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Nuvole grigie
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E-book185 pagine2 ore

Nuvole grigie

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Info su questo ebook


Cecilia Orlandi è un commissario di polizia. Occhi verdi, capelli ricci, poca pazienza ma tanto intuito. Il suo commissariato si trova nel borgo immaginario di Roccia Marina, in provincia di Cosenza, ed è lì che si svolge la sua indagine. Maurizio Righetti, cardiologo, viene ucciso sul suo yatch privato. L'assassino è uno dei partecipanti alla gita in mare aperto da lui organizzata: ma chi tra la figlia Vittoria, la sua amica Clara, il genero Elio, il figlioccio Roberto e i due migliori amici Aldo e Jacopo? Tutti sembrerebbero avere un movente per la morte dello stimato medico. Le indagini di Cecilia e dei suoi collaboratori si snodano tra interrogatori, flashback e il passato della donna, che riaffiora all'improvviso nella sua vita intrecciandosi con i dettagli del caso da risolvere.
LinguaItaliano
Data di uscita3 mag 2023
ISBN9788832816105
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    Anteprima del libro

    Nuvole grigie - Stefania Tedesco

    PiattoHD_Tedesco.jpg

    - voci -

    Scatole Parlanti

    © Utterson s.r.l., Viterbo, 2023

    Scatole Parlanti

    Collana: Voci

    I edizione digitale: maggio 2023

    ISBN: 978-88-3281-610-5

    Progetto di copertina: Luca Verduchi

    Progetto grafico interni: Stefano Frateiacci

    www.scatoleparlanti.it

    "Te ne sei accorto, sì

    che passi tutto il giorno a disegnare

    quella barchetta ferma in mezzo al mare

    e non ti butti mai".

    (Brunori Sas, La verità)

    I

    Cecilia, lunedì

    Un bagliore si diffonde dai tagli delle persiane della mia stanza, creando un gioco di luci e ombre che si riflettono sulla parete, decorata con dipinti ad acquerello e vecchi puzzle. Max è avvolto in parte dal lenzuolo azzurro e pigramente si stiracchia nel letto, come indeciso sul da farsi. Io invece scelta ne ho veramente poca, dal momento che ieri sera ho dimenticato di disattivare la sveglia del mio telefonino e ormai mi tocca alzarmi, perché mi innervosisce troppo restare a letto senza riuscire a prendere sonno. Del resto, le 6.15 del mattino sono sempre traumatiche, soprattutto se è lunedì e soprattutto se hai chiuso gli occhi per non più di un paio di ore e in maniera discontinua.

    È tutta colpa della mia maledetta insonnia. Ho provato diversi rimedi: tisane rilassanti, compresse di valeriana, gocce di benzodiazepine, meditazione guidata sul cellulare; nulla è mai risultato funzionale per i miei continui incubi e conseguenti risvegli notturni. Una volta aperti gli occhi, passo quel che resta della notte guardando Max dormire pacifico e tuffando la mano nella sua calda pelliccia rossa, mentre respira sereno. Invidio tanto la capacità dei gatti di abbandonarsi al sonno subito e ovunque, senza pensieri.

    Già, i pensieri! Sono quelli che non mi consentono di riposare bene, perché rimugino sui fatti, rivedo certe situazioni, elaboro i dettagli e i dialoghi, non stacco mai davvero la testa dal lavoro. Quando finalmente Morfeo mi concede un po’ di sonno, quello è il momento perfetto per gli incubi, anzi, sempre lo stesso incubo: Lorenzo, coperto di sangue, che mi dà la colpa dell’accaduto. È per questo che la mattina lascio il letto già stanca e nervosa, il mio umore risente molto del riposo disturbato.

    Mi rendo conto che sia inutile rigirarmi tra le lenzuola, tanto ormai sono sveglia, quindi non posso far altro che abbandonare il letto e dare il via alla giornata.

    In bagno mi tampono la faccia con l’acqua fredda e butto un’occhiata fugace allo specchio sopra il lavabo, mi concentro solo sulle lentiggini degli zigomi e sui miei ricci neri e indomabili, perfetta rappresentazione del mio stato d’animo.

    Mi dirigo verso la cucina-soggiorno e spalanco le persiane per cambiare l’aria; spiando il cielo, vedo una coltre di nuvole grigie e pesanti, segno che la mattinata si prospetterà uggiosa. Un clima incerto, se teniamo conto che solo quattro giorni fa è ufficialmente arrivata l’estate.

    Mentre preparo la moka per il primo caffè della giornata, Max mi richiede con fermezza la sua colazione. Tutte le sante mattine rischio di inciampare perché lui mi cammina in mezzo alle gambe e si ferma all’improvviso per guardarmi e verificare che lo segua per sfamarlo. I suoi miagolii sono acuti e ripetuti, a vederlo da fuori sembra un povero gatto affamato che non mangia da un mese. Che attore nato!

    «Ecco qui monsieur, tonnetto e spigola tutto per te. Non ingozzarti come al solito!» gli dico senza aspettarmi risposta giacché, ottenuta la ciotola piena di cibo, Max non mi degna più di alcuna considerazione. Ingrato di un gatto pigro.

    Con in mano la tazzina piena di caffè amaro fumante, mi accomodo nell’angolo lettura creato nella parte adibita al soggiorno, senza dubbio l’area della casa che rappresenta il mio posto felice. È l’unico punto dell’appartamento che ho arredato con attenzione, secondo le mie esigenze di lettrice e acquirente compulsiva di libri: una comoda poltrona rossa, un tavolino basso in vetro e quattro librerie bianche, tutto di fattura svedese. Il resto della cucina, la camera da letto e il bagno sono stati arredati con meno cura nei dettagli, dato che in genere esco di casa la mattina e rientro solo nel tardo pomeriggio, giusto in tempo per preparare qualcosa per cena. Quando mangio, ovviamente.

    Oggi è il primo giorno della mia settimana di ferie e non ho ancora deciso come occuparla. Le opzioni in realtà non sono molte, di certo non ho avvisato mia madre, altrimenti potrebbe risentirsi mortalmente del fatto che non abbia voglia di attraversare lo Stretto e andare a trovarla a Messina. Potrei almeno dirlo a mia sorella, pregandola di mantenere il segreto con i nostri genitori e farla venire qui con una scusa, anche se so già che mi dirà che è impegnata con l’università. Giulia è una ragazza giudiziosa e sta ultimando la tesi per conseguire la laurea in Veterinaria. Oppure, in alternativa, senza scomodare nessuno, potrei prendere la moto e girare senza meta per la Calabria, un progetto che ho accantonato da troppo tempo, dopo che Lorenzo…

    Non ho il tempo di immergermi in questi pensieri scollegati, che il mio cellulare squilla prepotente e la suoneria de La marcia di Radetzky ha un solo possibile corrispettivo: il commissariato di Roccia Marina, dove presto servizio da tre anni. Ehi, ma io da oggi sono in ferie!

    Con un leggero accento calabrese, una voce formale esordisce:

    «Buongiorno commissario, mi scusi per l’orario, so che è presto e che da oggi è in ferie…».

    «Buongiorno Marco, dimmi» mi chiedo cosa sia successo per chiamarmi a quest’ora e sudo freddo.

    «Ecco» si ferma esitante, quasi leggendomi nel pensiero «non la disturberei se non fosse necessario, ma devo informarla che ieri a pranzo hanno ammazzato un uomo sul suo yacht, noi l’abbiamo saputo solo poco fa perché ci ha informato la Guardia Costiera e perché, a seguire, è venuta la figlia a denunciare il fatto, in sostanza ci ha riferito che…» l’ispettore Aletti mi parla veloce come un treno, non facendomi assimilare bene i fatti.

    «Marco, scusami, forse ho capito male» la mia esasperazione è galoppante già alle 6.42. «La figlia asserisce che il padre sia stato ucciso ieri, a pranzo, e ce lo comunica solo adesso?».

    «Sì, è quello che afferma, commissario. Per la precisione, mica solo lei. Insomma, qui in commissariato ci sono sei persone urlanti che riferiscono tutte lo stesso fatto, cioè di un uomo avvelenato da qualcuno durante il weekend in barca, ma credo che si stiano accusando a vicenda. Se continuano così, è capace che ci scappi qualche altro morto» geme con una nota d’agitazione nella voce. «Commissario, lo so che di fatto è in ferie, ma…».

    «Ma?» ripeto incazzata, avendo capito l’antifona.

    «Il vicecommissario De Caro non risponde al cellulare. Lo so, per questa settimana è lui che la sostituisce, però, insomma, si ricorda anche lei di quel pasticcio che ha combinato due anni fa, a Tropea…».

    E vattelo a scordare! Per poco il cretino non ci rimetteva il grado, oltre che la pelle.

    Aletti infierisce senza pietà:

    «Commissario, non me ne voglia, davvero, ma credo sia il caso che lei venga qui in ufficio quanto prima».

    Vorrei sbattere forte la testa contro uno spigolo, persino Max sembra che mi guardi con uno sguardo commiserevole. E io che, prima che squillasse il telefono, mi lamentavo di quanto fosse traumatico il lunedì mattina!

    II

    Maurizio, sabato

    Lo sguardo di Maurizio era perso sulla grande sacca appoggiata sopra il letto, in attesa di essere riempita. Era sempre stato un uomo pratico e quello che si accingeva ad affrontare non era il suo primo weekend in yacht; al contrario, aveva sentito fin da piccolo il mare come la sua vera casa. Se fosse dipeso da lui, su quell’imbarcazione avrebbe preso la residenza almeno trent’anni prima. Eppure, la sensazione che avvertiva era quella di smarrimento, di chi non sa bene da quale parte iniziare.

    Perlustrava la camera matrimoniale, posando lo sguardo ora sui vestiti, ora sui documenti poggiati sul secretaire. «Un paio di cambi d’abbigliamento e ci siamo…» sussurrò a se stesso, riponendo alcuni indumenti nella sacca «e poi i farmaci, vale ancora la pena?» pronunciò a voce più alta, rigirandosi fra le mani le confezioni dei medicinali.

    Il tumore al fegato lo stava consumando rapidamente, a causa di una diagnosi arrivata troppo tardi e le metastasi ormai ovunque nel suo corpo. Aveva scelto di non cominciare la chemioterapia solo per allungarsi la vita di qualche mese, da medico troppe volte aveva visto i pazienti spegnersi dopo periodi di cura infruttuosi.

    Nonostante il disappunto di Aldo, suo amico e oncologo, seguiva solo una terapia antidolorifica, per continuare a vivere quasi come se nulla fosse successo. In realtà, il suo volto e il suo fisico non erano più quelli di prima e, con l’autoironia che lo distingueva, raccontava a tutti che lui apparteneva alla stretta cerchia di uomini sfortunati che, invecchiando, peggiorano.

    Mentre navigava tra i pensieri, lo sguardo gli cadde sulla cosa più importante da mettere in borsa, quello che era il vero motivo dell’invito per parenti e amici a quella gita sul mare, il suo testamento.

    Nessuno di loro era ancora al corrente della malattia, a eccezione di Aldo. Maurizio si scervellava da settimane su quale fosse la soluzione meno dolorosa per comunicare quella notizia alle persone a lui care, specialmente a sua figlia Vittoria perché, per quanto la morte di un genitore rientri nell’ordine naturale della vita, un padre vorrebbe arrecare quel dolore il più lontano possibile.

    Lui e Vittoria erano molto legati, forse anche perché lei era cresciuta senza una madre, andata via di casa quando la figlia era appena una bambina di tre anni. Era volata via in Brasile con un nuovo amore e non si era degnata di dare più notizie, né tantomeno di chiederne. In cuor suo Maurizio era grato di non averla sposata.

    L’uomo si appoggiò con un certo nervosismo sul letto sbirciando l’orologio da polso, un Patek Philippe comprato tramite il suo amico Jacopo. Maurizio non ne aveva mai capito molto di orologi, spesso trovava il bello più nel piacere di possedere un articolo di pregio che non nell’oggetto vero e proprio. Per questo si era sempre affidato a Jacopo, che era del mestiere e ne capiva sul serio.

    Le lancette dorate gli indicarono che mancava più di un’ora all’appuntamento al porticciolo con i suoi ospiti e che aveva ancora tutto il tempo per finire di riempire la sacca e di dedicare quello restante a ripassare il suo progetto.

    Aveva previsto di rivelare quella sera a cena, ai presenti, che l’indomani avrebbe fatto un annuncio importante. Dato il tema delicato, era d’obbligo evitare un tono festoso per non creare false aspettative, così come avere un atteggiamento troppo luttuoso non sarebbe stato opportuno. O forse era meglio lanciare la bomba direttamente domenica pomeriggio, durante il rientro al porto? Da giorni si poneva le stesse domande, non riuscendo a trovare la soluzione migliore per sé e per gli altri.

    Un breve bip dall’obsoleto cellullare lo distolse dai suoi pensieri: era un sms di Roberto che lo informava di essere già operativo sul posto e che tutto era pronto per i menù dei pasti del fine settimana.

    «Roberto, mio caro ragazzo…» mormorò fra sé e sé. Era come un figlio per lui, quel figlio maschio che purtroppo la sorte non gli aveva dato. Vittoria era la luce dei suoi occhi, senza dubbio, nonostante la testa calda e qualche dispiacere di troppo, ma in Roberto rivedeva la propria gioventù, se pur con interessi diversi. Lui aveva intrapreso la carriera di cardiologo, mentre il ragazzo ambiva a diventare uno chef stellato. Erano accomunati dall’impegno, dalla voglia di arrivare e dal non conoscere orari di riposo, pur di migliorarsi e imparare. Maurizio, inoltre, era convinto che il giovane sarebbe potuto essere anche un buon partito per la figlia, se questa non fosse stata così snob e acida nei suoi confronti.

    Vittoria, la sua piccola Vic, che aveva fatto di tutto pur di riuscire a combinare un matrimonio con Jacopo, nonostante l’enorme differenza d’età tra loro, perché trentaquattro anni non erano certo uno scherzo, ma sua figlia era sempre stata una ragazza amante delle comodità. Maurizio infatti era convinto che il sentimento di Vittoria non fosse legato tanto a Jacopo, bensì ai suoi soldi e alla solidità economica. Per lo stesso motivo, non essendo riuscita a spuntarla nel suo intento, aveva accettato di sposare Elio, meno ricco, ma quasi suo coetaneo. Inoltre, Maurizio le stava lasciando in eredità un patrimonio non indifferente e le donazioni che aveva intenzione di fare ai suoi amici, non l’avrebbero lasciata con l’acqua alla gola. Vic, Elio e persino Clara, l’amica del cuore della figlia, sarebbero stati benissimo comunque.

    Per ultima, c’era la questione dello yacht. Fino a qualche anno prima, per scherzare, diceva che l’avrebbe usato come mausoleo dopo la sua

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