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La mia peggiore collega
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E-book188 pagine2 ore

La mia peggiore collega

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Info su questo ebook

 Alice Vancelli è una ragazza semplice, un po’ strampalata e che non sa rinunciare ai suoi peccati di gola. Da sempre stressata dalla madre per la sua eterna ricerca di un’occupazione a tempo indeterminato e per non esser mai riuscita a impegnarsi a fare una vera dieta, si ritrova, improvvisamente, baciata dalla fortuna e riesce ad ottenere un lavoro come hostess di cassa in un ipermercato. L’incarico è di soli sei mesi ed è conteso , per un posto definitivo, con altre due persone, il logorroico Emiliano e ad una tipa dalla chioma rossa e dall’aria altezzosa di nome Lucrezia. Quest’ultima le metterà i bastoni fra le ruote fin dall’inizio... Nel frattempo Alice conosce un bel ragazzo, Paride, che sembra essere innamorato quanto lei... Peccato, che il sogno della ragazza si infrangerà quando scoprirà che lui sta per sposarsi! E intanto mentre lei soffre per amore dovrà accettare che Lucrezia diventi il suo incubo sul posto di lavoro! Alice riuscirà a guarire le ferite del suo cuore innamorato? E, nel frattempo, come vivrà le sue giornate lavorative quando si hai una Lucrezia come peggiore collega? Ma a volte tutto il male non vien per nuocere…
LinguaItaliano
Data di uscita16 nov 2020
ISBN9791220303583
La mia peggiore collega

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    Anteprima del libro

    La mia peggiore collega - Patrizia Catenuto

    Carroll)

    1° Capitolo

    È quasi l’una di notte e le palpebre non riescono più a restare aperte, mi alzo dal divano facendo attenzione a non cadere a causa del sonno che mi chiama e così mi accingo ad andare a letto. Non ricordo neanche se ho appoggiato la testa sul cuscino, ma so soltanto che la sveglia ha iniziato a suonare alle sei del mattino. È il grande giorno. Dopo aver fatto colazione con dodici tarallucci inzuppati nel latte e un caffè amaro (più della mia vita), mi lavo, mi vesto e mi reco all’appuntamento. Con il mio bel vestitino color verde pastello, arrivo nel luogo indicato nella lettera ricevuta per la richiesta di un colloquio, che avevo mandato l’estate scorsa.

    Davanti ai miei occhi si presenta un’interminabile fila di giovani disoccupati, che come me, sembrano aver vinto un terno al lotto.

    «Ciao, anche tu sei stata chiamata per essere assunta come hostess di cassa?» mi chiede timidamente una ragazza. Sicuramente è venuta da qualche paesino dell’entroterra della Sicilia, indossa un vestito a quadretti rossi e neri e una camicia, la cosiddetta paesanella.

    «Hostess che?» chiedo preoccupata. Ho la fobia degli aerei, non potrei mai fare l’hostess. Morirei prima che l’aereo precipitasse, penso immaginandomi già con quell’impeccabile divisa blu e una fila interminabile di uomini, che mi sbavano dietro.

    «Oggi si chiamano hostess di cassa, ma è la semplice cassiera del supermercato.»

    Poi con un sorriso smagliante la ragazza se ne va.

    La divisa blu si è subito trasformata in un camice di colore sfolgorante con il cartellino Cassiera Alice.

    ***

    Quando avevo letto l’inserzione sul giornale non specificava la mansione, ma diceva solo che cercavano ragazzi/e di bella presenza con diploma. Va benissimo, un lavoro vale l’altro, l’importante è riuscire a pagare le bollette e le tasse.

    Un signore con giacca e cravatta attraverso il suo megafono ci invita ad entrare in un’enorme aula. Ci accomodiamo su alcune splendide sedie con il mini tavolo di dieci centimetri quadrati incorporato, per intenderci. Sì, quelli, che se a fine conversazione dimentichi di farlo scivolare alla destra della sedia, c’è il rischio che potresti trovarti con il viso per terra. Mi sento osservata dalla ragazza contadina seduta alla mia destra e da un ragazzo, con l’aria da Terminator. Comunque sia più maturo della contadina, alla mia sinistra.

    «Buongiorno, ragazzi e ragazze, adesso vi distribuirò dei fogli per un test attitudinale. Subito dopo, sarete chiamati per il colloquio preliminare», dice l’uomo con giacca e cravatta.

    Il test è facile, anzi è addirittura banale.

    Rispondo con rapidità, anche se non riesco a capire l’attitudine di molte domande.

    «Pss, pss, pss… Ehi tu, viso d’angelo! Mi potresti aiutare con la seconda domanda?» È il ragazzo seduto alla mia sinistra, mi fa cenno con la mano indicando il foglio davanti a sé.

    Cribbio… Ma questo cosa vuole? Mica siamo a scuola, penso, mentre mi rileggo la seconda domanda.

    «La risposta è la B.»

    «E la terza? Io ho segnato la A, è giusta?»

    «No, è la C», ribatto a bassa voce. Guarda cosa mi tocca fare. L’ho sempre detto, sono troppo buona, devo togliermi questo vizio, dico fra me e me.

    «State zitti! Non riesco a concentrarmi», inveisce una ragazza seduta dietro di me. Sembra un’aristocratica con un profumo davvero nauseante.

    «Pss, pss… Viso d’angelo, come ti chiami?»

    «Alice», sussurro per paura, che l’aristocratica mi rimproveri nuovamente.

    «Io Emiliano, piacere.»

    «Piacere.»

    «Sai che somigli a mia cugina? Lei vive in Francia», farnetica Emiliano. «Tu hai mai lavorato in un ipermercato?»

    «No. Adesso, per favore, mi fai terminare il questionario?»

    «Oh, certo. Scusami. Sai, a volte, mi dilungo nelle conversazioni.»

    «Sì, ma questo non è il momento adatto», alzo il tono di voce, perché mi sto veramente innervosendo.

    «Ho detto di stare zitti!»

    Ecco che l’aristocratica ci rimprovera per la seconda volta.

    Finalmente mi trovo seduta di fronte a un signore, che si presenta come caporeparto di un ipermercato fuori dalla Sicilia. In mano tiene il mio curriculum, mi scruta, come se volesse farmi la radiografia. Spero che non si accorga dei dodici tarallucci, che mi sono ingurgitata stamattina. Mi auguro che non mi siano rimasti residui tra i denti.

    Inizia a bombardarmi con decine e decine di domande, fino a quando arriva alla fatidica domanda.

    «È disposta anche al trasferimento?»

    Ovviamente no, vorrei dirgli.

    «Oh, certamente, che sono disposta al trasferimento!»

    «Bene, signorina, le faremo sapere.»

    Dopo aver subìto un centinaio di domande demenziali, mi reco al mio solito bar.

    «Una crema al caffè con cioccolato fuso e noccioline», ordino alla ragazza dietro il bancone.

    ***

    «Posso offrirti il caffè?»

    «Oh, Emiliano, ti ringrazio, ma ho appena preso una crema al caffè.»

    «Buona, anch’io a volte la prendo, ma adesso ho proprio voglia di un caffè. Poi tu hai terminato il questionario?»

    «Sì. Tu?»

    «No, molte domande erano difficili. La numero dieci, la dodici, la sedici e se ricordo bene anche la ventunesima.»

    «Oh, mi dispiace. Se lo avessi saputo, ti avrei aiutato.»

    «Non importa, grazie lo stesso. Sai che l’anno scorso ho lavorato in un call center? Era un lavoro stressante. Tutto il giorno a parlare con gente strana. A volte, volevo strozzarli. Alcune sono cordiali, altri invece sono da ricovero. Un giorno, sai cosa mi successe? Una cliente, sicuramente abbastanza giovane, mi ha aggredito telefonicamente. Sai mi aveva minacciato, dicendomi che mi denunciava per averla disturbata. Mi disse che ero maleducato, incivile. Io? Ma come si era permesso a dire che…».

    «Scusami, ma io devo andare», guardo l’orologio e con gesti affrettati indosso la giacca. Non amo le persone logorroiche, per questo preferisco andare via, mi sa tanto, che questo Emiliano lo sia abbastanza.

    «Oh, guarda, chi è entrata! Quella ragazza che era seduta dietro di te e che ci ha rimproverate… Guardandola bene, però, mi sa che non ha proprio bisogno di lavorare. Dovrei chiederle, dove ha comprato quella borsa. È molto bella, vorrei regalarla a mia madre. Sai, lei è una donna che ama le borse firmate. Un giorno…».

    Osservo anch’io quella ragazza e la scruto dalla testa ai piedi, nel frattempo Emiliano continua a parlare. Lui pensa che io lo stia ascoltando, invece non ha proprio capito che sta facendo un vero e proprio monologo. Con nonchalance mi avvicino alla ragazza. «Ciao, hai terminato il questionario?» domando con la scusa di conoscerla.

    «Non sono cose, che ti riguardano.»

    La guardo disgustata. È proprio acida. Ma chi si crede di essere? Solo perché porta un Valentino nessuno le dà il diritto di essere così acida. Spero proprio di non incontrarla più nel mio cammino.

    «Hai pagato la tua crema di caffè?»

    «Sì, Emiliano, grazie.»

    Lui non demorde e avvicinandosi a me sussurra: «Hai un buco nelle calze».

    «Cribbio, che vergogna», bofonchio ad alta voce.

    «Ciao, tu sei la ragazza, che eri seduta dietro ad Alice?»

    Emiliano si avvicina a quella ragazza e la stuzzica con varie domande.

    «Sì, sono io. Qual è il problema?»

    «Non c’è nessun problema. Era solo curiosità, anche perché è difficile dimenticare la tua chioma.»

    Ed io aggiungerei anche il tuo sgradevole profumo.

    «Sapete che scrivo delle poesie? Due anni fa vinsi anche un premio per l’originalità dei versi, che avevo scritto. Ricordo che mi trovavo fuori città quando mi mandarono l’email, dove mi dicevano che avevo vinto, io…».

    «Ma tu non stai mai zitto? Mi stai veramente nauseando con i tuoi stupidi discorsi. Azzittisciti», ringhia la ragazza acida.

    Cribbio… Questa è veramente una donna da evitare. Spero proprio di non vederla più… E con lei aggiungerei anche Emiliano. Tra un logorroico e un’acida non saprei veramente chi scegliere.

    «Bene, io vado. Devo passare al supermercato qui accanto. In bocca al lupo a tutte e tre.»

    La ragazza, con un braccio appoggiato sul bancone del bar e con l’altra che sorregge la tazzina del caffè, non fa nessun cenno di saluto.

    «Viva il lupo. Sai, perché non si risponde crepi? Perché il lupo se crepa, tu moriresti con lui, invece se il lupo vive, tu vivresti con…».

    «Bye, bye.» Saluto, lasciando Emiliano parlare da solo e vado via più veloce della luce.

    Dopo essermi liberata di quei due, mi reco al supermercato più vicino. I miei genitori hanno avuto la pessima idea di auto-invitarsi a cena per tartassarmi di domande sulla mia vita da single. E così devo assolutamente fare la spesa per preparare una succulenta cena. Non posso fare brutta figura, devo acquistare prodotti ottimi e di marca. Mia madre sembra Joe Bastianich, il MasterChef della tv, che se non gradisce la pietanza, è capace di lanciarla anche dal balcone. Entro nel primo supermercato che incontro, afferro al volo il carrello e via. È enorme, non avevo mai visto un supermercato così grande. Mi confondo. Mi perdo nei meandri delle corsie numerate. Dovrei suggerire al direttore di inserire anche le vie con i nomi. Vino bianco frizzante trovato, due confezioni di riso volano giù nel carrello, poi si aggiungono parmigiano, olive nere, tritato di carne e prezzemolo.

    La coda alle casse è interminabile. Osservo le cassiere e con furbizia mi fermo in quella che sembra, ripeto sembra, più veloce. Non sprigiona felicità, ma l’importante è che sia come Niki Lauda, il campione di Formula 1. Dopo cinque minuti di attesa, noto che ho dimenticato di prendere la vanillina per preparare un dolce alla vaniglia. Corro tra i corridoi, ma la mia ricerca è vana. Esausta, mi arrendo. Vuol dire che farò una ciambella al cacao. Con fatica ritorno al mio carrello.

    «Signorina, è suo questo?» La voce di un uomo burbero mi trapana i timpani.

    «Sì», rispondo timidamente.

    «La prossima volta non si allontani più, i clienti si sono lamentati per la sua assenza», urla la cassiera con una voce che sembra la mia maestra delle elementari, quando ci spiegava l’analisi grammaticale.

    «Scusate stavo solo cercando la vanillina.»

    Sistemo con rapidità la merce sul rullo, svuotando il carrello e dando spazio al cliente successivo.

    «Buongiorno, ha la carta fedeltà?» La cassiera mi sorride.

    «No, signorina.» Le guardo il badge, che porta appeso sulla divisa e leggo che si chiama Cassiera Cassandra. Ha un bel viso, occhi azzurri e capelli biondi e soprattutto un bel fisico. Mi giro intorno e constato che tutte le altre hanno lo stesso fisico. Penso al colloquio della mattina e perdo le speranze di entrare commessa in un ipermercato, dato che scelgono le fotomodelle.

    Una montagna di merce è già dall’altro lato della cassa. La Cassandra sarà parente di Flash, penso, mentre imbusto con rapidità, ma nulla… Lei è più veloce!

    «Sono 123 euro e 59 centesimi», dice Cassandra.

    «Mi scusi, quanto pago? Non ho capito.»

    «Sono 123 euro e 59 centesimi.»

    Con un sorriso e… «Buongiorno, arrivederci e grazie», Cassandra mi liquida.

    «Salve, ha la carta fedeltà?» continua Cassandra con il cliente successivo.

    ***

    Mi trovo già davanti ai fornelli, mia madre è sempre puntuale, anzi a volte anche in anticipo, mentre io sono maledettamente in ritardo. Il porro si è bruciato e l’ho dovuto soffriggere di nuovo, il timballo di riso è salato e gli spiedini si sono bruciacchiati. Sono proprio una frana, per fortuna, che la ciambella è venuta con il buco.

    Mia madre è già sulle scale, la sua voce stridula si sente oltre oceano.

    «Ciao, mammina. Ciao, papino.»

    Li accolgo con un finto sorriso, come se avessi una plastica facciale. Mia madre indossa una collana di perle sul solito tailleur blu cobalto, acquistato più di dieci anni fa. Beata lei, che non ha messo su neanche un chilo!

    «Sento odore di bruciato! Sarà mica la cena?», brontola mia madre, senza rispondere al mio saluto.

    «No, mamma, tranquilla. Ho cucinato gli involtini come piacciono a papà… Ben cotti.»

    Durante la cena, nessuno fiata, neanche mia madre che è la solita logorroica. La tensione si taglia con il coltello, non sono mai andata molto d’accordo con i miei, soprattutto quando decisi di andare ad abitare da sola, appena compiuti diciott’anni. Il primo anno, lavorando in un bar, riuscii a mantenermi, ma dopo che mi licenziarono per un banalissimo errore di cassa, i miei furono costretti a sovvenzionarmi. Ormai sono ben quattro anni, che mi danno la cosiddetta paghetta mensile, ma

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