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L'immaginario-nulla in Stanislas Breton
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L'immaginario-nulla in Stanislas Breton
E-book273 pagine3 ore

L'immaginario-nulla in Stanislas Breton

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Info su questo ebook

L'immagine è presente ovunque e il nostro modo di stare al mondo è stato definito a ragione: "civiltà dell'immagine". Questo cosiddetto "imperialismo dell'immagine" non è portato a consapevolezza se non in studi di tipo specialistico, oppure viene discusso in quel settore cadetto della Filosofia che denominiamo "Estetica", per ora occupata soprattutto dal giudizio relativo al "bello" o al "brutto" dei prodotti artistici.

Il pensiero del p. passionista Stanilas Breton, filosofo e teologo che ha trovato nel neoplatonismo un sistema razionale su cui vale la pena confrontarsi, è molto apprezzato in Francia e ci propone un cammino che ci rende consapevoli della valenza originaria dell'immaginario, presente in ogni atto della nostra esistenza, mostrandocene le caratteristiche e la funzione di trascendenza che esso riveste: l'immagine porta con sé l'origine in cui si pone, rimanda al Principio di cui è presenza.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2024
ISBN9791222729633
L'immaginario-nulla in Stanislas Breton

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    L'immaginario-nulla in Stanislas Breton - Loredana Amalia Ceccon

    1. CHI È STANISLAS BRETON

    Stanislas Breton, all'anagarafe Breton Paul Charles (Gradignan, 3 giugno 1912; Bry-sur-Marne, 2 aprile 2005), è stato un filosofo e teologo francese. Dottore in lettere e in teologia, sacerdote della Congregazione della Passione, fu professore presso l'Istituto Cattolico di Parigi e Lione. Dal 1970, è stato docente presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma e successivamente presso l'Università di Lione. Ebbe rapporti stretti con Michel de Certeau, Paul Ricoeur e Barbara Cassin e soprattutto con Louis Althusser, filosofo marxista che con Jacques Derrida lo propose e lo fece nominare (primo filosofo cristiano) Maitre de Conference presso l'École Normale Supérieure di Parigi.

    Maggiore rappresentante della filosofia cristiana in Francia, il suo lavoro si è concentrato da un lato sui misteri teologici della Passione e della Croce e da un altro sulla logica filosofica e sui vincoli concettuali che determinano le condizioni e le limitazioni dei sistemi metafisici. Figlio del neoplatonismo, fu autore di riflessioni particolarmente acute su concetti quali il principio o il nulla, all'origine di tutto il pensiero filosofico.

    Cresciuto nell’ambito della spiritualità passionista fin dall’adolescenza e messo di fronte all’abisso della dissoluzione della propria identità dopo il ritorno dalla prigionia subita durante la Seconda guerra mondiale, durante la quale aveva vissuto fondamentali incontri con uomini non appartenenti al suo universo di fede, Stanislas Breton si pone il problema di conciliare le difformità sperimentate nell’esperienza con la fede conosciuta. Il primo frutto della sua ricerca è la tesi di laurea pubblicata nel 1951: Essere in ed essere ad nella metafisica della relazione¹, nella quale pone le basi del pensiero successivo. In essa mette in evidenza la correlazione imprescindibile tra il dinamismo irrefrenabile che muove la messa in forma dell’essere umano nella storia, che determina un continuo superamento del già dato verso un oltre nel tempo e nello spazio di cui si è ignari nel presente, e la radicalità che lo congiunge alla propria origine. La relazione dell’essere umano con Dio, con i suoi simili e con il cosmo si attua all’interno di questi due poli con un movimento, una bullitio come direbbe Meister Eckhart, che si svolge nelle tre fasi che si suole denominare catabasi, metabasi e anabasi, termini della tradizione greca risalente all’Odissea, che confluiranno, nella meditazione bretoniana, in quelli di derivazione neoplatonica moné, proodos, epistrophé.

    In questo quadro di fondo si inscrive tutta l’opera bretoniana, svolgendone gli assunti sia dal punto di vista filosofico che teologico.

    Si determina così una visione dell’essere dell’uomo nel cosmo continuamente in relazione e in formazione, in grado di accogliere tutto ciò che accade e lo circonda perché capace di «transire», di attraversare il proprio dato e di superarsi portandosi sempre oltre, verso una meta che, pur essendo nota attraverso forme storiche, non è attingibile direttamente se non in forme che si danno al di fuori della stretta razionalità di causa-effetto, essere-non essere, dunque delle classiche consequenzialità, opposizioni e categorizzazioni della logica e metafisica aristotelica.

    Questo percorso conduce Breton oltre i confini del tomismo di cui è nutrito, come dice egli stesso, il suo paleoencefalo e a prendere in considerazione il pensiero henologico di matrice neoplatonica: la sua indagine si volge quindi a Plotino, Proclo, Spinoza e alla loro discendenza filosofica che giunge fino ai nostri giorni.

    L’esperienza come elemento fondamentale della riflessione filosofica entra nella sua riflessione con il supporto della fenomenologia, che lo porta a dialogare con alcuni pensatori di spicco a lui contemporanei, come Heidegger e più tardi Derrida, includendo anche il dibattito marxista con la figura di Althusser.

    Si avvicina quindi al circolo di pensiero neoplatonico francese che ha in Jean Trouillard, Henry Duméry e Joseph Combès alcuni degli esponenti maggiormente significativi e la sua elaborazione di questa tradizione diventa un punto di riferimento per il pensiero francese, insieme a quella di filosofi come Jean Luc Marion e Michel Henry, che si interrogano sulla consistenza del problema dell’essere nel pensiero contemporaneo².

    Il suo interesse per il neoplatonismo e per la fenomenologia non lo porta a trascurare la teologia, nella quale si sono mossi i suoi primi passi: la conoscenza dei mistici della cosiddetta teologia negativa e di testimonianze come quella di Surin e Paolo della Croce lo inducono a incrociare, è il caso di dirlo, il pensiero dell’Uno e del Principio con la Croce di Cristo, la quale viene presentata come funzione assolutamente necessaria per comprendere il senso dell’esistenza umana nella storia del mondo:

    Per il teologo cristiano l’ironia di Epimenide il Mentitore si mescola alla serietà della Croce di Cristo, che ci ricorda che l’Assoluto non si dice bene che nel nulla o nella kenosi di ogni determinazione³.

    Breton ci dà una importante lezione di metodo, perché sa coniugare la sua profonda conoscenza teologica e scritturistica con le esigenze della ragione logica, che spazia dal semplice buon senso alla teoresi filosofica, cercando supporto anche in territori del pensiero sospetti alla ortodossia cattolica, come quelli di Proclo e Spinoza o quelli dell’arte e della mistica.

    Di fatto questa libera erranza, che non è irrazionale dispersione nei molti, è una continua interrogazione suscitata da quell’elemento nullo così necessario alla logica, ma che costituisce un permanente luogo di critica e di destabilizzazione da qualsiasi pretesa di una sistematica definitiva, da Breton identificato con la funzione della Croce di Cristo nella fede cristiana; questo mette in crisi la possibilità di parlare di Dio e mette in questione la fede come ambito racchiuso nei limiti dei riti della religione.

    Gli esiti pratici di questo interrogare, che si muove sul ritmo ternario di cui abbiamo parlato in apertura, lo conducono ad esaminare la possibilità del linguaggio di esprimere la totalità dell’esperienza umana e a riflettere sulla necessaria libertà di una fede che voglia continuamente attingere la sua origine.

    Il neoplatonismo, particolarmente quello di Proclo, viene assunto da Breton come un metodo che illumina il suo percorso di pensiero attraverso le diverse regioni della conoscenza e che lo conduce ad abbozzare una diversa metafisica dell’essere, di derivazione henologica, sul fronte cattolico.

    Stanislas Breton, infatti, è uno dei partecipanti attivi della rielaborazione del pensiero henologico, che si pone come risposta alla critica di onto-teo-logia posta prepotentemente da Martin Heidegger all’attenzione della filosofia del secondo Novecento. Breton mostra come la differenza tra Essere ed ente sia attiva fin dalle origini del pensiero occidentale e non sia mai venuta meno, sebbene sia stata offuscata da sistemi filosofici in cui è prevalso il tentativo di dominare la totalità del pensiero.

    Il senso di questo impegno può essere descritto con le parole di Adriano Bausola nell’Introduzione al testo di Werner Beierwaltes Identità e differenza:

    In effetti qui sta uno dei più significativi e costruttivi punti chiave delle concezioni di quanti ripropongono la problematica metafisica, e un recupero di quella che si può chiamare henologia, con un riesame dell’ontologia anche in questa ottica. Il grande oblio del pensiero occidentale non è quello che nasce dall’aver confuso l’essere con l’ente, come dice Heidegger, ma, semmai, in certa misura l’uno con l’essere, con tutta una serie di conseguenze. Questo non significa, dunque, che si debba contrapporre la metafisica dell’uno (con tutte le implicanze che ne derivano) alla metafisica dell’essere; ma significa che, commisurandosi con la Wirkunsgeschichte della metafisica platonica dell’Uno, la metafisica dell’essere potrebbe trovare una nuova ricchezza di spunti e di aperture⁴ .

    ___________________

    ¹ Cfr. S. BRETON, L’essere in e l’essere ad nella metafisica della relazione, Chez l’auteur, Roma 1951.

    ² Cfr. J. GREISCH ET AL., Présentation par PHILIPPE CAPELLE, Le statut contemporain de la philosophie première. Centenaire de la Faculté de Philosophie, Institut Catholique de Paris, Paris 1997 ; PH. CAPELLE-DUMONT, Le retour de Dieu en philosophie, Bellarmin, Quèbec 2015; J. GREISCH-J. DE GRAMONT-M.-O. METRAL (sous la direction de), Philosophie et mystique chez Stanislas Breton. Colloque de Cerisy-la-Salle (août 2011), Cerf, Paris 2015.

    ³ S. BRETON, Foi et raison logique, Seuil, Paris 1971, 280.

    ⁴ A. BAUSOLA, Introduzione a W. BEIERWALTES, Identità e differenza, Vita e Pensiero, Milano 1989, 22.

    2. BRETON E IL NEOPLATONISMO

    L’interesse di Breton per il Neoplatonismo è esplicitamente dichiarato più volte nella sua autobiografia⁵.

    Quando, al ritorno dalla prigionia le corps s’était mis à «parler», egli sperimenta uno stato di profondo disagio che riesce ad afferrare col pensiero solo facendo ricorso al linguaggio plotiniano:

    Lo stato di dissidio, nel «nudo patire» che lo imponeva, mi ha ricordato, quando mi fu nuovamente possibile scrivere, la diaspora, o dispersione del popolo ebreo […]. In una fase ulteriore e per meglio cogliere ciò che mi era accaduto, avevo messo in relazione questa esperienza del corpo con l’approccio plotiniano de «la materia» in Enneade II. Questa Hylè-materia che sfugge, per la sua dispersione, a ogni concetto, Plotino la designa con il solecismo «to alla», che compone il singolare dell’articolo con il plurale del nome a cui sta davanti. L’incoerenza grammaticale dell’espressione corrispondente «lo altri» simbolizza molto bene ciò che non si può dire né al singolare né al plurale. Così si trova il corpo di miseria, nella sua incoerenza, quando in una discesa di cui ho il cocente ricordo, gli elementi fanno gruppo a sé, ciascuno dalla sua parte, e si ritrovano, insieme, per caso, come se il caos originale si prolungasse in una caduta continua, immagine di un mondo di cui la prima proposizione del celebre Tractatus rischia la definizione: «tutto ciò che accade» e giunge a noi non si sa come⁶.

    Il legame qui sottolineato tra l’esperienza e il pensiero è la radice di tutta la ricerca bretoniana, che si muove, come abbiamo visto, per comprendere il senso di un vissuto concreto che destabilizza i legami ordinari e che pure si afferma con forza nell’esistenza, pretendendo uno spazio di parola.

    Negli Atti di un Seminario sulla Memoria Passionis in Stanislas Breton, promosso dall’ordine dei Passionisti⁷, troviamo conferma di questa opzione primaria per l’esperienza vissuta:

    Per quel che mi ricordo, fin da quella tenera età [15 anni], avevo una devozione sensibile alla Passione di Gesù della quale in seguito avrei scelto, come luogo per eccellenza di meditazione, l’agonia dell’Orto degli Ulivi. Questa sensibilità basilare non mi ha più lasciato almeno fino ai vent’anni. In seguito, la riflessione filosofica, diventata personale e solitaria in mancanza di insegnanti qualificati, mi aprì l’orizzonte di nuovi problemi. Ed è in filosofia che affrontai questo vasto campo di problematiche che è stato, da allora, in continua relazione con i miei scritti ed insegnamenti di pura filosofia, la Croce di Cristo⁸.

    È solo più tardi, verso il 1959, che ho pensato, per adempiere il mio dovere di meditare sulla Croce, alla mistica della Passione tipica della spiritualità del fondatore. La Mistica della passione⁹ fu l’occasione di far conoscere in Francia, e nei luoghi adatti, un mistico la cui originalità incontestabile si trovava nella linea di Taulero e della tradizione eckartiana, essa stessa riconducibile, tramite Dionigi l’Areopagita, all’influenza del neoplatonismo. Era un tipo di propedeutica ad un approfondimento della singolarità cristiana che ho esposto ne Il Verbo e la Croce¹⁰ ¹¹.

    Dal 1958 al 1969 frequenta, quasi tutti i sabati, coloro ai quali egli ritiene di dovere l’occasione di un autrement filosofico, una quasiconversione filosofica nel suo passaggio da Roma a Parigi: Jean Trouillard ed Henry Dumery, fautori della riscoperta in Francia del neoplatonismo. Questo incontro, a suo parere, lo ha portato a subordinare le due dimensioni di ontologia e fenomenologia che avevano fino ad allora caratterizzato la sua ricerca e il suo insegnamento romani, al livello che più tardi egli stesso definì anabasi, una spedizione verso l’interno:

    All’inizio dei nostri incontri il radicalismo neoplatonico verteva di preferenza su ciò che, in mancanza di meglio, veniva detto teologia negativa, la quale era, come vi insisteva Trouillard, meno un esercizio di semantica dei nomi divini, secondo la nomenclatura tradizionale, che una concezione del tutto dell’esperienza umana, così come la tratteggiava l’enigmatico Parmenide di Platone, di cui Proclo aveva iniziato le prime cinque ipotesi¹².

    Vediamo qui ribadito l’interesse per il tutto dell’esperienza umana che sostanzia il lavoro di Breton. Certamente egli è consapevole che il neoplatonismo non accorda molta attenzione alla storia e questo, negli anni in cui si preparava la grande protesta del ‘68 alimentata anche dall’ideologia marxista, poteva creare sconcerto e disagio ai suoi interlocutori. Ma questa apparente debolezza secondo lui non doveva portare a dimenticare il forte rilievo che prende una libertà creatrice propria all’essere spirituale, che è responsabile contemporaneamente dell’essenza che egli stesso si dà e del mondo che ne mediatizza l’esistenza, che fa sì che esso esista¹³.

    L’incertezza dovuta ai tempi e la necessità di mettersi in gioco per aderire o al puro agire degli Orientali o alla richiesta di un’azione critica e rivoluzionaria, lo conduce a una terza possibilità: un radicale scetticismo, che non è culla di negatività ma appiglio di una libertà la cui perfetta indeterminazione sarebbe meno una debolezza che una maniera, la sola energica, si credeva allora, di elevarsi sopra la fascinazione del tutto:

    Quest’ultima mi pareva, sotto certi punti di vista, la più consonante, in questi tempi agitati, a certi aspetti del neoplatonismo, anche se la prima, del puro agire, sia più fondatrice per la sua radicalità […]. I termini fatidici Monè, Proodos, Epistrophé, tradotti, bene o male, con i verbi dimorare, procedere, convertirsi mi sembravano essere rilevanti, nella loro coesione, per una implicazione stretta o formale¹⁴.

    Nel capitolo Petite histoire d’une mutation¹⁵ Breton stesso narra come, attraverso la sua amicizia con la triade neoplatonica di Francia, Trouillard, Duméry e Combès, egli abbia rielaborato il proprio pensiero alla luce del neoplatonismo.

    Ciò non ha comportato l’abbandono del tomismo o della fenomenologia ma:

    Ciò che hanno inaugurato, sotto l’apparenza di un ritorno al passato, è effettivamente una maniera nuova di vedere il mondo e di intervenire in esso, di praticare la filosofia, di comprendere il fatto religioso, nella sua forma cristiana come nel suo eccesso mistico; poi […] di connettere il vecchio occidente al suo al di là estremo-orientale¹⁶.

    Uno dei pensieri fondamentali ricavati da queste frequentazioni sabbatiche è che:

    ciò per cui una cosa è ciò che è – la sua essenza se si vuole – non è niente di ciò che essa è. Se c’è una filosofia che ci insegna questo, voglio dire questo niente che non è pura assenza, è proprio questa. E io persisto a credere che in differenti settori, oggi, è questo niente che anima la ricerca, che sia questione di particelle di cui si occupa la fisica e che non sono niente dell’oggetto o degli oggetti; o ancora dell’inconscio psicoanalitico che non presenta niente di comune con i dati immediati della coscienza […]. Potrebbe anche darsi che l’essenza del politico, anch’esso, non sia niente di politico; e così di seguito, per non dire niente tanto della filosofia che della mistica come radice della filosofia¹⁷.

    Da questo punto di vista discendono delle considerazioni che indicano una inedita possibilità di libertà:

    L’aspetto più notevole, in questa nuova ottica, si può precisare nel modo seguente: è perché il Principio non è niente di ciò che è, che l’essere spirituale diviene radicalmente causa di sé in una libertà irriducibile alle modalità psicologiche di un libero arbitrio. Altrimenti detto, più si epura l’Origine come Nulla per eccesso che esclude ogni categoria ontologica (attributi, idee o affetti) e più si afferma, in una autentica posizione di sé da sé, nell’essenza del suo essere, l’efficacia creatrice di una libertà¹⁸.

    Certamente l’assunzione dell’ottica neoplatonica non ha per Breton un valore dogmatico ma:

    Il neoplatonismo […] resta un orizzonte, un luogo di pensiero, che non abolisce gli interrogativi, quando si giudichi bene di farvi la propria dimora. Il linguaggio di base di una ontologia, e la metabasi di una fenomenologia, non mi è accaduto di dimenticarli. Aprendoli su un abisso, l’anabasi neoplatonica li sottometteva, ormai, a un Nulla per eccesso, difficile da abitare, ma di una stimolante scomodità¹⁹.

    L’opzione per il neoplatonismo è quindi ampiamente documentata dalle parole stesse di Breton nel suo testo autobiografico, ma anche in altre opere nelle quali l’autore attua una riflessione retrospettiva sul processo del proprio pensiero²⁰ o in testi di amici che lo commentano²¹. Certamente non si tratta di una assunzione pedissequa, ma di una rielaborazione originale che tiene conto della totalità della propria esperienza e delle proprie conoscenze, le quali, lo abbiamo visto, non vengono accantonate ma assunte all’interno di un quadro che ne depotenzia il possibile dogmatismo.

    Alla luce di questo Nulla, l’henologia, la dottrina dell’Uno, si smarca dalla tentazione imperialistica dell’Unico e diventa possibilità per ciascuno di farsi ciò che è in una dialettica costante tra lo sporgersi dell’Uno verso la molteplicità e viceversa, in cui si forma il luogo dinamico, l’essere, da cui il soggetto continuamente supera sé stesso verso un oltre che non si satura mai e che quindi per ciò stesso diventa cespite di inesauribile creatività e novità.

    Questo luogo è anche il punto di contatto tra filosofia e teologia, luogo di continuo scambio tra esse attraverso una riflessione che, pur non confondendo i piani, riesce però a immaginare e rendere operativi comuni interessi, temi ed esperienze in cui ragione e fede si interrogano reciprocamente.

    L’Uno, che non è niente di ciò che fa essere, ma sostanzia tutto ciò che è come il sole con la sua luce illumina il mondo pur non essendo mondo, è la fonte inattingibile in cui si genera l’essere di cui anche noi facciamo parte: il suo niente per eccesso ci dà modo di mettere in azione dei percorsi, delle odologie, che conducono verso di esso.

    Abbiamo visto che la Croce di Cristo è al centro dell’esistenza di Breton e del suo pensiero, così come è stato per l’apostolo san Paolo, il quale a sua volta riflette sull’impatto che il Cristo crocifisso ha sul mondo di pensiero del suo tempo in 1Cor 1,22-25.

    Paolo, tramite queste semplici considerazioni, ci presenta, senza pretendere una fenomenologia della religione, le due uniche possibilità che, nell’estensione mediterranea della sua epoca, fondavano un vero pensiero della divinità. L’essere di Dio, si direbbe oggi, si definisce così per la potenza o per la sapienza, o tramite le due contemporaneamente. Ora il verbo della croce è rifiuto tanto dell’una che dell’altra possibilità. In questo senso, il segno della croce, quando si esprime, non può che essere solamente scandalo e follia. Bisogna dire anche che c’è una divina follia e una divina impotenza e che è questo non essere di follia e di debolezza che conferisce la sua energia alla rivoluzione della Croce: il divino al di là dell’essere, e non più pienezza di essere. Ecco ciò che ci annuncia la croce del verbo in croce. Da questa ermeneutica paolina della Croce, io non divido la kenosi che figura nell’inno molto

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