Millecinquecentosettantuno. Dove stiamo andando?
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Info su questo ebook
Bruno de Filippis, nato nel 1953 e magistrato dal 1978, si è occupato in particolare di diritto di famiglia, materia nella quale è considerato tra i maggiori esperti italiani. Ha pubblicato numerosissimi volumi sull’argomento, tra cui opere tematiche e divulgative. Ha diretto importanti collane giuridiche, cartacee ed ebook. Si è occupato di riforme ed è stato più volte ascoltato dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati. Ha partecipato alla stesura della legge 54 del 2006, che ha rivoluzionato l’affidamento dei figli nella separazione e nel divorzio. Ha diretto gruppi di lavoro aventi lo scopo di predisporre progetti di riforma del libro primo del codice civile, in tema di diritti della persona e della famiglia. Con Lastaria Edizioni ha già pubblicato Cheronea (2018), Anchorage (2019), Toba (2021).
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Anteprima del libro
Millecinquecentosettantuno. Dove stiamo andando? - Bruno de Filippis
Bruno de Filippis
Millecinquecentosettantuno
Dove stiamo andando?
© Lastarìa Edizioni srls, 2023
Tutti i diritti riservati
Lastarìa Edizioni
Viale Libia 167 - 00199 Roma
info@lastaria.it
www.lastaria.it
I Edizione: gennaio 2023
Isbn: xxx-xx-xxxxx-xx-x
Finito di stampare nel mese di gennaio 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Published by arrangement with Delia Agenzia Letteraria
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri
Millecinquecentosettantuno
Dove stiamo andando?
Per apprezzare in pieno Millecinquecentosettantuno, si consiglia la preliminare lettura di Cheronea, Anchorage e Toba, in quanto ciascuno dei predetti volumi inizia dove termina il precedente.
Non è l’amore a muovere il mondo e neppure il denaro.
La nostra volontà è la forza che porta avanti l’universo
e il suo combustibile sono le motivazioni.
1
«Prendiamo due ragazzi innamorati. Il loro amore, in quel momento, è tutto. È il passato, il presente e il futuro. L’universo intero è racchiuso in uno dei loro baci. Bisognerebbe avvertirli che non sarà così per sempre. Bisognerebbe mettere nei luoghi più romantici e suggestivi cartelli che invitano alla prudenza. Qualcuno dovrebbe dire loro che possono disporre dell’attimo presente, ma non del futuro e che, se lo fanno, prendono impegni per persone del tutto diverse da quello che essi sono in quel momento. Prendono impegni che altri, letteralmente altri, con corpi, situazioni e sentimenti diversi, dovranno mantenere.
In passato la società, i detentori del potere religioso e politico, invece di avvertire gli innamorati, hanno puntato sulla loro particolare condizione per far sì che le promesse di eterno amore e fedeltà non solo venissero pronunciate, ma venissero immediatamente ratificate e blindate con intervento di preti, sindaci e popolo plaudente. Il messaggio lanciato è stato: Se non fate quelle promesse il vostro non è vero amore
(quale innamorato vorrebbe ciò? Tutti si sono precipitati a pronunciarle, anche coloro che avevano sentimenti incerti o volevano solo convincere o conquistare il partner) e Le promesse sono sacre, chi non le mantiene è un traditore
. Ma traditore è il poveretto che ha firmato tutta la modulistica dell’amore senza leggerla e capire cosa implicasse e che poi si trova a non poterla rispettare o chi, sapendo che ciò sarebbe successo, lo ha indotto a firmare? Certo, catturare l’attimo degli innamorati per chiuderli in esso tutta la vita è stato in passato utile, per assicurare stabilità sociale e certezza della paternità, ma è stato comunque un imbroglio e il fine non sempre giustifica i mezzi o comunque non li giustifica in un’epoca diversa, quando la cultura è cambiata, i bastardi non sono più una minaccia sociale e le indagini genetiche possono dare assoluta certezza della paternità».
Mi fermai un attimo, stupito che mi avessero fatto fare questo lungo discorso senza interrompermi. Eravamo a metà di una splendida cena, un momento di relax in cui Carla e io ci trovavamo con Titti e Mark, i nostri giovani amici. Titti non aveva più i capelli rossi. Il colore biondo che si era data e che non le stava particolarmente bene voleva rappresentare un taglio netto con il passato, era un messaggio lanciato a tutti noi per dire che la Titti di prima era sparita e lei era una persona diversa. Probabilmente il fatto che Mark si fosse tagliato il famoso ciuffo ribelle che lo caratterizzava aveva lo stesso significato. Erano dunque Titti e Mark, ma non erano più Titti e Mark. Dopo averci raccontato della nuova casa che stavano arredando, il discorso era finito sul mitico Teseo (quando si chiacchiera, le associazioni di idee e i voli pindarici non sono proibiti), l’eroe che aveva abbandonato Arianna a Nasso, che Titti aveva definito traditore. Io avevo contestato, con uno dei miei soliti discorsi, che partono da lontano e solo raramente arrivano a destinazione e adesso toccava a lei replicare.
Titti: «I due ragazzi ingenui strumentalizzati dalla Chiesa e da Napoleone (era lui che voleva una solida famiglia come base di uno Stato forte non c’entrano nulla. Teseo è un traditore perché, dopo che Arianna gli ha salvato la vita e dopo averla illusa, la abbandona senza una parola di spiegazione. È un traditore e anche uno…», concluse adoperando un termine per lei inconsueto, che indicava una forte partecipazione emotiva. Pensai alla storia che lei aveva avuto con Davin e che certamente condizionava il suo giudizio.
Cercai di dire che l’amore dura biologicamente circa tre anni, il tempo di mettere al mondo almeno un figlio e che dopo subentrano altri amori, per consentire alla specie di rinnovarsi e continuare, ma questa volta fui interrotto e mi accorsi di essere in minoranza. Carla e Mark erano d’accordo nel dire che il vero amore è per sempre e che chi è veramente innamorato lo sa, con la conseguenza che le sue promesse non sono estorte o indotte, ma sincere e devono essere mantenute, altrimenti è un traditore.
Provai ancora a difendere Teseo, dicendo che non mi risultava avesse fatto grandi promesse ad Arianna, ma mi fu risposto che portare via con sé la figlia del re, facendola rinunciare alla condizione di principessa, fare l’amore con lei e concepire un figlio non era certo meno di una promessa. Cosa avrebbe potuto fare di più per illuderla e ingannarla?
Come avvocato
di Teseo mi comportai poco professionalmente, abbandonandolo al suo destino di condanna, che vedevo già scritta negli occhi dei tre giurati, e mi preoccupai di salvare me stesso. Ciò che pensavano Titti e Mark aveva un’importanza relativa, ma il fatto che Carla si fosse schierata così apertamente mi faceva temere di aver fatto un autogol.
Carla è una donna intelligente e certamente aveva compreso che, da quando ero tornato dalla mia avventura a Toba, stavo vivendo un intenso travaglio sentimentale. Sulle prime poteva aver pensato che fossi rimasto scosso per la storia che lei aveva avuto mentre ero via e aveva raddoppiato l’affettuosità per togliermi ogni dubbio sul suo amore, ma poi doveva aver capito che c’era altro nei miei pensieri. Interpretai il suo giudizio su Teseo come rivolto a me stesso. Stava dicendo che se pensavo a un’altra ero un traditore del nostro amore, dei nostri ricordi e di tutte le nostre promesse.
Quando ero tornato, mi ero rituffato con convinzione nel rapporto con Carla, trovando intollerabile l’idea che un grande amore potesse finire, potesse diventare solo un ricordo o, peggio, essere sostituito da odio e ritorsioni. Tuttavia, giorno dopo giorno, Carla era divenuta più piccola e Jenny era cresciuta nel mio cuore.
Per quanto un amore possa essere grande, il fuoco travolgente dell’innamoramento, che tutto devasta e le cui fiamme possono raggiungere il cielo è destinato, nella migliore delle ipotesi, a trasformarsi nella fiamma quieta e calda di un camino (che poi, se non si sta attenti e non si alimenta di continuo, muore). Così era successo anche a me, ma tutto era andato bene finché non era apparsa Jenny. Il fuoco del camino era delizioso e, a differenza della fiamma dell’innamoramento, riscaldava senza bruciare, ma ora, cosa poteva fare un caminetto domestico di fronte a un nuovo travolgente incendio?
Ero tormentato dal dilemma Carla-Jenny
e dai sensi di colpa che ciò comportava. I sensi di colpa accompagnavano regolarmente ogni mio pensiero rivolto a Jenny, come la zizzania accompagna il grano nella parabola evangelica. Jenny, con il suo caschetto di capelli biondi e l’espressione da eterna adolescente. Vedo, chiaro e netto, il suo volto dovunque io guardi, sul muro che ho di fronte o sul dessert. Dolce Jenny, ti sei sacrificata per me e per la salvezza di gente che neppure conoscevi. Forse ora sei un angelo e sei qui vicino. Non so quante volte ti ho immaginato riemersa in un posto di mare, dove la gente sapesse cosa fare in caso di annegamento. Mi sono prefigurato la scena: sei splendidamente abbandonata e incosciente, distesa sulla sabbia, mentre una persona competente, una donna, un medico donna (nella mia immaginazione non c’è l’opzione di un uomo che la tocchi o peggio le faccia la respirazione bocca a bocca), che professionalmente ti rianima. Ti riprendi, espelli graziosamente un po’ d’acqua e guardi intorno per cercarmi, prima di ricordare che non posso essere lì. Jenny, amore mio, spero che tu sia felice. So però che non smetterai mai di aspettarmi, convinta che ti avrei cercato, a dispetto delle barriere del tempo e dello spazio. L’idea che io possa deluderti è insopportabile.
Carla, la mia brunetta dalla doppia vita: da un lato scienziata seria e rigorosa e dall’altro donna appassionata e sincera, cui mi legano infiniti ricordi e altrettante infinite promesse d’amore. Carla, che ancora mi guarda negli occhi come i primi tempi e il cui sguardo è limpido e sincero.
C’è qualcosa di sbagliato nel modo in cui funzionano le cose oppure solo nel modo in cui funziono io? Se, sincero e convinto, ho giurato eterno amore a Carla, perché poi la natura, il DNA, l’immaginazione, il destino o chiunque sia nella cabina di comando consente che mi innamori di Jenny?
Non è giusto mettermi in questa situazione, nella quale una parte di me tira violentemente da un lato e un’altra dal lato opposto. È un supplizio come quello descritto dallo storico Livio, con il quale il condannato veniva legato con un braccio e una gamba a due diversi carri, trainati ognuno da quattro cavalli, che venivano incitati a lanciarsi in direzioni opposte.
Vorrei essere capace di assaporare le sensazioni senza chiedere il perché, capace di vivere senza vedermi vivere
, senza salire uno o due metri sopra di me per guardare, con la lucidità di un estraneo, ciò che mi sta succedendo. In questo modo sarei più vulnerabile e finirei a capofitto nelle trappole della vita, ma tutto sarebbe meno problematico e potrei sempre dare la colpa al destino invece che ai miei errori.
Claudio (quello che vive) immagina di riattraversare con Jenny la splendida fase uno dell’amore ed è convinto che, con lei, la fase due (del caminetto tiepido) e soprattutto la fase tre (della stanchezza o, peggio, della crisi) non arriverebbero mai, ma l’altro Claudio (quello che vede vivere) dice che comunque verranno, perché arrivano sempre, con tutte le incognite, che ogni volta possono essere diverse e peggiori. Il mondo è pieno di innamorati o presunti tali caduti dalla padella nella brace.
2
Senza una ragione logica, ma soltanto attaccandomi a una visione, sono convinto che Jenny sia finita a Venezia, nel 1571. Immagino spesso di arrivare lì, alla corte del Doge, durante il carnevale e di togliere alle dame la maschera che portano, bianca con naso a becco, fino a che, dopo mille, la trovo e la bacio sulla bocca, tante volte quante maschere ho sollevato. Un altro sogno a occhi aperti, anzi chiusi, vissuto prima di addormentarmi, quando ognuno è solo con i suoi pensieri anche se il partner è a pochi centimetri, mi porta su di una nave assalita dai saraceni. Sono un rematore, un passeggero? Fuggo a nuoto mentre tutti combattono, tra grosse scimitarre e teste che volano via e salgo sulla nave nemica, ora vuota perché sono tutti andati all’arrembaggio. Qui libero tre dame veneziane prigioniere. La terza è Jenny. Un improvviso colpo di vento divide le due navi e ci porta via. I turchi se ne accorgono e smettono di combattere. Gridano, imprecano, si tuffano, ma non riescono a raggiungerci, perché il vento, vigoroso e libero, ci porta lontano. Abbraccio Jenny sulla prua della nave, come nel film Titanic. Nella mia testa scorrono i titoli di coda.
Sognavo spesso a occhi aperti, da ragazzino; ho smesso quando la vita reale ha sostituito i sogni. Ora ricomincio: significa che sono tornato nella fase in cui l’appagamento onirico è l’unico possibile?
Carla scelse un approccio diretto. Venne accanto a me e mi catapultò contro un apparentemente innocuo: «Mi ami?». Risposi prontamente di sì e la baciai, pensando che non solo ero un potenziale traditore, ma anche un incallito bugiardo.
A volte gli uomini commettono azioni così nefande che la terra dovrebbe aprirsi subito sotto i loro piedi e ingoiarli, facendo scomparire, insieme a essi, ciò che hanno fatto o detto. Possibile che la mia bugia avesse questo effetto? (E poi non era proprio una bugia, ma una questione di interpretazione: Carla si riferiva all’amore eterno, io le avevo risposto adoperando il termine in senso più ampio e moderato).
Il pavimento cominciò a oscillare e i mobili a ondeggiare. Ci guardammo sorpresi e sgomenti, riconoscendo entrambi, data la nostra professione, un terremoto ondulatorio intorno al quinto grado della scala Ritcher. Come era possibile? Da tempo l’istituto da me diretto prevedeva in anticipo i terremoti in tutto l’emisfero. Non poteva essercene sfuggito uno proprio a casa nostra, sotto il nostro naso.
Avremmo dovuto nasconderci sotto un tavolo e, terminata la scossa, recarci subito all’aperto. Lo sapevamo bene. Carla invece, abbracciandomi forte, mi sussurrò nell’orecchio un Non mi lasciare
, che solo apparentemente era riferito all’attimo che stavamo vivendo. Corsero da noi le piccole Giada e Cécile e si infilarono con naturalezza nel nostro abbraccio. In quel momento compresi che, pur essendo giuste le cose che dicevo sul DNA dell’essere umano e sul rapporto di coppia, pur essendo del tutto naturale e giustificata la mia aspirazione di vivere un nuovo amore, se l’avessi fatto sarei stato un traditore.
Non eravamo su Terra due, dove i rapporti sentimentali erano stati sdrammatizzati e l’unione a due non era, né una prigione, né l’unica opzione possibile. Non eravamo su Terra cinque, dove si discuteva se proibire la terza proroga quinquennale del matrimonio, per evitare sindromi di Stoccolma; eravamo sulla nostra vecchia e cara Terra, dove un condizionamento millenario imponeva di lavare con il sangue le infedeltà e la gente era convinta che l’amore vero
fosse un antidoto perfetto contro i nuovi amori, valido per tutti, tranne che per i traditori.
In conclusione, non c’era soluzione. Non vi erano alternative a che le bighe di Tito Livio mi squarciassero. Dove sarebbe finita la metà più consistente?
Se fosse rimasta dalla parte di Carla, sarei stato convinto di meritare un premio per il grande sacrificio
compiuto e sarei stato pronto a colpevolizzarla per avermi costretto
a farlo. In un contesto psicologico di tal tipo ci sarebbero stati tutti i presupposti per un rapido divorzio. E quale parte di Claudio sarebbe rimasta con lei? Non certo quella più allegra e motivata, bensì quella svuotata fino all’anima dalla rinuncia compiuta e, quindi, quotidianamente triste e insopportabile. Cosa poteva farsene di una parte così? Quando un essere vivente ha una potenzialità, deve realizzarla, altrimenti marcisce dentro di lui e lui con essa. Un’aquila deve volare, un poeta deve scrivere poesie, un innamorato deve vivere il suo amore. Come sosteneva Aristotele, la vita è passaggio dalla potenzialità all’atto e non c’è niente di più tossico di una potenzialità irrealizzata. Il mondo è pieno di persone depresse per non aver potuto studiare, cantare, avere figli o qualsiasi altra cosa avessero sentito di poter fare.
Se invece la biga mi avesse squarciato lasciando la parte maggiore a Jenny e quindi facendomi andare da lei, la mia natura responsabile, la mia empatia per Carla, Giada e Cécile, il peso di millenari e profondi condizionamenti mi avrebbero schiacciato sotto i sensi di colpa e la situazione avrebbe rischiato di implodere al primo futile litigio, facendomi sentire come Caino e facendomi pensare di meritare il nono cerchio dell’inferno, a lui dedicato da Dante. Anche in questo caso, il mio rapporto avrebbe rischiato tristemente di naufragare. Capivo che la colpa non era mia, ma del sistema culturale e religioso imposto in passato, ma ciò non mi consolava, né mi aiutava a difendermi. Terra due mi aveva insegnato che tutto ciò poteva essere cambiato, ma da noi ci sarebbero voluti secoli perché il cambiamento avvenisse, non solo nei costumi e nelle opinioni sociali, ma anche dentro di me. Secoli, un tempo che certamente non avevo.
3
Non so quanto tempo sarei rimasto ad arrovellarmi nel mio dilemma se gli eventi non mi avessero, quella notte stessa, preso per mano e trascinato in una nuova incredibile avventura.
Dopo avermi teletrasportato chissà dove, Cheyo e Wally attesero che fossi sveglio e mi stropicciassi gli occhi, prima di parlare. Sobbalzai, allungai il braccio verificando che Carla non era più accanto a me, mi gettai di lato pensando a ladri e rapinatori e cercando una qualsiasi arma con cui colpire e infine mi fermai a guardare.
Cheyo era una donna, ma aveva qualcosa di strano, di alieno, che a prima vista non si identificava. Ovviamente (come per tutti coloro che venivano dal futuro, come avevo sperimentato e come immaginavo anche per lei) era molto bella, alta, slanciata, con le curve al punto giusto e una massa di capelli rossi coordinati con occhi straordinari del medesimo colore, splendenti più che rubini. Anche Wally era una donna (qualcuno doveva aver pensato che ciò potesse ben dispormi più che se mi avessero mandato due barbuti vichinghi), ma