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Introduzione al pensiero buddhista: Il Buddhismo come filosofia
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E-book144 pagine1 ora

Introduzione al pensiero buddhista: Il Buddhismo come filosofia

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Info su questo ebook

Con questo testo ci ripromettiamo di tratteggiare, in breve, le idee fondamentali del Buddhismo. Non miriamo ad un'esposizione completa ed esauriente. I lettori più esigenti avranno modo di placare la propria sete di conoscenza con l'attingere a ben altre fonti. Per questo, non esitiamo a rimandarli alla bibliografia commentata che completa la nostra trattazione. L'intento che ci anima è piuttosto quello di pungolare la curiosità intellettuale ed esistenziale di quanti, pur avendo qualche conoscenza filosofica, magari acquisita negli anni di studio liceale, non si sono mai accostati a questa sconfinata galassia del pensiero umano, ma sono disponibili al confronto con ciò che è diverso, provano gusto a mettersi in discussione come persone "integrali", non disdegnando indossare i panni del "principiante".
LinguaItaliano
Data di uscita24 feb 2016
ISBN9788899126896
Introduzione al pensiero buddhista: Il Buddhismo come filosofia

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    Anteprima del libro

    Introduzione al pensiero buddhista - Francesco Dipalo

    Indice

    Prefazione

    Alcuni concetti preliminari

    Il Buddhismo come religione

    Il Buddhismo come filosofia

    L’estinzione del sé e la dottrina del non-sé (anatta)

    Il presunto pessimismo radicale del Buddhismo: la concezione della sofferenza (dukkha)

    Non-nascita, non-morte: impermanenza (anicca)

    I Tre Segni dell’Esistenza e l’etica buddhista

    I fondamenti storici della dottrina buddhista

    La figura del Buddha

    Il Buddhismo è ateo?

    Le Quattro nobili verità

    La nobile verità riguardo al dolore

    La nobile verità riguardo all’origine del dolore

    La nobile verità riguardo alla cessazione del dolore

    La nobile verità riguardo alla via che conduce alla cessazione del dolore

    Tecniche di meditazione

    Consigli di lettura

    Il lessico buddhista

    Nota: in riferimento alla lingua d’origine delle parole utilizzate nel testo e ella sezione del lessico buddhista si utilizzano le seguenti abbreviazioni: s. = sanscrito; p. = pali; c. = cinese; g. = giapponese. Per la loro traslitterazione si è optato per l’alfabeto latino standard.

    Prefazione

    Con questo testo ci ripromettiamo di tratteggiare, in breve, le idee fondamentali del Buddhismo. Non miriamo ad un’esposizione completa ed esauriente. I lettori più esigenti avranno modo di placare la propria sete di conoscenza con l’attingere a ben altre fonti. Per questo, non esitiamo a rimandarli alla bibliografia commentata che completa la nostra trattazione. L’intento che ci anima è piuttosto quello di pungolare la curiosità intellettuale ed esistenziale di quanti, pur avendo qualche conoscenza filosofica, magari acquisita negli anni di studio liceale, non si sono mai accostati a questa sconfinata galassia del pensiero umano, ma sono disponibili al confronto con ciò che è diverso, provano gusto a mettersi in discussione come persone integrali, non disdegnando indossare i panni del principiante.

    «Se la vostra mente è vuota, è sempre pronta per qualsiasi cosa; è aperta a tutto. Nella mente di principiante ci sono molte possibilità; in quella da esperto, poche (Mente Zen. Mente di principiante)» - ci ricorda il maestro zen giapponese Shunryu Suzuki (1904 - 1971), uno degli apostoli del Buddhismo in Occidente. Apertura è un termine importante per chi ama la filosofia, non importa che segua la tradizione occidentale o quella orientale. Aprirsi all’Altro da sé, a ciò che non si conosce è un gesto d’amore, soprattutto verso se stessi. E chi ama, sospinto dal desiderio, si mette in cammino verso la meta del suo amore. È questo il significato della parola greca "philosophìa" (amore per la sapienza). Il vero filosofo, dunque, è un eterno principiante, perché si è perfezionato nell’arte del meravigliarsi dinanzi a ciò che è nuovo e per lui inaudito. E custodisce un piccolo segreto, ignorato dai più: che «ogni giorno sorge un sole nuovo (Eraclito fr. 6 DK)», ossia ad ogni attimo, ad ogni batter di ciglia corrisponde una nuova esperienza conoscitiva.

    Ecco, possiamo dire, in estrema sintesi, che l’essenza del messaggio buddhista stia proprio in questo invito a guardare se stessi e il mondo con occhi sempre nuovi, scientificamente oggettivi e compassionevoli allo stesso tempo, traducendo in pratiche di vita tale atteggiamento filosofico di fondo, in modo che esso penetri sin nel midollo del proprio essere. È la stessa volatilità del tempo ed imprevedibilità dei casi della vita a renderlo urgente. La vita è adesso, solo qui ed ora. Nell’illusione di un prima o di un poi la sofferenza è in agguato. Per questo, il Sandokai, poema buddhista dell’VIII secolo d. C., si chiude con questo appello: «Voi che ricercate la Via, vi prego, non lasciate che i giorni e le notti passino invano».

    Là dove è stato possibile (e si è rivelato opportuno), per puntualizzare con maggiore chiarezza alcuni principi della visione buddhista si è fatto ricorso alla comparazione con il pensiero occidentale, utilizzando spunti ed autori dell’antichità greco-romana nonché della filosofia moderna e contemporanea. Si tratta, evidentemente, solo di suggestioni e di tracce che meriterebbero di essere seguite con maggiore attenzione. Ci interessa qui sottolinearlo per mostrare come certe distinzioni alle quali siamo superficialmente abituati – del genere Occidente versus Oriente – siano decisamente fuorvianti. Credo che oramai – a tutti i livelli, a cominciare da quello scolastico – sia giunto il momento di riconsiderarle in toto e di superarle in una più ampia e fruttifera sintesi che metta al centro l’individuo filosofante e le sue concrete esigenze esistenziali e spirituali di essere umano e di cittadino globale.

    Alcuni concetti preliminari

    Che cosa si intende per Buddhismo? Una definizione coerente e comprensibile del termine, che tenga conto di tutte le sue implicazioni spirituali, speculative e storiche, può essere tentata riconducendo, con intento comparativo e chiarificatore, l’idea del Buddhismo all’interno di ambedue i generi ideali di religione e filosofia, così come si sono andati determinando nel corso della storia della cultura occidentale.

    Ogni riduzione semplicistica all’uno o all’altro genere risulterebbe incoerente perché, di fatto, dal nostro punto di vista il Buddhismo non è una religione in senso stretto, in quanto priva dell’idea di un dio-persona e quindi di una sua teologia; né si può semplicemente ricondurre all’ambito razionale e dialettico che fa da sfondo alla più generale idea di filosofia, in quanto latore di un concreto messaggio salvifico che implica un preciso atteggiamento spirituale e uno stile di vita ad esso coerente piuttosto che una generica adesione intellettuale ad un sistema di idee e di valori astratti.

    D’altro canto, la comprensibilità della visione del mondo buddhista da parte del lettore occidentale, che non abbia confidenza con il pensiero e la cultura dell’India e dell’Estremo Oriente, risulta direttamente connessa alla possibilità di effettuare una comparazione attraverso la riduzione ai suddetti generi ideali.

    Diversa, evidentemente, potrebbe essere una conoscenza del Buddhismo dall’interno, ma la via a tale conoscenza passa attraverso un radicale ripensamento della propria autobiografia, una vera e propria conversione esistenziale prima ancora che intellettuale, che è possibile maturare soltanto con una disciplinata prassi meditativa.

    Va aggiunto che quelli che chiamiamo generi ideali, in questo caso religione e filosofia, hanno un valore puramente orientativo e che va adeguatamente storicizzato anche all’interno della cultura occidentale. Per noi religione è sinonimo di Cristianesimo. E al Cristianesimo, negli ultimi quindici secoli della nostra storia, si è attribuito, per così dire, il monopolio della spiritualità e delle pratiche attraverso cui essa si è espressa e si esprime ancor oggi. Certamente nel corso della storia non sono mancate voci di dissenso. Ma quando la modernità ha partorito, dopo lungo travaglio, altre visioni del mondo, esse sono state semplicemente considerate in termini antitetici alla religione o di assoluta alterità (scienze naturali e umane, medicina, psicologia clinica, ecc.). Per molto tempo laicità e ateismo antireligioso sono stati intesi come sinonimi, soprattutto nei paesi cattolici.

    D’altra parte, la filosofia, quando non si è posta come collaboratrice raziocinante della fede (ancilla theologiae, serva della teologia dicevano i medievali) a sostegno della religiosità cristiana, ha intrapreso un cammino accademico, professorale, per il quale non era richiesta una stretta coerenza tra scienza, pensiero e vita vissuta. Dal filosofo professionista, ancor oggi, non si esige alcuna vocazione spirituale. Lo si immagina a scuola dietro una cattedra o seduto alla scrivania a scrivere testi più o meno illuminanti su argomenti prevalentemente storico-filosofici. Al massimo, potrebbe figurare tra i cosiddetti intellettuali impegnati nel dibattito politico o in determinate battaglie civili. Per questo, noi europei, pur vivendo in società oramai in gran parte laicizzate, tendiamo ad appiccicare l’etichetta di religione a forme di spiritualità integrali, che comportano una stretta connessione tra pensiero e vita, spiritualità e gesti quotidiani.

    Con questo non si vuole affermare che le cose stiano effettivamente così. Tanti filosofi moderni e contemporanei hanno dato prova concreta di saper incarnare nelle loro vicende autobiografiche quanto espresso nei libri, da Giordano Bruno, a Blaise Pascal, Søren Kierkegaard, Friedrich Nietzsche, Karl Marx o Edith Stein. Ma il cosiddetto senso comune, che affonda le sue radici nella storia collettiva europea, tende a distinguere e ad usare criteri di giudizio che risultano estranei ad altre concezioni del mondo. E qui potremmo metter da parte anche un certo qual rigido binomio Oriente-Occidente. Dato che, come di recente ha ben mostrato lo storico della filosofia francese Pierre Hadot (1922 – 2010), anche presso i Greci antichi, ai quali siamo debitori dell’invenzione dell’idea stessa di filosofia, non vi era alcuna rigida distinzione tra pensiero e modo di vivere, spiritualità e speculazione intellettuale. Dedicarsi alla filosofia era una scelta esistenziale che spesso comportava la conversione dell’aspirante filosofo e il sottoporsi ad una rigida, ma proprio per questo salvifica, disciplina di esercizi spirituali. «È vano il discorso di quel filosofo che non curi qualche male dell’animo umano (fr. 221 Us.)» - afferma Epicuro (341 – 271 a. C.). Non si fa filosofia per parlare della felicità, ma per provare ad essere felici. Ecco, probabilmente un filosofo greco dell’età ellenista non avrebbe avuto grandi difficoltà nell’intendere lo spirito di un buddhista indiano suo contemporaneo, senza distinguere in maniera discriminante tra afflato mistico-religioso, scelta di vita e speculazione filosofica.

    Rimane soltanto da prendere atto del fatto che mentre la filosofia greca come metodo concreto di ricerca della felicità (o di cura delle umane tribolazioni) ha esaurito la sua funzione storica alla fine dell’antichità (pur lasciandoci un’eredità immensa!), il Buddhismo con i suoi duemila e cinquecento anni di storia dimostra ancor oggi una vitalità ed una versatilità straordinarie. I numeri parlano chiaro. Oltre cinquecento milioni sono i buddhisti osservanti in Asia, dal Kashmir, all’India e allo Sri Lanka, dal Nepal al Tibet e alla Mongolia, dalla Cina al Sud-Est asiatico, Thailandia, Birmania, Vietnam, sino a Taiwan e alle isole giapponesi. Nel XX secolo sono sorte comunità buddhiste anche negli USA, in Australia e infine in Europa. Si conta che i Buddhisti europei superino oggi i tre milioni, di cui ben settantamila, tra italiani e stranieri, risiederebbero nel nostro paese, stando ai dati dell’Unione Buddhista Italiana a proposito dei suoi iscritti. Molti di più sarebbero i semplici simpatizzanti. Questo perché, come vedremo, il Buddhismo – o, per

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