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Il Cavaliere e la Croce
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E-book495 pagine7 ore

Il Cavaliere e la Croce

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Info su questo ebook

Anno Domini 1189, l’esercito crociato sbarca alle porte della città di Acri per dare inizio alla riconquista di quello che fu il Regno di Gerusalemme. Al seguito dell’armata cristiana, il giovane Ospitaliere Jacopo da Belluno dovrà immediatamente fronteggiare il nemico guidato dal potente Saladino, tentando di espugnare la città assediata nell’attesa che giungano i Re dall’Europa per marciare su Gerusalemme.
Nel frattempo, a Belluno, l’amata Giulia rimarrà pericolosamente esposta a vendette personali, frutto di tensioni politiche molto profonde destinate a cambiare il futuro della provincia.
Nella sua santa missione l’Ospitaliere si troverà faccia a faccia con una realtà molto diversa da quella predicata in Europa, un’esperienza che lo costringerà ad aprire gli occhi di fronte agli eventi. Nelle sofferenze della guerra, lontano dalla terra natia e dalla sua amata, Jacopo ritroverà la forza e il conforto nella piccola croce di ferro che porta al collo.
LinguaItaliano
Data di uscita12 lug 2016
ISBN9788866601975
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    Anteprima del libro

    Il Cavaliere e la Croce - Taras Stremiz

    Tavola dei Contenuti (TOC)

    Cover

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Il Cavaliere di San Giovanni

    Dallo stesso Autore de "Il Cavaliere di San Giovanni"

    Taras Stremiz

    Il Cavaliere

    e la Croce

    ISBN versione digitale

    978-88-6660-197-5

    IL CAVALIERE E LA CROCE

    Autore: Taras Stremiz

    Copyright © 2016 CIESSE Edizioni

    info@ciessedizioni.it - ciessedizioni@pec.it

    www.ciessedizioni.it – www.shop-ciessedizioni.it

    www.blog-ciessedizioni.info

    I Edizione stampata nel mese di luglio 2016

    Impostazione grafica e progetto copertina: © 2016 CIESSE Edizioni

    Collana: Green

    Editing a cura di: Renato Costa

    PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA

    Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione dell’opera, anche parziale, pertanto nessuno stralcio di questa pubblicazione potrà essere riprodotto, distribuito o trasmesso in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo senza che l'Editore abbia prestato preventivamente il consenso.

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    A mia moglie,

    che ha reso la mia vita stupenda

    Capitolo 1

    Settembre, AD 1189

    Mare Mediterraneo orientale

    La nave avanzava lentamente nel tranquillo mare del mattino, il sole si era da poco levato sull’orizzonte e una leggera brezza gonfiava le grandi vele dell’Usciere mentre si dirigeva verso oriente. Nonostante navigasse da più di un anno, Jacopo non poteva fare a meno di provare un certo orgoglio nel vedere la lunga bandiera rossa con la croce bianca che sovrastava gloriosa le vele latine: la bandiera del suo Ordine, lo stendardo dei cavalieri Ospitalieri.

    Era per mare già da quindici lune, dall’inizio dell’estate precedente, quando, appena nominato cavaliere, si era unito al contingente del suo Ordine per partire con la grande spedizione guidata dall’Arcivescovo Gerardo di Ravenna. Erano salpati in forze da Venezia per rispondere alla chiamata di Papa Gregorio VIII, allo scopo di liberare Gerusalemme e la Terrasanta, appena conquistate dal Saladino. All’inizio il viaggio era stato tranquillo ma dopo poche settimane, a causa delle condizioni avverse del mare, furono costretti a sostare fino alla primavera successiva in Dalmazia, estrema punta meridionale della Serenissima. Ripartiti alla fine di marzo, navigarono fino a Cipro, dove rimasero circa un mese. Durante la permanenza nell’isola furono raggiunti da un messaggero proveniente da Tiro, loro approdo finale, che li aggiornò sulla situazione bellica. Visti i recenti sviluppi della situazione in Outremer, decisero che il contingente non sarebbe più sbarcato nell’unica città ancora in mano cristiana, bensì ad Acri, la storica porta di accesso all’oriente, ora nelle mani del Saladino e assediata dalle truppe crociate.

    Alla notizia del cambio di programma, l’intero contingente si riempì di orgoglio, bramoso di battaglia. Acri! Solo a nominarla i cuori s’infiammavano, alzando il morale e il desiderio di vendetta dell’esercito, che da troppe lune attendeva di incrociare le spade con i nemici della fede.

    Jacopo rifletteva sulla sua strana situazione. Fino a due anni prima era il figlio di un falegname di una cittadina sulle montagne, poi il destino e le circostanze avevano plasmato la sua vita facendolo condannare a morte per amore di Giulia. La sua breve esistenza sarebbe finita tra le rapide del Piave se l’esercito cristiano non fosse stato sconfitto ad Hattin e il Papa non avesse lanciato la crociata, promettendo l’assoluzione a quanti vi avessero partecipato.

    Di lì in poi gli eventi si erano succeduti vorticosamente: prima la grazia per le sue colpe, poi la nomina a monaco e l’investitura come cavaliere Ospitaliere, infine la partenza per la Terrasanta.

    Mentre pensava alla rocambolesca successione di avvenimenti decisi dal fato o da Dio, come avrebbe detto il suo vecchio maestro, Padre Anselmo, all’orizzonte intravide una linea scura. Assorto nei suoi pensieri non vi fece nemmeno caso, fino a quando un fratello cavaliere, indicando verso oriente, urlò: «La Terrasanta! Acri!».

    Altri fratelli arrivarono a prua per vedere l’Outremer. Era solamente una linea confusa al confine tra il mare e il cielo ma bastava per rendere lucidi gli occhi dei naviganti. Alcuni si inginocchiarono a pregare il Signore, altri si batterono il petto in segno di coraggio, quasi una sfida alla terra in mano ai nemici.

    Fratello Guglielmo, suo allenatore e caro amico, gli si affiancò. Veterano della Terrasanta, quasi fosse suo padre gli disse: «Eccoci finalmente in vista della nostra meta, mio giovane compagno. Ciò che avevo lasciato sotto il segno della croce di Cristo è ora sotto l’ombra della mezzaluna saracena. Quando salpai da queste sponde mai avrei immaginato di rimetterci piede per cacciare il nemico usurpatore, ma ahimè siamo qui. Ora dobbiamo riprendere ciò che di diritto appartiene alla vera fede. La prima volta che vi giunsi ero giovane e temerario come te, non ti nascondo un po’ di invidia, ragazzo!».

    Jacopo non riusciva a spiegarsi l’ombra di tristezza nelle parole dell’amico.

    «Fratello Guglielmo, sento che qualcosa ti turba, cosa c’è di più onorevole della liberazione della terra del Cristo? Cosa ti inquieta l’animo?».

    «Hai ragione, non vi è missione più santa di quella che stiamo per compiere, l’unica pecca è che questa gloriosa impresa comporti guerra e morte. Nella mia vita ne ho viste troppe di entrambe, ma il nostro Dio ha deciso che dovessi vederne ancora».

    Il veterano diede una piccola pacca sulla schiena di Jacopo e, cambiando completamente espressione, disse con fierezza: «Non bisogna dubitare della volontà di Dio! Egli ci ha chiamato per liberare la casa di suo figlio e noi gli dimostreremo che siamo all’altezza del compito affidatoci. Libereremo Gerusalemme e cacceremo i saraceni che imperversano su quelle terre. Dio lo vuole!».

    Il morale di Jacopo, temprato dalle parole dell’amico, si risollevò: «Ora riconosco il mio maestro!».

    «Adesso è giunto il momento che impari anche l’ultima lezione, caro ragazzo. Non te la posso insegnare io, la dovrai imparare nei campi di battaglia. Finora ti sei allenato, hai dimostrato il tuo valore e la tua maestria in combattimento con amici e confratelli. Da quando metterai piede nel Regno di Gerusalemme non combatterai più per allenarti in innocui duelli, ti batterai per la tua stessa vita e per la liberazione della nostra terra. Ho solo un ultimo consiglio da darti: non esitare, non dubitare e non avere pietà, i tuoi nemici non ne avranno!».

    Gli prese la testa tra le mani e gli baciò la fronte: «La guerra non ammette debolezze, sii la spada di Cristo, onora la tua divisa, onora il tuo stendardo, onora il tuo Dio!».

    Due forti sentimenti contrastanti aleggiavano nel cuore di Jacopo, il timore della battaglia e l’orgoglio di appartenere a uno degli Ordini più forti e gloriosi. Presto il secondo ebbe la meglio e girando lo sguardo verso la costa lontana disse: «Ho giurato di portare con onore questo stemma sul petto e di comportarmi da cavaliere. Quanto è vero Dio, manterrò la mia promessa, possa essa condurmi alla morte!».

    Guglielmo lo abbracciò e gli diede due pacche sulla spalla: «E io con te, fratello!».

    Erano passate poche ore dall’avvistamento della costa e già erano a circa due miglia da Acri. La città sorgeva su una piccola penisola a forma di triangolo: al vertice stava la fortezza della cittadella, due lati erano lambiti dal mare e sull’ultimo, il più lungo e vulnerabile, una cinta muraria divideva l’abitato dalla grande pianura siriana. Virarono a Sud lasciando la città alla loro sinistra, facendo rotta verso la costa meridionale. Passando al largo di quelle possenti mura, Jacopo non poté fare a meno di notare le bandiere color albicocca con le mezze lune e le scritte in arabo che sventolavano dall’alto delle torri. Acri era chiaramente in mano al nemico ma dal suo interno si levavano colonne di fumo nero, segno che la città era sotto assedio.

    Costeggiandola, Jacopo poté ammirare il grande porto difeso da un’imponente torre che sembrava levarsi come per miracolo dal mare. A quella vista chiese a Guglielmo: «Quale prodigio regge quella torre?».

    «Quella è la famosa torre delle mosche, non è costruita sul mare bensì su uno scoglio dove si dice venissero praticati sacrifici umani in onore di Satana, signore delle mosche».

    Jacopo si fece il segno della croce per scongiurare quel nome sacrilego: «La città è in mano agli infedeli?».

    «Certo, altrimenti perché mai saremmo dovuti sbarcare qui al posto di Tiro? Non vedo l’ora di conoscere l’entità delle nostre forze e soprattutto di quanti nemici è composta la guarnigione di Acri! Se tutto va come è stato previsto, entro una settimana pregheremo nella cattedrale di San Giovanni e dimoreremo nel castello che fu sede del nostro Ordine! Preparati fratello e prepara il tuo cavallo, tra poco si sbarca!».

    Chirone! Jacopo se n’era quasi dimenticato, il suo possente destriero che viaggiava nella stiva. Scese le scalette che portavano sottocoperta per sincerarsi delle condizioni del suo fedele amico. Lo trovò immediatamente, appeso con una larga fascia al ponte della nave e con gli zoccoli legati per evitare che si facesse male. I suoi occhi erano espressivi come sempre, appena l’animale vide il padrone iniziò a muovere la testa su e giù in segno di gioia. Jacopo si avvicinò e gli accarezzò il collo sussurrandogli nell’orecchio: «Forza, amico mio, siamo giunti alla fine di questo viaggio snervante, presto potrai tornare a galoppare libero sul suolo santo. Non saranno le fresche montagne di Belluno, ma avrai l’onore di calpestare lo stesso suolo su cui camminò il Cristo!».

    Il ragazzo guardò ancora una volta il suo cavallo, era di una razza particolare. Dopo la prima crociata i nobili avevano voluto unire i frisoni europei, massici e potenti, con i cavalli arabi, agili e aggraziati. Il risultato era il suo Chirone, forte e vigoroso ma allo stesso tempo veloce e scattante, di un colore nero lucido come la pece.

    Il cavallo parve percepire che era prossima la fine del viaggio e iniziò a scalpitare e a sbuffare: «Calmo, Chirone, attendi ancora un po’, presto ti farò toccare nuovamente terra e questa volta sarà per un bel po’ di tempo!».

    In effetti, durante quella traversata, si erano fermati varie volte e quasi sempre i cavalli erano stati fatti scendere per permettere loro di sgranchire le zampe e non compromettere la loro abilità nel galoppo una volta giunti in Terrasanta. In quell’anno di viaggio, per oltre sei mesi erano stati attraccati a dei porti e fortunatamente Chirone tutte le volte era tornato a galoppare relativamente presto senza alcun problema. Jacopo però sapeva che questa volta, messi i piedi a terra, il suo destriero non avrebbe avuto molto tempo per riabilitarsi e ad attenderli non c’erano tranquille galoppate ma una guerra.

    Gli occhi neri e lucidi del cavallo fissavano il padrone, quasi potessero leggere nell’animo del giovane il momentaneo sconforto all’idea della battaglia imminente. Jacopo sorrise e accarezzandolo delicatamente disse: «Non è niente, vecchio amico, presto saremo a terra e serviremo Dio in questa nobile missione!».

    Mentre diceva queste parole una voce perentoria ordinò: «Tutti in coperta, tra poco si sbarca!».

    Jacopo controllò velocemente i legacci di Chirone, a breve ci sarebbe stato uno scossone e il suo destriero non doveva procurarsi alcuna lesione. Soddisfatto delle condizioni, dette una pacca al garrese e lo incoraggiò: «Forza, resisti un’ultima volta».

    Salì poi di corsa la scaletta per andare a poppa, dove si sarebbero appoggiati alla spiaggia.

    La costa brulicava di uomini, cavalieri e stendardi, buona parte dell’esercito imbarcato a Venezia era sceso, le nuove truppe erano state accolte con grida di giubilo quasi fossero venute direttamente dal cielo.

    L’Usciere si adagiò sulla spiaggia con uno scossone, il grande portellone fu aperto e si appoggiò con uno schianto sulla candida sabbia siriana. Jacopo scese nella stiva per sincerarsi delle condizioni di Chirone prima di lasciare che il suo scudiero, un giovane sergente di nome Stefano affidatogli dall’Ordine, se ne prendesse cura e lo portasse a terra. Il suo destriero stava fortunatamente bene, sia le zampe che l’addome erano in ottime condizioni. In quel viaggio attraverso il Mare Nostrum molti cavalli si erano azzoppati e altrettanti una volta a terra non avevano più avuto la forza di cavalcare. Chirone aveva una stoffa invidiabile e ogni volta erano bastati uno o due giorni per tornare a galoppare come il vento.

    Le condizioni fisiche erano soddisfacenti ma lo sguardo del cavallo implorava pietà, sembrava pregare lui stesso il suo padrone di porre fine una volta per tutte all’agonia che gli veniva inflitta ormai da un anno. Jacopo si avvicinò all’animale e accarezzandolo sussurrò: «È finita, mio caro amico! Il viaggio è giunto alla sua meta, ma non so se sia un bene o un male, una moltitudine di nemici ci aspetta e noi dobbiamo essere pronti a rispondere alla chiamata di nostro Signore!».

    Il cavallo parve apprezzare quelle delicate attenzioni e si calmò visibilmente. Da dietro una voce interruppe quel momento: «Jacopo, se quel cavallo fosse una donna, riceverebbe più attenzioni di qualsiasi moglie!».

    Il ragazzo si girò verso il suo compagno Guglielmo: «Non essere blasfemo, la regola ci vieta forse di curare i nostri destrieri?».

    La discussione era in un tono scherzoso, quasi che tra i due cavalieri ci fosse una sfida per vedere chi faceva la battuta migliore: «Fino a che non gli metti un anello allo zoccolo e condivi il giaciglio con lui, non dovrebbero esserci problemi... almeno credo!».

    I due scoppiarono in una risata.

    «È veramente un bell’esemplare, fai bene a prendertene cura! Ora però dobbiamo scendere, lo rivedrai sulla spiaggia».

    Jacopo diede due pacche sul collo della bestia e continuò il gioco: «Caro Chirone, cosa possiamo fare per avere qualche attimo di intimità? Arriva sempre qualche guastafeste a disturbare!».

    Guglielmo prese Jacopo per il braccio: «Dai, piccioncino, farete dopo la vostra cenetta romantica!».

    Ridendo salirono la scaletta che portava sul ponte, da dove scesero finalmente sulla spiaggia. Giunti a terra furono travolti dagli abbracci calorosi dei soldati, tutti gli stringevano le mani, molti si inchinavano di fronte al rango di quei soldati di Dio. A Jacopo non sembrava vero, veterani dei campi di battaglia orientali si stavano inchinando di fronte a lui!

    Subito però Guglielmo lo prese per il braccio e lo strattonò verso destra: «Non è il momento di fermarci, vieni, dirigiamoci verso il nostro contingente, lo scudiero si arrangerà con il cavallo, non dubitare».

    Jacopo era travolto da quella confusione, una moltitudine di uomini assiepava la corta spiaggia, si lasciò trascinare dal compagno d’arme verso l’entroterra sorridendo e chinando il capo a ogni ringraziamento e stretta di mano che riceveva. In pochi minuti gli furono dette frasi in almeno dieci lingue diverse, alcune le conosceva, come il latino, l’italiano e il tedesco, ma di molte altre ignorava completamente la provenienza, idiomi dai suoni gutturali e altri dalla pronuncia dolce, quasi effemminata. Stupito chiese a fratello Guglielmo: «Da dove arriva tutta questa gente?».

    «Alcuni dall’Italia, altri da varie parti del Sacro Romano Impero, ma ci sono anche molti francesi e spagnoli».

    Jacopo collegò mentalmente le lingue udite ma alcune ancora non riusciva proprio a immaginare da dove venissero.

    «Vi sono dei guerrieri alti, robusti e biondi che parlano una lingua incomprensibile e diversa da tutti gli altri, chi sono mai costoro?».

    «Ah, vedo che hai già notato i normanni, sono popoli del Nord, molto fedeli e coriacei in battaglia. Credimi, meglio averli dalla nostra parte!».

    Guglielmo sorrise intuendo la confusione nella testa del ragazzo: «Benvenuto in Terrasanta, caro fratello, la Babele della cristianità! Forza, andiamo, vedi laggiù?».

    Guglielmo indicò una collina sulla cui sommità sventolavano stendardi con la croce di Gerusalemme e altri con la croce Templare: «Quello è il quartier generale, lì dentro c’è il capo di tutto l’esercito assediante, ma se non ho capito male si tratta di quell’incapace di Guido di Lusignano».

    «Ma Guido non è stato sconfitto e imprigionato dal Saladino?».

    «Certo, ma astutamente il nemico lo ha liberato per timore che un condottiero più valoroso prendesse il suo posto. A quanto pare il suo piano ha avuto l’effetto sperato e ora siamo comandati da un uomo che ha causato la disfatta del più grande esercito crociato!».

    Mentre stava spiegando a Jacopo la situazione, gli occhi di Guglielmo si illuminarono di colpo indicando verso Nord: «Eccolo, lo stendardo del nostro ordine! Presto riceveremo i ragguagli sulla situazione e le disposizioni per i prossimi giorni».

    In alto, dalla parte opposta dello schieramento d’assedio, si vedeva la tenda con le bandiere rosse e la croce bianca a otto punte dell’Ordine Ospitaliero. Prima non avrebbero potuto scorgerlo perché la cinta muraria della città lo celava ai loro occhi, ma ora riuscivano a vederlo nitidamente all’estremità settentrionale del campo. Appena avvistati i vessilli Guglielmo si esaltò e accelerò vistosamente il passo.

    Attraversarono tutto il cerchio d’assedio che isolava la penisola su cui sorgeva la città di San Giovanni d’Acri. Mentre proseguivano lungo le linee amiche, Jacopo non poté fare a meno di osservare la cinta muraria cittadina. Era possente, alta oltre dieci passi e con numerose torri. Una in particolare attirò la sua attenzione, la più vicina e allo stesso tempo la più alta e imponente.

    «Frate Guglielmo, come potremo mai abbattere queste mura e soprattutto quella torre?».

    «Quella è la torre maledetta, caro ragazzo, si narra che Giuda ricevette al suo interno le monete d’oro! Ma non temere, nonostante sia imponente e maestosa, è proprio lei il punto debole delle mura!».

    Jacopo non riusciva a capire: «Come il punto debole, avrei detto che fosse la punta di diamante delle difese!».

    «Guarda, le mura e la torre terminano con un angolo acuto. Bene, questo tipo di perimetro e la sua sezione rendono il bastione debole, come tutta quella parte delle mura!».

    Jacopo non era ancora convinto ma continuò a osservare meravigliato quelle straordinarie difese, quanto avrebbe voluto che anche la sua Belluno, così lontana, avesse avuto quelle mura imponenti. Un brivido gli percorse la schiena al ricordo di casa: Belluno, la sua amata città, suo padre, e infine Giulia, la sua promessa sposa che non vedeva da oltre un anno. Una sensazione di malinconia gli attanagliò il cuore mentre ripensava agli occhi azzurri della ragazza, alla sua risata cristallina, alla fossetta che nasceva sulla guancia quando rideva e alle notti d’amore passate sotto la loro quercia.

    No, non poteva! Ora era un monaco, aveva pronunciato i voti e si era imbarcato per quella santa impresa, non poteva pensare a lei in quel modo, non doveva e non poteva desiderarla fino a quando avesse vestito i panni di Ospitaliere!

    Arrivarono al loro quartier generale dopo due ore di cammino, lungo il tragitto Jacopo aveva visto soldati feriti, esausti e affamati. Guerrieri stremati che alla loro vista si rincuoravano e facevano il segno della croce per ringraziare il Signore dei nuovi rinforzi. Giunti di fronte alla tenda del comando ospitaliero, trovarono altri fratelli cavalieri e sergenti che, come loro, stavano attendendo disposizioni.

    Uscì poco dopo Goffredo del Doglione, comandante della compagnia giunta dall’Italia, appena fu di fronte al gruppo di armati in attesa disse: «Gli italiani e quelli che parlano latino e tedesco vengano con me, gli ispanici e i francesi andranno con il priore Eduardo».

    Guglielmo, sottovoce, disse a Jacopo: «Molto bene, siamo sotto il comando del priore Goffredo, un uomo molto valoroso e competente!».

    Subito i sergenti si ritirarono nei loro alloggi mentre i cavalieri furono accompagnati nella tenda del priore Goffredo.

    «Allora, nobili fratelli, per molti di voi è la prima volta in Terrasanta. Vorrei ragguagliarvi sulla situazione e spiegarvi alcune semplici regole da rispettare in battaglia».

    All’interno della tenda c’erano una ventina di soldati di Cristo.

    «Per chi non mi conoscesse, sono Goffredo del Doglione, gran priore d’Italia, e vi do calorosamente il benvenuto in oriente, anche se io stesso sono appena giunto con alcuni di voi. Il gran maestro, Ermengardo D’Aspe, mi ha appena aggiornato sulla situazione bellica. Le forze crociate contano circa sessantamila fanti e mille cavalieri tra Templari, Ospitalieri e nobiltà varia. L’intero esercito è guidato da Guido di Lusignano e in questo momento siamo sia assedianti che assediati. Stiamo ovviamente cingendo d’assedio la città di Acri, ma il Saladino a sua volta ci circonda verso l’entroterra. Non vi nascondo che la situazione non è facile ma grazie al nostro arrivo e agli sbarchi degli ultimi giorni, l’esercito crociato sta gradualmente crescendo. Sono previsti altri rinforzi nelle prossime settimane, questo potrebbe definitivamente volgere la situazione a nostro favore. La missione è semplice, dobbiamo attaccare le mura e difenderci alle spalle, ma non dubito della nostra vittoria finale, Dio ci guida!

    Molti di voi non sono mai scesi in battaglia, ogni squadrone di cavalieri conta circa quaranta fratelli e sono guidati da un capitano che a sua volta, assieme ad altri squadroni, viene comandato da un priore. Tutto il contingente ospitaliero ovviamente è condotto dal gran maestro, che si riserva di obbedire a Guido di Lusignano per il buon esito della crociata».

    Tutti i cavalieri ascoltarono in silenzio, una volta terminato il discorso Goffredo passò in rassegna ognuno dei cavalieri per assegnarli e valutarne le condizioni. Prima di Jacopo c’era Guglielmo, quando Goffredo gli giunse davanti disse: «Fratello Guglielmo, siamo dunque tornati in Terrasanta, eh?».

    «Per servire Dio, priore Goffredo!».

    «A te non serve aggiungere altro, vai al terzo squadrone, ti guiderà il capitano Roberto e che Dio sia con te».

    «Ai vostri ordini, padre priore, che Dio protegga anche voi».

    Era il suo turno. Un brivido gli corse lungo la schiena mentre il priore Goffredo gli si piantava di fronte esordendo con un’espressione severa e autoritaria: «Bene, ragazzo, è dunque giunto il momento di smetterla con gli allenamenti e combattere per Dio, sei pronto?».

    «Sì, padre priore, prego Dio di darmi la possibilità di onorare la mia promessa».

    «Non dubitare, Dio farà la sua parte! Piuttosto, questo è il tuo assetto da combattimento?».

    Goffredo spostò leggermente l’usbergo scoprendo la cotta di maglia che gli arrivava fino a metà ginocchio, valutò lo scudo e la spada prendendola in mano e facendola roteare mentre Jacopo attendeva in silenzio il giudizio: «Bell’arma, eccellentemente equilibrata, suppongo che l’inconsueta lunghezza della lama e dell’impugnatura sia dovuta al tuo particolare dono».

    Il ragazzo non capiva se quell’affermazione fosse una critica o un complimento. Il priore aveva scoperto la sua abilità nel maneggiare la spada con la sinistra nelle segrete del castello di Belluno, dove l’accolse nell’Ordine evitandogli una morte certa. Il priore poi valutò con la mano il camaglio, unito con lacci di cuoio alla maglia del busto: «Bene, non mi sembra male! L’elmo dov’è?».

    Jacopo non aveva un elmo, quando si era attrezzato per la crociata non vi aveva nemmeno pensato.

    «Non ce l’ho, vostra grazia, non…».

    La faccia del giovane divenne paonazza per la vergogna, era il primo giorno sul campo di battaglia e già aveva commesso una mancanza, scoperta per di più dal priore in persona!

    «Non c’è problema, chiedi al tuo superiore che te ne dia uno, purtroppo negli ultimi tempi abbiamo più elmi che soldati. Ti assegno al terzo squadrone, chiedi al capitano Roberto di fornirti di elmo, se ti crea problemi digli che è un mio ordine!».

    «Come volete, padre priore».

    «Che il Signore sia con te, caro ragazzo, mi raccomando: obbedisci agli ordini e onora il tuo giuramento!».

    Jacopo chinò il capo e corse da Guglielmo. Anche lui, fortunatamente, stava raggiungendo lo stesso squadrone.

    La serata era calda e spaventosamente silenziosa, al contrario della confusione del giorno. Jacopo si era isolato nei pressi della collina del Thuron, sede del quartier generale di Guido di Lusignano, attuale Re di Gerusalemme. Guardò il campo crociato, molti falò si alzavano tra le innumerevoli tende permeando l’aria dell’odore acre di fumo che si univa a quello della salsedine. Sulla sommità del colle i vessilli con la croce cristiana sventolavano verso occidente spinti da una leggera brezza che soffiava verso il mare. Oltre le postazioni fedeli a Cristo si ergeva la possente cinta muraria di Acri, punteggiata dai fuochi dei bracieri. Attraverso i merli e in cima alle torri si poteva assistere a un via vai di sentinelle nere e silenziose che scrutavano gli assedianti. Il suo sguardo spaziò poi a ponente, una lunga linea dritta che separava il cielo dal mare: oltre quell’immensa distesa d’acqua c’erano la sua Giulia e la sua Belluno. Travolto dai ricordi, prese tra le mani il ciondolo a forma di croce che portava al collo, unico collegamento materiale con la sua amata e con la sua terra natia. In un lampo gli tornò in mente quando Giulia, pochi istanti prima di salutarlo per l’ultima volta, con gli occhi pieni di lacrime gliel’aveva consegnato confessandogli di averlo fatto lei stessa, affinché non si scordasse della sua promessa.

    Una lacrima scese sul viso di Jacopo, la nostalgia era tremenda, gli mancava da morire, non passava giorno senza pensare a lei e ogni volta si ripeteva che il tempo sarebbe trascorso in fretta. Avrebbe solo dovuto assolvere alla promessa fatta a Dio e, purificato del suo peccato, avrebbe potuto riabbracciarla libero da ogni debito.

    Si immedesimò talmente nella scena che ora non piangeva più di nostalgia ma di gioia, la gioia che avrebbe provato quando tutto si fosse avverato.

    Stette così a lungo, finché una mano gli toccò la spalla.

    «So che è difficile ma passerà! La tua casa è lontana e qui ti sembra di non aver niente e nessuno di famigliare. Ricordati che Dio ti guarda e ti protegge sempre, fratello, dovunque tu sia Egli veglia su di te, specialmente ora che stai difendendo la sua parola e la sua causa!».

    Jacopo si girò, non aveva mai visto quel cavaliere che apparteneva al suo stesso ordine: «Grazie, fratello, è che a volte...».

    «Non preoccuparti, succede a tutti appena arrivati, e chi lo nega viola l’ottavo comandamento!».

    Entrambi sorrisero, il ragazzo si asciugò le lacrime e prese da terra l’elmo che gli era stato consegnato dal capitano Roberto. Un elmo normanno a ogiva con un elemento che scendeva a coprire il naso, decorato con una croce in rilievo. Quando l’aveva ricevuto, al suo interno vi erano ancora tracce di sangue. In quel momento aveva capito perché ormai c’erano più elmi che soldati.

    «Di che squadrone siete?», chiese il ragazzo allo sconosciuto.

    «Terzo, come il tuo, ti ho visto arrivare stamattina con il contingente appena giunto da occidente. Sono un semplice cavaliere come te, quindi ti prego di rivolgerti a me come un amico e non come un superiore! Come ti chiami, fratello?».

    Ora lo poteva vedere bene, era un uomo alto, con capelli lunghi biondi e una barba caprina che ormai faceva intravvedere qualche pelo grigio.

    «Jacopo, e come hai ben intuito sono appena arrivato dall’Italia. Anche tu parli bene il latino, ma sento che il tuo accento è diverso da quelli che ho udito finora, vieni dal Nord?».

    Il cavaliere sorrise: «Si vede che non hai conosciuto molti stranieri in vita tua! No, non vengo dal Nord, o per lo meno da quelli che tu consideri paesi nordici. Ti sembrerà strano ma provengo da una regione molto vicina alla tua! Tu vieni dalle Venezie, vero?».

    Jacopo era sorpreso dalla correttezza dell’affermazione. «Ma come...».

    Lo sconosciuto rise ancora più di gusto: «Tranquillo, voi veneti avete una cadenza inconfondibile, quasi comica alle orecchie degli altri! Io vengo da Bergamo, una regione a Ovest della tua, nei pressi di Milano».

    Poi allungò la mano verso Jacopo: «Mi chiamo Pietro. È un piacere conoscerti, Jacopo!».

    Jacopo strinse la mano del nuovo amico, una mano possente dalla stretta energica.

    «Come hai ben intuito, vengo da Belluno, a nord di Venezia. È molto che sei qui in oriente?».

    «Ahimè, molto di più di quanto avrei voluto. Purtroppo ho vissuto molte sconfitte, prima fra tutte quella di Hattin, dove eravamo guidati da quell’incapace di Guido di Lusignano, che ahinoi ancora ci guida! Come può l’armata di Dio essere così inetta?».

    «Sei sopravvissuto? Avevo intuito che tutti i confratelli erano stati uccisi!».

    «Sì, io sono uno dei pochi. Quanto dolore ho dovuto vedere, quanti valorosi soldati e amici ho visto morire...».

    Dopo un breve attimo di silenzio Pietro parve scrollarsi di dosso quei cupi pensieri: «Sì, è da molto tempo che sono qui, ma ora andiamo, è meglio riposare, prepararci per domani».

    Si incamminarono verso il campo ospitaliero. Jacopo era contento di aver trovato un nuovo amico in quel mondo lontano e sconosciuto.

    Era il quarto giorno del mese di ottobre, le prime due settimane trascorse in Terrasanta furono all’insegna della fame e della sporcizia. In quei giorni molte altre navi come la sua sbarcarono nei pressi della città assediata di Acri e nuove forze si univano alla causa della Chiesa. Arrivarono i tedeschi, i pisani e molta altra gente da ogni parte d’Europa, infine da Tiro scese il condottiero più osannato dell’intero Outremer: Corrado del Monferrato.

    Con l'arrivo di Corrado l’intero contingente si animò di speranza e voglia di combattere ma, a parte qualche scaramuccia con l’esercito del Saladino, la situazione rimaneva pressoché stabile. Gli Ospitalieri abbracciarono subito Corrado come loro alleato e guida in quell’impresa santa, ritenendolo più valido e capace di Guido.

    Quella mattina c’era uno strano fermento, già dalla giornata precedente si era notato un movimento insolito di truppe saracene attorno al campo cristiano. Ora, alle prime luci dell’alba, l’intenzione del Saladino apparve chiara in tutta la sua semplice logica: voleva attaccare l’assedio cristiano circondandolo completamente. Ovviamente i principi cristiani non stettero a guardare e schierarono il proprio contingente di conseguenza. Jacopo e il suo squadrone furono schierati sul lato destro dell’esercito cristiano, dietro alla fanteria guidata da Guido di Lusignano.

    Il giovane cavaliere era teso, di fronte al suo squadrone arrivò il cappellano dell’Ordine. Tutti s’inginocchiarono tenendo di fronte a loro la spada a mo’ di croce e iniziarono a recitare:

    «Ave, Maria, gratia plena,

    Dominus tecum,

    benedicta Tu in mulieribus,

    et benedictus fructus ventris Tui, Iesus.

    Sancta Maria, mater Dei,

    ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae.

    Amen».

    Dopo aver benedetto lo squadrone col segno della croce il cappellano disse: «Ego te benedico in nomine Patris et Filii et Spiritus Sanctis».

    «Amen».

    Tutti gli Ospitalieri, chi con fierezza e chi con timore, salirono sui cavalli aiutati dagli scudieri. Jacopo, una volta in groppa, abbracciò Chirone, che percepiva la tensione del suo padrone: «Eccoci dunque chiamati ad assolvere al nostro giuramento, amico mio! Sii fiero e valoroso come io cercherò di esserlo per la gloria di nostro Signore!».

    Si avvicinò poi Guglielmo, con un sorriso che però non riusciva a scacciare il nervosismo: «Ragazzo, stammi vicino e obbedisci agli ordini! Non morire per Dio ma fai in modo che loro muoiano per Allah, qui non abbiamo bisogno di martiri ma di cavalieri, ricordatelo! Che il Signore Dio sia con te, giovane amico mio!».

    Con la voce spezzata il ragazzo rispose dando voce alla fierezza che sentiva dentro: «Onorerò il Signore tornando vincitore, che il buon Dio protegga anche te, fratello Guglielmo!».

    Chinarono il capo entrambi in segno di rispetto prima di mettersi in formazione guidati dal capitano Roberto.

    Il sole di fronte a loro era sorto da poco più di mezz’ora, quando dal campo nemico si udirono degli squilli di tromba. In risposta, nuvole di frecce si alzarono in cielo piovendo con deboli fischi e sordi impatti tra le file della fanteria cristiana. Le truppe crociate rimasero immobili proteggendosi con gli scudi e subendo solamente delle perdite leggere. Dopo questa prima fase il nemico iniziò ad avanzare verso le linee difensive che, di contro, iniziarono a muoversi utilizzando una tattica che sorprese letteralmente i saraceni.

    Le prime file della fanteria cristiana lasciarono il posto ai balestrieri che, con le loro armi micidiali, falciarono la prima ondata. Presto però l’esercito nemico fu troppo vicino, in quel momento, con un’azione agile e organizzata, la fanteria pesante diede il cambio ai sagittari, iniziando la pugna. Una moltitudine di soldati, a migliaia, si stavano massacrando nella piana antistante la città di Acri, quando dal lato sinistro partirono i Templari con la loro cavalleria pesante, penetrando nel fianco e trucidando le schiere nemiche. Il Saladino decise quindi di sguarnire le altre schiere del suo esercito per arginare l’avanzata dei cavalieri bianchi rossocrociati. In quel momento, dal quartier generale, arrivò il segnale per il contingente ospitaliero, era giunto il momento di entrare in battaglia per dare il colpo di grazia all’ala destra saracena ora sguarnita. Nella piana, intanto, al centro dello scontro, supportata dai balestrieri, la fanteria stava facilmente guadagnando terreno.

    Jacopo spronò Chirone partendo assieme al suo squadrone verso il nemico, impugnando una lancia con la destra e lo scudo con la sinistra. Al loro arrivo le file di fanti crociati si aprirono, lasciando che tutta la potenza della cavalleria si schiantasse contro le già stanche schiere musulmane. Il colpo d’occhio dello squadrone alla carica era impressionante: tre file di dodici cavalieri galoppavano con la lancia puntata in avanti, mentre l’alfiere portava alto lo stendardo dell’ordine, rosso con la croce bianca, che sventolava fiero alla velocità di quel muro di guerrieri della fede.

    Jacopo era nella seconda fila. Quando la fanteria cristiana si spostò, si vide di fronte una folla di soldati scomposti e impauriti dalla carica inaspettata. I loro sguardi erano sconvolti, quasi supplicanti di fronte all’imminente assalto che li avrebbe travolti. Pochi istanti dopo lo squadrone si avventò sul nemico, molti saraceni caddero falciati dalla prima carica, Jacopo tese la lancia verso il basso impugnandola in modo da non farsi disarcionare dall’impatto. Quello che seguì durò un istante ma nella sua mente sembrò un’eternità. Di fronte a lui si parò un uomo con la carnagione ambrata, aveva poco più di vent’anni, non badò all’abbigliamento ma all’elmo, un buffo copricapo che terminava a mo’ di punta. Ciò che l’agghiacciò fu lo sguardo, non quello truce di un uomo posseduto dal demonio e assetato di sangue, ma uno sguardo impaurito: due occhi neri che lo scrutavano come chi sa che è giunta la propria ora.

    La lancia trafisse il soldato, il suo sguardo supplichevole si trasformò in sorpresa e resosi conto che la sua vita finiva lì, fissò gli occhi su Jacopo quasi a chiedergli perché.

    Jacopo lasciò la lancia conficcata nel corpo del saraceno, che stramazzò a terra. In quel momento sentì che anche la sua vita era cambiata. Quelli che aveva di fronte non erano mostri da eliminare, erano uomini come lui, con un cuore non molto diverso dal suo e, magari, una moglie e dei figli a casa che attendevano il loro ritorno. Di colpo gli tornarono in mente tutte le parole dello zio Tiso sulla Terrasanta, sul fatto che non esiste una guerra giusta, che una guerra è sempre e solo brutta.

    Le sue convinzioni rischiavano di essere sconvolte da quell’esperienza. Si guardò attorno, un nemico lo stava attaccando con la spada sguainata, pronto a ucciderlo approfittando del suo fianco destro sguarnito. Stravolto dall’accaduto si era distratto e un brivido di terrore lo sconvolse mentre la punta della spada nemica si avvicinava inesorabilmente senza possibilità di pararla. La paura lo bloccò, nella memoria aveva ancora gli occhi del saraceno ucciso pochi istanti prima. Impreparato e paralizzato dal terrore aspettò il colpo nemico.

    D’un tratto però guizzò dal nulla un’ombra, un crociato travolse con la lancia il saraceno che si accingeva a ucciderlo. Il cavaliere, seccato ma perentorio, disse a Jacopo: «Forza ragazzo, il primo impatto è sempre difficile da superare ma ora non ti puoi permettere di indugiare! La battaglia non è finita e io non voglio che il mio amico diventi martire prima di aver mostrato il suo valore! Reagisci, per Dio, per i tuoi cari e per la cristianità intera!».

    Guglielmo spronò il cavallo e sguainò la spada atterrando un altro saraceno che lo stava assalendo.

    Di colpo a Jacopo tornarono in mente Giulia, suo padre, la promessa a Dio e alla sua terra, in un istante la muta disperazione svanì lasciando il posto alla fede e all’onore. Impugnò l’elsa della spada e la estrasse dal fodero, incitò Chirone che, come una molla, partì di scatto travolgendo il nemico che gli si era parato davanti. Da quel momento la lama della sua spada trafisse molti nemici e grazie all’agilità e alla potenza del suo destriero, ebbero presto la meglio sul nemico ormai stanco e preso alla sprovvista. Il loro squadrone, sotto il vessillo dell’Ordine sbaragliò i nemici, costretti a ripiegare dopo aver subito ingenti perdite.

    Erano passate poche ore dall’inizio di quella battaglia ma ai lati degli schieramenti il copione fu lo stesso, entrambi i fianchi dell’armata del Saladino furono travolti dalla cavalleria pesante cristiana, a nord dai Templari e a sud dagli Ospitalieri. In qualche modo il sultano cercò di

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