Punti Cardinali
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Le quattro Virtù Cardinali inserite, in un contesto solo apparentemente moderno, in altrettanti racconti, ricchi di spunti di riflessione personale.
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Anteprima del libro
Punti Cardinali - Riccardo Iaccarino
Riccardo Iaccarino
PUNTI CARDINALI
Palermo, 2015
ISBN 9786050411089
Prima edizione Settembre 2015
Edizione ebook © 2015 - Riccardo Iaccarino
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate
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un prodotto di Simplicissimus Book Farm
Ringraziamenti
Alla musica, che non ci abbandona mai.
DIANOIA
Devo fare attenzione, con i biscotti. Eppure, non so, scelgo sempre con molta attenzione le tre confezioni, che non siano troppo stropicciate. Evito quelle messe proprio lì davanti. Ma niente, l’ultima volta non c’è stato nulla da fare: li ho aperti a casa ed erano tutti in frantumi, ne avrò trovati solo tre o quattro, di integri. Quante colazioni rovinate, da quei biscotti spezzati, che non si possono più inzuppare.
Almeno stasera, venerdì, il tempo di fare la spesa me lo ha lasciato, il capo; il mio capo donna. Ma dico, si può entrare e già sentir partire l’annuncio: ‘’Il supermercato chiuderà alle 22. I signori clienti sono pregati di avviarsi verso le casse, all’uscita’’. E io ci casco subito, e accelero ancora di più, anche se siamo ancora solo a manca dieci, e tanto lo so che l’annuncio lo ripetono ancora un paio di volte, almeno. Cosa posso farci, sono un tipo ligio al dovere, alle direttive, alle indicazioni.
Ma tanto lo so cosa devo prendere: tonno, fagioli, un po’ di frutta; qualche insalata, qualche affettato. Surgelati, no: non ho la borsa termica dietro, quella me la porto quando vengo al sabato. Ma sabato scorso non sono potuto venire, c’era la festa a casa di Gianluca, nella sua casa al mare. E domani, di nuovo: resterò senza surgelati. Non potevo mancare, c’era Luisa. Ma che ci sono andato a fare. A vedere Luisa a fare gli occhi dolci a Marco. Idiota. Era meglio che me ne andavo a fare la spesa, sabato scorso: pure alle ventuno e trenta, al limite. E sarebbe meglio che ci andassi anche domani, a fare la spesa.
La fila di prostitute sul lungomare mi avvisa che mi sto riavvicinando a casa. Certo, quanto sono vestite, anzi svestite, in cerca di provocazione: troppo. Troppo volgari, penso. Le guardo sempre passando. Molte sono in tanga, qualcuna addirittura lo scuote, il sedere, per attirare clienti, se vogliamo chiamarli così. Alcune sono sfatte, altre quasi obese: fanno tenerezza. Alcune sono al bordo della strada, in un auto con la portiera aperta, ad aspettare il prossimo amante fugace, ad aspettare chissà cosa. Come possa essere lo stesso essere, la donna, a partorire e prostituirsi, mi sfugge, mi sembra incredibile. Sono due azioni che, messe nello stesso essere vivente, non le concepisco. Sono inconciliabili. Eppure, è così.
Questo pensavo, esattamente, fermo al solito stupido semaforo, che nove volte su dieci diventa rosso per fare attraversare nessuno, e crea una coda inutile, giorno e sera. Ma stasera la città è mezza vuota. Quasi del tutto. Stasera è quasi tutto diverso. Sono troppo triste. E arrabbiato, infuriato per la situazione con Luisa. E con me stesso.
‘’Bello, te, senti solo?’’. Mi volto di scatto sulla destra, a sentirmi apostrofare così. Bello, non mi ha mai chiamato nessuna. ‘’Ciao!’’. C’è una ragazza mora. Quanto è truccata, è la seconda cosa che mi viene da pensare in assoluto, vedendola. E che seni, prosperosi, su una figura magra. Il clacson di quello dietro di me mi fa sobbalzare, di nuovo. ‘’Bello, sono trenta’’ fa lei. Non mi lascia dubbi, ma non è mica vestita come le altre. Ha solo la minigonna, un top bianco. Non mi sembra volgare.
‘’Ma vaffanculo!’’: sì, l’ho sentito nettamente il tizio che mi sfila e mi sfreccia davanti sulla sinistra. Ma non mi son voltato mica. Lei ha gli occhi tristi. Anche io, stasera, sono triste di arrivare a casa, e non avere nessuno che mi parli di Luisa. Di andare a letto e non pensare che a Marco e Luisa. Forse, a lei interesserebbe parlarne: per soldi, ovviamente. E poi, penso che è molto, molto bella.
‘’Sei timido?’’. L’italiano è incerto. ‘’Dai’’, riesco a dire una parola. Finalmente. Speriamo che il prosciutto non vada a male, con questo caldo. Ma cosa sto facendo, santo Dio? Che pazzia. Ma ho bisogno, ho bisogno di parlare. E poi, lei è proprio bella.
‘’Gira subito qua a destra’’, mi dice lei. ‘’No aspetta… forse è meglio che accosto’’, faccio, più che imbarazzato. Mi pare che qualche sua collega già ci guardi, preoccupata dalle mie strane incertezze. ‘’Sei timido bello?... Non preoccupare te, io sono Maria’’. ‘’No ascolta, senti. Io non vado con le prostitute’’. ‘’Che vuoi’’, mi guarda lei, con uno sguardo bellissimo e preoccupato. ‘’Vorrei parlarti, ma non in un posto così’’. ‘’Io da qua non muovo, bello. O nel parcheggio o niente, a me spiace’’. ‘’Senti… facciamo così, ti va di prendere un gelato?’’. Lei ci pensa un attimo su, poi mi apostrofa con disprezzo: ‘’Per due ore via, sono cento e cinquanta euro’’. ‘’Va bene, Maria. Andiamo… io… sono Riccardo’’.
Maria si sporge dal finestrino e parla ad una ragazza qualche metro indietro: ‘’Segna targa!’’. E partiamo.
C’è una brezza leggerissima, alla gelateria vicino alla spiaggia. Avremo fatto un dieci minuti di macchina, ma ne è valsa la pena, direi. ‘’Che gusto vuoi, Maria?’’. ‘’Fragola… no in cono… altro, come chiamate voi’’. L’italiano mi sembra appena meno incerto, lontani dal suo parcheggio. Maria viene dalla Romania. Da una città che si chiama Suceava. Per quel che vale, dice che ha 22 anni, ma truccata per me ne dimostra 30. O 31, forse. Se solo fosse un poco meno truccata. Ha un profumo forte, si vede che ai clienti piace così. Io toglierei un po’ di trucco e un po’ di profumo, ma non faccio testo, non sono un cliente. Almeno, non in quel senso lì.
Non so che cosa dire. Le racconto un po’ di me, della mia vita, del mio lavoro, ma senza dare dettagli precisi. Tanto per arrivare a Luisa e Marco. Cercando di essere il più obiettivo possibile, anche se sto parlando con una prostituta, perché è pur sempre una donna, e vorrei tanto il giudizio obiettivo di una donna sulla situazione. E amiche donne, davvero, non ne ho. ‘’Non bisogno dire lei che amavi così, subito’’. ‘’Ma è la verità’’, controbatto io. ‘’Lei pensa tu fa con tutte, o se te crede, lei già ha tuo cuore, non interessa più’’.
Sento come una frustata, come una serie di frustate al petto, nella schiena, addosso. Vero, maledettamente vero. ‘’Cosa avrei dovuto fare?’’, le chiedo, come se servisse ancora a qualcosa, ma intanto sento che, come donna, Maria mi sta dando il punto di vista essenziale, l’apogeo.
‘’A noi piace camminare, passeggiare. Portare a cena. Piace sognare. Piace ridere’’. Altra serie di frustate. Luisa è persa. Non ridiamo mai, non ricordo una volta in cui lei abbia riso con me, o abbiamo riso insieme. Quando passo, quando passavo del tempo con lei, ero sempre triste, preoccupato, terrorizzato di perderla. Luisa è persa, questa è la verità. E questa Maria, o come cavolo si chiamerà, è arrivata dalla Romania per sbattermela in faccia la verità, come un asciugamano lercio e fradicio.
‘’Ho capito, Maria. Ho capito’’. Mi assale la tristezza. Mi viene un po’ da piangere, e forse lei ne se rende conto. ‘’Tu non musica in macchina?’’, mi chiede speranzosa. Le spiego che avere un’autoradio qui, è un lusso per pochi, dovrei cambiarne una al mese, finestrino della portiera incluso. ‘’Però… ho il telefonino!’’, faccio, ripensandoci: ‘’Su Youtube se vuoi, scegliamo una canzone, se c’è… Cosa vorresti sentire’’. Lei ci pensa un po’ su, poi erutta: ‘’Dragosteaaa! te conosce?’’. Boh, non credo. ‘’Come si scrive’’, le chiedo gentilissimamente. ‘’Io scrivo, io scrivo’’ e mi strappa quasi via il telefono. In breve partono le note: ‘’Aaaah, certo!’’, ma chi non la conosce. Non ne capisco una parola, che è sicuramente in rumeno, credo. La musica si spande nell’abitacolo, ora mi ricordo bene… mi ricordo nettamente, qualcosa di sciocchino, una musica da discoteca. Però non mi pare esattamente la stessa versione, è uguale a quella della discoteca, ma sembra più rumena:
Vrei să pleci dar nu mă, nu mă iei,
nu mă, nu mă iei, nu mă, nu mă, nu mă iei.
Chipul tău și dragostea din tei,
mi-amintesc de ochii tăi.
Maria invece è contenta, ma anche no. Prima la canta entusiasta, a squarciagola, e mi sorride, ridendo. Dopo un po’, invece, diventa quasi pensierosa. ‘’A cosa pensi?’’ mi sembra giusto chiederle qualcosa. O forse sono solo molto curioso. ‘’Prima, a te, e tua amica. Ora, a persona, in Romania’’. Non le chiedo altro, lascio scorrere fino al termine la canzone.
‘’Torniamo?’’. Quello che volevo sentire, me lo ha detto.