestro, scavezzato dalla furia dell’uragano, e non soltanto ormai inutilizzabile, ma divenuto pericoloso. In compenso di tutto questo, però, era chiaro che la nave era stata spinta verso quella che era la sua destinazione. Infatti a meno di cinque miglia a settentrione si vedeva El Rosario, oltre cui è San Domingo; e in quelle che erano ormai acque spagnuole sotto i cannoni delle fortezze di Re Filippo di Spagna, don Ilario avrebbe dovuto nel suo stesso interesse dar salvacondotto ai filibustieri del capitano Blood.

    Era un bel mattino limpido e assolato quando l’avariata nave, con poche vele spiegate ma con sull’albero maestro null’altro che il vessillo di Castiglia, passò beccheggiando attraverso la scogliera naturale che le acque dell’Ozama hanno ormai da tempo corrosa, e, attraverso lo stretto passo conosciuto col nome di La gola del Drago, entrò nel porto di San Domingo.

    Si trovò così a otto tese di distanza da una spiaggia che si ergeva come un molo su fondamenta di corallo, formando un’isoletta lunga circa un miglio e larga un quarto di miglio appena, divisa in lunghezza da un ciglio roccioso sul quale si vedevano qua e là gruppi di palmizi. In quel punto essa gettò le ancore, e sparò un colpo di cannone a salutare la più nobile città della Nuova Spagna, situata oltre l’ampio porto, tutta bianca nella smeraldina cornice della savana, vasto agglomerato di piazze, di palazzi, di chiese che si sarebbe detto fossero state trasportate di peso dalla Castiglia, dominato dai pinnacoli della Cattedrale in cui si custodivano le ceneri di Cristoforo Colombo.

    Vi fu sul molo un improvviso affaccendarsi; poi una fila di barche si avvicinò alla San Felipe, preceduta da una più grossa e maestosa, a venti remi, tutta dorata, e con all’antenna il vessillo rosso e giallo di Spagna. In essa, sotto una tenda rossa frangiata d’oro, era seduto un uomo panciuto, dalla carnagione fosca, dalle guance rasate di fresco, in vestito di taffetà cenerognolo e con un ampio cappello piumato, che poi si arrampicò, sudante e sbuffante, lungo la scala di corda gettata sul fianco della San Felipe.

    Sul ponte il capitano Blood, splendidamente vestito in nero e argento, si era avanzato a riceverlo; e accanto a lui era, sempre steso sulla branda portata là da quattro filibustieri, don Ilario de Saavedra. Dietro la branda erano poi i tre compagni di naufragio dello spagnuolo; e più in là ancora una fila di uomini dell’equipaggio, forniti di corsaletti, di elmi e di moschetti in modo che sembrassero fanti spagnuoli, era in positura d’attenti.

    Ma don Clemente Pedroso, il cessante governatore che don Ilario andava a sostituire, non si lasciò ingannare da quell’apparato. Un anno prima, a bordo di un galeone che il capitano Blood aveva abbordato nelle acque di Puerto Rico e saccheggiato, egli era stato a faccia a faccia col famoso filibustiere, il viso del quale non era di quelli che facilmente si dimenticano. Così egli si fermò di botto nel vederlo, e sul suo viso madido di sudore apparve un’espressione mista d’ira e di paura.

    Cortesemente, col cappello piumato in mano, Blood gli fece un grande inchino.

    — Vedo che Vostra Eccellenza mi fa l’onore di ricordarsi di me — disse quietamente. Poi, indicando il vessillo spagnuolo che aveva indotto il governatore a fare alla San Felipe quella visita di cortesia, soggiunse: — Ma non bisogna credere che io navighi sotto falsa bandiera. Quel vessillo è dovuto alla presenza a bordo di don Ilario di Saavedra, nuovo governatore di Hispaniola per beneplacito del Re di Spagna.

    Don Clemente guardò la pallida superba faccia dell’uomo steso sulla branda e rimase ammutolito dallo stupore, respirando pesantemente, mentre don Ilario in poche parole gli spiegava la situazione, mostrandogli il suo brevetto di governatore ancora leggibile sebbene l’acqua del mare lo avesse ridotto in miserevoli condizioni. Gli furono anche presentati i tre spagnuoli superstiti, e gli fu assicurato che ulteriore conferma della verità egli avrebbe avuta dal marchese di Riconete, ammiraglio dell’Oceano, la cui squadra sarebbe giunta al più presto a San Domingo.

    Ascoltava muto e accigliato, don Clemente; e muto e accigliato esaminò il brevetto del nuovo governatore. Poi si sforzò, prudentemente, di ammantarsi di fredda dignità per dissimulare il furore che quella nuova situazione e la presenza del capitano Blood suscitavano in lui. Era tuttavia evidente che non vedeva l’ora di andarsene.

    — Don Ilario, la mia barca è agli ordini di Vostra Eccellenza — disse infine. — Credo che ormai nulla ci trattenga qui.

    E si volse a mezzo, come se disdegnasse di trovarsi ancora in presenza del capitano Blood.

    — Nulla ci trattiene, infatti — rispose il nuovo governatore — all’infuori del mio desiderio di ringraziare colui che mi ha salvato e di fornirgli in contraccambio della sua cortesia le provvigioni di cui può abbisognare.

    E don Clemente replicò, arcigno, senza voltarsi:

    — M’immagino che bisognerà, naturalmente, permettergli di andarsene sano e salvo.

    — Mi vergognerei di pagare così meschinamente il mio debito verso di lui, soprattutto nelle condizioni in cui si trova la nave. È già poca cosa permettergli, in contraccambio del grande servigio che mi ha reso, di provvedersi di legname, d’acqua e di vettovaglie, nonchè di scialuppe in luogo di quelle che ha perdute. Per di più, deve essergli accordato salvacondotto in San Domingo per le riparazioni necessarie alla nave.

    — Per queste riparazioni non ho bisogno di disturbare San Domingo — entrò a dire Blood. — Quell’isoletta là servirà ottimamente allo scopo, sicchè, con vostra licenza, don Clemente, ne prenderò temporaneamente possesso.

    Don Clemente, che era rimasto muto e tremante di furore alle parole del suo collega, si volse, lasciando prorompere quell’ira repressa che gli aveva resa la faccia del color del limone.

    — Con mia licenza, eh? Ringraziati siano Iddio e i Santi che mi è risparmiata questa vergogna! È don Ilario ormai il governatore.

    Saavedra s’accigliò; ma si limitò a replicare, con languida fermezza:

    — Vogliate non dimenticarlo, questo, don Clemente, e misurate in conseguenza le vostre parole.

    — Certo, sono il servitore di Vostra Eccellenza! — E il deposto governatore s’inchinò con irosa ironia. — Ed è altrettanto certo che tocca a don Ilario de Saavedra stabilire per quanto tempo debba godere dell’ospitalità e della protezione di Sua Maestà Cattolica questo nemico di Dio e della Spagna.

    — Per il tempo che gli sarà necessario a riparare la nave.

    — Capisco. E quando avrà finito sarà, naturalmente, libero di ripartire, in modo che possa continuare ad assalire e saccheggiare navi spagnuole: è così, Eccellenza?

    — Gli ho data la mia parola che potrà andarsene liberamente — rispose in tono gelido don Ilario; — e, per di più, che per quarantotto ore dopo la sua partenza non sarà inseguito, così come non si prenderà alcuna misura contro di lui.

    — Gli avete data la vostra parola, eh? Per tutti i diavoli dell’inferno! Se…

    Qui il capitano Blood credette di dover intervenire di nuovo.

    — Ora che mi ci fate pensare, don Clemente, mi sembra che agirei prudentemente chiedendovi anche la vostra parola.

    A questo egli non era mosso da timore per sè o per i suoi, ma soltanto dall’opportunità di salvaguardare in qualche modo il generoso don Ilario, addossando cioè la stessa responsabilità all’antico e al nuovo governatore, in modo che don Clemente non potesse fare al suo successore il male di cui evidentemente era capace.

    Il quale don Clemente stette un po’ a guardare come sbalordito l’audace filibustiere; poi, agitando furiosamente le grasse mani, esclamò:

    — La mia parola, eh? La mia parola? — Si interruppe un momento, soffocato dall’ira e dall’indignazione, poi, paonazzo in viso, continuò: — E credete che vorrei dare la mia parola a un miserabile pirata? Credete che…

    — Oh, via, come volete allora! — interruppe freddamente Blood. — Se lo preferite, invece di chiedervi la parola, metterò ai ferri nella stiva voi e don Ilario, lasciandovi là sino a che sarò di nuovo pronto a salpare.

    — Questo è un oltraggio! Questo…

    — Oh, via, chiamatelo come volete! — interruppe di nuovo il capitano Blood. — Per me, lo chiamo munirsi di ostaggi.

    Don Clemente lo guardò con sempre crescente odio.

    — Protesto! — ringhiò. — Una promessa estorta dalle minacce…

    — Ma nessuno vi minaccia. O mi date la vostra parola, o vi metto ai ferri. Potete scegliere liberamente, mi pare. Dov’è in questo la minaccia?

    — Suvvia, don Clemente, basta! — entrò a dire Saavedra. — Quest’alterco è supremamente spiacevole. Date la vostra parola, o subite le conseguenze del rifiuto.

    Fu così che don Clemente dovè, nonostante il suo furore, rassegnarsi a promettere; e se ne andò in un indicibile stato di agitazione.

    In netto contrasto col suo fu l’addio di don Ilario allorchè i filibustieri stavano per calare nella barca sottostante per mezzo di gomene, la branda su cui tuttora giaceva. Lui e il capitano Blood si separarono con reciproche proteste di amicizia, le quali, beninteso, non avrebbero in alcun modo impedito al nuovo governatore di riprendere le ostilità una volta terminato quella specie di armistizio.

    Sorrideva, Blood, mentre osservava la barca dorata dalla tenda rossa allontanarsi verso il molo al misurato tonfo dei suoi venti remi. Una parte delle barche che

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