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Era alba o tramonto?
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E-book129 pagine1 ora

Era alba o tramonto?

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Info su questo ebook

Lorenzo conduce una vita apparentemente invidiabile; non gli manca nulla, dalla ricchezza a una famiglia meravigliosa, se nonché subisce una cocente delusione da parte della moglie. Il protagonista vive dunque una forte nevrastenia, comunemente nota come esaurimento nervoso. Ne esce con tanto sforzo e difficoltà, cosa che lo porta a formulare una promessa alla Natura: non avrebbe mai più giocato al ribasso, concedendosi una relazione stabile solo se avesse trovato una donna onesta, responsabile e con dei sani principi. Conosce Viviane in circostanze scomode, in quanto il primo incontro li vede coinvolti in una lite furibonda. Con lei si rifà una vita, ma lo attende l’inesorabile tramonto del suo sognare.
Un romanzo a tratti lirico, impreziosito da descrizioni minuziose e riflessioni che fanno sorgere una serie di quesiti a cui ognuno è chiamato, a modo suo, a rispondere. La superficie delle cose è lontana dalla verità più intima, segnando una spaventosa dicotomia tra sostanza e apparenza.

Giuseppe Capitanio nasce il 15 febbraio 1964 a Napoli. Amante della sua indipendenza, in giovane età inizia a viaggiare sia per lavoro che per passione.
Concilia un carattere curioso e uno spirito indomito, sempre alla ricerca di nuovi stimoli e rivelazioni. La sua propensione all’immaginazione lo porta a sviluppare una marcata vena narrativa, con elementi di potente fantasia e inventiva.
L’autore ha vissuto in diverse capitali europee e d’oltreoceano. Attualmente si è ristabilito a Napoli, dove si dedica a un’attività imprenditoriale nel settore turistico, ambito a lui congeniale e da cui trae ispirazione per i suoi romanzi grazie all’eterogeneità degli incontri multiculturali che fa quotidianamente.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2022
ISBN9791220136334
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    Anteprima del libro

    Era alba o tramonto? - Giuseppe Capitanio

    Sezione I

    Capitolo I

    Arrivarono a Perinaldo in un’assolata mattina di fine estate. Posarono per un attimo le valigie in un caratteristico carruggio, dinnanzi al Sistema Solare, rappresentazione del Sole e dei pianeti fino a Saturno in scala 1:10.000 miliardi, si sorrisero e si abbracciarono quasi simultaneamente. Il borgo gli appariva ancora più bello di un anno prima, quando si erano decisi a trasferirsi definitivamente da Cambridge a lì, dopo averlo visitato. Il piccolo comune dell’entroterra ligure era nato intorno all’anno Mille sui ruderi di un antico castelliere, difeso da poderose cinte murarie, che si ergeva su un’altura con il fine di dominare in maniera strategica le vallate sottostanti.

    Lorenzo e Aylen si guardarono intorno ancora una volta e rimasero stupefatti dalla magnifica posizione panoramica del paese, con l’occhio che poteva spaziare dalle Alpi Liguri a nord fino al mare, lambito dal verde della vegetazione — composta principalmente da uliveti e vigneti — e dall’azzurro del cielo. Ecco che in quel momento si relazionavano il macrocosmo intero e il microcosmo meraviglioso della loro famiglia, composta anche dai loro quattro figli.

    Trovarono un grazioso bar e decisero di fermarsi un attimo per riprendere fiato. A pomeriggio inoltrato sarebbero arrivati i furgoni con le loro cose per completare il trasloco internazionale progettato via aereo e via terra e, senza ombra di dubbio, per diversi giorni sarebbero stati parecchio indaffarati. I bimbi intanto giocavano nella piazzetta a Un, due, tre, stella!, godendosi quell’aria salubre a cui non erano per nulla avvezzi.

    Aylen estrasse un fazzoletto dalla borsetta Moschino di colore blu cobalto, lo inumidì con l’acqua che avevano ordinato insieme a due calici di vino Rossese e se lo passò sulla fronte. Era di nazionalità inglese, ma aveva imparato l’italiano grazie a Lorenzo, che aveva sposato vent’anni prima.

    «Tesoro, come ti senti?» domandò lei dolcemente.

    «Io alla grande, a parte il crollo di pressione che ho avuto poco fa. Mi girava un po’ la testa, niente di che».

    Lei gli rivolse uno sguardo preoccupato. Lorenzo allora le passò una mano tra la folta chioma nera e poi si fermò sulla spalla.

    «Sto bene, amore, davvero. Sono un po’ in ansia al pensiero di tutto quello che dovremo sbrigare nelle prossime settimane, ma la verità è che non potrei chiedere nulla di meglio. Questo è un posto stupendo dove far crescere i nostri bambini e il nostro amore. Probabilmente, faremo un po’ fatica ad ambientarci, considerando che abbiamo vissuto vent’anni in una grande città e visto che il mio mestiere da imprenditore in passato mi ha tenuto così a lungo lontano da voi… Questa è una ripartenza, se vogliamo una resurrezione. Non credi?».

    «Forse resusciteremo davvero tra tre giorni, ma prima ci aspetta la Via Crucis!» ribatté Aylen scherzosamente.

    Risero entrambi di gusto e Lorenzo bevve un lungo sorso di vino. Arrivò quindi il barista con una portata di olive taggiasche e carciofi, originari proprio di quella zona.

    «Ecco a voi!» disse allegramente l’uomo, appoggiando sul tavolo ciotoline e tovaglioli. «Questi hanno il marchio De.C.O., è un riconoscimento territoriale che tutela i prodotti agroalimentari tradizionali. Spero siano di vostro gradimento!».

    Lo ringraziarono e si tuffarono su quelle prelibatezze, che ricordavano dal viaggio precedente. Sparsi qua e là per la piazza, scorsero i cartelli, oramai scoloriti dal sole, del Perinaldo Festival – Terre di confine, manifestazione tra le più importanti del Ponente ligure.

    Lorenzo guardò la moglie in modo tenero. L’aveva conosciuta quando lei era poco più che una ragazzina e fu il più folle colpo di fulmine della sua vita. Fisicamente, rappresentava appieno il suo ideale di donna: era di origine indiana d’America, per cui era mulatta e aveva lunghi capelli neri e sottili. Non di minore impatto era la sua altezza considerevole, la corporatura snella e il portamento regale. Sembrava una principessa indiana dei vecchi film Western, che lui adorava con tutto sé stesso. Da un punto di vista sessuale, Aylen era cresciuta sotto l’egida dei suoi insegnamenti. Era molto aperta alla sperimentazione e i loro rapporti non erano mai noiosi, stantii o logori ma sempre colmi di eccitazione selvaggia e di un’intesa sopraffina. Aveva sempre temuto di perderla, di lasciare andare il tesoro della sua vita, di incappare in qualche imprevisto che l’avrebbe strappata dalle sue braccia. Sentiva di essere per lei un amante ma anche un maestro, il padre che non aveva mai avuto e che le mancava moltissimo. Le sue paure, per quanto non completamente consce, erano molto radicate ma, nei meandri della sua anima, coltivava la speranza che lei sarebbe stata sempre al suo fianco, come in quegli ultimi quattro lustri, i più belli, intensi e fugaci che avesse mai sperimentato. Fugaci perché con sua moglie il tempo era ancora più relativo che per sua stessa definizione, volava nella coltre dello spazio scandito da attimi di dolcezza, magia ed estasi. Qualunque cosa brutta o sgradevole succedesse, soprattutto negli affari, gli bastava guardarla mentre si rassestava i capelli o dipingeva le labbra di marrone scuro perché tutto perdesse progressivamente d’importanza, fino a venire completamente ridimensionato. Aylen era molto sveglia e intelligente, avrebbe potuto tenere arringhe a non finire per consolarlo o giustificarlo, ma preferiva quasi sempre sorridergli, pizzicargli una guancia e baciarlo dolcemente.

    Lorenzo si rendeva conto di dipendere da lei come un infante dalla madre, ma non gli importava davvero. In fondo, l’amore, forse, era proprio quella cosa lì: un groviglio di subordinazione, servitù e soggezione rispetto all’altro, cuspide di un’infinita serie di possibilità ma l’unica davvero desiderabile, la sola concretizzabile fino alla fine dei giorni. Insomma, le aveva detto il fatidico con assoluta convinzione, con la fede cieca e rovente di un credente verso il suo santo prediletto.

    Alzò lo sguardo: la moglie aveva appoggiato il calice per andare incontro al figlio più piccolo, Michelangelo, di cinque anni. Il bimbo reclamava l’attenzione della madre poiché voleva un pacco di marshmallow, che poi avrebbe bruciacchiato e divorato come era solito fare.

    «Sweetie, non siamo più in Inghilterra, you know. Qui non hanno questo genere di caramelle».

    Il barista, che aveva osservato la scena con la tipica curiosità che la gente del posto dimostra per i forestieri, entrò nel suo locale per poi spuntare di nuovo all’esterno con un sorriso sgargiante e qualcosa stretto nel palmo della mano destra, nascosta dietro la schiena.

    «Guarda un po’ qui che cos’ho?!» disse, porgendo a Michelangelo un lecca-lecca di vecchio stampo, di quelli fatti a spirale con strisce colorate.

    Il bimbo ringraziò, sorrise e lo scartò in un secondo. Benché fossero abbienti e potessero permettersi qualsiasi cosa, Lorenzo e Aylen avevano insegnato ai figli i valori dell’umiltà e della riconoscenza, oltre alla capacità di accontentarsi senza scadere in capricci assurdi per ragioni futili.

    Una brezza leggera allietava la famiglia, ormai radunata intorno ai bagagli e pronta a incamminarsi verso la nuova, splendida casa. Si trattava di un appartamento ampio e luminoso che sorgeva proprio di rimpetto a un palazzo d’epoca, che Lorenzo e Aylen avevano comprato per trasformarlo in un ristorante ed albergo di lusso. Non necessitavano veramente di avviare una nuova attività: avrebbero potuto permettersi di vivere di rendita, senza barcamenarsi tra figli piccoli e lavoro. Tuttavia, ambivano a mantenersi impegnati con gioia e rilassatezza, motivo per cui avevano optato per dare vita a questa impresa.

    Nel salire le scale che conducevano all’ingresso dell’appartamento, i bimbi si misero a intonare una canzoncina in inglese, If You Are Happy And You Know It, conosciutissima dai pargoli di tutto il mondo e proposta ormai in molte lingue. La sua origine si perde nella storia, ma è così avvincente e piena di variazioni che bastava che uno di loro iniziasse a battere le mani e a canticchiarla per coinvolgere ben presto tutti gli altri. Michelangelo seguiva Aylen come l’ombra di Peter Pan il suo padrone e, dietro di lui, erano appostati Tiara, di dieci anni, April, di undici, e Talia, la più grande, di quattordici anni. Talia era una bella ragazzina dall’incarnato dorato e i capelli simili alla madre; caratterialmente, era un po’ permalosa ma molto disponibile e di indole profondamente buona. Si prendeva cura dei suoi fratelli con amorevolezza, sentendosi responsabile nei loro confronti senza gelosie o invidie di sorta. Lorenzo aveva un debole per lei, giacché era vinto dalla dolcezza di cui era capace, soprattutto quando la sera, al termine di una giornata più o meno faticosa, Talia si rannicchiava accanto a lui sul divano per farsi raccontare la storia del Conte Dracula o del Mercante di Venezia, la sua preferita che, pur conoscendo a menadito, suscitava in lei sempre grande fascino, anche perché il padre era in grado di evocare quelle atmosfere decadenti con grande maestria.

    A un certo punto, arrivò il ragazzo dell’agenzia a portar loro le chiavi, con la puntualità di un orologio svizzero. Era un bell’uomo di origini danesi, con i capelli biondi e i lineamenti marcati, nonché una caratteristica aria da guerriero celtico.

    «Ben arrivati!» disse vedendoli. «Come potete notare, l’impresa di pulizie ha fatto un ottimo lavoro, ritinteggiando tutta la casa e restituendole un po’

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