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La narrativa di Guglielmo Petroni
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E-book585 pagine3 ore

La narrativa di Guglielmo Petroni

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Quella di Guglielmo Petroni è una delle più coerenti testimonianze di quel travaglio culturale e, dunque, letterario che si ebbe nel dopoguerra. L'intera sua opera trovò motivo e alimento nella memoria della sua esperienza di vita. La realtà, dall'infanzia fino alla maturità, si trasfigurò sempre nel ricordo, che divenne il punto di partenza di ogni analisi del contesto storico e scandì la sua vita, donandole valore. Chiarezza interiore, razionalità del pensare, dell'agire e dell'esprimersi: era la stessa esigenza che lo portò poi all'impegno civile e alla Resistenza. L'arte e la letteratura rappresentarono per lo scrittore lucchese lo specchio in cui si rifletteva e si correggeva il travaglio morale degli uomini. La memoria divenne lo strumento necessario per edificare la propria intima coscienza e per saper valutare, con animo sereno, tutti i momenti importanti di una vita vissuta fino all'ultimo con grande coraggio.
LinguaItaliano
Data di uscita17 giu 2019
ISBN9788899735869
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    La narrativa di Guglielmo Petroni - Marina Margioni

    Marina Margioni

    LA NARRATIVA DI GUGLIELMO PETRONI

    TRA REALTÀ E MEMORIA

    Argot edizioni

    © Argot edizioni

    © Andrea Giannasi editore

    Lucca giugno 2019

    ISBN 9788899735869

    Alcuni refusi presenti in citazioni e in parti del testo (narrativa e poesia) sono stati mantenuti tali, per dare veridicità e totale corrispondenza tra lavoro d’archivio, ricerca e attività di scrittura. Soprattutto nel V e ultimo capitolo, trattandosi di carteggi privati, la fedeltà è volutamente mantenuta.

    Introduzione

    Il dibattito culturale degli anni Trenta, che si espresse soprattutto nelle riviste, in particolare quelle fiorentine («Letteratura», «Marzocco», «Campo di Marte», «La Ronda», «Solaria»), vide un confronto concreto e diretto tra la letteratura e la realtà. I due termini furono costantemente posti in una dialettica che irrigidiva, dentro costrizioni politiche e culturali, qualsiasi raffronto con il reale.

    Guglielmo Petroni, che iniziò la sua attività di scrittore proprio in quegli anni, sentiva questo mestiere non come un’arte, ma come una partecipazione della vita interiore all’attività che ciascuno svolgeva nella propria esistenza come uomo. Il senso della tradizione e del sentimento morale si configuravano come caratteristiche necessarie della letteratura e della figura dell’autore. La sua scrittura puntava all’essenzialità, per cui tutto l’apparato romanzesco che normalmente serve alla composizione di una storia, era solitamente subordinato, o addirittura eliminato, a favore della soggettività. Qualsiasi referente empirico e storicamente definito subì una continua trasposizione nel piano di un’interiorità, di una riflessione che servì in primo luogo allo stesso scrittore, per scandagliare il suo animo. La realtà si trasfigurava sempre in memoria: questo fu il filo conduttore di tutta la sua opera.

    L’attenzione rivolta all’autore, sia pure circoscritta alle cosiddette élite letterarie, cominciò nel 1934, quando vinse il Premio Nazionale Cabala (primo premio di poesia istituito in Italia) per la poesia Per la nascita di P. I. in un paese toscano. In seguito Walter Binni scrisse sulla rivista «Il Campano» (marzo-aprile 1934, pp. 15-17) il primo articolo critico su Petroni, mettendo in risalto la naturalezza dello stile e la cifra intimista e sostanziale del suo scrivere.

    Per la prima produzione letteraria, quella che va fino a Il mondo è una prigione, la critica è stata parca di giudizi, limitandosi per lo più a una posizione d’attesa, sebbene non siano mancati subito acuti rilievi, che oltre ad indicare quegli elementi che poi sarebbero stati propri delle opere future, accoglievano favorevolmente i suoi primi lavori.

    La sua fortuna rimase comunque limitata anche dopo la pubblicazione della prima prova narrativa, Le lettere da Santa Margherita e, in seguito, di Personaggi d’elezione. Ma sarà solo dopo l’uscita de Il mondo è una prigione, nell’immediato dopoguerra, che si cominceranno ad avere analisi più articolate anche per i primi lavori.

    Più che per la parte poetica, la sua opera ha impegnato la critica sul versante della prosa, non solo per una quantità maggiore di produzione, ma soprattutto per l’azione catalizzante esercitata da Il mondo è una prigione del 1949. Pietro Pancrazi, che ne fu il primo recensore quando addirittura il libro non era ancora uscito in volume, ma solo sulla rivista «Botteghe Oscure», lo accolse, sul «Corriere della Sera» del 1 settembre 1948, come un dono della vita. La critica fu pressoché unanime a riconoscere il libro come uno dei più importanti usciti sull’esperienza della guerra. Solo dopo l’uscita di questo romanzo-diario si cominciarono ad avere analisi critiche più rilevanti e numerose, e le opere successive hanno potuto, dunque, contare su una più larga schiera di fedeli recensori che, nel tempo, hanno saputo tracciare immagini dello scrittore sempre più esaustive.

    Se la sua attenzione a livello critico si è mantenuta solida a proposito anche dell’opera immediatamente successiva (La casa si muove del 1950), subì invece una lieve flessione con la pubblicazione di Noi dobbiamo parlare del 1955, per riprendersi poi con Il colore della terra, nel 1964. La critica riconobbe inoltre la validità dell’opera successiva, La morte del fiume del 1974, con la quale lo scrittore vinse il ventottesimo Premio Strega.

    Tuttavia, non mancarono le riserve di alcuni critici e scrittori importanti come Pier Paolo Pasolini, che nel suo saggio Descrizioni di descrizioni (Einaudi, Torino 1979), liquidò il romanzo come un libro totalmente amorfo.

    Tra i nomi che hanno seguito maggiormente l’itinerario letterario di Petroni sono da segnalare, per la continuità, Luigi Baldacci, Massimo Grillandi, Claudio Varese; mentre gli studi più organici e completi sono venuti da Giorgio Bassani, Olga Lombardi, Giorgio Pullini, Felice Del Beccaro, Ottavio Cecchi. L’unica opera monografica è a cura di Leandro Angeletti, e risale al 1981. Edita dalla casa editrice fiorentina Il Castoro, la monografia si avvale anche di un’intervista fatta da Angeletti allo scrittore.

    Nel 2004, accedere all’Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti di Firenze (Gabinetto Scientifico-Letterario G. P. Vieusseux) e consultare il patrimonio archivistico, librario e raro in suo possesso, è stato fondamentale allo scopo di fare un lavoro il più possibile completo e valido. In realtà, l’idea di fare un lavoro d’archivio si è rivelata quanto mai interessante e proficua, visto che al Vieusseux è stato donato dalla vedova Petroni, in data 21 dicembre 1999, tutto il Fondo Guglielmo Petroni, mai stato consultato prima. Oltre a tutti i manoscritti delle opere narrative (fatta eccezione per La casa si muove), il Fondo comprende carteggi privati e diari inediti. Dallo studio e dall’analisi dettagliata di quest’ultimi, è stato possibile arrivare alla tesi che egli avesse iniziato la stesura di un nuovo libro, mai terminato.

    L’opposizione fondamentale tra l’io-personaggio e il mondo registrò delle fasi evolutive, che complessivamente segnarono quattro tappe, ciascuna delle quali fece registrare la compiuta maturità di uno scrittore che fu protagonista di più di cinquant’anni di storia e di grandi trasformazioni sociali, rimanendo sempre fedele a quei nuclei tematici che fino all’ultimo furono alla base della sua poetica.

    I. SOLITUDINE E SOCIALITÀ NELLA PRODUZIONE PRERESISTENZIALE

    Ero solitario ed imparai a conoscermi attraverso quella solitudine perché in essa mi potei ascoltare. Ti sei mai ascoltato? Si sente parlare di noi stessi, ma bisogna ascoltarsi molto e soffrirne.

    Guglielmo Petroni, Matrimonio precoce¹

    I.1 Un principe del Rinascimento in incognito

    Negli anni Trenta i tardo rondisti puristi, gli epigoni della bella prosa, dell’arte per l’arte, della pagina pura, erano veramente estranei all’impegno morale. La stessa chiusura storica espressa dal ventennio fascista aveva, in qualche modo, favorito una disposizione della cultura italiana del '900 all’elusione di un confronto concreto fra la letteratura e la realtà. Venuto meno il raffronto con quest’ultima, «i valori tendevano a porsi come sostitutivi e aspiravano alla purezza delle idee platoniche»².

    Il dibattito culturale di quegli anni, che si espresse soprattutto nelle riviste, in particolare quelle fiorentine («Letteratura», «Marzocco», «Campo di Marte», «La Ronda», «Solaria»), vide proprio i due termini costantemente posti in una dialettica che irrigidiva, dentro costrizioni politiche e culturali, qualsiasi raffronto con la realtà. Ma c’erano anche molti autori che sentivano il mestiere di scrivere non come un’arte, ma come una partecipazione della vita interiore all’attività che ciascuno svolgeva nella propria esistenza come uomo.

    Petroni sentiva in tali termini lo scrivere, sempre soffuso da un velo di malinconia in cui si rifletteva la consapevolezza della partecipazione della letteratura alla vita: come quest’ultima aveva una suprema dignità, anche la letteratura rifletteva la consapevolezza.

    Come giustamente sottolineò Felice Del Beccaro, «raramente vita d’artista fu più chiusa in sé, più gelosa della propria solitudine»³. Significative le parole espresse da Aldo Nicolaj, in occasione della morte dello scrittore, avvenuta il 29 aprile 1993:

    Era un uomo di grande modestia ma nello stesso tempo conscio del suo valore. Avrebbe potuto essere un principe del Rinascimento in incognito. Se non fosse stato così cristallinamente onesto, avrebbe potuto avere dalla vita molto di più di quanto ha avuto, come del resto meritava, ma non si piegò mai davanti a nessuna autorità e non scese mai ad una qualsiasi forma di compromesso né con la sua coscienza né col potere dominante. La sua onestà era a prova di bomba e nulla la poteva scalfire. Quando qualcosa non gli piaceva con molto garbo lo diceva e nessuno avrebbe potuto mai fargli cambiare opinione... .

    L’uomo di lettere Petroni espresse ciò che dai fatti si poteva estrarre, perché si era ormai impresso nella coscienza: fu questo il significato dell’esperienza umana e anche la scrittura doveva mantenere accesa la ricerca dei valori. I suoi testi e la sua biografia vennero a configurarsi come una delle più coerenti testimonianze di quel travaglio culturale e, dunque, letterario che si ebbe nel dopoguerra.

    La sua produzione risale al lontanissimo 1935, quando venne pubblicata la prima, breve raccolta poetica: Versi e memoria⁵. Nel corso di tutta la sua carriera, che durò per ben cinquant’anni circa, rimase sempre fedele al suo essere poeta: «il filo che ha sostenuto e sostiene la mia professione di scrittore sta nel credere alla poesia, nel perseguirla secondo le mie possibilità nell’ambito del direttamente vissuto, lasciando alla fantasia l’elaborazione eventuale, non mai la contraffazione di ciò che rappresenta la mia esperienza [...]»⁶. Cogliere il segreto nella poesia, affidarlo al passato, per farlo rivivere nel presente, fu il più autentico e significativo connotato dell’esperienza letteraria di Petroni.

    Giorgio Luti, nel suo Omaggio a Guglielmo Petroni, sottolineò come per l’autore toscano la poesia fosse «il segno alto e completo della consapevolezza del vivere, così come il senso etico della vita non può che esprimersi attraverso la forza evocatrice e segreta della poesia»⁷.

    Quest’ultima doveva farsi nel suo modo diretto, esplicito, possiamo dire familiare. Così, il tono colloquiale dei versi diventò poi dialogo intimo nella prosa, riflessione su se stessi e sulle cose della vita, privilegiando sempre l’emozione che derivava dal ricordo, dall’infanzia di privazioni, dalla guerra, ecc; un’emozione che non diventò mai il tramite o l’oggetto di una qualsivoglia epifania, ma narrata con intima e pacata vena poetica.

    Le prime prove narrative di Petroni coprirono un decennio e arrivarono fino alla soglia dell’esperienza resistenziale. Furono prose essenziali per la comprensione del lavoro futuro, non solo perché contenevano gli elementi costanti di una poetica, ma perché fu solo misurandole ad esse che le opere successive, e in primis Il mondo è una prigione, potevano essere colte nel loro valore e nella loro significatività storico-culturale.

    La fedeltà di questo scrittore a una certa poetica e a certi temi fu così costante nel corso di tanti anni, che la sua opera, nell’insieme, può essere letta come il seguito di capitoli di uno stesso libro. Ecco cosa egli dichiarò in un’intervista:

    Ho l’impressione di aver scritto il medesimo libro e che continuerò a scriverlo [...]. I motivi sono quelli, seguono le esperienze, le età, gli eventi, ma fino ad oggi più che mutare cercano di accrescersi. Nel mio lavoro non mi pare esistano trapassi veri e propri [...]. Personalmente sono convinto che il mio lavoro (per quel che valga) contiene un filo conduttore assai costruito, che un lettore attento può rintracciare magari basandosi soltanto sulla ricorrenza di certe parole, sul richiamo continuo a temi e suggestioni comuni, immagini e simboli che passano da un libro all’altro, da un capitolo all’altro dello stesso libro, riflettendosi gli uni negli altri, non per capriccio o estrosità costruttiva, ma per esigenza personale e attuale, per suggerimento venuto dal tempo e dalle cose.

    «A rileggerli uno dopo l’altro – scrisse Walter Mauro in un articolo del 1974 – i romanzi di Petroni finiscono per diventare una sola storia morale in cui lo scrittore si assimila al personaggio rivivendone per intero tutti i sobbalzi di coscienza che esplodono dalla dignità umana offesa e tradita»⁹.

    Fu lo stesso Petroni a sostenere di non aver mai sentito l’urgenza o la personale necessità di cambiare registro, «non certo perché sia di quelli che credono – chiarisce l’autore – nella fedeltà alle proprie idee; mi sento sempre pronto a modificare qualsiasi cosa che penso e che faccio, se qualche cosa di importante e di giusto mi spingesse a farlo, giacché non ho la minima pretesa di essere l’oracolo»¹⁰.

    Durante una conferenza tenuta a Parigi il 23 maggio 1952, sul tema «Rivolta e comunione»¹¹, egli sottolineava come fosse necessaria, in quel momento storico, «una precisazione dello stato d’animo che domina lo spirito moderno»¹². La causa di tanta urgenza era l’incertezza, la precarietà di una realtà, quella del dopoguerra, che diveniva anche precarietà di vita e di pensiero; uno stato d’animo che azzera le differenze culturali, sociali, e che «ci fa tutti simili in una tensione continua tra desiderio di rivolta e necessità di comunione, tra lo stato di solitudine interiore ed il bisogno di alta e compiuta socialit໹³.

    Questo conflitto tra solitudine e socialità fu da sempre presente nello scrittore sin dalla sua prima opera narrativa, Le lettere da Santa Margherita.¹⁴

    I.2 L’accettazione dignitosa della realtà nelle Lettere da Santa Margherita

    Il racconto apparve per la prima volta nell’ottobre 1937 nel numero IV della rivista fiorentina diretta da Massimo Bontempelli, «Letteratura». Fu poi pubblicato l’anno dopo, col titolo Le lettere di Renato, in Personaggi d’elezione (Parenti, Firenze 1938), per avere un’ulteriore edizione nel 1946 (Astrolabio, Roma), e un’ultima in Tre racconti d’amore (Fabbri, Milano 1954).

    Visionando il manoscritto delle Lettere¹⁵, conservato presso l’Archivio Contemporaneo «Alessandro Bonsanti» (Gabinetto Scientifico-Letterario G. P. Vieusseux) di Firenze, si viene a conoscenza del fatto che lo scrittore avesse pensato in realtà, anche a un altro possibile modo di intitolare la sua prima opera narrativa: Lettere dalla riviera. La riviera era chiaramente quella ligure, dove appunto si trova Santa Margherita. Questo secondo ipotetico titolo è posto tra parentesi – sotto il definitivo – nel primo di sette piccoli fogli a quadretti scritti dall’autore come appunti per la stesura del racconto, e staccati dal quaderno manoscritto, quest’ultimo terminato nel gennaio 1936: è questa la data autografa che compare nell’ultima pagina.

    L’opera, dunque, iniziata nel 1935 – come dichiarò lo stesso Petroni nella Nota a Tre racconti d’amore – e terminata l’anno seguente, fu pubblicata in ritardo, circa due anni dopo.

    Al centro una doppia storia d’amore: quella tra Alfa e Renato, e quella tra l’io narrante e Alfa, tenuta però da lei, entro i limiti di una pura amicizia. L’incipit del racconto è al presente e mostra l’io narrante nell’atto della rammemorazione, e la sua maggiore difficoltà consiste nel saper «trattenere e regolare la quantità tumultuosa dei ricordi e dei sentimenti» (p. 9).

    Tra esitazione e pudore, si abbandonava nostalgicamente alla memoria della donna tanto amata, visto che respingerne il ricordo e vincerne «l’insistenza della sua immagine» (p. 9) era impossibile.

    I dubbi del protagonista impedivano una rievocazione chiarificatrice dei ricordi; così, da questo presente incerto si compiva un primo salto all’indietro, nel passato, e più precisamente nel luogo (un caffè) dove ci fu il primo incontro tra i due amanti e il soggetto che narra. Tutto il breve racconto sarà giocato su questa continua alternanza tra presente e passato, senza tuttavia creare tagli o salti troppo bruschi nella narrazione. Ciò era reso possibile da un elemento di continuità: l’immagine della donna, di Alfa, vivissima nel ricordo, tanto che basta «la luce della luna sulla soglia e sulle siepi» (p. 10) a portarla alla mente dell’uomo.

    Da quest’incontro fino alla fine del racconto, cioè fino alla morte di Alfa, intercorrono più di vent’anni. Ci furono chiaramente molti avvenimenti: tre anni di assidua frequentazione, la partenza di Renato per Santa Margherita Ligure, quella per una destinazione ben più lontana, l’America, annunciata all’amata solo per lettera, e la sua morte in seguito all’affondamento del Titanic su cui si era imbarcato per questo lungo viaggio; e ancora i vent’anni successivi, nei quali il protagonista continua la sua frequentazione con la donna, la quale gli farà dono di tutte le lettere scritte da Renato da Santa Margherita Ligure; infine la morte di Alfa, avvenuta un paio d’anni prima del momento in cui s’immagina iniziato il racconto. Diviso in due parti, la prima termina con questa morte, e la seconda inizia con la pubblicazione delle lettere di Renato da parte dell’io narrante.

    Una «delicatissima vicenda di amore e dolore e interne consumazioni»¹⁶, dove dei tre personaggi protagonisti della vicenda, era Renato a sentire l’esigenza di un’evasione, in nome della difesa di una propria solitudine interiore. Egli era un aspetto dello scrittore stesso; il conflitto tra desiderio di solitudine e quello di socialità, di comunione, si risolveva a favore del primo, ma il protagonista pagherà tragicamente questa scelta.

    Una sintomatologia vaga, non accertabile, un disagio generico: questa era la malattia di Renato, tanto profonda quanto vuota, poiché non nasceva da precise e concrete mancanze: «Peggio non potrei stare, vorrei fare qualcosa, ma il mio tempo passa e lo consumo per nulla, e non mi perdono, m’arrabbio con me stesso» (p. 39).

    Un viaggio-fuga dalla realtà, per il bisogno di solitudine, sarebbe stata la soluzione migliore per questo personaggio che fuggiva sì dall’amore di una donna ma, in primis, da se stesso, «da un sé assolutamente incerto, scontento, che non trova una definizione sopportabile, un rapporto meno sterile con le cose»¹⁷: «la mia tristezza mi allontana perfino dai grandi affetti» (p. 36).

    Felice Del Beccaro, che si è sempre occupato della produzione di Guglielmo Petroni, ha sottolineato come Le lettere esprimano la loro autenticità nell’affermare «la necessità della ricerca della solitudine, la solitudine come misura di cui parla Rilke nelle Lettere a un giovane poeta»¹⁸:

    C’è solo una solitudine, e quella è grande e non è facile a portare e a quasi tutti giungono le ore in cui la permuterebbero volentieri con qualche comunione per quanto triviale e a buon mercato, con l’apparenza di un minimo accordo col primo capitato, col più indegno...Ma sono forse quelle le ore in cui la solitudine cresce; ché la sua crescita è dolorosa come la crescita dei fanciulli e triste come l’inizio delle primavere. Ma questo non vi deve sviare. Questo solo è che abbisogna: solitudine, grande intima solitudine. Penetrare in se stessi e [...] essere soli come s’era soli da bambini [...].¹⁹

    Quella sua profonda esigenza di cercare un altrove per ritrovare se stesso nella sua intima solitudine, lo portò a scegliere il mare e, con esso, la morte: «penso che quella leggerezza che vado cercando l’avrò nella solitudine del mare» (p.45).

    L’indefinitezza, insieme con la leggerezza del mare, era quella della sua anima, un peregrinare incerto in una regione incerta come, del resto, era il suo io:

    Alfa, tante ragioni mi spingono a volere questo viaggio e mi tormentano, ma il tuo dubbio è giusto: tutte le ragioni potrebbero essere fittizie. Però questo desiderio enorme, il bisogno di andare un po’, cos’è? (p. 44)

    Ma non v’era guarigione: la nave su cui viaggiava, il Titanic, naufragò inesorabilmente, come il destino del protagonista. Nella lettera in cui annunciava ad Alfa che stava per imbarcarsi, egli scrisse:

    Non so, non so mia cara,

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