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Nella sua mente
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E-book986 pagine14 ore

Nella sua mente

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Info su questo ebook

Un’organizzazione economico-criminale che, attraverso la manipolazione mentale, opera segretamente per ottenere il controllo di persone potenti e dei loro patrimoni.  Due donne, Clara ed Emma, cadute nella rete dell’organizzazione, che riusciranno dopo una ricerca senza respiro a smascherarne la mente. Una battaglia feroce, per fermarne il folle piano, senza esclusioni di colpi.  Un thriller adrenalinico di luci, ombre e allusioni, sviluppato come una trilogia attraverso un crescendo di tensioni vibranti ed emozioni contrastanti, dove nulla è come appare.
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita21 apr 2023
ISBN9788836162680
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    Anteprima del libro

    Nella sua mente - Rossana Balduzzi

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    Rossana Balduzzi

    Nella sua mente

    romanzo

    Parte I.

    L’antefatto

    Una giornata qualunque

    2009, Milano

    Adoro Milano, pensa la donna, mentre passeggia rilassata per le vie del centro. Chinando leggermente la testa, ammira le sue scarpe preferite, un paio di Mary Jane di Prada in camoscio color tortora: l’alto tacco curvo e i grossi bottoni che fermano i cinturini la affascinano. "Sembrano le scarpe di Dorothy del Mago di Oz. Sono molto eccentriche, ma anche tanto belle, è il tocco che serviva a rallegrare il mio immancabile tubino nero, commenta tra sé e sé. In quella sua ammissione c’è un lato infantile, lo stesso che l’ha spinta ad acquistare anche la versione rossa delle scarpe da lei amate. La cosa la fa sorridere: In fondo, è un bisogno di gratificazione personale al quale tutti in qualche modo cediamo, non si tratta di mera frivolezza. Gli uomini hanno le auto sportive, i fucili da caccia e le mazze da golf. Noi le scarpe, gli abiti e le borse".

    Continuando a ragionare tra sé, prosegue la sua passeggiata solitaria tra le vie trafficate. Arrivata nei pressi di un attraversamento pedonale, ancora sovrappensiero, distrattamente scende dal marciapiede. Il suono potente e inaspettato di un clacson la fa sussultare, bloccandola. «Mi scusi, colpa mia, non l’ho vista», si affretta a dire al conducente dell’auto, accompagnando le parole con un gesto della mano.

    Nel frattempo raggiunge il lato opposto della via e si ferma davanti a un negozio di abbigliamento. Certo che le sanno fare le vetrine, pensa, ammirando il tripudio di colori e di luci che esperti vetrinisti hanno saputo combinare con professionalità. Un tripudio di blu, nel quale spiccano favolosi abiti argento, attira la sua attenzione. Appena ripreso il cammino, si trova faccia a faccia con una ragazza che la sta osservando, sorridendole.

    «Scusi se la importuno, ma sono stata colpita dalle sue bellissime scarpe», esordisce la ragazza appoggiandole una mano sull’avambraccio e proseguendo nel discorso a bassa voce.

    «Come hai detto scusa? Questo traffico è assordante!»

    «Parlavo delle sue scarpe, sono bellissime. Le stavo chiedendo di che marca sono. Non le spiace, vero?»

    Un po’ frastornata dal rumore di fondo, dice: «Ah, le scarpe! Sono di Prada, purtroppo è un modello dell’anno scorso. Le potrai trovare in qualche outlet, credo».

    «Proverò a cercarle. Grazie e mi scusi ancora», risponde la ragazza, allontanandosi e salutandola con la mano. La donna riprende la sua passeggiata e poco dopo si ferma davanti a un altro negozio per guardare la propria immagine riflessa. I lunghi capelli castani svolazzano al vento. Obbedendo a un impulso improvviso, si volta indietro: «Scusa. Ehi, scusami». La ragazza si volta sorridendo.

    «Questa volta tocca a me chiederti un’informazione. Conosci bene la zona?»

    «Direi abbastanza. Ci abito da un po’».

    «Devo aspettare che mi vengano a prendere e mi sono stancata di girare a vuoto. Mi sono appena resa conto di aver bisogno di una messa in piega. Sai dove posso trovare un buon parrucchiere?»

    La ragazza si guarda intorno riflettendo: «Ah certo, c’è il salone che si chiama Look & Life, sono molto bravi. Se vuole l’accompagno, è proprio qui dietro l’angolo».

    Mentre procedono verso il negozio, la ragazza chiede: «Lei non abita in città?»

    Esitando per qualche istante la donna risponde: «No, abito fuori Milano. Non sono molto pratica del centro».

    Arrivate all’incrocio, la ragazza le indica il salone: «Ecco, è laggiù, dove vede l’insegna bianca e nera».

    Il traffico e il rumore della sirena di un’ambulanza coprono in parte le sue parole. Accidenti, non riesco proprio a capire quel che dice. «Ho detto arrivederci, è stato un piacere conoscerla», ripete la ragazza, alzando la voce. E subito dopo: «Oh, ecco il mio autobus, devo scappare». Salita sul mezzo, la ragazza si volta verso di lei e la saluta un’ultima volta agitando la mano.

    Look & Life

    2009, Milano

    Giunta di fronte al negozio si ferma un attimo. Con la mano si tocca la fronte, un fondo di mal di testa le procura un senso di lieve stordimento. Non mi starò ammalando? Spero proprio di no. Forse mi ci vorrebbe un caffè. Mentre valuta indecisa se entrare o recarsi a un bar, il suo sguardo viene catturato dalla curiosa maniglia della porta di ingesso del negozio: due elle sovrapposte di acciaio lucido di cui una totalmente ricoperta di cristalli luccicanti. Appoggia la mano sul monogramma, spinge lentamente e, quasi senza rendersene conto, varca la soglia. Dietro al bancone dell’ingresso una ragazza, un po’ rotondetta ma con un sorriso accattivante, la saluta andandole incontro.

    «Buongiorno, vorrei fare una piega, avete posto?» chiede la donna.

    «Certo, se lo desidera può fermarsi anche subito, oggi è una giornata tranquilla», risponde la ragazza richiudendo la porta.

    «Perfetto, mi fermo senz’altro».

    La receptionist la fa accomodare: «Prego, signora, mi segua al lavatesta. Carla si occuperà di lei. Dia pure a me la giacca».

    Dal fondo del locale spunta una seconda ragazza che la saluta cordialmente. La donna attraversa il negozio, dirigendosi dove le è stato indicato. L’interno è costituito da un lungo corridoio con le postazioni per la messa in piega al centro appaiate frontalmente l’una all’altra e con in mezzo lunghi specchi rettangolari che scendono dal soffitto. La donna avanza, con la sensazione di percorrere un tunnel o il corridoio di un treno in movimento. Distrattamente guarda le poltrone, tutte vuote.

    La parrucchiera l’accoglie cordiale, interrompendo i suoi pensieri: «Benvenuta signora. Si accomodi, prego».

    «Buongiorno. Avevo un po’ di tempo e ho pensato di sistemarmi i capelli. Sono stata dal parrucchiere ieri, in realtà, ma la piega, a quanto pare, non ha tenuto. Spero che lei riesca a fare meglio».

    Carla, sorridendo: «Ci proviamo. Lei di solito usa il balsamo o una crema dopo lo shampoo?»

    «Il balsamo, ma si potrebbe fare anche un impacco ristrutturante. Oggi mi vedo proprio malmessa».

    La giovane inizia a lavarle i capelli e la donna si abbandona al massaggio rilassante. Dalla sua posizione può vedere l’intero salone. Apprezza l’arredo e le modernissime poltrone in pelle rossa delle postazioni per la messa in piega. Le conta e improvvisamente realizza cosa l’aveva colpita: Che strano, è completamente vuoto. Il venerdì pomeriggio, di solito, i parrucchieri sono tutti pieni. Strano. La receptionist l’ha definita una giornata tranquilla, ma mi sembra che abbia usato un eufemismo. Alza gli occhi verso la ragazza alle sue spalle con l’intenzione di chiederle una spiegazione; poi, temendo di sembrare offensiva, decide di soprassedere. Con un senso di disagio, riflette: Che tristezza, un salone così grande senza un cliente. Sarà colpa della crisi. Oppure non saranno molto bravi. O, forse, sono troppo cari. Staremo a vedere.

    Non completamente a suo agio, continua a muoversi sulla sedia, senza trovare una posizione comoda. Un rumore proveniente da una stanza chiusa attira la sua attenzione. Ma cosa stanno combinando? si chiede, ma non nota nulla di strano.

    «Desidera un caffè?» domanda la receptionist, comparsa all’improvviso al suo fianco.

    «Come ha detto? Non ho sentito bene, mi scusi. Pensavo ad altro».

    «Può farle piacere un caffè?»

    «Ma sì, grazie, perché no?» poi tra sé commenta: Che stupida! Se mi metto a vedere complotti intorno a me vuol dire che sono proprio nervosa. Evidentemente, comincio a sentire il bisogno di qualche giorno di vacanza.

    «Ecco il suo caffè. L’ho fatto ristretto, va bene? Se vuole più zucchero me lo dica».

    «Va benissimo, grazie». La bevanda è calda al punto giusto: L’ha già zuccherato, forse un po’ troppo, considera, sorseggiandola. Si abbandona contro lo schienale della poltrona chiudendo gli occhi.

    Mario

    2009, Milano

    A qualche centinaio di metri di distanza, nello stesso momento, un uomo sta uscendo di corsa dalla porta a vetri di un palazzo adibito a uffici. Indossa un abito blu, la giacca aperta svolazza, un po’ per la velocità con cui procede, un po’ a causa del vento che si è alzato all’improvviso. Si guarda intorno sorridendo. È un bell’uomo sulla quarantina, alto, elegante. I capelli, portati un po’ più lunghi del normale e leggermente imbiancati, più per effetto degli impegni quotidiani che degli anni, gli conferiscono un’aria affascinante alla quale le donne sono sensibili, tanto che spesso si girano per guardarlo una seconda volta. L’uomo prende dalla tasca il telefono e compone un numero. Ascolta. L’apparecchio dall’altra parte non è acceso, oppure non prende.

    «Ma dove sei finita?» esclama. Ricompone il numero, mentre continua a guardarsi intorno, cercando nella folla il volto di sua moglie. Prova più volte a richiamare, ma sempre senza esito.

    In quell’istante sopraggiunge un suo collega: «Ehi, ciao Mario, ma che succede? Sembri agitato»

    «Ciao, Paolo. Avevo un appuntamento qui con Emma mezz’ora fa. Ho tardato qualche minuto. Non ho guardato l’ora e il tempo mi è sfuggito. Accidenti. Ora la stavo chiamando al telefono, ma non prende. Non so, sarà qui intorno».

    «Stai tranquillo, non è così facile liberarsi di una moglie!»

    Mario lo saluta distrattamente, mentre tra sé riflette: Però è strano, non è mai successo prima. Di solito arriva in anticipo, perché anche lei detesta farmi aspettare. E il telefono è spento, sarà forse senza batteria, ma è proprio strano. Amore, dove sei finita? Si guarda intorno, non sapendo che fare. Aspetta.

    Davide

    2009, Milano

    La ragazza della reception di Look & Life, prendendo la giacca dal guardaroba, guarda la donna con evidente ammirazione e le dice «È veramente fashion, signora Scardi, con questo nuovo taglio. Ottima scelta. Di gran gusto».

    «Vero? Sono soddisfatta di questo caschetto biondo. Il colore si abbina bene al taglio e viceversa».

    La donna si guarda allo specchio poi, voltandosi verso la ragazza, aggiunge: «Grazie per questa giornata così rilassante. Il tempo è passato senza che me ne accorgessi. Avete visto la mia borsa?»

    «Eccola, gliela porto io», dice Carla dalla zona dei lavatesta, raggiungendola presso l’uscita.

    «Allora, ci vediamo venerdì prossimo, signora Scardi?», chiede la receptionist, aprendole la porta.

    «Sì, certamente. Siete molto brave e sapete ben consigliare». Poi tra sé: Forse un po’ troppo lente, ci ho messo tutto il giorno. Ma sono contenta, rilassata e, comunque, non avevo altro da fare.

    Fuori l’aria è rinfrescata. Stringendosi la giacca al petto, la donna si accorge, con un filo di stupore, che è già sera. Non pensavo di aver fatto tanto tardi; da dentro non si capiva bene se fosse ancora chiaro oppure no.

    Ferma sul marciapiede, colta da un attimo di indecisione, si sente chiamare: «Signora Clara, signora Scardi, sono Davide. Signora, da questa parte». La donna si volta verso il lato da cui proviene la voce. Un uomo alto, grosso e con una folta barba le sta tenendo aperta la portiera di una lussuosa Mercedes nera. Resta ancora immobile per qualche secondo, il leggero mal di testa e il pomeriggio di totale inattività devono averla resa un po’ apatica. Si avvicina alla macchina e sale a bordo. L’uomo le chiude con sollecitudine la portiera e poi, a sua volta, prende posto alla guida dell’auto.

    Mettendo in moto il veicolo, l’autista si volta verso di lei, dicendo: «Andiamo direttamente a casa signora? È quasi ora di cena, Anna avrà già preparato tutto e so che a lei non piace fare tardi».

    Sentendosi affaticata, Clara risponde quasi automaticamente: «Già… non mi piace fare tardi». Poi si accomoda meglio sul sedile, lasciandosi trasportare.

    Anna

    2009, dintorni di Milano

    La cena è stata veloce e frugale, Clara non aveva molto appetito e la torta di mele, alla quale, secondo quanto affermato da Anna, lei non avrebbe mai saputo resistere, le aveva fatto venire un leggero senso di nausea. Temo, mia cara Anna, che le mele non mi piacciano più, aveva pensato, dopo averne assaggiato un boccone.

    Anna, accompagnandola in camera da letto, aveva espresso la sua preoccupazione per l’evidente spossatezza mostrata da Clara: «Speriamo che non le venga l’influenza, signora. Ho sentito che è in arrivo una seconda ondata».

    «Mi auguro sia solo stanchezza», aveva risposto la donna. Ora, rimasta sola, in piedi al centro della sua camera da letto, si sta passando la mano sulla fronte, in realtà più per cercare di schiarire i propri pensieri che non per accertare un’eventuale febbre.

    La stanza è molto bella e piacevolmente riscaldata grazie al fatto che qualcuno ha preventivamente acceso il camino. Anche se la primavera è inoltrata, il tempo non si è ancora ben stabilizzato e la serata risulta piuttosto fredda. Si toglie le scarpe, le piace sentire il contatto diretto con il legno del pavimento. Il basso letto, modernissimo, rivestito in tessuto capitonné color seppia, ha un aspetto invitante. Clara si avvicina e solleva i cuscini in cerca della sua camicia da notte. Non la trova. Qualcuno bussa e, senza aspettare che lei risponda, apre la porta della stanza. Entra Anna: la figura esile, gli intensi occhi scuri e i lunghi capelli neri raccolti in un grande chignon.

    «Desidera qualcosa, signora, prima di dormire?»

    «Ah! Anna, sei tu. Sai, non trovo la mia camicia da notte».

    «È appesa nel bagno, come sempre, signora. Gliela prendo?»

    «No grazie, lascia stare, non so dove ho la testa. Piuttosto, ha chiamato mio marito che tu sappia? Arriva sempre tardi la sera, ma adesso inizio a preoccuparmi. Tra l’altro non trovo neppure il mio cellulare, forse l’ho dimenticato dal parrucchiere».

    Anna distoglie per un attimo lo sguardo e lo punta sul pavimento, improvvisamente imbarazzata.

    «Signora, il dottor Scardi non è più con noi da tempo ormai. Mi spiace. Se posso fare qualcosa per aiutarla … ma non si preoccupi, se non riesce ancora a ricordare. Ha subito un forte trauma, chiunque al posto suo sarebbe disorientato».

    Clara si blocca all’entrata del bagno. Solleva lo sguardo e fissa la sua immagine nello specchio per qualche secondo, immobile. Poi, abbassando la testa, fa un cenno con la mano ad Anna e sempre senza voltarsi chiude dietro di sé la porta, chiedendosi come sia possibile non ricordare.

    Scuotendo la testa, Anna arretra lentamente ed esce.

    Bertoli

    2009, Monza

    In città il traffico si è ridotto da un po’. L’ora tarda e il clima ancora troppo fresco non invitano la gente a uscire. Mario ed Enrico, il figlio sedicenne, sono a bordo della loro Audi A8, tra i pochi a percorrere le strade cittadine. Entrambi scrutano i marciapiedi, in preda a una preoccupazione crescente.

    «Papà, sei sicuro di non aver litigato con la mamma? Le hai detto qualcosa che possa averla offesa?», chiede Enrico, senza distogliere lo sguardo dalla strada.

    «Ma no, assolutamente. Ci siamo salutati con un bacio, come al solito. Poi sono salito nell’ufficio del mio collega. Lei mi ha detto che si faceva un giro per la città. Ho tardato mezz’ora, ma è già successo altre volte e lei mi ha sempre aspettato sotto l’ufficio tranquillamente. Tanto sapeva perfettamente dov’ero».

    Poi, notando Enrico armeggiare con i comandi del climatizzatore, gli dice: «Mi fermo un attimo se vuoi che cambi le impostazioni della temperatura».

    «No, lascia perdere, è solo una reazione nervosa. In realtà sto benissimo, non ho né caldo né freddo, sono solo in pensiero per la mamma».

    Dopo un attimo di silenzio, prosegue: «Stava bene, ti sembrava stanca? Oppure ti ha detto che avrebbe visto qualcuno?»

    Il viso di Mario si contrae, poi risponde: «No, niente di tutto questo». Mario scuote la testa, Enrico l’appoggia al finestrino. Il vetro freddo sembra pungergli la fronte con l’intensità di decine di aghi ghiacciati.

    Di colpo si volta verso il padre per dirgli: «Andiamo alla polizia. Le deve essere successo qualcosa di grave».

    Mario si volta verso il figlio e lo fissa per un attimo negli occhi mentre i suoi si riempiono di lacrime. Stringendo con forza il volante, accosta per fare inversione di marcia. Poi, a velocità sostenuta, partono alla volta della centrale. Un’aria calda e un po’ viziata li accoglie al loro ingresso in questura. La tranquillità dell’esterno lascia il posto a un sommesso vociare. Alcune persone passeggiano nell’attesa, altre sono sedute con lo sguardo fisso davanti a sé, altre ancora continuano imperterrite un litigio cominciato chissà dove e chissà quando. In mezzo a quella folla, Mario e il figlio scorgono un agente e subito gli si avvicinano.

    «Mi scusi, devo denunciare la scomparsa di mia moglie…»

    Il poliziotto non gli lascia finire: «Faccia la cortesia, si accomodi laggiù. La chiamiamo noi quando il collega di turno sarà libero».

    Disarmati dal suo tono imperativo e troppo stanchi per replicare, i due obbediscono passivamente. Un senso di smarrimento li avvolge e per scacciarlo si abbracciano forte. Forse per non sentirsi soli e comunque per cercare di darsi una forza che nessuno dei due possiede. Restano così, in silenzio, per alcuni minuti, poi Mario si allontana, prende il cellulare e riprova a chiamare la moglie.

    Ancora staccato.

    Finalmente li raggiunge un poliziotto: «Buona sera, sono l’ispettore Bertoli. Prego, seguitemi».

    L’uomo li conduce all’interno di alcuni corridoi fino a un’angusta stanza strapiena di documenti sparsi ovunque. Speriamo che non siano tutti casi irrisolti, pensa Enrico, guardandosi intorno con la disapprovazione che gli proviene dalla precisione che lo contraddistingue.

    «Sedetevi qui e ditemi di che cosa si tratta», dice l’ispettore, indicando loro due vecchie sedie di legno un po’ scrostate.

    Mario, incurante di tutto ciò che lo circonda, inizia immediatamente a raccontare: «Oggi pomeriggio mia moglie mi ha accompagnato a un appuntamento di lavoro».

    Il poliziotto lo interrompe subito: «È la prima volta che succede?»

    «No, capita spesso che lei mi accompagni. Mentre io sono dal mio cliente lei va a farsi un giro. Di solito ci diamo appuntamento dopo un’ora o due, oppure la chiamo io appena ho finito. Oggi le avevo detto che ne avrei avuto al massimo per un’ora, quindi ci siamo lasciati alle dieci dandoci appuntamento per le undici, davanti al palazzo dove ha l’ufficio il mio cliente. Purtroppo ho tardato di quasi mezz’ora, ma è già successo altre volte e comunque l’ho sempre trovata lì ad aspettarmi».

    «Lei che lavoro fa? Qualcuno potrebbe…» stavolta tocca al poliziotto venire interrotto.

    «Sono avvocato. Vuole sapere se posso avere dei nemici? Le posso rispondere tranquillamente di no, almeno che io sappia. Nemmeno mia moglie. Lei non lavora, si occupa dei figli. Ha delle amiche che le vogliono bene. Nessuno che possa volerle fare del male».

    «Riprendiamo il racconto dei fatti. Finito il suo appuntamento che cosa è successo?»

    «Sono sceso in strada, sicuro di trovarla già là ad aspettarmi, visto che di solito arriva in anticipo agli appuntamenti. Ma non c’era».

    «Allora che ha fatto?» Mario si agita sulla sedia. Tutte queste interruzioni lo stanno innervosendo. Il poliziotto, inoltre, continua a scarabocchiare disegni su un foglio, inducendolo a credere di non essere preso sul serio.

    «L’ho cercata invano nei dintorni e ho provato a chiamarla sul cellulare, ma non era rintracciabile. Poi ho chiamato a casa, ma nessuno ha risposto. Allora ho aspettato davanti all’ufficio del mio cliente per più di un’ora, senza risultato. Non so proprio dire che cosa possa esserle successo».

    Mario guarda il poliziotto e poi il figlio. L’ispettore solleva lo sguardo e lo fissa negli occhi di Mario. «Devo chiederle se andavate d’accordo, se avevate litigato, se la signora era malata, se aveva una amicizia particolare».

    «No, niente di tutto questo. Io e mia moglie, grazie a Dio, siamo sempre stati sereni e in salute. Quanto al resto… Emma non è il tipo».

    Il poliziotto, alzandosi dalla sedia, si accomiata: «Ok, vi mando il mio collega. Dovrete dargli tutti i dati della persona scomparsa, insieme a una sua descrizione. Avete una fotografia?»

    «Non qui, ma ve la invio subito per e-mail».

    Enrico, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, interviene: «Papà, ne ho una io sul cellulare. Posso inviargliela subito, ispettore, se mi dà il suo indirizzo mail».

    RL International Bank

    2009, Milano

    Clara gira per la casa, non sapendo decidere che fare. Si sente annoiata e svogliata. Si guarda intorno. Il salotto è pieno di luce, i moderni divani bianchi in pelle spiccano sul tappeto bordeaux. Nota che si tratta della trasposizione cromatica di un dipinto allegorico al centro del soffitto. Niente la soddisfa oggi. A partire dagli arredi, cambierebbe tutto. Guardando dalla finestra ammira il giardino: è di un verde che incanta e pieno di fiori. La giornata è luminosa. Ma il momento di serenità indotto da quella vista viene interrotto dalla comparsa improvvisa di Anna che, come sempre, pur bussando, entra senza attendere risposta. Oggi porta i capelli raccolti in una lunga coda.

    «Signora, l’autista l’aspetta di sotto. Alle 16 ha appuntamento con il direttore della banca, alle 17 con il dottor De Nicola e alle 18 la lezione di yoga».

    Clara la guarda e sorride assaporando la vitalità che le induce quella molteplicità di impegni. «E io che temevo di non avere niente da fare. Vado a prendere la borsetta».

    «La sacca per lo yoga è già in macchina. Sarà una lezione individuale come lei desiderava», la informa la donna, spostandosi dalla porta per lasciarla uscire, e aggiunge: «Tra l’altro, è una fortuna che la palestra Namaste si trovi proprio accanto allo studio del dottor De Nicola».

    «Buona giornata, signora. Per questa sera desidera la torta di mele?»

    «Che ne dici di una torta al cioccolato invece? A più tardi», conclude Clara sistemandosi i capelli con le mani, mentre si allontana.

    Davide, l’autista, non è tipo di molte parole. Durante il tragitto per raggiungere la RL International Bank, Clara, rinfrancata dai tanti impegni della giornata, ha invano tentato di iniziare una conversazione decente con lui. Le risposte sono sempre risultate monosillabi. Ora, seduta nell’ufficio del direttore, si guarda intorno e tamburella con le dita sulla scrivania. Aspetta. Dal corridoio giungono delle voci; poi la porta si apre e compare un distinto signore di circa cinquant’anni, non caratterizzato da una bellezza canonica, ma con un viso interessante e uno sguardo decisamente vivace e intelligente.

    «Signora Scardi, che piacere rivederla. Si è ripresa dal suo recente malessere?», le dice avvicinandosi e guardandola intensamente negli occhi, prima di baciarle la mano.

    «Sì, sì, grazie. Tanto è vero che non ricordo di averlo avuto». Poi tra sé: Non capisco se sei il solito banale cascamorto o se ti stai realmente interessando alla mia salute.

    Nel dubbio, Clara ritrae la mano con un senso di fastidio. «Perché mi trovo qui?»

    «È stato il suo commercialista, il dottor Varosi: ci ha indicato una serie di investimenti che lei dovrebbe sottoscrivere».

    Clara fissa intensamente l’uomo ancor più infastidita, non sa bene da cosa. Più che altro è la situazione a innervosirla, non si sente a suo agio a parlare di finanza e le scoccia non sapere di cosa si stia trattando.

    «Qualcosa non va? Mi è stato detto che aveva deciso di non occuparsi più dei suoi affari in prima persona, dopo l’incidente occorso a suo marito ma, se ha cambiato idea, aspetterò che riveda tutta la sua situazione finanziaria con il dottor Varosi. Signora? Mi ha ascoltato? Deve solo mettere qualche firma, ma non vorrei importunarla».

    Clara, nel vano tentativo di ricordare il volto di Varosi, si distrae momentaneamente. Nulla le sovviene. «No, no, è meglio così», risponde subito dopo, riprendendosi dal momentaneo estraniamento. «È sempre stato mio marito a gestire le nostre finanze. Mi dia le carte».

    Il direttore le avvicina i fogli da firmare, in parte sollevato, in parte titubante. Sono state rare le occasioni in passato in cui aveva potuto avvicinare Clara Scardi. Ne aveva sempre riportato l’impressione di una donna determinata e anche abbastanza ferrata in questioni economiche. La donna che ha davanti ora sembra fragile: Non va proprio bene, poveretta, le vicissitudini hanno lasciato in lei un segno evidente, riflette mentre la osserva prendere la penna sul tavolo e cominciare a firmare. D’un tratto la donna si blocca alzando di scatto la testa. Lo sguardo addolorato con cui l’uomo la sta osservando la tocca nel profondo.

    «Perché il dottor Varosi non è qui?», chiede con voce esitante.

    «È partito per l’Argentina. Deve controllare i conti della vostra azienda. Mi ha anticipato che starà via tre mesi».

    Clara lo guarda dritto negli occhi prima di riprendere a firmare.

    De Nicola

    2009, Milano

    L’ascensore del palazzo dove ha sede lo studio del dottor De Nicola profuma di gelsomini. Clara esce dalla cabina e capisce immediatamente il perché: il pianerottolo del quarto piano si affaccia su un terrazzo completamente invaso dalla bellissima pianta. La vetrata aperta diffonde il profumo per tutto il giro di scale. Nell’atrio, sul muro di fronte all’ascensore, campeggiano quattro grosse targhe di ottone. Individuata quella che indica lo studio di De Nicola, la donna si avvia al suo secondo appuntamento. La scritta psichiatra la colpisce per un attimo: In effetti, non posso proprio dire di sentirmi in forma e, in verità, neanche lucida: non ricordavo neppure di avere fissato l’incontro con il dottore.

    Suona. La porta si apre. Entra.

    Una segretaria con l’aria lievemente turbata la accoglie. «Signora Scardi, ben arrivata. È un po’ in ritardo, ci eravamo preoccupati. Abbiamo appena telefonato a casa sua».

    «Sto benissimo, perché preoccuparsi tanto?» ribatte Clara guardando l’orologio: neanche dieci minuti di ritardo, un’inezia. «Il traffico non perdona, dovreste saperlo. Comunque potevate chiamare me sul cellulare, ma forse l’avete fatto e…»

    cerca invano nella borsa il cellulare. Devo averlo dimenticato in camera da letto, conclude senza darsi troppo pensiero.

    Lo studio del dottore è in totale penombra. L’uomo è seduto dietro la scrivania. E là resta anche una volta che Clara è entrata.

    Senza staccare lo sguardo dal computer, le dice: «Si accomodi, signora Scardi. Sarò subito da lei».

    Clara si siede sulla sedia di fronte alla scrivania. Il dottore continua a leggere dei documenti. Quando infine, l’uomo alza lo sguardo su di lei, le dice: «Mi scusi signora, eccomi a lei. Le spiace spostarsi sul lettino?»

    «Certamente», risponde Clara, obbediente. La sensazione di stanchezza che avverte da qualche giorno è sempre presente. Per un attimo la donna chiude gli occhi. Li riapre di scatto e vede il dottore in piedi accanto a lei che la osserva.

    «Non l’ho sentita avvicinarsi, mi ha spaventata».

    «Mi spiace, non era mia intenzione», risponde il medico. Tentando un approccio scherzoso, prosegue: «Dovrebbe essere una seduta che serve a ritrovare la sua serenità; non ho iniziato bene allora».

    La donna sorride, iniziando a sentirsi più a suo agio. «Si rilassi ora. Cominci a riferirmi, con calma, le sue impressioni sulla giornata odierna». Il dottore si siede su una poltroncina accanto a lei.

    «In verità, dottore, non ho fatto grandi cose. Mi sento spesso confusa, come se vivessi in un mondo che non mi appartiene. Non ho voglia di vedere nessuno e sempre più spesso sto bene solo con me stessa. Posso passare lunghi periodi da sola senza provare il bisogno di incontrare qualcuno».

    «Bene, ciò che mi riferisce indica che le nostre sedute stanno dando i loro frutti: sta riprendendo il controllo di sé e inizia a lasciarsi il dolore alle spalle. Si può dire che sta metabolizzando la perdita di suo marito. Suona un po’ cinico, lo so, ma è un grande passo avanti, mi creda».

    La donna si passa la mano sulla fronte, pensierosa: «Solo che, ogni tanto, mi prende una sensazione di vuoto: è come se mi mancasse una parte di me stessa e mi sento improvvisamente scivolare in un pozzo nero e profondo. A lei posso chiederlo dottore, senza paura di sembrare pazza: da quanto mio marito se n’è andato? Mi pare di averlo saputo ieri. E mi sembra incredibile di non aver serbato alcun ricordo della mia vita prima della tragedia. Questo non contrasta con quanto ha appena affermato?»

    Il dottore si alza, avvicinandosi a lei. Guarda Clara dall’alto, sovrastandola. «Le sue sensazioni sono ancora un po’ confuse. Avrà bisogno di questi nostri incontri ancora per lungo tempo. Ora si rilassi e continuiamo la seduta», le risponde il dottore rivolgendosi a lei con un tono e una cadenza che le inducono una piacevole sensazione.

    Casa Valadier

    2009, Monza

    Mario si trova nella camera da letto, quella sua e di Emma. Non ci ha più dormito da quando sua moglie è scomparsa.

    Il grande letto a baldacchino è intatto, perfettamente rifatto e senza la minima piega sul copriletto, come lo aveva lasciato lei l’ultima volta. È un letto un po’ troppo grande per la stanza, ma a lei è sempre piaciuto così. Apre i cassetti di Emma, cerca nelle sue borse, nelle tasche di giacche e cappotti.

    Entra Enrico: «Papà, trovato niente?»

    «Niente, tua madre era… ma che dico! È una persona abitudinaria, senza grilli per la testa, frequenta da sempre le stesse persone e se ne conosce di nuove me lo racconta subito e me le descrive perfettamente, affinché io possa visualizzarle. Non ha segreti».

    Enrico, guardandosi intorno e vedendo la stanza tutta sottosopra: «Non riesco a toccare le sue cose, mi prende una specie di sensazione di angoscia».

    Mario annuisce tristemente.

    «Scusa papà. Ho telefonato alle sue amiche, a nessuna ha detto qualcosa che possa esserci utile, nemmeno alla zia Elena. Lei dice che non la sentiva da giorni». Enrico si avvina alla porta per uscire.

    «Guarda qui», esclama Mario «ha ancora in tasca il dépliant della mostra di Dalì che abbiamo visto tutti insieme. Saranno ormai cinque anni fa. Sopra ci ha scritto: una giornata speciale».

    Per un attimo si perde nel ricordo di quella giornata, poi conclude: «Non è un tipo da colpi di testa, decisamente».

    Mario inizia a piangere ed Enrico deve allontanarsi per non fare altrettanto, l’ansia per ciò che sta accadendo a tutti loro è troppo forte.

    «E questa cos’è?», esclama ora Mario tenendo in mano un foglietto.

    «Una ricevuta di un pranzo, per due. No, per tre persone. Il nome del ristorante non mi dice niente, non lo conosco».

    Enrico rientra, incuriosito dalle parole del padre. Accostandosi a lui chiede: «La data qual è?»

    «Il 3 marzo, l’altro ieri. Fammi pensare», risponde Mario rigirando in continuazione il foglietto tra le mani, nella speranza di trovarvi ulteriori indizi.

    «Io ero dalla nonna con Edo, sono stato là tutto il giorno, poi siamo tornati alle otto per cena. Non l’ho sentita in tutto il giorno, ora che ci penso».

    «A me ha detto che sarebbe rimasta a casa e la sera non mi ha raccontato nulla della giornata, non è da lei. L’avevo notato anche allora, era stranamente taciturna. Bisogna richiamare le sue amiche, era con loro senz’altro. Dividiamoci le chiamate».

    Si alzano. Mario prende la rubrica dei numeri e iniziano a telefonare. La stanza si anima improvvisamente, riempita dai suoni delle loro voci speranzose.

    Alla stazione di polizia

    2009, Monza

    Il quartiere che ospita la stazione di polizia dove lavora l’ispettore Bertoli è noto ai più per la particolarità di essere immerso nel verde. L’ingresso principale della centrale si affaccia su un viale a doppio scorrimento contornato da filari di alberi. Anche il parcheggio riservato ai poliziotti che sta sul retro della struttura è immerso in un giardino fiorito, nel quale grandi alberi dalle fronde verdeggianti garantiscono un naturale riparo dal sole alle auto parcheggiate. L’ufficio di Bocchio, il collega che normalmente affianca Bertoli nello svolgimento delle indagini, si affaccia proprio su questo rigoglioso panorama.

    Oggi il sole è caldo già dalle prime ore del mattino. Per tale motivo, l’uomo ha lasciato la finestra del suo ufficio aperta così da fare circolare un po’ d’aria e far entrare il profumo delle piante in piena fioritura. Bocchio è seduto alla scrivania con la cornetta del telefono ancora in mano. Dopo avere raccolto in una cartellina una serie di fogli sparsi un po’ ovunque e indossato la giacca che teneva appoggiata sulla sua sedia, esce dalla stanza.

    «Qualcuno ha visto Bertoli? Ehi! Ciao, tutto ok? Hai visto Bertoli?», domanda, dapprima indistintamente e poi rivolgendosi a un collega che incrocia in corridoio.

    «No, non si è ancora manifestato questa mattina», risponde questi ironico, sbirciando la cartellina che Bocchio tiene in mano su cui campeggia la scritta Emma Valadier in pennarello nero. Sono passati tre giorni dalla sua scomparsa e ancora non ci sono indizi utili, tranne forse quello che gli ha appena riferito al telefono il marito, l’avvocato Mario Valadier. Bocchio esce dall’accesso principale e si ferma in cima alla scalinata.

    La città è grande, ma ogni quartiere pare davvero un borgo a sé stante, osserva il poliziotto mentre, come di consueto, a quell’ora la signora Maria porta a spasso il cane e i signori Romano fanno jogging. Ma quel giorno è anche l’ora in cui Bertoli parcheggia la macchina, in palese divieto di sosta, davanti alla scalinata della centrale. In quello stesso istante, infatti, la Delta grigia dell’ispettore accosta al marciapiede.

    «Ehi Bertoli, finalmente! Da dove arrivi? Hai novità sul caso Valadier? Ho appena sentito il marito, è sempre più sconvolto, poveretto».

    «Ciao Bocchio. Ho chiesto notizie e ho mostrato la foto della signora in tutti i negozi, ristoranti, bar del quartiere nel quale è stata vista l’ultima volta, ma niente, un buco nell’acqua. Nessuno la ricorda o l’ha notata. Non è poi tanto strano se ci pensi: ogni giorno, in centro, passano migliaia di persone. E le signore belle ed eleganti lì sono numerose».

    «Io ho parlato con un tale Paolo, amico del marito, che mi ha confermato che quel giorno l’avvocato la stava attendendo e che ha tentato di contattarla al cellulare. Gli è sembrato agitato. Mi chiedo se non abbiano davvero litigato».

    Interrompendosi per un attimo, Bocchio apre la cartellina che tiene in mano e scorre con lo sguardo gli appunti all’interno. «Forse c’è una novità: questa mattina ha chiamato il marito dicendo che ha trovato, dentro una borsa della moglie, una ricevuta di un ristorante. Pare che lei ci sia stata cinque giorni fa, ma che non lo abbia detto a nessuno».

    I due uomini si scambiano uno sguardo di sorpresa, poi Bertoli, il più cinico dei due, ha un sogghigno. Bocchio lo precede di un soffio: «L’ho pensato subito anch’io: c’è sotto qualcosa, forse un altro uomo. Però è strano perché i coperti risultano tre, non due. Il marito dice che nessuna amica ne sa niente. Neppure la sorella di lei. Stavo andando là, al ristorante. Vieni anche tu?»

    «Ok, però guido io. Vorrei arrivare prima di domani».

    «Non so se ce la facciamo con la tua macchina», replica Bocchio ridendo, mentre si dirigono verso la Delta di Bertoli. Poi salgono in macchina e si allontanano.

    Varosi

    2009, Milano

    La RL International Bank è proprietaria di un intero palazzo nel centro di Milano. Si tratta di un edificio risalente al diciannovesimo secolo, il cui aspetto ricalca in modo fedele quello dell’Opera di Parigi, cupola centrale compresa. Ovviamente, le dimensioni sono notevolmente ridotte rispetto all’originale ma, nel complesso, l’effetto finale è di grande imponenza. All’interno l’impronta di stile neoclassico risulta mitigata da un arredamento modernissimo, composto da pochi pezzi di grande design, scelti con cura. L’ufficio del direttore si trova al primo piano, in corrispondenza delle tre grandi finestre centrali della facciata.

    Lì, seduto alla sua scrivania, Cesare Gomez sta leggendo una serie di rendiconti quando il telefono inizia a suonare.

    «Sì, Magda? Bene, me lo passi. Buonasera, dottor Varosi. Come sta? Come vanno le cose in Sud America?»

    Dall’altra parte del mondo giunge una voce roca, poco incline alla cortesia: «Ho ricevuto copia degli incartamenti firmati dalla signora Scardi. So che è andato tutto bene, la signora non ha fatto domande, né lei gliene ha suggerite, così come da istruzioni».

    «Sì, mi pare che sia andato tutto come previsto», conferma l’uomo con una leggera titubanza, colpito come ogni volta dalla totale assenza di convenevoli del suo interlocutore.

    «Resta inteso che si procederà sempre in tale modo. La signora non va affaticata con inutili rendiconti, quindi cerchi di non tediarla e anche di non stimolarne la curiosità per gli affari, potrebbe avere ricadute sul suo umore e desideriamo solo la sua tranquillità. Le faccia pervenire, entro oggi, carta di credito e bancomat. A presto», conclude Varosi.

    Dopo di che dalla cornetta arriva soltanto il suono della comunicazione terminata. Il direttore abbassa il telefono e si volta a guardare verso la finestra. Poi esce e si dirige verso la parte dell’edificio che ama di più, quella dove si rifugia spesso per riflettere: il terrazzo sul tetto.

    Qualcosa lo turba da qualche giorno. Sa perfettamente che Varosi sta approfittando della vedova Scardi. La donna ha subito un brutto colpo e non si è più ripresa dopo la scomparsa del marito. Il coniuge è svanito nel vero senso della parola: si presume che sia morto, anche se l’auto a bordo della quale viaggiava, quando venne recuperata dal lago in cui si era inabissata, fu trovata vuota. Il corpo dell’uomo e quello del suo autista non sono mai stati ritrovati.

    Le circostanze misteriose riguardanti la morte del signor Scardi… quegli idioti di poliziotti che non sono stati in grado di recuperarne il corpo… l’avidità di Varosi. Tutto ciò la sta mettendo veramente alla prova, poveretta! E vederla così indifesa suscita in me, dopo tanto tempo, un sentimento di compassione. Ma, al diavolo! Se la caverà anche lei, come ho dovuto fare io… la sua situazione non è un mio problema. C’è del marcio in tutto, ormai. Da quando Miriam mi ha lasciato per quel maledetto chitarrista… Intorno a me, ormai, ho soltanto fango e nulla più.

    Perso nei suoi ricordi, si appoggia alla balaustra del terrazzo. E rivede il volto di Clara Scardi, sicuro di avere scorto riflesso nei suoi occhi lo stesso smarrimento di fronte alla vita che da tempo riempie i suoi.

    Al Belle Vue

    2009, Monza

    Dopo un continuo scambio di battute sulla guida dell’uno e dell’altro, i due poliziotti arrivano a destinazione. Bertoli parcheggia l’auto di traverso sul marciapiede, proprio di fronte al ristorante Belle Vue.

    «Più che davanti, direi che ti piace parcheggiare dentro i ristoranti», lo canzona Bocchio che, subito dopo, commenta: «Belle Vue: strano nome da dare a un ristorante che si trova in pieno centro città e in una via trafficata come questa. Dove sarebbe la bella vista?»

    Bertoli, guardandosi riflesso nella vetrina del locale, gli replica prontamente: «Eccola qui, il nome è stato pensato proprio in previsione del mio arrivo».

    «Ma smettila, beota. Forza entriamo. Comunque, meno male che tu sai guidare: se non tiravo fuori la sirena saremmo ancora nelle vicinanze della centrale».

    Bertoli, sentendosi punto nel vivo, si accaparra l’ultima parola: «Hai finito? Non posso mica sorpassare sempre e poi, guarda, sta aprendo ora. Arrivare prima sarebbe stato inutile».

    Entrano, si guardano intorno e vedono un uomo che sta allestendo i tavoli. «Buongiorno. Sovrintendente Bocchio e ispettore Bertoli».

    L’uomo alza la testa e, senza porgere a sua volta la mano ai due poliziotti, risponde: «Piacere, che posso fare per voi? Mi devo spaventare?»

    «No, almeno per ora. Stiamo indagando sulla scomparsa di una signora che pare sia stata nel suo locale il 3 marzo».

    Bocchio prende la foto di Emma Valadier dalla cartellina e la mostra al ristoratore: «Ecco, è questa la donna di cui stiamo parlando».

    Il ristoratore prende la foto e la osserva, poi propone: «La faccio vedere a mia moglie, perché io non ricordo. Posso?»

    Bertoli, spostandosi per lasciarlo passare, acconsente prontamente: «Prego, la seguiamo».

    Si avvicinano a un piccolo ufficio posto sul fondo del locale: attraverso la parete in vetro a quadrotti si intravede una donna seduta a una scrivania. Entrano.

    «Elisa, ci sono due poliziotti che vogliono sapere se questa signora è stata nel nostro ristorante. È scomparsa da qualche giorno».

    Le porge la foto. «Buongiorno. Fai vedere. Sì, mi pare qualche giorno fa. L’ho notata perché aveva un bel paio di scarpe rosse».

    «Non è il particolare che più ci interessa» esclama Bertoli, alzando gli occhi al cielo, «vorremmo invece sapere se era da sola o no».

    «No, era con un uomo, parlavano fitto fitto e lei era arrabbiata, poi verso la fine del pranzo li ha raggiunti una donna che ha mangiato solo il dolce. Mi pare piangesse o comunque fosse triste».

    «Com’era questa donna? E l’uomo saprebbe descrivermelo, tralasciando i dettagli sulle scarpe?» Elisa, facendo una mezza smorfia, esegue: «La donna era bionda, con i capelli corti, alta 1.70 circa, molto ben vestita, l’uomo era…»

    Guardando il marito Elisa sorride, poi continua: «Molto bello, non giovane, poteva avere circa cinquant’anni. Brizzolato, occhi azzurri, alto, ben piazzato e ben vestito».

    «Lo hai guardato un po’ troppo bene, sai anche il colore delle calze che indossava?»

    «Faccio io le domande», lo apostrofa Bertoli, per nulla incline a uno scherzo di cui non sia l’autore. Poi, rivolgendosi alla donna, continua: «Per quanto tempo sono rimasti? Sono andati via insieme?»

    «Il tempo di un pranzo, un’ora circa. La signora bionda è uscita per prima, mentre la signora che state cercando ha lasciato il locale, qualche minuto dopo, insieme al suo accompagnatore».

    «Grazie, signora. Le manderemo un tecnico disegnatore per l’identikit dell’uomo e della donna. Per ora basta così. Andiamo, arrivederci».

    «Arrivederci. Comunque le scarpe rosse erano davvero belle!»

    «Ok!» esclama Bertoli, sempre più insofferente.

    I due uomini si avvicinano all’auto. Un vigile sta controllando i contrassegni della polizia esposti sul cruscotto.

    «Ispettore Bertoli, sempre lei, dovevo immaginarlo. Non mi dica che si tratta di nuovo di una questione di vita o di morte».

    «Purtroppo, mio caro municipale, si tratta proprio di questo».

    «I casi più difficili capitano sempre a lei. È l’urgenza delle operazioni che le impedisce di parcheggiare decentemente?»

    «Che vuoi, sono il migliore». Bertoli e Bocchio salgono contemporaneamente in macchina. Si guardano. Bertoli è il primo a parlare.

    «Corna? La solita storia? La moglie perfetta, un po’ annoiata, che cerca il brivido per rendere più interessante la sua vita?»

    «Può essere, ma la donna bionda che cosa c’entra? Un ménage à trois è un po’ troppo, non ci credo».

    «Chiama subito in centrale, che mandino un tecnico per gli identikit, senza di quelli non possiamo supporre altro».

    Bertoli mette in moto e partono. Bocchio prende il cellulare e compone il numero dell’ufficio.

    Villa Scardi

    2009, Monza

    L’acqua della doccia scivola sul corpo di Clara, lavando via la stanchezza che una notte insonne non ha potuto eliminare. I tranquillanti e il sonnifero che le ha prescritto il dottore sono ancora sulla mensola in marmo del bagno, inutilizzati. Uscita dalla doccia, Clara indossa un soffice accappatoio di spugna blu, in tinta con il colore dominante del bagno. Il contatto con il morbido tessuto la rilassa e si abbandona a quella piacevole sensazione stendendosi ancora un po’ sul letto. Non prima però di avere prudentemente gettato nel water le pastiglie che avrebbe dovuto assumere. È convinta che i farmaci vadano presi solo in caso di reale bisogno, ma non è riuscita a far sì che Anna condivida la bontà della sua idea. La cameriera infatti, preoccupata per il suo stato psicofisico, controlla tutte le mattine che lei abbia regolarmente assunto le medicine prescrittele, quasi alterandosi nella sola occasione in cui aveva rilevato che ciò non era avvenuto. La cosa stava prendendo una piega antipatica, per cui Clara ha deciso di portare avanti questo piccolo inganno in modo tale da evitare ulteriori discussioni.

    Si siede sul letto. Improvvisamente sente il desiderio di uscire da casa: ha voglia di fare qualcosa, di svagarsi un po’. Lesta si toglie l’accappatoio che abbandona sul letto ed entra nella stanza-guardaroba annessa alla sua camera. Poco dopo è pronta per uscire, avendo indossato un completo nero e una camicetta bianca. Cercando la borsetta verde che aveva usato il giorno prima, il suo sguardo cade su una fotografia del marito, custodita in una moderna cornice d’argento posta sul tavolo. La avvicina per osservarla meglio.

    «La cosa più terribile è che non ti ricordo più, mi sembra quasi di non averti mai conosciuto, non ho memoria di un gesto, di un momento, di un episodio o di una risata condivisa. Niente, ho perso tutto quello che avevo di più caro». Scuote la testa. Resta ferma in piedi, persa in tali pensieri.

    Poi qualcuno bussa alla porta ed entra.

    «Buongiorno, signora. Non ha fatto colazione? Si sente bene?»

    «Sì, grazie, Anna. Oggi vorrei andare dal parrucchiere, prendermi cura di me stessa. Magari mi aiuta a sollevarmi un po’ il morale. Puoi telefonare, per piacere?»

    La domestica, che ogni volta dimostra di non amare i cambi di programma improvvisi, risponde: «Oggi è martedì. Lei ha il suo appuntamento il venerdì, sono molto fiscali. È inutile provare a chiamare, tanto sono sempre pienissimi e non spostano mai gli appuntamenti».

    «Penso che per me possano fare uno strappo alla regola, prova. E poi, ogni volta che sono stata da loro o non c’era nessuno o al massimo trovavo una sola altra cliente. È sempre mezzo vuoto».

    Anna, con malcelato dispetto, replica: «Va bene, vado a chiamare», allontanandosi stizzita. Poco dopo la ragazza rientra dicendo: «Come pensavo, signora. Non c’è posto per oggi. Resta confermato il suo appuntamento di venerdì prossimo».

    Clara, posando la fotografia del marito e afferrando la borsetta risponde: «A quanto pare hai sempre ragione. Allora andrò a comprare i colori a olio. Il dottor De Nicola dice che devo riprendere a dipingere. Sostiene che sia molto terapeutico. Chiama l’autista. Pensi che lui possa o non era previsto neanche questo?»

    «Ma signora, perché mi tratta così? Io la servo con il massimo rispetto da tanti anni».

    «Ti prendevo in giro. Concedi almeno questo piccolo sfogo alla mia tristezza. Dì a Davide, per favore, che lo aspetto all’ingresso».

    Sequenze

    2009, Milano

    Il negozio di materiali per belle arti è grandissimo. Cinque vetrine strapiene di colori, quadri, cornici di tutte le forme si affacciano sulla via attirando sapientemente l’attenzione dei passanti. Clara apre la porta a vetri dell’ingresso e si immerge in quel mare variopinto. All’entrata vi sono dei carrellini, ne prende uno e in poco tempo lo riempie con tele di piccole dimensioni, colori, libri su come dipingere e pennelli di varia fatta. A un certo punto, mentre osserva tutta la merce stipata nel carrello, un senso di inutilità si impossessa di lei. Lentamente ripercorre il locale rimettendo a posto quasi tutto ciò che aveva deciso di prendere, lasciando il negozio con una sola scatola di colori a olio.

    Appena fuori la donna si guarda intorno. L’autista sta spostando la macchina, obbedendo all’ordine di un vigile. Clara decide di fare un giretto intorno, prima di risalire in auto. Svoltato l’angolo, vede il salone di parrucchiere, Look & Life. Si avvicina alle vetrine, guardando all’interno. Come la prima volta posa la mano sulla maniglia, cercando di entrare.

    È vuoto e tutto buio. La porta non si apre. È chiuso. Strano, Anna mi ha detto che non avevano posto. Non avrà capito. Si allontana, guarda altre vetrine di negozi, svolta l’angolo. Altri negozi. Si sente veramente stanca. Decide di tornare indietro. Vuole tornare a casa e provare a dipingere.

    Ehi! Ma guarda… È la ragazza che mi ha indicato il parrucchiere, pensa tra sé. La giovane sta sull’altro lato della strada, intenta a parlare con una signora bionda che si sta sporgendo verso di lei con aria interrogativa. Clara resta a osservarle incuriosita. Poco dopo le due donne si salutano e la signora bionda se ne va, mentre la ragazza rimane ferma. Clara fa per chiamarla, alzando un braccio. Per un momento pare che la ragazza l’abbia scorta, ma poi si gira dall’altra parte allontanandosi e salutando un’ultima volta la signora bionda che sta entrando dal parrucchiere. Clara rimane delusa: Non mi ha riconosciuta. Ha segnalato il parrucchiere anche a quella donna. Che caso! La vita è proprio strana. E tu, mia cara, lo sai bene dice a sé stessa, scuotendo tristemente la testa.

    Il salone allora ha aperto, considera subito dopo. Pazienza, ormai non ho più voglia di andarci, torno a casa. L’autista, nel frattempo, ha riportato la macchina davanti al negozio di belle arti. Clara si avvicina alla Mercedes e sale.

    «Ci ha messo molto, signora. Tutto bene?»

    «Si grazie, ma sono stanca. Andiamo a casa».

    Davide, scrutandola dallo specchietto retrovisore, le ricorda: «Si è dimenticata l’appuntamento dal dottore?»

    «Già. Inutile a dirsi. Sai sempre meglio tu di me quello che devo fare. Andiamo». Immettendosi nel traffico cittadino, si avviano verso lo studio dello psichiatra.

    Lo sconosciuto

    2009, Monza

    L’ispettore Bertoli sta parlando al telefono nel suo ufficio. Dalla scrivania spuntano solo la cornetta e il filo del ricevitore, tutto il resto è inesorabilmente sepolto sotto una montagna di carte. Durante la conversazione l’uomo si muove sulla sedia girevole e, senza volerlo, dà uno strattone al filo, facendo rumorosamente cadere a terra una serie di cartelline e fogli. Accidenti, devo mettere in ordine un giorno o l’altro, pensa, continuando ad ascoltare l’interlocutore. Sulla porta si affaccia il tecnico disegnatore.

    «Ti richiamo domani. Sì. Va bene. Mandami gli incartamenti». Poi rivolto al ragazzo che è rimasto in attesa: «Ciao, entra. Hai già disegnato gli identikit del caso Valadier?»

    «Eccoli qui. Non è stato facile, la signora del ristorante cambiava continuamente idea, specie riguardo alla donna bionda. L’uomo, invece, lo ricordava decisamente meglio». Il ragazzo, ridendo per la propria battuta, gli porge i disegni.

    «Molto bene. Non corrispondono a nessuno che sia nel nostro centro dati? Avete controllato?»

    «A nessuno. Mostriamo i profili ad amici e parenti?»

    «Sì, me ne occupo io. Il marito non sa ancora dell’entrata in scena di quest’uomo. Ci vuole un po’ di tatto. Soprattutto nel caso in cui venissero confermati i miei sospetti di un tradimento e di una possibile fuga della moglie», rispose Bertoli con aria severa.

    «Bene, io ho finito. Buon lavoro a te adesso», conclude il ragazzo uscendo, mentre, nell’allontanarsi, con una smorfia sul volto, non può fare a meno di commentare: «Pover’uomo! Cosa lo aspetta. Purtroppo qui conosciamo tutti il tuo proverbiale tatto».

    Bertoli, nel frattempo, studia con attenzione i due identikit. Accidenti, è proprio un bell’uomo, mi sa che il mio fiuto non ha sbagliato nemmeno questa volta. Poi, a malincuore, prende il telefono e compone il numero dell’avvocato Valadier.

    «Signor Valadier? Sì, sono io, Bertoli. Abbiamo qualche novità. C’è di mezzo un uomo».

    Clara

    2009, Milano

    Clara, diretta verso casa, sprofondata nel sedile posteriore della vettura, non riesce a smettere di pensare alla seduta appena terminata. La giornata le è sembrata lunghissima. Il colloquio con il dottor De Nicola proprio non ci voleva. Di solito le altre volte alla fine si sentiva rinfrancata, quasi euforica. Oggi, invece, esattamente il contrario. Il senso di depressione e nervosismo che si è impadronito di lei già dal mattino non l’ha ancora abbandonata.

    Il dottore dice che sto diventando insofferente. Troppo. In effetti mi dà molto fastidio avere intorno tutte queste persone che si occupano di me, anzi che mi organizzano ogni minimo dettaglio, dalla mattina alla sera. Mi sembra di non essere più padrona della mia vita. La donna osserva l’autista che, silenzioso, conduce la macchina nel traffico della sera. Forse è lo scotto che devono pagare le persone molto ricche. Stavo meglio quando non lo ero. Ma forse sono sempre stata ricca… Oddio, che confusione ho in testa.

    L’auto si ferma a un semaforo. Clara guarda fuori distrattamente. Poi realizza che si trova di nuovo davanti a Look & Life, il suo parrucchiere. All’improvviso la porta di ingresso si apre. Esce una donna, Clara la osserva attentamente.

    «Guarda, Davide, è ancora aperto a quest’ora. Sono le otto e mezza. Certo che fanno orari strani. Anna ha detto che danno massima garanzia di privacy. Prendono proprio sul serio il loro lavoro. Pochi clienti alla volta, orari insoliti». Poi tra sé: La donna assomiglia a quella che ho visto entrare nel pomeriggio. Sì, è proprio lei, ma è cambiata. I capelli ora sono rossi, corti e il trucco è diverso. Non tralasciano niente. Sembra quasi vestita diversamente. Però, l’effetto finale è buono. Sono decisamente bravi.

    Mentre osserva la donna ferma sul marciapiede, riflette: Total Relook, questo sarebbe stato il nome ideale per il negozio: un cambiamento totale. Una filosofia che, peraltro, sembra andare molto di moda. L’auto si rimette in moto, ma Clara fa in tempo a vedere la donna salire su di una grande berlina, mentre un autista le apre la portiera.

    «Ricca anche lei» commenta, abbandonandosi sul sedile dell’auto.

    Alice

    2009, Monza

    Il salotto di Emma e Mario Valadier è un’allegra mescolanza di colori e forme diverse: divani a disegno floreale, un’ampia poltrona rivestita con un tessuto a righe, cuscini in eccesso e quattro lampade diversissime l’una dall’altra che i due avevano scovato nei mercatini dei robivecchi della città. La poltrona a righe era la preferita da Emma, su di essa vi passava molto tempo leggendo, soprattutto la domenica, mentre Mario lavorava nella stanza accanto. Proprio su quella poltrona sta seduto, in questo istante, l’investigatore Bertoli, con in mano una tazza di caffè.

    L’ispettore si era subito reso conto del suo approccio sbagliato durante la telefonata. Aver insinuato, seppur implicitamente, che la sparizione della donna potesse avere a che fare con un caso di tradimento coniugale, non era stata una buona idea. Nella speranza di rimediare, aveva quindi chiesto un incontro all’avvocato Valadier. Mario, una volta servito l’investigatore, versa anche per sé una tazza di caffè, che però resta dimenticata sul vassoio. Poi, si siede, con un’espressione dura, davanti a Bertoli.

    «Dalla sua faccia capisco che anche questa sarà una pessima giornata. Mi dica tutto, senza risparmiarmi nulla».

    «Abbiamo mostrato i ritratti a tutti quelli che conoscevano sua moglie. Nessuno ricorda di aver mai visto né l’uomo né la donna. Mentre parlavo con sua cognata, io l’ho osservata bene e, come lei mi aveva anticipato, ho notato una vaga somiglianza con la donna bionda. Ma la signora afferma di essere stata a letto con l’influenza e di essere rimasta tutto il giorno a casa. E lo conferma la domestica che vive con lei».

    Mario, ulteriormente innervosito, sbotta: «No, no, no, io le ho solo detto che la donna ricordava vagamente mia cognata e che anche la sorella di mia moglie è bionda, per dare a lei una indicazione. Ma da qui a pensare a un suo coinvolgimento… perché mai è andato a interrogarla? Elena adora sua sorella. Stiamo facendo tutti quanti una gran confusione. Comincio a realizzare il fatto che, probabilmente, mia moglie non tornerà più. Mi creda, sto impazzendo. Poi a tutto si aggiunge la rabbia che mi assale se penso che potrebbe essere fuggita con… con quel bellimbusto di cui mi ha parlato lei. E, a proposito, su di lui ha scoperto qualcosa?», chiede infine, mentre si alza per prendere la sua tazza di caffè.

    «Nulla. Ma abbiamo diffuso alle nostre pattuglie il suo identikit, vedremo se porta a qualcosa. Ma ci vorrà tempo».

    «Mi chiedo come sia possibile sparire così nel nulla quando conduci una vita normale. A volte vorrei correre fuori a cercarla, ma non so dove andare, vorrei telefonarle, ma non so che numero chiamare. Sto impazzendo, glielo ripeto», dice prendendosi la testa tra le mani. Bertoli si abbandona contro la spalliera della poltrona, non sapendo cosa dire. Fortunatamente, direbbero i suoi colleghi.

    Qualcuno suona alla porta distogliendoli dai loro pensieri. Mario va ad aprire. «Mi scusi, arrivo subito».

    «La seguo, devo proprio tornare alla centrale». Si alza e gli va dietro. Mario apre la porta.

    Una donna di media statura, minuta, con i capelli corti e neri sta ferma davanti a loro, sorridendo. «Ciao Mario. C’è Emma? Sono appena tornata da Miami». Mario la guarda smarrito.

    «Ma che succede?», gli domanda allarmata la donna vedendo spuntare la pistola da sotto la giacca di Bertoli.

    «Ciao Alice», la saluta Mario con aria mesta, abbracciandola. «Ti presento l’investigatore Bertoli. Alice è la nostra vicina di casa. Purtroppo sei arrivata in un brutto momento. Emma è scomparsa e ancora non sappiamo cosa le sia successo».

    Alice dà distrattamente la mano al poliziotto mentre lo guarda intensamente e gli chiede: «Cosa vuol dire scomparsa?»

    Bertoli, infastidito dal suo tono troppo diretto, chiude immediatamente la conversazione eludendo la domanda: «Purtroppo io devo andare. Le spiegherà tutto l’avvocato. Signor Valadier, se ho novità le telefono». Poi, guardando di sfuggita Alice, mentre le passa davanti per uscire: «Se non le dispiace, signora, manderò qualcuno a farle qualche domanda».

    La donna annuisce, mentre Bertoli se ne va.

    Alice entra, si avvicina come in trance al divano. Vede gli identikit, sul tavolino centrale. Uno in particolare attira la sua attenzione, per cui si china e lo prende in mano, osservandolo con cura.

    «Ehi! Ma questo è l’amico di Emma!»

    Mario si avvicina in fretta alla donna: «Come l’amico di Emma? Lo hai già visto? Quando? Dove? Dimmi quel che sai».

    Poi, senza aspettare le risposte, corre fuori per richiamare l’investigatore. Ma Bertoli è già partito.

    L’inquietudine

    2009, dintorni di Milano

    Nello studiolo al pian terreno aleggia un intenso odore di colori a olio: Clara sta dipingendo. Dopo i primi tentativi, ha abbandonato definitivamente il genere figurativo per dedicarsi a una sorta di astrattismo variopinto. Si è resa conto che, in verità, non sa disegnare e, probabilmente, non lo ha mai saputo fare. È una bella mattina, il sole entra dalla vetrata. Lentamente posa il pennello sul tavolino a fianco, tutto macchiato di colore. Si siede e guarda la sua opera: un fondo viola sul quale ha colato una polvere dorata. Il risultato è alquanto lugubre.

    Anche dipingere non mi dà alcuna soddisfazione. E, in verità, non sono nemmeno brava. Osserva la tavolozza che tiene ancora in mano e con il dito mescola insieme i singoli colori fino a formare una specie di arcobaleno. Mi manca la compagnia di qualcuno. Non ho un’amica. E neppure parenti. Vedo gente solo per firmare carte relative a transazioni di affari e comunque sono tutte persone poco socievoli. Nessuno mi ha mai invitata anche solo per un caffè. L’unico che mi ha trasmesso un segno di comprensione è il direttore della banca, ma è sempre così a disagio, come se fosse in ansia per qualcosa. Però è il solo in cui ho riscontrato un lato umano, aldilà degli affari e delle incombenze. O magari mi sbaglio ed è solo un mio desiderio.

    Dopo essersi pulita la mano con il solvente, riprende in mano il pennello per posarlo subito dopo. Il dottore dice che ho sempre vissuto così, mi invita a non spaventarmi se cerco la solitudine, perché è questo il mio vero carattere. Ma se si sbagliasse? Se non fosse così o se comunque fossi cambiata? Vorrei vedere gente, ma non saprei chi chiamare.

    Dopo un attimo di riflessione decide: Devo uscire.

    Guarda le decine di quadri accatastati e le sembra solo di avere sprecato tempo. La porta dello studiolo cigola sui cardini quando Anna entra nella stanza. «Signora, mi ha chiamato?»

    Voltandosi verso la donna, sorridendole in modo ironico e con un sempre maggior senso di fastidio per quelle improvvise intromissioni, Clara risponde: «Capiti sempre al momento giusto. In effetti stavo per chiamarti. Voglio uscire. Chiama Davide».

    Il tono seccato e perentorio non le viene naturale, ma lo ha utilizzato volutamente per non consentire repliche. Anna, evidentemente presa in contropiede dall’atteggiamento del tutto inatteso, resta sulla porta immobile e disorientata. Clara si avvia decisa all’uscita. Poi, fermandosi davanti ad Anna, la guarda dritta negli occhi, indirizzandole solo un perentorio: «Grazie».

    Il malore

    2009, dintorni di Milano

    La tensione per avere affrontato Anna in modo così deciso e la rabbia che, per qualche motivo che non le è ben chiaro, l’ha sopraffatta in quel momento stanno lentamente abbandonando Clara. L’autista l’ha portata in città, lasciandola davanti a un grande centro commerciale, come da lei richiesto. Durante il viaggio, però, l’ha osservata dallo specchietto retrovisore, palesemente preoccupato. Clara, ancora infastidita dalle continue manifestazioni di apprensione, si aggira in mezzo alla gente tra i vari stand di profumi, creme e trucchi. La musica in sottofondo è allegra e rilassante al tempo stesso. Abbandonandosi a essa, la donna abbozza finalmente un lieve sorriso. Spostatasi nel reparto dell’intimo, si sofferma a guardare i completi: sete e pizzi nei colori pastello, avorio e champagne sono i suoi preferiti.

    Questo è davvero bellissimo, lo voglio provare. E anche la camicia da notte coordinata. Questo centro ha dei bellissimi negozi, ho fatto bene a dar retta a Davide quando me lo ha consigliato.

    Una commessa graziosa, piccolina, molto ben truccata, le si avvicina: «Posso aiutarla, signora?»

    Clara le mostra il completo avorio con il

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