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Le verità della filosofia: Introduzione al metodo riflessivo
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Le verità della filosofia: Introduzione al metodo riflessivo
E-book205 pagine2 ore

Le verità della filosofia: Introduzione al metodo riflessivo

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Visioni filosofiche del mondo
Questo è un libro che si rivolge sia agli “esperti” cioè ai cultori di filosofia, sia ai “profani”, a coloro che vorrebbero avere le idee più chiare sui temi filosofici. Tra le molte questioni affrontate, quella che principalmente anima il libro è: esistono, al di là delle note contraddizioni tra filosofi e tra visioni filosofiche del mondo, delle verità comuni che la filosofia può offrirci? Quali sono queste verità? Di che genere sono? Qual è il metodo per pensare tali verità? Per rispondere a queste e ad altre domande, il libro si serve di un linguaggio quanto più possibile chiaro e di una presentazione graduale dei problemi filosofici, delle loro difficoltà concettuali e del metodo riflessivo con cui possono essere affrontati. In ogni caso, sta a ognuno di noi ricostruire e dotare di senso i problemi filosofici e culturali, dopo essersi attrezzati della capacità di riflettere adeguatamente Il libro dedica la sua parte finale a un’interrogazione su quale sia il profilo attuale della filosofia e quale possa essere il suo futuro.

L'autore
Giuseppe A. Perri ha insegnato Filosofia alla Scuola Europea di Bruxelles ed è membro del Cierl (Centre Interdisciplinaire d’Etude des Religions et de la Laïcité) dell’Université Libre di Bruxelles. Autore di un manuale di filosofia e di saggi (in italiano, francese, inglese, polacco) di argomento storico, filosofico e letterario, ha pubblicato numerosi articoli su autorevoli riviste italiane ed internazionali, tra le altre: “Rivista di Storia della Filosofia”, “Rivista di Studi Politici Internazionali”, “Ricerche di Storia Sociale e Religiosa”, “Slovo - Inalco”, “La Revue Nouvelle”.
LinguaItaliano
Data di uscita13 dic 2017
ISBN9788833260075
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    Le verità della filosofia - Giuseppe A. Perri

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    LE VERITÀ DELLA FILOSOFIA

    Introduzione al metodo riflessivo

    Giuseppe A. Perri

    Pratica Filosofica

    Direzione: Maria Giovanna Farina

    KKIEN Publishing International

    info@kkienpublishing.it

    www.kkienpublishing.it

    Prima edizione digitale: 2017

    Illustrazione in copertina: Auguste Rodin, Il pensatore, 1880-1902 (particolare)

    ISBN  9788833260075

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    Table Of Contents

    1. FARE FILOSOFIA

    Problemi e meraviglia

    Filosofia, senso comune, scetticismo

    Chi ha paura della metafisica?

    Scienza e filosofia

    Concetto, definizione, essenzialità

    Logica e fallacie

    Enciclopedismo filosofico

    Le speranze filosofiche

    Genesi

    Arte del vivere

    Teoria e prassi

    Olocausto

    Questione di genere

    La cura ermeneutica

    Narrazione e dimostrazione

       2. FILOSOFIA TEORETICA

    Cosa esiste?

    Essere, nulla, nascita

    Pluralismo e divenire

    Eternismo

    Monismo vs. pluralismo

    Mobilità o fissità

    Identità e dialettica

    Il possibile

    Esistono solo gli individui?

    Realismo/idealismo

    Critica dell’empirismo

    Mind-body problem

    Il Dio dei filosofi

    Immanenza/trascendenza

    I valori

    Innatismo?

    I limiti della conoscenza

    Complessità

    Libertà

    Logocentrismo?

    La differenza sessuale

    Le categorie dello Spirito

    3. FILOSOFIA DI

    3.1 Nove opzioni fondamentali in filosofia della scienza

    Idealismo

    Strumentalismo

    Costruttivismo

    Storicismo

    Realismo indeterministico

    Scienze della natura e scienze umane

    Pluralismo culturale

    Precauzione

    Sociologia della conoscenza

    3.2 Per un’etica razionale

    Tra norme e scelte

    Filosofia morale

    Etica normativa

    L’ideale morale

    3.3 Filosofia e politica

    Teoria e prassi

    Ideologia

    Post-ideologia e giustizia

    3.4 Arte, libertà e appropriatezza

    L’esperienza estetica

    Creatività: géometrie e finesse

    4. IL FUTURO DELLA FILOSOFIA

    Critica del pensiero della complessità

    Estenuazioni analitiche

    Una debolezza forte?

    Crisi dell’immaginario e tautegoria

    L’autore

    Amicus Plato, sed magis amica veritas

    Questo libro intende rispondere a una serie di interrogativi che molti si pongono di fronte al sapere filosofico e di fronte a ciò che hanno detto e dicono i suoi rappresentanti, i filosofi. Che cos’è, davvero, la filosofia? Cosa c’è oltre la filastrocca delle opinioni sostenute dai diversi filosofi che spesso sembra costituirne l’unica consistenza? Opinioni che possono apparire vanamente ed eternamente in opposizione tra loro, senza alcuna possibilità di trarne dei veri insegnamenti o dei risultati reali. Esistono dunque, al di là di queste contraddizioni tra filosofi e tra visioni filosofiche del mondo, delle verità comuni che la filosofia può offrirci? Quali sono queste verità? Di che genere sono?

    Al di là dell’ambizione di tali domande e delle relative risposte, per il suo carattere introduttivo questo è un libro che si rivolge a tutti, sia agli esperti cioè ai cultori di filosofia e ai filosofi, sia ai profani, a coloro che vorrebbero avere le idee più chiare su questi temi, molti dei quali, non trovando chiavi di lettura convincenti e chiare, si volgono da un’altra parte e lasciano la filosofia al suo incerto destino. Per ottenere questa finalità comunicativa, il testo si serve di un linguaggio quanto più possibile chiaro (ma questo dovrebbe essere un dovere di ogni filosofo, anzi di ogni parlante) e, soprattutto, di una presentazione graduale delle difficoltà concettuali, permettendo quindi a chi lo desidera di ascendere alle vette del sapere filosofico attraverso un supporto e una guida paziente.

    Oltre a dare una risposta agli interrogativi che abbiamo esposto, e quindi a illustrare alcune delle principali verità filosofiche, il libro accenna anche ad altre questioni; e quindi esso parla di che cosa significa fare filosofia ed essere un filosofo, di quali rapporti ci siano tra filosofia e scienza, tra filosofia generale (teoretica) e filosofie settoriali, ecc. Lo spirito con cui si tenta di dare queste risposte è quello che corrisponde a un pensiero del romanziere Marcel Proust (che aveva conseguito una licenza in filosofia alla Sorbona): «ciò che era chiaro prima di noi (per esempio delle idee logiche), non è una cosa davvero nostra, e non sappiamo nemmeno se si tratti di qualcosa di reale»{1}. Vale a dire che la filosofia è prima di tutto un compito individuale, di riappropriazione critica della massa di conoscenze che si sono depositate nel passato culturale e scientifico, che sta a noi ricostruire e dotare di senso. D’altra parte, non si deve nutrire una fiducia ingenua, che è poi il vizio tipico dell’eclettismo, nelle capacità individuali di scoperta della verità, poiché anche Proust sa bene che «noi non ci formiamo completamente da noi stessi» (Albertine disparue).

    Per questo, il nostro metodo d’indagine principale sarà quello della sintesi riflessiva. La metodologia riflessiva è stata ben illustrata dalle parole di un importante filosofo della prima modernità, l’olandese di origine ebraica Baruch Spinoza (XVII secolo), che ha affermato: «il metodo filosofico non è altro che una conoscenza riflessiva, o idea dell’idea». Aggiungendo che, perciò, per provare la verità «sono necessari soltanto la verità stessa e il corretto ragionamento» (Tractatus de intellectus emendatione). Questo significa che in filosofia non esistono autorità esterne al pensiero. La metodologia riflessiva vuole evitare però l’errore commesso da molti filosofi, che hanno infine sottomesso la riflessione al contenuto delle loro dottrine; essa ritiene inoltre che il pensiero si debba servire di ogni materiale e di ogni argomento valido per giungere a dei risultati convincenti. In tempi recenti (XX secolo), questa metodologia della equanimità o della riflessività, che ha quindi anche una natura eclettica poiché non si preclude nessuna strada teorica, è stata ripresa dal filosofo francese Léon Brunschvicg e dall’americano John Rawls. Brunschvicg ha elaborato un metodo riflessivo che è un’analisi che lo spirito umano produce sulla sua stessa attività, quella che lui chiama «la dialettica dello sviluppo concreto della nostra intelligenza vivente»{2}. Il concetto di Reflective Equilibrium avanzato da Rawls comporta, dal canto suo, che «la teoria deve essere libera di usare a proprio piacimento ipotesi contingenti e fatti generali»{3}.

    Da questo punto di vista, è perciò ancora valida la definizione aristotelica della filosofia come attività paragonabile a quella di un giudice che in tribunale ascolti tutti gli argomenti e tutte le prove portate dalle parti e poi emetta un verdetto equanime, sulla base del proprio intimo e giusto convincimento. Un procedimento d’indagine che corrisponde ad una razionalità né apodittica né rivelativa, ma ad una ricerca problematizzante e dialogica, effettuata per tentativi ripetuti e che venga condotta su argomenti difficili o apparentemente insolubili.

    Benché il libro sia animato da un sostanziale spirito di equanimità o eclettico, che è poi l’esito naturale del vaglio individuale delle idee chiare prima di noi a cui c’invitava Proust, esso non evita di indicare anche di quali filosofi è bene fidarsi e di quali meno; non evita cioè di dare torto e di dare ragione. Il libro dedica la sua parte finale a un’interrogazione su quale sia il profilo attuale della filosofia e quale possa essere il suo futuro.

    1. FARE FILOSOFIA

    La filosofia occidentale, fin dalla sua nascita nella Grecia antica, è soprattutto un’attività umana volta alla risoluzione di problemi. Karl Popper, filosofo austro-inglese del XX secolo, la paragonava al giardinaggio e secondo lui filosofare significava scegliersi due o tre problemi tra i più pressanti, che più ci premono, e coltivarli per tutta la vita; questa cura, questo amore (filo-){4} per i problemi e le loro soluzioni (-sofia ovvero sapienza) non è fine a se stesso o artificiale o inutile{5}, ma è naturale e tipico dell’essere umano. In un famoso corso del 1952 a cui diede il titolo Was heißt Denken? (Che cosa significa pensare?), il filosofo tedesco Martin Heidegger sottolineava infatti che «le cose considerevoli ci preoccupano, danno sempre da pensare».

    Problemi e meraviglia

    Gli uomini inciampano spesso nei problemi. Ciò accade per quattro ragioni principali: l’occasione più ricorrente è quella che si verifica quando le cose non vanno come vorremmo o come ci aspettiamo che vadano; questa dissonanza tra le nostre aspettative e i fatti provoca la necessità di comprendere meglio la realtà, di studiarla, di capirla, appunto di problematizzarla. In questo caso si tratta principalmente delle classi dei problemi di tipo scientifico (cioè quelli che muovono il progresso scientifico), di quelli della vita quotidiana e di quelli politici. Il secondo motivo per il quale solitamente sorge un problema risiede nel fatto che noi esseri umani non ci accontentiamo del corso naturale e sempre uguale delle cose, ma siamo animati da aspirazioni, ambizioni, voglia di cambiamento; tutte cose che comportano una modificazione delle nostre abitudini e un nostro andare incontro a situazioni nuove, che sono sì stimolanti e apportatrici dei sospirati miglioramenti, ma che ci costringono anche ad uno sforzo di adattamento a condizioni incognite e inesplorate, cioè a dei problemi. Sul piano conoscitivo, questo tipo di problemi è più tipico del sapere tecnico, ingegneristico o economico.

    Con la terza fonte dei problemi umani entriamo nel campo della filosofia; tale fonte consiste in uno sforzo che è di natura interiore e non dipende granché dalla poca chiarezza delle condizioni esterne, siano esse fatte da problemi che ci cascano addosso o che ci andiamo a cercare lì fuori, nella realtà. Questa terza fonte di problemi potremmo definirla come la nostra ricerca del senso di ciò che noi facciamo o pensiamo. Nonostante qualche filosofo (lo scozzese David Hume) e alcuni romanzieri (Pirandello, ad esempio) abbiano negato l’esistenza o l’unitarietà della vita interiore, possiamo dare fiducia a ciò che pensa la maggior parte degli esseri umani (e dei filosofi) e cioè che gli uomini hanno effettivamente un flusso di coscienza interiore, vale a dire che esiste qualcosa che è differente dal mondo delle cose e che sta dentro di me; Seneca (filosofo di epoca romana) lo chiamava, per dare anche il senso della sua piena realtà, il nostro «tatto interiore». Me ne accorgo ad esempio quando mento: in quel momento so che quello che dico o penso non corrisponde ai fatti del mondo, così come io li ho conosciuti. Anzi, la maggior parte degli atti umani ha un suo doppio: la coscienza di compierli. Secondo il filosofo francese del primo Ottocento, Maine de Biran, tale coscienza è il risultato della resistenza che i miei organi interni e gli oggetti oppongono al mio sforzo d’azione.

    Di tanto in tanto questo flusso interiore s’interrompe poiché sentiamo il bisogno di etichettare, dare un nome o dare un senso (è giusto, è buono, è bello, vale la pena farlo, ecc., o meno) a quello che facciamo e che vediamo fare agli altri. Questa esigenza e aspettativa di senso è una fonte di problemi poiché poi occorre dare un contenuto valido a queste nozioni, le quali non sono dei fatti, ma sembrano essere delle nostre creazioni, a cui però teniamo molto. Seguendo la nota teoria dell’homo ludens, avanzata dallo storico olandese Huizinga (XX secolo), secondo la quale «la civiltà umana sorge e si sviluppa nel gioco, come gioco», certi aspetti della filosofia possono essere allora paragonati anche all’enigmistica o all’arte di risolvere rompicapi. Anzi, nel novero delle differenti attività umane, la filosofia (assieme, forse, all’arte e alla scienza) è una di quelle che più si avvicina al carattere gratuito, ma divertente e utile del gioco, tanto che per tutti i filosofi antichi lo scopo e il premio del filosofare erano rappresentati dalla felicità. Si tratta, in ogni caso, di un gioco che va definito come serio, se si accetta questo apparente ossimoro, nel senso che l’amore per i problemi e per le loro soluzioni, così come la ricerca della felicità, costituiscono la stessa carne viva dell’uomo. Dare un valido contenuto al senso delle cose, attraverso il gioco del pensare, significa risolvere dei problemi filosofici. Ovvero dei problemi di filosofia che possiamo definire applicata o filosofia di: della politica, dell’arte (o estetica), del corretto comportamento (etica), ecc.

    Esiste una quarta fonte di problemi ed è quella a cui si dedicano i filosofi puri. Essa risiede in un’esigenza di senso globale, generale, sia esterno sia interno. L’intera esteriorità, e la correlata meraviglia che proviamo di fronte al mondo degli esseri che ci sta di fronte, la quale per Aristotele è il sentimento che è alla base della ricerca filosofica, in fondo è un problema; essa può corrispondere alla questione: perché ci sono le cose? ovvero, come affermava il filosofo tedesco Leibniz (XVIII sec.): «perché c’è qualcosa piuttosto che niente?»; e soprattutto: cosa sono, tali cose?. Si tratta anche di una sorta di bisogno di familiarizzarsi con il proprio mondo, di superare tramite la conoscenza quella che Gadamer, sulla scia di Heidegger (due importanti filosofi tedeschi del

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