Danzando con te: La relazione con l’adolescente oggi
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Info su questo ebook
Barbara Giacobbe, Psicologa, Psicoterapeuta, Master in Psicologia delle Relazioni Professionali, PTSTA EATA. Lavora da vent’anni in studio privato con adolescenti, adulti e famiglie. è consulente presso istituti scolastici, comunità per adolescenti e società sportive. Si occupa di formazione e supervisione in ambito clinico ed educativo. è danzatrice e performer.
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Anteprima del libro
Danzando con te - Barbara Giacobbe
Poda.
Prefazione
Barbara Giacobbe è un’autrice appassionata che ha dedicato gran parte della sua vita professionale ai bambini e agli adolescenti non solo dal punto di vista della psicoterapia, ma anche, e forse soprattutto, da quello della protezione e della promozione della loro salute. In altre parole, il lavoro che ha svolto a lungo e ancora svolge in ambito educativo, come formatrice e consulente di educatori, nelle scuole e nei vari luoghi dell’aggregazione giovanile, è forse ancora più importante di quello strettamente clinico.
Sono un medico specialista in pediatria e in psichiatria e, dopo molti anni di professione coltivando questa mia duplice esperienza, mi sono convinto che i maggiori successi nel promuovere la salute psicologica e la crescita felice dei bambini e dei ragazzi non si ottengano curando le loro sofferenze (cosa pur necessaria), ma soprattutto intervenendo sull’ambiente nel quale crescono: la scuola, la famiglia, i centri di aggregazione come quelli in cui si svolgono attività sportive e artistiche, oltre a quella peculiarità molto italiana che sono gli oratori.
Barbara Giacobbe è sempre stata molto attiva in questi settori, avendo saputo coniugare con efficacia il suo amore per l’educazione con quello per lo sport e per un’attività artistica para-sportiva come la danza.
Grazie anche a questa sua esperienza di vita, che ha permeato la sua biografia, ha saputo dare un grande valore al corpo di noi esseri umani, considerato a volte nella nostra cultura filosofica occidentale quasi un accessorio dell’anima e assai trascurato, negli anni recenti dall’arrivo di internet.
Possiamo ben dire che non siamo menti che hanno un corpo
, ma che siamo prima di tutto corpi. Le neuroscienze ci mostrano ogni giorno evidenze di quanto siano intrecciate le nostre attività fisiche e psichiche, tanto che oggi parlare di psicosomatica appare probabilmente superato: la psico-neuro-endocrino-immunologia ci mostra a ogni passo la ricchezza e la complessità di essere una cosa sola, un indistricabile intreccio di corpo e mente. I nostri corpi inoltre sono anche i nostri principali strumenti di relazione.
Forse per la prima volta, nella storia dell’umanità, abitiamo un’epoca in cui è possibile, per gli esseri umani, vivere in solitudine. Ci sono quote crescenti di donne e uomini che spendono le loro vite in una condizione di isolamento sociale: lavorando da casa connessi con il proprio computer, facendo acquisti su internet, illudendosi di avere relazioni con le comunità virtuali (le cosiddette social network). Sono persone che spesso affiancano a una vita povera socialmente una certa trascuratezza nei confronti dei loro corpi.
Quanti sono gli adolescenti che si limitano a coltivare una straordinaria destrezza nell’uso dei pollici sui telefoni portatili, trascurando gli altri gruppi muscolari? Lo sport e la danza, come ci ricorda Barbara Giacobbe, sono attività eminentemente sociali: sono potenti veicoli di relazione. E l’autrice mette bene in evidenza come la malattia sociale dei nostri anni sia la solitudine.
Mentre siamo consapevoli di questi rischi, non dobbiamo però generalizzare, pensando che le nuove generazioni siano particolarmente a rischio. La grande parte delle ragazze e dei ragazzi continua a frequentare gli amici, ad andare a scuola e a socializzare e molti anche scendono in piazza per manifestare il loro impegno sociale e politico. Lo scopo di chi si occupa della salute mentale (e direi della salute tout-court) dei ragazzi è semmai quello di identificare chi rischia di perdersi, di isolarsi in una deriva interiore, in quella specie di presunta navigazione
in internet.
I sondaggi di opinione e le ricerche sociali ci dicono che i gruppi più a rischio di isolarsi socialmente e di perdersi in derive rancorose sulle reti pseudo-sociali sembrano essere piuttosto le generazioni dei quarantenni. Il lavoro che Barbara Giacobbe ci propone, con dovizia di esempi presi dalla sua ampia esperienza personale, non va quindi visto solo come un modo di prendersi cura di adolescenti che possono trovarsi in difficoltà (è anche questo, beninteso), ma forse soprattutto come prevenzione di un difficile transito nell’età adulta.
Occuparci efficacemente di bambini e di adolescenti diventa quindi un modo non solo di promuovere il loro benessere, ma anche di favorire lo sviluppo di adulti solidi, consapevoli di sé e degli altri, capaci di stare in relazione: in ultima analisi, di costruire una buona società per il domani.
Marco Mazzetti
4 aprile 2019
Premessa
Perché questo libro
Questo libro è frutto della mia esperienza ormai trentennale nell’ambito della relazione educativa, consulenziale e di psicoterapia con adolescenti e famiglie. Ritengo possa essere un’utile lettura per genitori, psicologi ed educatori.
Ho rivisitato alcuni miei articoli pubblicati nel corso di questi anni e raccolto i contenuti inediti di una serie di interventi fatti a conferenze sul tema. Tali argomenti sono espressi attraverso il modello teorico e la terminologia dell’Analisi Transazionale ¹ ( AT ) che, a partire dagli anni della mia Specializzazione in Psicoterapia, ho apprezzato e continuo tutt’oggi ad approfondire. Di tale approccio ammiro particolarmente la profondità ed insieme la concretezza e la facilità di comprensione. Mi auguro che anche questo testo possa risultare al lettore sufficientemente profondo ed insieme concreto e facile.
L’intento è stato quello di rivolgermi contemporaneamente sia ai professionisti sia ai genitori, fornendo spunti di riflessione e chiavi di lettura che ciascuno potesse utilizzare ed eventualmente approfondire a partire dal proprio ruolo. Io stessa utilizzo giornalmente nel mio lavoro il modello Analitico Transazionale unito a molte delle idee e degli strumenti presentati in questo testo.
Ritengo in particolare che tre siano le idee più interessanti e utili e su queste ho basato l’intero lavoro:
1- La metafora in movimento del V-Tango quale chiave di lettura ed anche strumento per intervenire nella relazione con l’adolescente.
2- Il concetto di Gioco-Test come modalità per leggere, interpretare e classificare le provocazioni relazionali ed i comportamenti a rischio dei ragazzi.
3- Il focus sull’ascolto quale tecnica e metodologia specifica nell’aiuto all’adolescente.
Perché la danza
La danza può impreziosire, armonizzare e alleggerire la vita e lo stesso credo possa valere per un testo su un tema così intenso e serio come l’adolescenza.
Danzo da circa 40 anni, da quando, bambina, guardavo affascinata i balletti
in tv e poi, davanti ai vetri che fungevano da specchio, inventavo passi miei e studiavo di nascosto le posizioni di base sbirciando la vecchia enciclopedia. Ballo da quando, con mia sorella, mettevamo in piedi spettacoli danzanti per mamma e papà con tanto di costumi e scenografie casalinghe. Ci lavoravamo tutto il giorno impegnandoci a fondo, discutevamo, venivamo a patti, usavamo la nostra inventiva, serie nel nostro gioco di artiste. Sceglievamo musiche adatte rovistando fra i vecchi vinili, pensavamo al tema, al titolo, allestivamo la sala per accogliere il nostro pubblico, talvolta, soprattutto se c’erano anche i nonni, fissavamo una piccola quota d’ingresso. Con mia sorella, io bambina e lei quasi adolescente, in quel frangente, ci intendevamo alla perfezione, complice la danza. Persino mio padre, che sognava una figlia calciatrice, si sedeva pazientemente ad assistere allo spettacolo, forse attirato dall’insolita armonia fra noi ragazze.
Nella mia famiglia l’idea dell’esercizio fisico quale elemento importante della vita e l’associazione fra prestanza del corpo e salute sono state sempre molto forti. Mio nonno paterno era stato calciatore di serie A ed allenatore fra gli anni Quaranta e Cinquanta; uno sportivo nel corpo e nella mente fino alla fine dei suoi giorni. Pur nella delicatezza dei modi e nell’apparente decisione di lasciare il comando all’energica consorte, il nonno, con il suo primato dell’attività fisica, ha lasciato un’impronta molto forte in tutti noi.
Molti della famiglia, mio padre compreso, si dilettavano però anche di arte e di pittura, partecipando con i loro quadri a mostre ed allestimenti.
Non fu facile, all’età di 8 anni, convincere mia madre a far tollerare a mio padre che io prendessi lezioni di danza. Alla danza, in famiglia, non era assegnata la stessa dignità dello sport, era vista come un semplice gioco, forse anche poco consono ad una ragazzina seria e sportiva come la voleva papà. Alla fine, però, grazie al versante femminile della famiglia, mi fu concesso di danzare, ma a patto di non trascurare gli allenamenti giornalieri di nuoto e naturalmente la scuola. Da subito compresi la serietà e l’impegno che ci sarebbero voluti per portare avanti la mia passione. Per partecipare alle lezioni andavo a piedi dall’altro capo della piccola cittadina e, quando l’ora finiva, ripartivo per non mancare all’allenamento di nuoto. La cosa mi affannava un po’, ma ero felice di poter finalmente danzare e colorare di musica la giornata. L’atmosfera della scuola di ballo era seria, l’insegnante era rigorosa, ci teneva all’ordine ed al rispetto di ciò che stavamo facendo. Nella sala non mancava il pianoforte e naturalmente il pianista che accompagnava con lo strumento ogni nostro esercizio; all’ingresso c’erano sempre fiori freschi ben ordinati nel vaso color rosa pallido che ben si intonava con la femminilità elegante della nostra maestra.
Da quegli anni in poi mi sono sempre adoperata per dar spazio alla danza ed allo studio di essa nella mia vita. Per circa una decina d’anni, concluso il periodo del nuoto agonistico, praticai anche nuoto sincronizzato, magico connubio fra quanto concesso in famiglia e la mia passione, ma contemporaneamente lavoravo sodo come bagnina per pagarmi le lezioni di danza classica e jazz.
Così ho proseguito fino agli anni dell’Università, degli studi all’estero e della specializzazione. Tutt’oggi la danza e lo sport fanno parte della mia giornata insieme a famiglia, lavoro, amici; continuo a studiare e praticare con impegno, disciplina, creatività e divertimento.
Diceva Martha Graham:
danzare sembra affascinante, semplice, incantevole. Ma il cammino verso il paradiso della realizzazione non è meno complesso di tutti gli altri. C’è una fatica così grande che il corpo grida, persino nel sonno. Ci sono momenti di completa frustrazione, ci sono piccole morti quotidiane.
Questo, chi danza lo sperimenta tutti i giorni. Danzare è un gioco che implica impegno, dedizione, gioia ed anche frustrazione.
La Graham, spiegando come i danzatori devono muovere gli arti superiori, dice anche:
le nostre braccia hanno origine dalla schiena perché un tempo erano ali.
La danza per me è l’associazione fra la fatica dell’esercizio fisico e dell’impegno metodico e la magia della semplicità e della fluidità che portano a volare in un’altra dimensione. Danzare mi aiuta a tendere verso un modello di donna e di terapeuta insieme profonda e leggera, come solo una ballerina sa essere. Quando un danzatore compie uno sforzo fisico, come ad esempio un salto, lo fa con leggerezza ed atterra senza far rumore, sapendo esattamente come e dove appoggiare i propri piedi sul pavimento.
La danza per me è divertimento ed insieme un modo per perseguire grazia e bellezza. Rappresenta inoltre una modalità per misurare me stessa curandomi del mio corpo, dei suoi limiti e delle sue potenzialità.
Sempre con Martha Graham condivido l’idea della danza come un canto del corpo sia esso di gioia o di pena; una via per sentire e comunicare emozioni ed anche per giocarsi in personaggi diversi.
La danza può essere un’attività altamente terapeutica atta a perseguire il proprio benessere. Come dice il grande Nureyev, ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita. Non essere ballerino, ma danzare.
La danza inoltre sa essere diretta, densa di significato e contemporaneamente asciutta, non ridondante. Come sostiene Doris Humprey ci sono momenti in cui la semplice dignità di un movimento può sostituire degnamente una montagna di parole. Ritengo utile nella vita sospendere talvolta la parola e lasciare che si esprima il corpo.
Perché l’associazione fra Danza ed Adolescenza
Pina Bausch afferma:
certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti. Ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che cosa fare. A questo punto comincia la danza.
Nella relazione con gli adolescenti spesso mi sono trovata senza parole e, così come da sempre mi alleno a fare nella danza, ho cercato di stare
, lasciando spazio al sentire ed al movimento autentico
supportato dalla tecnica. La relazione con l’adolescente ed in particolare la relazione di cura, è un’arte assai sottile, simile alla danza per la complessità, l’intensità e la dimensione di sfida. Prendersi cura di un adolescente può essere un lavoro intenso, spossante ed insieme fatto di grazia, eleganza e forte contatto.
Ciò che per me avvicina la danza all’adolescenza è l’irrinunciabilità della relazione; entrambe non esistono se non nell’incontro profondo con se stessi e con l’altro. Non esiste danza o danzatore se non in rapporto, anche solo mentale, con un pubblico
e non esiste adolescente se non all’interno di una relazione con i pari o con l’adulto. La danza appassisce senza un fine relazionale. L’adolescente soccombe o diventa un adulto anzitempo se non ha intorno a sé qualcuno di valido cui rivolgere il proprio interesse o disinteresse.
Danzare con un adolescente per me significa essere in grado di stare con lui/lei in una relazione intensa, godendo e soffrendo della relazione stessa e impegnandosi ogni giorno per renderla migliore con l’obiettivo di perseguire grazia e bellezza.
Danzare con un adolescente significa anche studiare ed esercitarsi con costanza per arrivare all’incontro preparati ed agili.
Torino, 20 ottobre 2018
1 Per approfondimenti circa il modello Analitico Transazionale (AT) rimando ai vari testi specifici citati in bibliografia.
L’approccio teorico: cos’è l’Analisi Transazionale
L’Analisi Transazionale nacque alla fine degli anni Cinquanta negli Stati Uniti ad opera di Eric Berne, medico e psichiatra di grande esperienza.
Come ricorda lo stesso Berne (1964), per Transazione s’intende l’unità del rapporto sociale. Quando una o più persone si incontrano nel momento in cui qualcuno dà segno di essersi reso conto della presenza altrui invia uno stimolo transazionale, la risposta sarà la reazione transazionale. Il prefisso trans indica appunto il concetto di passaggio, di scambio.
L’Analisi Transazionale nella sua espressione più semplice si occupa, quindi, di analizzare le transazioni ovvero gli scambi comunicativi fra le persone.
La teoria di Berne studia ed analizza la comunicazione ed il comportamento mettendoli in relazione con l’esperienza interna della persona.
Secondo l’accezione più ampia l’Analisi Transazionale comporta numerosi aspetti. "In primo luogo, è una filosofia, una concezione dell’uomo. In secondo luogo, è una teoria dello sviluppo della persona, del suo funzionamento intrapsichico e