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Includere è “norma(le)”
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Includere è “norma(le)”
E-book129 pagine1 ora

Includere è “norma(le)”

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Info su questo ebook

Le domande dei bambini a volte ci mettono di fronte a delle riflessioni in modo consapevole e costruttivo. «Una bambina dall’occhio arguto – ci racconta Michele Di Gioia, a conclusione di un anno di insegnamento della cosiddetta “materia alternativa all’insegnamento della religione cattolica” in una scuola primaria – un giorno mi chiese come mai lei e i suoi “amici dell’alternativa” non potevano stare con gli altri. Mi chiedeva perché si doveva uscire dalla classe. Perché non potevano stare lì, insieme a tutti, e dover fare qualcos’altro e farlo fuori. Non è importante la risposta che le diedi. Resta però la domanda. Almeno, a me è rimasta in mente. Ed è quella domanda che mi ha spinto a redigere questo testo. Perché essere fuori, perché dover essere fuori? Che fine aveva fatto, in quel momento, la nostra agognatissima inclusività?». 
Da questa domanda nasce così una serie di riflessioni e proposte sull’inclusività, sulle relazioni e sulla formazione. Perché bisogna uscire fuori? Non si può rimanere dentro con gli altri? Sì, si può rimanere dentro, a patto che anche ciò che viene insegnato “dentro” resti inclusivo. Per la scuola è il tempo di osare, la scuola è una grande risorsa e luogo della democrazia. Lo abbiamo vissuto anche nel periodo della DaD a causa del Covid-19: è a scuola che si impara a vivere nella pluralità e il cambiamento avviene solo attraverso l’ordinarietà, la formazione e un processo di crescita condiviso.

Michele Di Gioia nasce in Puglia, in provincia di Foggia. Dopo il diploma conseguito presso il Liceo Classico di Lucera, compie i suoi studi filosofici a Roma e teologici a Molfetta. Attualmente è docente nella provincia di Monza e della Brianza, mentre frequenta il corso di Specializzazione per le Attività di Sostegno Didattico agli Alunni con Disabilità.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2022
ISBN9788830661097
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    Includere è “norma(le)” - Michele Di Gioia

    cover01.jpg

    Michele Di Gioia

    Includere è norma(le)

    Il futuro presente della materia alternativa

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-5428-0

    I edizione marzo 2022

    Finito di stampare nel mese di marzo 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Includere è norma(le)

    Il futuro presente

    della materia alternativa

    A te,

    che amandomi,

    sei entrata nei miei sogni

    per sognare con me…

    Dimmi di riprovare

    ma non di rinunciare.

    (M. Mengoni)

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima.

    (Trad. Ginevra Bompiani)

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Introduzione

    Non credo potrò mai dimenticare il giorno simpatico in cui mi fu chiesto di insegnare materia alternativa in una scuola primaria: personalmente, un evento di certo particolare. Davvero inaspettato, certamente. Ben presto, però, quella proposta – accettata quasi come una sfida – si è rivelata un’esperienza a dir poco illuminante.

    Poter insegnare ad alcuni bambini di ogni classe mi ha permesso di avere uno sguardo direi trasversale; mi ha concesso una veduta delle cose che mi ha portato poi qui, a scrivere queste pagine. Cosa ho visto? Il mondo. In quelle ore e su quei banchi (senza rotelle, per la cronaca… tranne qualcuno), respirava l’esperienza di piccoli uomini e piccole donne provenienti da diverse parti del globo. Beh, forse loro direttamente no, ma i loro familiari di certo sì. Evidentemente, anche famiglie a noi connazionali chiedono la materia alternativa. La peculiarità è stata poter vedere l’interazione fra le diverse culture, fra i diversi occhi con cui il mondo viene guardato. E di certo, è stato poter vedere il segno che gli eventi (parentali e non) lasciano sulla pelle dei nostri piccoli. La peculiarità è stata poter, poi, parlare con loro un unico linguaggio, uno stesso idioma: quello della nostra umanità, dell’essere umani che ci accomuna e sa poi mettere insieme le diversità.

    Un’esperienza del tutto particolare, non perché la prima in assoluto, chiaramente. Penso a quanti docenti, in un modo o in un altro, sono designati alla materia alternativa, a quelle ore in cui coloro che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica (IRC) devono in qualche modo impiegare il tempo vuoto. Penso a quante volte ci si è dovuti inventare qualcosa per riempirlo quel tempo. Penso soprattutto a quel movimento anti-inclusivo che almeno una volta a settimana alcuni dei nostri alunni compiono: uscire dalla propria aula per fare materia alternativa. La Scuola tenta in ogni modo di adoperarsi per l’inclusività. Ma poi ci sfuggono dettagli, che dettagli non sono affatto. Soprattutto quando si parla di bambini, ragazzi, giovani: a loro – stiamone certi – i dettagli non sfuggono. E non mi riferisco ai dettagli di una lezione, di una spiegazione, di una guerra o di una formula chimica… I dettagli di come li trattiamo: questo, a loro, non sfugge affatto. Inizialmente, anche per me portare i ragazzi della materia alternativa fuori dalla loro aula, fuori dalla loro classe per quel tempo sembrava un’operazione del tutto innocua. E, in sostanza, lo è effettivamente.

    Fino a quando una bimba, dall’occhio arguto, mi chiese come mai lei e i suoi amici dell’alternativa non potevano stare con gli altri. Mi chiedeva perché si doveva uscire dalla classe. Perché non potevano stare lì, insieme a tutti, e dover fare qualcos’altro e farlo fuori. Non è importante la risposta che le diedi. Resta però la domanda. Almeno, a me è rimasta in mente. Ed è quella domanda che mi ha spinto a redigere questo testo. Perché essere fuori, perché dover essere fuori? Che fine aveva fatto, in quel momento, la nostra agognatissima inclusività? No, la questione non è ingigantire un’osservazione del tutto semplice, del tutto spontanea. La domanda, invece, è quanto effettivamente la nostra Scuola è a portata di un messaggio che vuole passare come formativo, come capace cioè di dare una forma non solo agli insegnamenti o all’apprendimento da proporre agli studenti, bensì alla persona stessa che la scuola consegnerà alla società, al termine di tutto il percorso di studi dell’infanzia prima e dell’adolescenza poi.

    Perché bisogna uscire fuori? Non si può rimanere dentro con gli altri?

    Sì, si può rimanere dentro. A patto che anche ciò che viene insegnato dentro resti inclusivo. Ma forse inclusivo non lo è. O non lo è più. Queste pagine – chiariamolo subito – non vogliono in alcun modo porsi come polemiche. Non sono pagine scontrose. Vogliono proporre un dialogo; nessuna imposizione. Il fatto c’è: durante l’ora di religione, degli alunni devono uscire dall’aula per non assistere a quell’insegnamento; peggio, autorizziamo le famiglie ad evitare quell’ora, proponendo l’entrata o l’uscita posticipata. Anche questo è inclusivo? Oppure è esclusivo? Esclusivo, nel senso che esclude chi non vuole avvalersi dell’IRC e nel senso che – in qualche modo – quelle ore sono per alunni esclusivi, che oggettivamente ricevono un di-più che ad altri viene praticamente negato. E il di più non è solamente l’occasione formativa, ma anche il fatto stesso di sentirsi come gli altri nell’entrare con gli altri, nell’uscire insieme agli altri: forse per noi adulti questo non appare qualcosa di rilevante. Ma la Scuola è fatta di dinamiche: e noi veniamo da un tempo losco, in cui queste dinamiche ci sono state negate a motivo della pandemia. La didattica a distanza, lo sappiamo, non ha fatto altro che negarci proprio il contesto formativo della Scuola: e il contesto, in un’ottica realmente formativa, non è un accessorio. Il contesto è parte integrante del messaggio e del percorso. Vivere le stesse cose è condividere momenti, è incontrarsi nelle diverse fattispecie

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