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I racconti di Rainwater Pond
I racconti di Rainwater Pond
I racconti di Rainwater Pond
E-book342 pagine5 ore

I racconti di Rainwater Pond

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Info su questo ebook

“I racconti di Rainwater Pond” di Billy Roche è un insieme di racconti ambientati nell’area intorno allo stagno di Rainwater, sudest dell’Irlanda: un paesaggio di campagna con cottage sparsi nei campi, un villaggio che è niente più che un accumulo di case tra il verde dei pascoli e la città di Waterford in lontananza. Qui tutti i personaggi si conoscono e frequentano gli stessi posti, come il Banjo Bar o la sala da ballo, tutti si sono tuffati almeno una volta nelle torbide acque dello stagno, e molti di loro sono fuggiti per qualche ora d’amore su Useless Island. Attraverso uno stile caustico, reale e ricco di ironia, l’autore descrive la vita umana attraverso le vicende di un microcosmo antimetropolitano.

Roche dimostra di appartenere alla schiera dei grandi autori irlandesi contemporanei. L'introduzione al libro di John Banville, suo grande estimatore, ne è la conferma.
LinguaItaliano
Data di uscita21 feb 2022
ISBN9791221301205
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    Anteprima del libro

    I racconti di Rainwater Pond - Billy Roche

    I Fuoriserie

    franchi traduttori

    In copertina

    I racconti di

    Rainwater Pond

    Billy Roche

    Prefazione di

    John Banville

    Traduzione di

    Beatrice Masi

    Per essere informati

    delle novità di Battaglia Edizioni visita:

    www.battagliaedizioni.com

    ISBN

    I RACCONTI DI RAINWATER POND

    Questo libro è stato pubblicato con il supporto di Literature Ireland

    Il titolo originale dell’opera: Tales from Rainwater Pond

    Traduzione: Beatrice Masi

    © 2006 Billy Roche

    Published by Pillar Press, Thomastown, Ireland

    www.pillarpress.ie

    © 2019 Battaglia Edizioni s.r.l.s., Imola

    Prima edizione dicembre 2019

    Prefazione: John Banville

    Promozione: libri.goodfellas.it

    Distribuzione: messaggerie.libri.it

    Progetto grafico: Giulia Tudori

    Disegno di copertina: Giulia Tudori

    Redazione: Loris Di Bella

    A Valerie, Andrea e Cathy — le mie tre Grazie

    Billy Roche è uno scrittore, drammaturgo e attore irlandese. È autore di opere teatrali e ha scritto numerosi romanzi a racconti, pubblicati dalla Nick Hern Books. La sua opera in Irlanda è molto conosciuta ed è trattata in saggi e articoli da critici letterari e scrittori di fama mondiale, tra cui il pluripremiato Colm Tóibín e John Banville.

    PREFAZIONE

    di John Banville

    Un intervistatore da Londra un giorno chiese al grande poeta inglese Philip Lakin perché avesse deciso di assumere il ruolo di bibliotecario all’università di Hull e stabilirsi in quella cittadina nordica «così lontana dal centro». Larkin fissò l’intervistatore con il suo proverbiale sguardo a metà tra un gufo e un basilisco, e replicò secco: «il centro di cosa?».

    Billy Roche, nato e cresciuto a Wexford — una cittadina del sud est dell’Irlanda —, sarebbe troppo riguardoso verso i sentimenti dell’intervistatore per dare una riposta così pungente, ma senza dubbio, se gli venisse chiesto perché sia rimasto nella sua città d’origine e abbia costruito lì la sua vita, sarebbe della stessa opinione.

    In questa magnifica raccolta di racconti la città di Wexford non è mai nominata, ma la sua presenza si manifesta in ogni pagina. Io sono cresciuto nella stessa città e, come il mio concittadino Colm Tóibin, non ho perso tempo ad abbandonare Wexford e i suoi dintorni per dirigermi verso il fascino delle luci e dei divertimenti di Dublino, e di quel mondo più grande che rappresentava. Ora mi domando se, nell’urgenza di scappare verso una splendente periferia non mi sia lasciato alle spalle quello che forse era il vero centro.

    Roche non si illude riguardo le dimensioni dello spazio dei suoi racconti; l’universo descritto nella raccolta è un posto piccolo, abitato da gente poco sofisticata e perlopiù con scarsa conoscenza del mondo, dove quasi tutti sono irretiti dalle convezioni sociali, da Stato e religione. I suoi personaggi hanno orizzonti ristretti e aspettative modeste e, come le casalinghe di provincia nella poesia Pomeriggi di Philip Larkin, sentono che «qualcosa li sta spingendo al margine delle loro vite»¹, ma nonostante ciò il respiro delle loro emozioni non ha confini. Le passioni sbocciano negli angoli più insperati, come i papaveri color cremisi che fioriscono sulla terra secca e brulla. Una delle valvole di sfogo per la gente di Rainwater Pond è l’ironia. Roche non ride mai dei suoi personaggi — ha troppo affetto e troppa clemenza per farlo — ma lascia che ridano l’uno dell’altro, e non sempre in maniera troppo cordiale. Roche non è né sentimentale né cinico, conosce le radici più profonde della città e i suoi più alti slanci di fantasia; la sua gente può affascinarlo, divertirlo, smuovere la sua più tenera compassione, ma non lo potrà mai ingannare: lui, come si suol dire, li conosce come le sue tasche.

    Roche non miticizza i suoi personaggi come fanno — incautamente — molti scrittori che parlano di piccole città, come se dovessero scusare la semplicità dei loro soggetti davanti a un mondo più ampio e sofisticato. Lui ci presenta la sua gente così com’è, in tutta la sua ordinarietà, con il loro millantato, e più spesso ferito, orgoglio, e in tutta la disperata smania per quello che il loro mondo non è in grado di offrire. Così facendo gli dona, con pochi sforzi, una qualità eroica senza tempo. I personaggi della raccolta vivono, sperano, si rassegnano e poi discendono nell’oscurità, come ha dovuto fare Elena, come ha fatto Ettore e come, alla fine, fanno le stesse divinità greche. Il mondo descritto da Roche è vivido come il nostro presente e antico come l’Arcadia. Omero riconoscerebbe quei luoghi e vi proverebbe un senso di appartenenza.

    Ricordo lo stagno di Rainwater, anche se noi non lo conoscevamo con quel nome. Era un luogo incantato, il sito di una cava dismessa, dove si diceva che l’acqua non avesse fondo — il che ci faceva sempre rabbrividire da bambini.

    Roche intesse le storie intorno allo stagno con grande maestria, cucendole insieme con fili invisibili. Perfino una forestiera, l’esotica poetessa che spezza il cuore di un professore del posto, è collocata nei pressi dello stagno per il suo breve e distruttivo soggiorno. Lo stagno di Rainwater è il cuore oscuro del mondo evocato da Billy Roche.

    Tutti i personaggi della raccolta sono memorabili, ma le donne sono presenti in maniera più palpabile degli uomini. Questo è dovuto in parte al fatto che le piccole città in Irlanda sono perlopiù matriarcali, e le donne sono costrette a spendere molto tempo ed energie a cercare di sottrarre quanto più potere possibile ai loro uomini — gli Apache Byrne, gli Harpo Hayese, i Tenacious Doyle, tutti habitue del Banjo Bar — che sono a turno amorevoli, menefreghisti, violenti, e certe volte tutte queste cose insieme. Non ci sono molte relazioni felici intorno allo stagno di Rainwater, il che non significa assenza d’amore, ma piuttosto che, a Rainwater, l’amore è quasi tutto sprecato o incompiuto.

    Non è mai giusto isolare una particolare storia da una raccolta, ma Uno non è un numero, in questo caso il racconto più lungo, ha una qualità senza tempo che indugia nella mente con eccezionale insistenza. È un racconto di fiction che non sembra fiction; potrebbe essere una fiaba folclorica, o una di quelle antiche ballate anonime che sono giunte a noi intatte attraverso i secoli. Il narratore, il povero, storpio, Matty Larking nutre un’amore non corrisposto per Imelda, una madre di cinque figli che ai suoi occhi appare ancora giovane, misteriosa e affascinante com’era al tempo della loro giovinezza. Poi arriva uno straniero, una specie di naturalista, che prende soggiorno in una casa nei pressi dello stagno, e a questo punto l’epilogo è ineluttabile quanto il destino stesso. La storia inizia dalla fine: «Chi l’avrebbe mai detto che tutto sarebbe finito qui? Eh? Il nostro amore di una vita, riportato indietro quasi al luogo esatto dove tutto era iniziato, allo stagno di Rainwater». Lo stesso accade in tutte queste brillanti storie, tristi e divertenti al tempo stesso; seguono la curva dello stagno per incontrarsi sulla sponda opposta. Come succede a tutti noi, andiamo e torniamo, ma l’acqua rimane sempre lì, scura, incombente e senza fondo, l’esatto simbolo dell’indifferenza del mondo e del mistero di quelle esistenze che emergono in superficie, sopra profondità imponderabili.

    HABERDASHERY,

    IL NEGOZIO DI MERCERIA

    Ero di sotto in negozio quando lei apparve sulle scale come una splendida visione. A turno, luce del sole e ombra le scivolavano sul viso angelico mentre scendeva gradino dopo gradino. Era piuttosto dimagrita dall’ultima volta che l’avevo vista ed era più pallida ma nonostante tutto ancora incantevole. Quando glielo dissi si avvicinò, mi accarezzò il viso con il dorso della mano e sussurrò il mio nome come fosse una preghiera.

    Andy era vicino al bancone, con una valigia pronta ai suoi piedi. Peter era fuori, seduto al volante della macchina, con il motore acceso e i tergicristalli che andavano a destra e a sinistra. Andy disse che non sarebbe andato all’ospedale con lei perché non aveva nessuno che badasse al negozio, anzi, alla sua stupida vecchia merceria, come diceva sempre Evelyn.

    Lei accennò una specie di sorriso e si diede un ultimo sguardo intorno: gli scaffali pieni di magliette, le scatole di stivali, le file di stoffa per tende e le calosce che penzolavano giù a mazzi, e, se non l’avessi conosciuta bene, avrei giurato che i suoi occhi tradissero una sorta di amore per tutte quelle cose.

    E poi ci guardò, quelli che chiamava gli uomini della sua vita: Peter che sbirciava da dentro la macchina, già ingrigito dall’età con indosso la sua giacchetta di jeans, la grossa cintura da cowboy e gli occhi, un tempo dolci, ora di un blu profondo e rabbioso; Andy, che era diventato tutto a un tratto un robusto signore, il cui aspetto aspro e affascinante era nascosto sotto i solchi degli anni che segnavano sul suo bel viso l’avanzare del tempo; e poi c’ero io, un fornaio quattrocchi con i vestiti da lavoro addosso, i capelli infarinati e con in mano una busta di ciambelle ancora calde. Trent’anni erano passati... trent’anni! Andy andò dall’altra parte della stanza e lanciò un urlo giù nel seminterrato dove c’era il negozio: «Sean tua madre sta andando via» e sentimmo Sean che iniziava a prepararsi di sotto. La pioggia sembrava ticchettare il suo nome sul tetto mentre un gatto le faceva le fusa attaccato ai piedi.

    Era il cinque di maggio, il compleanno di Evelyn. Avevo un regalo incartato infilato nella tasca e un biglietto che diceva:

    da leo, anita e i ragazzi

    , (anche se, a essere onesto con voi, Anita e i ragazzi non ne sapevano niente). Il regalo sembrava l’esatta replica di un ciondolo a forma di cuore che avevamo regalato a Evelyn quando aveva diciassette anni. Sul davanti c’era inciso

    evelyn

    , in uno stile che il gioielliere aveva chiamato arabesco. Sul retro era intagliato

    da andy, peter e leo.

    A quel tempo ero solo un fattorino e andavo in bicicletta su per la collina e giù per la valle sfidando il vento e la bufera per trenta scellini alla settimana e un cappello anti-pioggia nuovo di zecca che mi davano tutti i primi dell’anno. La bicicletta aveva un cestino gigante sul davanti e sotto il tubo superiore figurava vistosa la scritta Carrington & Figli.

    Andy e Peter erano i figli in questione. Loro padre, il vecchio signor Carrington, era un tipo grosso e corpulento che camminava dinoccolato per il negozio come fosse Attila l’unno, urlando ordini a caso un po’ a tutti, un vecchio alquanto cupo e severo con molto poco senso dell’umorismo. Se facevi una battuta le possibilità che la capisse erano scarsissime, e anche quando capiva non si scomodava di certo a ridere.

    «Il nome sopra quella porta lì fuori è Carrington & Figli» disse un giorno ad Andy. «E non Johnny, il ribelle, né nessun altro ribelle di nessuna gioventù bruciata!».²

    Andy voleva allestire un negozio nel seminterrato che avrebbe chiamato Il Ribelle. Proprio in quel momento entrai dalla porta d’ingresso, bagnato fradicio e trascinando con me la bicicletta ingombrante.

    «Mi sa che si sono spente tutte le luci ieri sera al Cinema Palace, signor Carrington» dissi, e il vecchio aggrottò ancor di più le sopracciglia rugose. «Proprio così,» continuai, «il film stava per iniziare, quando…» ed ecco a voi Solo sotto le stelle!³ Andy stava sprofondando dietro il bancone di vestiti da uomo mentre gli raccontavo di come la signora Hayes mi avesse chiesto di accompagnarla in cucina per aprire il pacco di fronte a me: c’erano una vestaglietta nera e delle mutandine succinte. Se le era poggiate addosso e mi aveva chiesto cosa ne pensassi e, quando mi aveva visto arrossire, si era messa a ridere e mi aveva scompigliato i capelli affettuosamente. Andy disse che non mi credeva ma questa volta era la verità.

    In quei giorni il negozio era, nel migliore dei casi, un luogo abbastanza deprimente, con la signora Concoran che lavorava nell’ufficio al piano di sopra e Jimmy Crane che si grattava il naso bitorzoluto dietro il banco dei cappelli. Il vecchio signor Carrington poteva materializzarsi dal nulla e andare di bancone in bancone — o di reparto in reparto, come piaceva chiamarli a lui — tutto alterato grugnendo e brontolando e in generale rendendo la vita di tutti un inferno. L’unica persona che riusciva a tirare fuori del buono da lui era quell’uccellino della signora Carrington. Se ne stava sul pianerottolo e lo guardava con disprezzo dall’alto finché lui non tornava a comportarsi come si doveva.

    Poi arrivava Evelyn, simile alla principessa Shalimar⁴, con la sua uniforme scolastica, un calzino su e uno giù, quattro-cinque lentiggini intorno al naso e i capelli che le andavano sempre davanti agli occhi. In quel periodo stava ancora uscendo con Peter anche se Andy faceva progetti su di lei già da allora. «Non lo fare Andy» gli consigliai una volta quando notai che stava cercando di mettersi in mezzo. «Amala ma rimani alla giusta distanza» dissi, anche se sapevo molto bene che non mi avrebbe ascoltato.

    A volte Peter ed Evelyn facevano i compiti sul bancone delle scarpe o altrimenti si intrufolavano nel reparto notte e si mettevano larghi su uno dei letti, con i libri di scuola sparsi intorno a loro. Un giorno si erano addormentati lì dentro, accoccolati l’uno all’altro come due bambini nel fruscio di un bosco antico, aveva detto la signora Corcoran. Quando Peter si svegliò il letto era circondato da una congregazione di gente che rideva. «Il quadrato costruito sull’ipotenusa» aveva detto mentre sbadigliava tutto intorpidito. Peter era un piccolo arido bastardo già da allora.

    In ogni caso, le cantammo buon compleanno, le demmo diciassette baci in tutto tra noi tre e la guardammo mentre strappava la carta da regalo per ammirare il ciondolo, se lo passava da una mano all’altra e lo arrotolava tra le dita con le unghie mangiucchiate. Ognuno di noi aveva messo dieci scellini per comprarlo e mancavano ancora due scellini e sei penny. Insomma non era una cosetta che si trovava nelle bustine sorpresa.

    Quando Evelyn provò a metterlo al collo, Peter, facendo tutto il sofisticato, si avvicinò per aiutarla ad allacciare il gancetto, ma, visto che non ci riusciva proprio, Andy dovette correre in soccorso. E, se me lo chiedete, quello fu il primo sbaglio di Peter. Lo vedevo che le piaceva la mascolina… — com’è che si dice? — destrezza di Andy.

    Era di giovedì, eravamo chiusi per mezza giornata e tutti insieme ci avviammo verso lo stagno di Rainwater. Io andavo sulla bici grande con Evelyn sul tubo superiore e Andy seduto nel cestello, mentre il povero Peter doveva correrci di lato, cercando di stare al passo. Andammo lungo i binari del treno. Andy passò tutto il tempo a mettersi in mostra, si mise in piedi sul cestello con le braccia aperte e a un certo punto saltò giù per andare a rubacchiare qualcosa in un frutteto e tornò con delle prugne per Evelyn che non le aveva mai assaggiate prima. Cantammo The Sun Ain’t Gonna Shine Anymore e, non c’è bisogno di dirlo, ero in paradiso: Evelyn che si poggiava su di me e mi guardava dal basso, la sua voce roca che cantava e le manine robuste che di tanto in tanto toccavano le mie mentre saltavamo da una traversina all’altra.

    «Quando sei innamorato» disse lei, «muori un po’ ogni giorno». Solo un po’? Non riuscivo a fare a meno di pensare, mentre il suo viso splendeva davanti a me nello specchietto retrovisore della bicicletta.

    Quando arrivammo allo stagno di Rainwater il posto era pieno di fattorini in costume da bagno e di facce dure di ogni tipo: c’era il robusto pittore Shamey Shiggins, il cantante Tommy Day, Maggie Angre e via dicendo. Erano tutti bravissimi nuotatori: quello non era un posto per deboli di cuore. Appena arrivammo, Peter ed Evelyn si allontanarono mano nella mano verso l’erba alta e, mentre Andy scroccava qualche tiro dal grosso Shamey Shiggings, io posai con delicatezza la bicicletta tra le erbacce vicino agli altri vecchi e fedeli cavalli da corsa. Quando mi girai Evelyn era seduta sopra una roccia sporgente e teneva la collanina in mano minacciando di lasciarla cadere, una piccola sfida perché qualcuno si tuffasse e andasse a riprenderla per lei. A dirvi la verità, non pensavo l’avrebbe fatto sul serio, ma lo fece: se la lasciò scivolare dalle dita come un’anguilla d’argento e io la guardai andare giù simile a una stella cadente. evelyn evelyn evelyn! Nessuno l’avrebbe mai più rivista.

    Andy fu il primo ad andare, si tolse i vestiti di dosso e si tuffò che pareva Johnny Weissmuller. Noi lo guardammo mentre scendeva verso l’abisso per poi sparire nell’oscurità. Sparì per un tempo lunghissimo e tornò in superficie ansimando disperato, si ancorò alla sponda dello stagno e guardò il viso pieno di delusione di Evelyn: era riemerso a mani vuote.

    Io andai dopo di lui, con un tuffo a candela. Non ero proprio Esther Williams, ma state certi che provai a fare tutto con quanta più scioltezza potevo. Non mi andava che Evelyn sapesse che non mi ero mai tuffato lì dentro prima di allora. E Cristo Santo, quanto era profondo e torbido! Ma, a dirla tutta, possedeva anche un certo fascino. Tutte quelle stramberie intrappolate tra le alghe: carcasse di cani, passeggini, ruote arrugginite, pneumatici, lo scheletro scassato di una bicicletta e ogni tipo di cosa. E quella specie di com’è che lo si può definire... suono subacqueo, che era come ipnotico, o qualcosa del genere. Ci vollero tutte le mie forze per nuotare indietro fino in superficie e, quel giorno, non mi vergogno a dirlo, Dio se fui felice di rivedere quel grande cielo blu e gli occhi tristi di Evelyn che mi sbirciavano da dietro il canneto.

    Tutti gli altri, uno per uno, ci provarono: il grosso Shamey Shiggins, Tommy Day e un tipo che chiamavano Apache Bryne. Ma fu quando Maggie Angre risalì e scosse la testa che tutti capimmo che non sarebbe servito a nulla tentare ancora. Ma questo comunque non mi fermò. Tornai lì sotto altre tre o quattro volte dopo il primo tentativo. Suppongo che feci un po’ la parte dello scemo.

    Peter fu l’unico che non si tolse i vestiti di dosso e non si tuffò lì dentro per lei, e credo che ne pagò il prezzo. Lei tenne il broncio per tutto il tragitto verso casa. Non so se fosse arrabbiata con Peter o se si fosse incupita per il nostro fallimentare recupero della collanina. Spesso me la immagino, che giace sul fondo dello stagno di Rainwater mentre luccica, si arrugginisce e muore.

    Mentre andavamo verso casa scoppiò un temporale e ci dovemmo rifugiare sotto una grossa quercia. Evelyn uscì allo scoperto e invocò il cielo ché cadesse su di lei. Peter tentò di trascinarla indietro al riparo ma lei si rifiutò.

    «No» disse, «io amo il vento e la pioggia. È la calma che mi spaventa» e scappò da noi correndo per il campo.

    Andy le andò dietro in bicicletta e la tirò su al volo sul tubo del telaio. Noi rimanemmo a guardarli entrambi mentre scarrozzavano per il campo saturo d’acqua, nel rombo dei tuoni e sotto la pioggia battente.

    Ed ecco qui, Peter l’aveva persa.

    Poco tempo dopo Peter se ne andò per mare e non tornò per parecchi anni. Non tornò nemmeno per il funerale di suo padre e neanche per il matrimonio. Io, invece, ero il testimone. «Signore e signori» dissi, «tutto questo mi riempie di gioia» e tornai a sedermi.

    Un anno più tardi nacque Sean, e Andy mise il suo nome sulla porta: Andy Carrington & figli. La primavera che seguì, venuto a sapere delle brutte condizioni di salute di sua madre, Peter tornò a casa e non riprese mai più il mare. Se ne stette a bighellonare per il paese finché non finì tutti i soldi e, a quel punto, Andy lo incaricò di gestire il negozio Il Ribelle nel seminterrato.

    Passò il resto della vita a bere, a scommettere e a fare baldoria. Sembrava tutto molto divertente all’inizio, passava da una bettola all’altra, con il conto del giorno prima che gli spuntava dalla tasca. Ma dopo un po’ cominciò solo a sembrare un povero sciocco. O, per lo meno, questo era quello che pensavo io.

    Ovviamente poi c’erano le donne. O, per meglio dire, ragazzine principalmente. Pareva che lo considerassero affascinante o qualcosa del genere. In realtà se ci penso, direi che somigliasse, nell’aspetto e nei modi di fare, a un personaggio malfamato di uno di quei noiosissimi romanzi noir di cui non si smetteva mai di blaterare. Mise incinta una ragazza e, quando si rifiutò di ammetterlo, il padre e i fratelli di lei lo andarono a cercare e gli diedero giù di brutto. Le botte lo lasciarono con uno squarcio su un occhio, che non guarì mai del tutto, e andò avanti zoppicando per un bel po’. Ragazzi miei quanto la fece lunga con quella storia: lo zoppo, il cieco e l’incompreso tutti in un solo cristiano. Ora va in giro con una donna che si chiama Una Young. Lei sembra essere pazza di lui anche se, a dirvi la verità, la tratta da schifo la maggior parte del tempo. Anche Andy non fece una fine migliore. Non appena ottenne il suo nome sulla porta del negozio perse tutta la vitalità che lo contraddistingueva. Adesso pensa solo al negozio e non parla di nient’altro. Ad oggi devo sforzarmi per ripensare all’immagine di lui che si tuffa nello stagno di Rainwater o che sta in piedi sul cestello della bicicletta. Dico, cos’è mai capitato a quel ragazzo? A quel giovane coraggioso e sempre in cerca di avventura? Anche se, onestamente, credo sia abbastanza difficile essere avventurosi quando si è sommersi da bottoni e fiocchetti fin sopra le orecchie.

    Evelyn non era fatta per questo posto però. Troppo noioso. Canottiere, calzamaglie e tutto il resto! Diciamo la verità, una donna come lei ha bisogno di mistero e avventure, e di qualcuno che le dica di amarla ogni giorno.

    «Cos’è che vuoi?» le chiese Andy una volta, nel tentativo di capire il suo silenzio, ma Evelyn non fu mai in grado di trovare le parole per descrivere il proprio malessere.

    «Lei vuole essere adorata» avrei avuto voglia di rispondergli. Un giorno lo lasciò, tornò a casa, dalla sua famiglia. Ma non andò d’accordo con sua madre così, qualche settimana dopo, si ripresentò da lui. In ogni caso, ormai, ad Andy importava poco se lei c’era o non c’era. Ecco, non andò mai a cercarla quando era il momento. Giravano voci che Evelyn da tempo avesse una storia con quell’idiota del proprietario del Banjo Bar, ma… non so se fosse vero o no.

    E io? Eh?... Be’ ho accettato il primo lavoro decente che mi è passato sotto mano, ho sposato la prima donna che ho incontrato e torno a casa per cena ogni sera. Avventuroso? Non direi. Ma di una cosa sono certo: tutto quello che ho fatto nella vita l’ho fatto per lei, per Evelyn, per sorprenderla! Ogni partita di palla a mano, ogni frase un po’ eloquente, tutto. Imparai a suonare la batteria e mi unì a un gruppo locale perché pensavo potesse intrigarla, intagliai tra l’altro il suo nome sulle bacchette. Mi esercitavo tutto il giorno e la notte sui flam e paradiddle nella speranza che un giorno lei ci venisse a vedere. Ma non venne mai. Non fategliene una colpa, d’altronde il nostro gruppo, i Toreados, è l’unico nella storia della musica moderna a essere partito dal basso e a essere arrivato più giù. Un’altra volta presi anche delle lezioni di francese. «J’aime Lamour, Evelyn…» le dissi una sera, e vidi i suoi occhi che si illuminavano.

    «Che significa?» volle sapere Andy.

    «Che sono innamorato dell’amore» gli dissi, e le baciai la mano come fossi un galantuomo francese.

    Dopodiché fu il tempo delle partite a carte, delle barzellette e di storielle a bizzeffe, che non finivo mai di raccontare ogni volta che ero con lei o vicino a lei; e, credetemi, tramavo per stare con lei o vicino a lei più spesso che potevo. Ogni giovedì andavo al negozio per la solita partita a poker e quasi tutte le mattine facevo una scappata dopo il lavoro e portavo qualche fetta di torta appena fatta o un filone di pane. Ogni scusa era buona per vederla e non vederla era come morire per me.

    «A chi assomiglio secondo te, Leo?» chiese un giovedì sera mentre provava un cappello nuovo.

    «A Gina Lollobrigida» risposi io, e lei sorrise lusingata. Era la risposta giusta.

    «Ah ah!» ridacchiò, puntandomi il dito contro.

    «Sì?» feci io, puntandole il mio.

    «Eh eh?» disse lei, avvicinandosi.

    «Levati di mezzo!» dissi io mentre ci rincorrevamo in cerchio, ancora con le dita puntate l’uno contro l’altro a stuzzicarci finché le nostre mani non si toccarono e le teste non si scontrarono delicatamente come le corna di due tori.

    «Ah ah!» urlammo nello stesso momento, «ecco fatto!».

    Peter scosse la testa, tirò su un sospiro e se ne andò. Andy fece finta di non aver visto nulla e uscì dalla stanza come faceva ogni volta che io e Evelyn facevamo quel gioco. Io ero così felice, perché significava che avevo accesso a un regno fantastico fatto solo per me e lei, e dove nessuno di loro due avrebbe mai avuto accesso. Come al solito tutto finì con un dolce bacio all’eschimese ed Evelyn che si allontanava lasciandosi alle spalle la scia profumata del suo respiro. Poi, mettendo su una gran scena, entrai nel negozio lanciando un urlo a Peter che stava ancora riempiendo gli scaffali nonostante fossero le nove di sera. «Stai facendo gli straordinari a lavoro o per le partite a carte, Peter?» gli domandai. «Quale dei due?»

    «Lui è un ragazzo molto rigoroso» affermò Evelyn, mentre rimetteva il cappello sul banco, «non è così Peter?» «Mmh» rispose Peter con un verso e storse il naso.

    «Ma dai, Evelyn» dissi, «allora io sono un fanatico del rigore!». Con la coda dell’occhio guardai Evelyn mentre si provava un altro cappello, se lo spostava da un lato e si controllava allo specchio. Andy stava scendendo giù con una caraffa di caffè e un piatto grande pieno di sandwiches.

    «Così i batteristi contano sette battiti in un tempo, Evelyn, lo sai?» le dissi. «Gina Lollobrigida. Un due tre quattro cinque sei sett Gina Lollobrigida. Tap tap tap tap tap tap tap Lollobrigida... in paese ho visto anche il tuo vecchio amore Peter! E la giovane Una Young, ahahah! Sei troppo giovane disse Una vecchia a Una giovane quand’era appena nata! Mi sa che devi tirare un po’ su di morale questo ragazzo qui, Andy, perché oggi ha fatto il lavoro di tre o quattro uomini messi insieme, amici miei, eccoci qua, il gruppo dei fratelli Marx è di nuovo unito! Ah, comunque, parlando di Gina Lollobrigida. Cosa dice il reggiseno al cappello? Va’ pure avanti mentre io tiro un po’ su queste due. L’avete capita? Va’ pure avanti mentre io...». Sì, ecco com’ero in quel periodo! Bla-bla blateravo a una velocità di mille miglia al minuto per la paura di smettere di parlare e dire qualcosa di sbagliato, e per la paura di ascoltare nel caso... avessi capito.

    «Pesca una carta, Evelyn» dissi dopo aver dato una bella mescolata. «E non farmela vedere»

    «Ma non serve!» disse lei, «continuo a pescare sempre la stessa carta! Eccotela qui, cosa ti dicevo? La regina di picche»

    «Non devi dirmelo!»

    «È la stessa tutte le volte» disse lei mentre si stringeva le braccia intorno al corpo infreddolito.

    L’aveva pescata un’altra volta. Per la quinta o sesta volta di fila. La regina di picche. Sempre lei: la signora dagli occhi scuri e misteriosi.

    Una sera arrivai al negozio e trovai Andy e Peter che facevano a pugni nel reparto notte. Evelyn stava in piedi sul pianerottolo e ripeteva i loro nomi a bassa voce, mentre il rumore dei colpi, delle botte e degli insulti si sentiva anche al di fuori dalla stanza. Stando al casino che avevano

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