Gli arnesi dell’educazione e la formazione: Gioco, corpo, abbordaggi e climi
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Anteprima del libro
Gli arnesi dell’educazione e la formazione - Juan Pablo Bonetti
Manifesto dell’Educazione Ludopedagogica
Collana Lucciole & Lanterne
Juan Pablo Bonetti
Gli arnesi dell’educazione
e la formazione
Gioco, corpo, abbordaggi e climi
Cura e traduzione di Tina Nastasi
Gli arnesi dell’educatore e la formazione
Gioco, corpo, abbordaggi e climi
Ed. originale:
Los recursos del educador y la formación
Juego, cuerpo, abordajes y climas
Primera edición: mayo de 2019, Maldonado (Uruguay)
© Juan Pablo Bonetti, 2023
Cura e traduzione: Tina Nastasi
Foto di copertina: Tina Nastasi
Illustrazioni: Enrico Campagna, Firza Alamsyah da NounProject.com
Impaginazione ed e-book: Giuseppe Sciacchitano
ISBN 9791221031591
Casa editrice artigiana La Lucciola
Collana Lucciole & Lanterne
Con l’appoggio e la complicità della Escuela Internacional de Ludopedagogia
Indice
Presentazione
di Tina Nastasi
Lettera al libro
di Ariel Castelo Scelza
Introduzione
Le sfide
I. Gli abbordaggi educativi e sociali
1. Strategie d’abbordaggio
2. La rottura con la quotidianità e i destinatari
3. Approfondiamo alcuni aspetti
4. Gli abbordaggi nell’attività educativa e sociale
II. I climi
socio-educativi
1. Questione di atmosfera
2. Contesto
3. Le risorse personali
4. Risorse tecniche
III. Strategie ludiche e inclusione
Il gioco nella costruzione del gruppo
1. Dinamiche che escludono
2. L’educatore e il sapere dell’ambiente
3. La costruzione della dimensione collettiva
4. I sottogruppi (rotture, virate, scambi)
5. Il luogo del gioco
6. Uno sguardo al gioco e alle sue peculiarità
IV. Il gioco, il corpo e l’affettività negli schemi pedagogici
1. Gioco, corpo e affettività
2. Obblighi sociali
3. Memoria e rottura
V. Appunti pedagogici su un’esperienza di circo
Fondamenti della proposta
Bibliografia
Un grazie di tutto cuore
Presentazione
di Tina Nastasi
Entriamo piano nel libro di Juan Pablo. Pagina dopo pagina disegnerà un mondo che forse nelle nostre vite - come esseri umani o come insegnanti - abbiamo già intuito possibile qui e là, o forse lo abbiamo solo sognato. Ci svelerà quel mondo semplice che abbiamo forse dimenticato.
Ho incontrato Juan Pablo Bonetti a Montevideo - settembre 2013 -, X Bienal internacional del Juego (Senso: silueta de sentidos en juego): presentava al grande pubblico di partecipanti, a quella splendida manifestazione politica e culturale, il frutto di una esperienza inedita che si era svolta quei giorni, in parallelo, tra le pieghe del tessuto urbano, invisibile ai più. Il piccolo gruppo di biennalisti che vi si era immerso la portava in scena, durante l’ultima plenaria della manifestazione: ogni molecola dei nostri corpi appollaiati sugli spalti era stata sommossa e rivoltata.
Mi trovavo lì non per caso. Stanca di arrancare dietro le mie povere pratiche di insegnamento a scuola, improvvisate e ingenue, assetata di una formazione autentica e profonda alle arti del mio mestiere, a cui nessuno mi aveva preparata davvero, mi ero imbattuta, questo sì, per caso e per mia fortuna, nell’esperienza dei Campamentos Educativos¹ del Ministero dell’Educazione Nazionale in Uruguay. Ariel Castelo, compagno storico di Juan Pablo² e direttore dei Campamentos de las Luces (condotti secondo il metodo della Ludopedagogía), mi aveva offerto l’opportunità unica e irripetibile di una lunga formazione immersiva: 5 mesi, 13 campi a ritmo continuo con cadenza settimanale, al seguito dell’équipe di educatori responsabili della proposta educativa, sotto la sua supervisione. Un tuffo nel bel mezzo dell’oceano. Esperienza forte, profonda, destrutturante e nutriente oltre ogni aspettativa: ha trasformato radicalmente il mio modo di entrare in classe, seppure, già di suo, poco conforme al dettato classico.
Da quel viaggio di autentica e vera formazione al mio mestiere, è nata una proposta sperimentale di accoglienza ludopedagogica nella scuola dove insegno: la prima settimana di ingresso al ciclo medio per gli studenti dell’ultimo anno delle elementari, messa in gioco in tutto l’istituto, per tutti i nuovi gruppi classe, con l’intero corpo docente coinvolto nella proposta. Giocando. Come è stato possibile? Grazie all’aiuto di amiche e compagne di gioco, educatrici e operatrici sociali che, qui in Italia, avevano intrapreso percorsi di pratica e studio della Ludopedagogía.
Ho incontrato Juan Pablo Bonetti di nuovo nel 2019, nella sua dedica di compleanno al libro che mi regalava per mano di Ariel, in viaggio nel nostro Paese per aiutare le molte di noi che negli anni si sono unite lungo il cammino dell’educazione ludopedagogica (insegnanti, educatrici, operatrici sociali e non solo): volevamo sviluppare la nostra ricerca pedagogica e metodologica attraverso il gioco e sperimentarne la pratica viva e continua. Per colmare, con le nostre sole forze, il grande vuoto e la grande povertà nel paesaggio delle proposte formative accademiche e istituzionali italiane.
Apro qui una parentesi, breve e amara, di denuncia: malgrado il nostro Paese possa vantare una miriade di esperienze e ricerche pedagogiche di grande spessore etico e scientifico, negli ultimi vent’anni, da che insegno, i dettami ministeriali hanno concorso a impoverire le nostra pratiche educanti fino a ridurle a un pugno di punti elenco su competenze funzionali allo schiavismo professionale contemporaneo e tecniche pseudo-digitali che poco hanno a che fare con l’educazione integrale della persona e dell’essere umani. Parole come esperienza
, corpo
, affettività
, relazione
sono state spazzate via dai piani ministeriali per la formazione degli insegnanti: basta solo leggere l’ultimo della presunta buona scuola
per il triennio 2016-2019³, per capire che l’educazione e il sapere, gli apprendimenti, tutto fuorché significativi, sono stati sacrificati sull’altare del capitale, culturale, sociale e umano.
Ecco perché presentiamo oggi quel libro dono, l’opera di Juan Pablo Bonetti, anche nella nostra lingua madre.
Un libro che mi ha preso il cuore quando ho realizzato che dava nome, e per questo diritto di cittadinanza, a tutti gli oggetti scomposti e scompaginati che avevano abitato il mio corpo nei tanti anni di sperimentazione educativa con il gioco, matta e solitaria.
Gomitoli di lana di colore diverso lasciati sulle sedie di un gruppo classe riottoso, con una indicazione segreta sussurrata all’orecchio di ciascuno: abbordaggio che cattura l’attenzione.
Scatole incartate con fiocchetto appoggiate sulla cattedra con gesto plateale e incurante, attendendo la domanda curiosa e accendendo la gara a chi indovina prima: clima di allegria, interesse e aspettativa.
Sedie disposte a due a due (spalliera contro spalliera) e l’invito perentorio a trovare un posto visto che non ce n’è per tutti: corpi che trovano motivo di entrare in relazione trascendendo le differenze e gli ostacoli interpersonali.
Quando ho letto:
«Una formazione integrale che voglia affrontare gli aspetti teorico-concettuali (pedagogici e didattici) deve necessariamente approfondire nella esperienza viva e concreta le reazioni e le emozioni che si scatenano con l’atto educativo e il loro conseguente impatto sulle persone.
È la persona, pertanto, a dover costituire l’asse della formazione: l’essere umano e le forme dell’apprendere, più che il sapere disciplinare. La formazione deve risultare allora un cammino che permetta di confermare o scartare la scelta iniziale di diventare educatore»,
ho capito che era necessario poter leggere e rileggere le parole di Juan Pablo nella mia lingua. E non solo. Ho capito che dovevano poterle leggere quanti e quante più possibile nella nostra lingua.
Senza pensarci due volte, ho invitato Juan Pablo a Roma e gli ho proposto di curarne un’edizione italiana nella cornice del neonato Manifesto dell’Educazione Ludopedagogica, con l’appoggio e la complicità della Escuela internacional de Ludopedagogía: sono fortunata che abbia voluto accettare anche se la mia lingua spagnola è ancora acerba, solo fidandosi della mia capacità di riuscire a leggere la sua opera oltre le parole, nel senso e nello spirito di una pratica pedagogica e politica della quale il suo Paese - l’Uruguay - mi aveva nutrita a lungo.
Forse traducendo il testo l’ho tradito qui e là: questa è una responsabilità che oso assumermi interamente. Confido tuttavia che il tesoro custodito nell’opera si disveli a poco a poco in tutta la sua luce, autentica e integra, anche in questa sua veste italiana.
Quest’opera inaugura la collana Lucciole & Lanterne della casa editrice artigiana - La lucciola - di cui si è dotato il Manifesto: mi auguro che conquisti un grande popolo di lettori e lettrici disposte a contagiarsi e contagiare il nostro Paese - l’Italia - nel vivo delle nostre realtà quotidiane, come ci suggerisce e invita a fare Juan Pablo: con il piacere del corpo, tutta l’allegria del gioco, il coraggio di osare, la forza di apprendere dai nostri errori, tutto l’affetto per la nostra semplice e comune umanità.
1 Sul Proyecto Campamentos Educativos del Ministero dell’Educazione Nazionale in Uruguay, cfr. Finestra sulla Ludopedagogia: una poesis del gioco. Conversazione di Ariel Castelo e Tina Nastasi, «Qui Libri», n. 40, marzo-aprile 2017, pp. 21-22.
2 La storia del collettivo BARBAS è raccontata in Ariel Castelo, Diego Osorio Pezzano, Valentina Pescetti, Giocare con la politica, «Loop», n. 9, luglio/agosto 2010, pp. 110-111.
3 Cfr. il documento programmatico all’indirizzo web https://www.istruzione.it/allegati/2016/Piano_Formazione_3ott.pdf.
Lettera al libro
di Ariel Castelo Scelza
Scrivere una lettera a un libro può sembrare (uno scherzo per gioco) un’assurdità, una ridondanza non necessaria se pensiamo al ruolo delle parole e della scrittura come una via per poter comunicare con l’eventuale lettore. Qualcosa di simile a un cristallo attraversato da riflessi di luce provenienti dal suo stesso lignaggio, dalla sua stessa materia.
Salute!… Benvenuto in Italia. Brindo all’avventura senza fine che mi racconti, al desiderio di condividerla che trabocca oltre i confini dei Puro Racconto e che fa venir voglia di correre a provare, e mettersi in gioco e provocare quel disordine creativo che abita lo spazio tra la crisi, il delirio e la dimensione onirica, surreale.
Mi sorprendo del tesoro di punti interrogativi che spargi nel mondo: domande sempre aperte a più e sempre nuove possibilità di trovare risposte.
Mi meravigli perché confermi l’idea disegnata dalla penna di Borges: è sempre più interessante il mistero che la sua soluzione.
Mi apri misteri e mi sveli angoli nascosti di conflitto che qui e là mi mette