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Trinity. Life
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E-book304 pagine4 ore

Trinity. Life

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Info su questo ebook

Trinity Series

Autrice della serie bestseller Calendar girl
N°1 nelle classifiche italiane

Maria De La Torre è una sopravvissuta. La sua vita non è stata semplice, ma ha lottato duramente e fatto molti sacrifici. Questa è la sua storia. La vita che ha scelto di vivere. La stessa vita che qualcuno, proveniente dal suo passato, sta cercando di portarle via. Elijah è l’ultimo uomo sulla faccia della terra di cui Maria potrebbe innamorarsi. È un cacciatore di taglie senza scrupoli, oscuro e scostante: l’esatto opposto dell’uomo che lei ha amato e perduto, che avrebbe fatto qualunque cosa per lei. Elijah, però, non è il tipo di persona che accetta un rifiuto. È abituato a prendere ciò che vuole e ha messo gli occhi su quella splendida donna dai capelli color ebano. Ma una nuova minaccia si abbatte su entrambi, qualcosa che Maria non avrebbe mai pensato di dover incontrare ancora. E questa volta c’è in gioco la sua vita.

La serie scandalosa numero 1 del New York Times

Un’autrice da 4 milioni di copie
Tradotta in oltre trenta Paesi

«Life è proprio come la vita. Le sensazioni altalenanti, le lacrime e le risate che questa storia ha suscitato in me!»

«Non c’era un voto più alto di 5 stelle, ma posso dire che questo romanzo è tutto ciò che speravo e anche molto di più.»

«Intenso, spaventoso, mozzafiato, pieno di suspense… erotico da impazzire!»
Audrey Carlan
È un’autrice di bestseller internazionali, al primo posto nella classifica del «New York Times». Le sue storie ricche di oscurità e passione, tra cui la serie Calendar girl, sono state tradotte in 30 Paesi e hanno venduto oltre 4 milioni di copie. Vive in California con i suoi due figli e l’amore della sua vita. Quando non scrive, insegna yoga, degusta vini o è impegnata a leggere. La nuova attesissima serie Trinity arriva in Italia con i cinque capitoli pubblicati dalla Newton Compton.
LinguaItaliano
Data di uscita7 mag 2018
ISBN9788822719249
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    Anteprima del libro

    Trinity. Life - Audrey Carlan

    1938

    Titolo originale: Life

    Copyright © 2016 Waterhouse Press, LLC

    The moral rights of the author have been asserted

    All right reserved

    Traduzione dall’inglese di Mariacristina Cesa

    Prima edizione ebook: luglio 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-1924-9

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Audrey Carlan

    Life

    Trinity Series

    Indice

    Capitolo uno

    Capitolo due

    Capitolo tre

    Capitolo quattro

    Capitolo cinque

    Capitolo sei

    Capitolo sette

    Capitolo otto

    Capitolo nove

    Capitolo dieci

    Capitolo undici

    Capitolo dodici

    Capitolo tredici

    Capitolo quattordici

    Capitolo quindici

    Capitolo sedici

    Capitolo diciassette

    Capitolo diciotto

    Capitolo diciannove

    Capitolo venti

    Epilogo

    Ringraziamenti

    Alla mia sorella nell’anima Dyani Gingerich.

    Senza di te, non ci sarebbe Maria De La Torre.

    Senza di te, sarei un’anima sorella

    priva della sua perfetta trinità dell’amicizia.

    Senza di te, questa storia d’amore

    non sarebbe mai stata scritta.

    BESOS

    Bound – Eternally – Sister – of – Soul

    Unite per sempre – anime sorelle

    Capitolo uno

    Non piangerò. Non posso piangere. Mostrare il dolore sarebbe una forma di debolezza. Mi rifiuto di apparire debole. Dieci anni fa ero impotente, un prodotto dell’ambiente in cui vivevo. Ora sono una sopravvissuta. Sicura e forte. Ho buttato fuori a calci la mia parte smidollata il giorno in cui ho scelto di vivere.

    Oggi, davanti a centinaia di persone in lutto, il mio istinto di sopravvivenza è ai massimi livelli. Per Tommy ce la farò. Anche se ho il cuore a pezzi, il cervello in poltiglia e mi sento come un ammasso di ossa, tessuti e muscoli che vive, respira e va avanti per inerzia… devo farlo. Tommy vorrebbe che andassi avanti con la mia vita.

    Una vita senza di lui.

    Il lutto è un dolore subdolo e bastardo da cui non ci si può nascondere, che non si può eliminare. Si apposta come un ninja, notte e giorno. Lo si potrebbe anche considerare un mostro invisibile che, in piena notte, ti stringe il cuore tra le grinfie corrosive. Stai sognando in pace e, all’improvviso, ti ritrovi in preda alla devastazione e a un dolore lancinante.

    Non sono nuova al dolore, io. In questo preciso momento, ne accolgo ben volentieri la lama letale e affilata. Lì, conficcata nel cuore, quantomeno evita di farmi sprofondare nei bordi imbottiti del torpore in cui vorrei così tanto avvolgermi. Il sublime sollievo del nulla sarebbe il benvenuto ora che intorno a me tutto è nel caos più totale e assoluto.

    Ovunque giri lo sguardo, uomini in nero e in uniforme affollano la chiesa, i distintivi lucidi riflettono i raggi del sole di metà mattina in ogni direzione. Davanti a me, la bandiera bianca, rossa e blu che copre la bara dovrebbe farmi sentire orgogliosa. È un eroe caduto, e il mare di uomini venuto a porgere il suo rispettoso omaggio dovrebbe darmi calore. Invece no. Tommy è morto a causa mia. Ucciso in servizio per fare da scudo alla mia migliore amica.

    E la cosa peggiore è che non penso che avrei voluto il contrario. Anche se dentro di me so che mi stavo davvero innamorando di Tommy, Gillian, la mia migliore amica, è l’unica famiglia che abbia mai conosciuto. Lui lo sapeva. Se così non fosse stato, non credo che si sarebbe messo in mezzo, fronteggiando un folle assassino. Ha salvato la vita alla donna che considero una sorella e, in cambio, ha dato la propria.

    Come posso vivere con questo peso? Non c’è libro che io possa leggere che mi assolverà dall’afflizione, dal senso di colpa. Non c’è preghiera che modificherà la sorte dell’uomo che avevo iniziato ad amare, che credevo sarebbe stato il primo di cui potermi fidare con tutta me stessa, e che ormai non c’è più.

    Gillian mi stringe forte la mano tra le sue. È alla mia sinistra, dalla parte del cuore. Insieme alle altre mie due anime sorelle è l’unica ragione per cui quel cuore continua a battere. Bree è alla mia destra, mi passa la mano su e giù lungo la coscia, in un gesto fraterno di sostegno e conforto. L’altra mano riposa placida sulla pancia rotonda. Una vita si è spenta, un’altra nascerà presto. Chi ci crede, direbbe che è così che funziona. Yin e yang. La vita e la morte. Prenderei volentieri a pugni il pinchazo che se n’è uscito con questa roba. Gli porterei via l’uomo o la donna che ama di più al mondo per poi sbattergli il detto in faccia, a quel coglione.

    Mi guardo le dita, intrecciate a quelle delle mie amiche, e penso all’unica che non può essere qui oggi: Kathleen. È ancora in ospedale. Un’altra persona per cui non ho fatto abbastanza. Se solo fossi arrivata prima da lei, non avrebbe subìto ustioni tanto gravi. Il polmone non sarebbe collassato. Ora sarebbe seduta qui, accanto a noi, a offrirmi il suo supporto. Invece è tra la vita e la morte in un centro per ustionati.

    Mi passo la lingua sulle labbra riarse e screpolate e ripenso a quella notte. Avrei dovuto essere lì. Anche se ho preso a calci le travi della finestra del teatro per arrivare da Kathleen, era troppo tardi. I tagli sulla pianta del piede bruciano dentro gli stivali bassi che porto. Ma è un fastidio ben accetto. Di notte ancora mi fanno male, e gli squarci che mi sono provocata all’addome per entrare attraverso il vetro rotto e arrivare alla mia amica non si sono ancora completamente sanati.

    Sono passate tre settimane da quando quell’incendio al teatro ha mandato in ospedale me e Kat. Due da quando l’uomo che amavo è precipitato dalle finestre dell’antica torre, volando giù per sessanta metri verso la morte. Da quanto mi hanno riferito, perfino prima di cadere Tommy ha sparato e un proiettile ha colpito il suo assassino proprio al collo, ponendo fine una volta per tutte al regno di terrore e distruzione instaurato da Daniel.

    Mi sento percorrere da un brivido e mi concentro sulla bara qui davanti. I genitori di Tommy siedono dall’altro lato della navata insieme ai parenti. Quando sono arrivata, mi hanno abbracciata come se anch’io fossi una di famiglia, anche se non so bene cosa significhi. Sua madre mi ha perfino sussurrato all’orecchio che sarò sempre la benvenuta. Suo padre mi ha portata al primo banco, al posto che spetterebbe a una moglie, come se meritassi un tale onore. Neanche un po’.

    Il sacerdote si avvicina all’altare, riportandomi al presente, e inizia la celebrazione funebre in ricordo di Thomas Redding, detective della polizia di San Francisco, figlio, fratello… l’uomo che amavo, ma al quale non ho mai avuto l’occasione di dirlo. È morto senza saperlo. E con questa consapevolezza dovrò vivere il resto dei miei giorni.

    Da dietro, una mano calda si posa sulla mia spalla mentre fisso immobile la bara. Bramo quell’immobilità. Mi rendo conto che la chiesa è ormai deserta, tutti stanno andando a casa della famiglia di Thomas per il ricevimento.

    «Maria, es hora de ir». Ora di andare. Lo dice Chase in spagnolo, la mia lingua materna. Annuisco, mi alzo e, subito, dalle lacerazioni sotto i piedi che ora sostengono il mio peso una fiammata di dolore si irradia alle gambe. Il dottore mi aveva raccomandato movimenti limitati per almeno tre o quattro settimane per far sì che le ferite guarissero. Purtroppo per lui non sono una brava paziente, quindi la convalescenza si sta prolungando più del dovuto.

    «Posso stare da sola qualche minuto?», chiedo guardandomi alle spalle. Chase Davis stringe a sé Gillian, la mia migliore amica, che ha le guance rigate da un fiume ininterrotto di lacrime. Penso che non abbia mai smesso di piangere dalla sera dell’incendio. È più pallida del solito, con una sorta di vacuità nello sguardo. Abbasso gli occhi e la osservo. Ha riacquistato un po’ dei chili persi in quei mesi in cui lo psicopatico ha dominato sulle nostre vite, ma non molti. Perlopiù è pelle e ossa. Diavolo, a parte Bree per via della gravidanza, la maggior parte di noi ha perso più peso di quanto potesse permettersi. Capita, quando si è sotto forte stress.

    Chase le tiene una mano sul ventre. Un gesto strano e protettivo, ma lui è un iperprotettivo. L’ho imparato nel modo peggiore. Eppure, con tutti i suoi difetti, è ancora la cosa migliore che sia mai accaduta alla mia migliore amica, e sono felice che si siano trovati. Avevo sperato per tutte noi un lieto fine, proprio come nei romanzi. Gillian con Chase. Bree con Phillip. Kat con Carson. E io con il mio Tommy. Niente da fare. Del gruppo, sono quella che è rimasta sola.

    Chase sospira. «Ma certo. Ti aspettiamo fuori dalla chiesa». Mi stringe una spalla e chiudo gli occhi.

    Mi avvicino alla bara. Accanto c’è un primo piano a grandezza naturale di Tommy in divisa. Poso la mano sulla bandiera, a capo chino.

    «Tommy, mi dispiace. Niente di tutto questo sarebbe dovuto succedere. Non sarebbe mai dovuto accadere a te», sussurro, sentendo ogni parola fin dentro l’anima. Il dolore per la sua perdita è un’agonia, mi taglia in due da dentro.

    Alla fine le lacrime arrivano e prendono a scorrere lungo le guance. Mi ci abbandono, non ho alcuna speranza di tamponare questa sofferenza. Ha affondato i suoi artigli e sta avendo la meglio. Trattenermi ormai è impossibile. Sono scossa dalla tensione e dallo sforzo di non precipitare nel baratro della disperazione. Ogni lacrima scende fino al mento precipitando a terra come magma incandescente, gocce delle dimensioni di una nocciolina che bruciano tutto al loro passaggio.

    «Se potessi, prenderei il tuo posto». Tocco la bara, sperando che da qualche parte, in qualche modo, il mio Tommy mi stia ascoltando.

    «Aaah, bellissima, sarebbe un vero peccato». Alle mie spalle una voce piena, profonda, fin troppo nota, mi riporta alla realtà.

    Conosco questa voce.

    Mi viene a trovare in sogno ogni notte da due settimane. È la voce che sento nella mia testa, che mi dà sollievo quando il senso di colpa e il dolore si fanno insopportabili. È lui. Mi si rizzano tutti i peli delle braccia e del collo. Deglutisco, cercando di mandar giù l’enorme groppo spugnoso che ho in gola. Lentamente inspiro, chiudo gli occhi e mi volto. Ti prego, Dio…

    Non è possibile.

    Non può essere vero.

    E se invece lo fosse?

    Tommy.

    Sbatto le palpebre furiosamente di fronte a quello che penso di vedere. Eccolo qui. Vivo. Espléndido. Gli occhi sono dello stesso verde abbagliante che ricordo. Mentre mi guarda, sembra leggere tutta la rovina che ho dentro. Il mio cuore prende a battere all’impazzata, a un ritmo che non riesco a sostenere. Mi stringo il petto sopra il seno.

    «Non può essere…». Trattengo il fiato. Ora le lacrime sembrano avere vita propria e mi scorrono sul viso, gocciolando ardenti sul petto. Allungo una mano tremante. Intorno alla testa ha un alone di luce, i capelli sono scalati e scuri, più corti ai lati. Cosa? Sbatto le palpebre un paio di volte per cercare di capire cosa sto guardando. Tommy non aveva capelli.

    «Tutto bene?», mi chiede, ma il tono di voce è più profondo, non proprio lo stesso a cui ero abituata.

    Nel momento esatto in cui comincio a barcollare e perdere l’equilibrio, mi afferra sotto le braccia e mi stringe al petto massiccio, che è più ampio di quello contro cui in quest’ultimo anno mi sono accoccolata, che ho baciato e abbracciato.

    «Oh, mio Dio, che succede?», singhiozzo aggrappata alle sue braccia tatuate.

    Tatuaggi? Tommy non aveva alcun tatuaggio. Esamino in modo analitico ogni centimetro di ciò che riesco a scorgere. Continuo a tremare come una foglia in mezzo alla tempesta.

    «Tommy?», gli accarezzo la ricrescita sul mento. Barba?

    L’uomo scatta con la testa all’indietro. «Tommy? No… oh, no. Ti sei confusa».

    «Ma… ma sei lui. Gli stessi occhi. Il viso…». Mi asciugo le guance e mi libero dal suo abbraccio, indietreggiando fino a sbattere contro la bara. Proprio come avrebbe fatto Tommy, quella mi sostiene mentre scuoto il capo. «Sto impazzendo. Alla fine doveva succedere. Sono diventata loca en la cabeza!», esclamo, riuscendo a malapena a restare lucida di fronte a quel sosia soprannaturale.

    Tende le mani come a calmarmi. Le mani di Tommy, solo un po’ più grandi. Tutto in quest’uomo sembra più grande del normale. Sono ufficialmente fuori di testa.

    «Non sei pazza». Ride piano, ed è un suono che mi rimbomba nel petto stringendomi le viscere. È come la risata di Tommy, ma non lo è.

    «Non capisco. Sei morto. E non sei tu!». Inclino la testa e cerco di individuare l’uscita o perlomeno i miei amici. «Chase! Gillian!», grido con quanto fiato ho nei polmoni. Sto sognando? Un altro incubo contorto da cui non riesco a svegliarmi?

    Una porta in fondo alla chiesa si apre e illumina la silhouette di uno sconosciuto.

    Dei passi si fanno sempre più vicini, ma lo stesso fa Tommy. «Tu sei morto». Gli punto contro un dito continuando a scuotere il capo.

    «Non sono Thomas», si affretta a dire abbassando le braccia lungo i fianchi.

    Il rumore dei passi sul pavimento di legno è più forte ora. «Maria!». Sento la voce di Chase e giuro che è come un unguento lenitivo sulle mie ferite maltrattate.

    Chase ci raggiunge, mentre la massa di capelli rossi della mia amica ondeggia sullo sfondo dietro di lui. «Ria!», grida.

    Mi getto tra le braccia di Chase e piango nel calore del suo petto. Singhiozzi forti, concitati, soffocanti. «Tommy», rantolo affranta.

    «Chi è lei?». La voce di Chase è un’arma letale che pretende una risposta. «Cristo, siete uguali!». Ansima quando volge lo sguardo verso l’uomo che è a pochi passi da noi. Mi giro e lo osservo.

    Arriva Gillian, instabile sui tacchi a spillo, con le braccia tese per mantenere l’equilibrio. L’uomo allunga la mano per sostenerla. Gillian si aggrappa al suo polso e poi resta a sua volta senza fiato quando lo guarda in faccia. «Oh, mio Dio, sei tu…». Si porta una mano alla bocca, dita bianche e delicate contro le labbra di pesca.

    L’uomo scuote il capo. «Stavo cercando di dirtelo prima che dessi di matto», dice rivolgendosi a me, mentre sono ancora stretta a Chase, «mi chiamo Elijah Redding, ma tutti mi chiamano Red».

    «Chi sei?», riesco a dire nonostante la paura e l’ansia che mi attanagliano ogni parte del corpo.

    Si passa una mano tra i ciuffi in disordine. «Il fratello gemello di Thomas».

    «Gemelli!», gracchio e lascio andare Chase. Non mi aveva mai detto di avere un fratello gemello.

    Elijah annuisce. «Gemelli omozigoti».

    «In versione Hulk, direi», aggiunge Gillian. «È inquietante».

    Chase si volta di scatto, con lo sguardo torvo.

    «Che c’è? Tesoro, guardalo. È come Tommy, ma con una ventina di chili di muscoli in più e tutti quei tatuaggi da duro». Lasciamo a Gigi il compito di descrivere il sex appeal di quest’uomo.

    Chase si allontana da me e va verso di lei, mettendole un braccio intorno alla vita. «Ne riparliamo dopo», borbotta, poi si rivolge al fratello di Tommy. «E com’è che lei e Maria non vi siete mai visti prima?».

    Ecco, esattamente la domanda che avrei fatto io se avessi avuto la facoltà di mettere due parole in fila. Ora come ora, non riesco a staccargli gli occhi di dosso. Gillian ha ragione. È la versione rielaborata del mio Tommy. Stessa altezza, stessi occhi, stessa bocca. Ma ha i capelli. Tommy si rasava completamente, testa e viso, mentre Elijah ha guance ispide con una bella ricrescita. Avrebbe dovuto farsi la barba per bene e recitare la parte del fratello in lutto, se gli fosse veramente fregato qualcosa della sua morte. Così evidentemente non è, dato che solo adesso si degna di farsi vedere.

    «Siamo diventati estranei negli ultimi due anni. Sono appena tornato in città», dice Elijah a denti stretti. «Cosa sei tu per mio fratello? Ti ho vista seduta davanti. In che rapporti eravate?».

    Socchiudo gli occhi. Se è della famiglia, perché non ha mai sentito parlare di me? Tommy e io abbiamo fatto coppia fissa per quasi un anno.

    Per lo stesso motivo per cui tu non hai mai sentito parlare di lui.

    «Tuo fratello e io stavamo insieme».

    Elijah chiude gli occhi, sorride ironico e scuote la testa. «Ovviamente si è trovato un bel pezzo di ragazza». A quelle parole, passa in rassegna con gli occhi ogni mio dettaglio, dalla felpa nera chiusa alle punte degli stivali. «Dovevo immaginarlo». Si porta il pollice sul labbro inferiore. «Ci ha sempre saputo fare con le donne».

    Incrocio le braccia sul petto. Chase allunga una mano verso di me e l’accetto. Quando mi avvicino, mi circonda le spalle in un abbraccio. «Pronta?»

    «¿Para decir adiós? No». Non sono pronta a dirgli addio.

    Chase annuisce tristemente e Gigi mi accarezza la guancia. «Non è mai un vero addio, tesoro. Vivono attraverso di noi e quelli che li amavano». Poi si rivolge a Elijah. «Siamo davvero affranti per la tua perdita. Tommy è morto per salvarmi la vita. È un dono che non potrò mai ripagare, ma se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, il mio uomo e io saremo onorati di provvedere».

    Le spalle di Elijah sembrano irrigidirsi e raddrizzarsi proprio di fronte a noi. «Magari ci potremmo vedere e così, ehm, mi racconterai come ti ha salvato la vita», dice giungendo le mani davanti a sé.

    La mia Gigi sorride così radiosa che sembra illuminata dalla luce celeste del paradiso. «Sarei felice di raccontarti che eroe è stato tuo fratello».

    A quell’ultima frase, Elijah sembra trasalire e distoglie lo sguardo. «Bene, grazie».

    «Ha un biglietto da visita?», gli chiede Chase, una domanda così assurda che non riesco a trattenere una risatina.

    Elijah ride e scuote il capo. Già, non penso proprio.

    Chase aggrotta la fronte in un modo che ormai conosco bene. Infila la mano nella giacca e tira fuori un biglietto. «Ecco il mio. Saremo felici di averla ospite per un drink o una cena. Ci chiami, per favore. A Gillian farebbe un gran bene». Allunga la mano ed Elijah gliela stringe. Per un attimo, Chase si protende in avanti abbastanza per non farsi sentire da Gillian, ma io riesco a capire. «Sente un terribile senso di colpa per la sua morte», sussurra e poi indietreggia di nuovo di qualche passo. «Ribadisco, ci chiami».

    Elijah infila il biglietto nella tasca posteriore dei jeans neri. «Lo farò».

    «Gliene sono grato», risponde Chase, per poi allungare la mano verso di me. «Andiamo?».

    Mi rivolgo a Elijah. «Ti chiedo scusa per come ho reagito…». Sollevo la testa e lo guardo negli occhi, occhi che conosco benissimo, ma su un’altra persona.

    Lui mi posa una mano sulla guancia. «Piccola, è tutto a posto. Ci sono abituato». E si asciuga una lacrima solitaria.

    «Mi dispiace per tuo fratello». Inspiro ed espiro, tenendo nuovamente a bada la voglia di piangere.

    «Sì, anche a me», dice con fare solenne prima di togliermi la mano dal viso.

    Mi accarezzo la guancia, a sostituire il calore che l’ha lasciata. Era così simile al tocco di Tommy, eppure totalmente diverso.

    Chase mi accompagna lungo la navata della chiesa verso il portone di legno.

    «Ehi!», esclama Elijah.

    Ci giriamo tutti e tre.

    «Come ti chiami?»

    «Maria. Maria De La Torre».

    «È stato un piacere, Maria De La Torre», dice, poi si siede al primo banco. Lo osservo mentre si china in avanti, i gomiti sulle ginocchia, la testa tra le mani. Sembra totalmente sconfitto, schiacciato dal peso di un’incudine.

    «Andiamo», mi sprona Gigi, ma qualcosa mi fa venir voglia di restare qui, a confortarlo, a conoscere quest’uomo così simile al mio Tommy.

    Il suo gemello. Ancora non riesco a credere che ne avesse uno e io non ne sapessi niente. Perché Tommy non mi ha mai parlato di Elijah? E neanche i suoi genitori? Sono stata a cena en la casa de familia dei Redding innumerevoli volte. Non mi spiego come non sia mai saltato fuori il suo nome. Abbiamo passato insieme il Ringraziamento e Natale, e niente. Neanche un accenno.

    Non ha senso. Tutto quello che so è che, quando mi ha rivolto la parola standomi alle spalle, ho pensato che fosse Tommy che mi parlava dall’aldilà. Poi mi sono girata ed è stato come vedere un fantasma vivo, che respira. Con la differenza che Elijah è molto più imponente e di una bellezza più ruvida. Il tipo di persona che non si ferma mai a lungo nello stesso posto. Si cura molto, a giudicare da come la maglietta nera tirava sui muscoli. Jeans neri, stivali da motociclista e postura a gambe larghe dimostrano che non gliene frega un tubo di cosa pensa la gente del suo abbigliamento, perché non si veste per gli altri. Nemmeno a un funerale. Mentre tutti indossano i loro abiti migliori, il fratello di Tommy si presenta in jeans e maglietta dopo la cerimonia. Non saprei se abbracciarlo o mandarlo a quel paese.

    Una volta usciti, Gillian mi blocca davanti alla limousine. «Porca miseria, Ria. Stai bene?». Mi tiene per le braccia, gli occhi di smeraldo mi fissano preoccupati.

    Scuoto il capo. «Non lo so. Sì. No. Forse. Che gran casino».

    Chase tira le maniche della camicia per stirarle. «Direi. Non sapevi che avesse un fratello gemello?»

    «No, una scoperta assurda. In un anno, né Tommy né la sua famiglia me ne hanno mai parlato. Me ne ricorderei se il mio uomo mi avesse detto di avere un fratello gemello. Omozigote, poi!».

    Gillian mi prende tra le braccia. «Dio, che giornata. Vogliamo andare a bere qualcosa nell’attico?».

    Chase la tira a sé, le sussurra qualcosa all’orecchio e le mette entrambe le mani sulla pancia. Che. Cazzo. Succede? Di solito non è così possessivo davanti a me, ma solo verso i maschi che fanno delle avance alla sua donna. È vero che in questi ultimi mesi il nostro gruppetto è stato travolto da una tempesta di merda e maledizioni, ma la sua natura protettiva lo sta portando al livello del rompicoglioni.

    Gillian gli dà dei colpetti sulla mano e mi guarda negli occhi, pur rispondendo a lui. «Oh, non sono dell’umore di bere, tesoro. Non bevo mai quando sono triste. Ma potete farlo benissimo tu e Ria. Che ne pensi?». Sorridendomi dolcemente, si porta un ricciolo rosso dietro l’orecchio.

    «Pare proprio che mi fermerò a casa Davis stasera. Chase, faresti bene a tirare fuori la buena mierda».

    «Roba buona», ammicca. «Lo farò. Ora, prego, entrate in macchina e allacciate le cinture».

    Metto il broncio. «Sempre a dare ordini».

    «Non sai quanto, sorella», sospira Gillian sognante.

    «Me lo racconterai sulla tequila», borbotto mentre apro la portiera della limousine. Getto un ultimo sguardo alla chiesa in cui non entrerò mai più. «Ciao, Tommy», sussurro e, in quel momento, esce Elijah. Trattengo il fiato e lo guardo nell’istante esatto in cui i suoi

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