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La strada per il tuo cambiamento: Riscopri la felicità che è in te
La strada per il tuo cambiamento: Riscopri la felicità che è in te
La strada per il tuo cambiamento: Riscopri la felicità che è in te
E-book107 pagine1 ora

La strada per il tuo cambiamento: Riscopri la felicità che è in te

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Info su questo ebook

Con questo libro Chiara ci insegna che è possibile individuare la propria strada e perseguirla con coraggio; e che quando ci si sente soli, quando abbiamo l’impressione di non riuscire a scavalcare quel senso di frustrazione che colpisce chiunque, chiedere un aiuto può essere la soluzione. Un amico o un confidente, o anche un
counselor che conosce alcune tecniche che possono aprirti la strada a dei vecchi obiettivi dimenticati, ma soprattutto a nuove mete.
LinguaItaliano
Data di uscita22 mag 2023
ISBN9791222410050
La strada per il tuo cambiamento: Riscopri la felicità che è in te

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    Anteprima del libro

    La strada per il tuo cambiamento - Chiara Franzoni

    Cambiare occhi per toccare il cuore

    Il lamento del cuore non è altro

    che il riverbero del rumore di un sogno infranto.

    Alessandro Bruno

    Ho conosciuto colui che sarebbe diventato il mio compagno di vita in un maneggio nel 1996, avevamo entrambi la passione per l’equitazione. Non so cosa mi abbia colpito di lui fin dal primo momento in cui l’ho visto; all’epoca non era nemmeno il tipo di uomo che cercavo, ma c’era come una forza interiore che mi diceva Vai a conoscere quel ragazzo!.

    Prima di lui avevo avuto un paio di esperienze, la prima di otto lunghi difficoltosi anni con il primo amore adolescenziale dai quali ho imparato molto, ad esempio che si devono amare le persone per ciò che sono e che non si possono cambiare. Mi sono resa conto che le nostre strade crescendo non erano più parallele, ma finivano per divergere su più punti e quindi la storia è terminata lì.

    La seconda esperienza è stata un fuoco di paglia: sei mesi intensi dove il fuoco della passione prevaleva su ogni cosa, lasciando però solo cenere dietro di sé.

    Quella volta invece, con quello che sarebbe diventato poi mio marito, Giuseppe, me lo sentivo, sarebbe stato diverso.

    Ho fatto di tutto per conoscerlo: lo invitavo alle cene che si tenevano nella club house del maneggio, a volte ne organizzavo alcune anche a casa mia, invitandolo timidamente e sperando che accettasse l’invito, tutto per poterlo conoscere in maniera più approfondita. Finché un giorno ho iniziato a notare che c’erano altre donne interessate a lui: veniva invitato spesso a cena, al cinema, alcune si proponevano di aiutarlo per il concorso… ne aveva parecchie che gli ronzavano intorno, e ricordo di aver provato una certa irrequietezza riguardo alla possibilità di poter fare colpo su di lui, pur non essendo tuttavia l’unica ragazza del club che provasse interesse. Così una domenica mi sono recata in scuderia, dove Giuseppe accudiva il suo cavallo, mi sono fatta coraggio e gli ho detto: «Mi piacerebbe uscire con te per conoscerci meglio, che ne dici, ti va?».

    Nella vita ho sempre pensato che la cosa peggiore che mi potesse capitare chiedendo qualcosa sarebbe stato sentirmi dire di no, quindi perché non provare?

    Mi disse che sarebbe uscito volentieri… e così è iniziato tutto.

    Ho saputo che aveva una macelleria e questo all’inizio mi ha preoccupato parecchio.

    Ma tra tutti gli uomini che potevo incontrare proprio uno che fa il macellaio mi doveva capitare?

    Avevo un pregiudizio molto forte al riguardo: quel forte contrasto tra i suoi modi di fare – quasi da lord inglese, dal portamento corretto in ogni situazione – e il fatto che uccidesse gli animali per farne delle bistecche mi dava quasi repulsione. Lo immaginavo lavorare nel retro della macelleria sporco di sangue, influenzata dai ricordi di quando ero bambina. I miei nonni, ad esempio, ogni anno uccidevano il maiale in cascina per farne dei salami, e pensandoci mi sembrava ancora di sentire le urla di quella povera creatura senza via di scampo: la carne macinata, i budelli utilizzati per farne salsicce, e soprattutto l’odore. L’odore era la cosa che più mi faceva venire la nausea: quell’odore di carne fresca mista a sangue che non potrò più dimenticare.

    Tutto questo mi bloccava molto ed ero parecchio combattuta. Mi è venuta allora l’idea, con la complicità di mia madre, di fare un blitz nella sua macelleria: avevo bisogno di vedere con i miei occhi come si potessero conciliare la sua attività – che io, guidata da un forte pregiudizio, consideravo per uomini rudi e rozzi – con il suo temperamento determinato ma sempre gentile.

    Quindi siamo entrate nella sua bottega – così la chiamava lui – per vedere come fosse nel suo ambiente di lavoro, ed è stata una sorpresa per me scoprire con quanta cura fossero esposti i piatti in vendita, i fiori e le piante che ornavano il negozio… non c’era il fastidioso odore di carne nell’aria, ma la cosa che mi ha sorpreso di più è stato il suo abbigliamento: indossava un camice bianco sopra alla camicia e alla cravatta! Sembrava un dottore…

    È stata un’immagine bellissima che mi ha dato una sensazione di grande professionalità e cura e che mi ha lasciato sbalordita. C’era anche sua madre al banco degli affettati, donna molto curata e attenta alle esigenze del cliente, mentre il padre era nel retrobottega a fare altre lavorazioni. Col senno di poi, so che quella giornata è stata propizia: la buona impressione ricevuta da quell’impresa tutta familiare probabilmente è stato ciò che mi ha spinto a continuare la frequentazione e ad approfondire la sua conoscenza.

    Tuttavia, Giuseppe stava attraversando un momento complicato della sua vita ed è stato difficile per me attendere che iniziasse a rivolgermi attenzioni come desideravo; mi stavo innamorando di lui e quello di cui avevo bisogno era un rapporto che fosse reciproco. Quando ne ho parlato con lui, sentendo la necessità di renderlo partecipe del mio sentimento, lui mi ha risposto ciò che nessuno vorrebbe mai sentirsi dire nella vita: «Questo è un bel problema, so che saresti la donna giusta per me, ma non è il momento migliore perché ora non sono ancora pronto».

    Dentro di me ero scioccata, ma facendo leva sulle mie capacità di autocontrollo ho risposto: «Non importa, finché ce la farò ti aspetterò, poi vedremo…».

    Col passare del tempo mi ha fatto conoscere la cerchia dei suoi amici e siamo entrati sempre più in confidenza, ma mancava ancora da parte sua quell’interesse che cercavo, quella sensazione di essere accolta, amata e desiderata, e dopo un annetto circa ho iniziato a rendermi conto che forse aspettare ancora sarebbe stata una sofferenza troppo grande per me. Ecco che proprio nel momento in cui stavo per dirgli che non avrei continuato la frequentazione perché avevo scelto me e il mio benessere emotivo e preferivo non vederlo più… improvvisamente, senza che io fossi riuscita a dire una parola, mi ha preso la mano, mi ha attirato a sé e mi ha chiesto se potessi prendere in considerazione di andare a lavorare per lui in negozio, in quanto stavano cercando una ragazza che affiancasse sua madre e che imparasse l’attività.

    Non era proprio la proposta che immaginavo, tuttavia ho apprezzato molto lo sforzo romantico del prendermi per mano, essendo lui una persona concreta, affidabile, gentile e generosa ma con un carattere deciso.

    Ma allora gli importa di me! ho pensato. Come avrebbe potuto, altrimenti, mescolare l’attività lavorativa con gli affetti?

    Non mi sembrava vero, io che sono una persona comunicativa, solare e creativa, che riesce a parlare anche con i sassi, finalmente avrei smesso di occuparmi di appalti e pratiche noiosissime e avrei avuto l’opportunità di interagire con i clienti e cucinare per loro. Neanche Giuseppe, con il suo solito pragmatismo, è riuscito ad appiattire il mio entusiasmo. Alla sua frase, pronunciata quasi come una profezia – «Pensaci bene, perché lavorerai come non hai mai lavorato in vita tua e sarà il lavoro più faticoso che tu abbia mai fatto» (solo Eva aveva avuto sentenza più negativa quando le era stato promesso che avrebbe partorito con dolore) – io ho risposto: «E che problema c’è?».

    Così mi sono licenziata dal lavoro di ufficio e dopo venti giorni ho iniziato la mia nuova esperienza in macelleria.

    Durante la prima settimana ho passato metà del mio tempo seduta, non essendo abituata a stare sempre in piedi per tutta la giornata; inoltre, in

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