Il Mare e la Pioggia
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Info su questo ebook
Andrea è sempre stato introverso e non è mai riuscito a costruire un buon rapporto con i suoi genitori o con i suoi coetanei. Per tale ragione, ha scelto volontariamente la solitudine, sperando che possa aiutarlo a essere più forte e indipendente.
Cristiano è estroverso, spensierato e cerca di coinvolgere il più possibile Andrea nella sua vita. I due passano tanto tempo insieme, diventando subito buoni amici. Con Cristiano al suo fianco, finalmente Andrea può essere sé stesso e la solitudine diventa gradualmente un brutto ricordo.
Arriva settembre ed è tempo che i due ragazzi prendano due strade diverse. Per Andrea ricomincia la scuola. Cristiano deve tornare a Torino, dai suoi genitori, per cominciare il percorso universitario. Andrea non è pronto ad affrontare la separazione perché è consapevole che porterà a conseguenze negative per il loro rapporto, e se perde Cristiano, ha paura di cadere e di restare nuovamente solo.
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Anteprima del libro
Il Mare e la Pioggia - Denise Melies
Accornero Edizioni
Il mare e la pioggia – Denise Melies
Copyright © 2023 Accornero Edizioni
www.accorneroedizioni.it
accorneroedizioni@gmail.com
Progetto grafico: Publishing Lab
www.publishinglab.it
Denise Melies
IL MARE E LA PIOGGIA
Accornero Edizioni
Andrea si è perso, si è perso e non sa tornare
Andrea si è perso, si è perso e non sa tornare
Andrea aveva un amore: riccioli neri
Andrea aveva, aveva un dolore: riccioli neri
(Fabrizio de Andrè - Andrea)
Novembre 1989
Parcheggiai la macchina, strinsi il volante fino a farmi arrossire le mani e contai da uno a dieci prima di decidermi a slacciare la cintura.
Andiamo
sussurrai agli occhi castani riflessi nello specchietto retrovisore interno E smettila di parlare da solo. Non si addice più alla tua età.
Scesi dalla macchina, strinsi la sciarpa intorno al collo e raggiunsi a passo spedito il marciapiede che si affacciava sul lungomare di San Vito Chietino, dove il mare tetro si confondeva con l’oscurità del cielo. I gabbiani, bloccati sulla spiaggia per ripararsi dal vento proveniente dal mare aperto, cercavano di riprendere il volo aprendo le ali ma a ogni colpo forte, dovevano rassegnarsi a restare sulla spiaggia.
Incontriamoci davanti la nostra spiaggia. Aveva detto il giorno prima, quando concordammo l’orario e il luogo dell’incontro. Passai vicino a un piccolo bar dove una coppia, seduta a un tavolino stava facendo colazione con caffè e cornetto, subito dopo c’era il Trabocco che con le sue assi di legno sembrava galleggiare sulla superficie del mare. In corrispondenza della costruzione, vidi un giovane, seduto sul muretto che divideva la spiaggia dal marciapiede mentre fumava una sigaretta. Accelerai il passo. Lui si accorse della mia presenza e buttò a terra il mozzicone ormai consumato.
Ciao Andrea
sorrise lui venendomi incontro.
Ciao…Cristiano.
Mi superava in altezza, un filo di barba ricopriva le guance e nascondeva i capelli corvini sotto il basco nero.
Allora…come stai?
Cristiano non sentì la mia domanda, sussurrata per paura di rompere la quiete che ci avvolgeva. Alzò gli occhi verso il cielo autunnale Tra poco pioverà. Andiamo a ripararci da qualche parte
sistemò la manica del cappotto di pelle nero.
Si
infilai le mani dentro le tasche del cappotto Dove andiamo?
Non so. Troviamo un posto riparato.
Per pura coincidenza ci ritrovammo dopo sei anni in un giorno di pioggia come la prima volta; quando incontrai Cristiano nel giugno del 1983.
Immagine che contiene interno, bianco e nero, finestra, vaso Descrizione generata automaticamente1
Sei anni prima.
Nei momenti più importanti della mia vita ricordo la presenza della pioggia, soprattutto nei freddi giorni del 1983. Il sedici settembre cominciò a piovere dalle sei di mattina. Accesi la luce e rimasi sveglio a osservare le gocce attaccarsi sul vetro, diramandosi in direzioni casuali che per qualche ragione ignota riuscivano a rilassarmi. Non fu una totale tragedia alzarsi un’ora dopo. Il vero dramma era prendere il bus per andare a scuola e doversi abituare ancora una volta alla monotona routine da studente. Erano passati solamente sei giorni dall’inizio delle lezioni e non riuscivo ancora ad accettarlo.
Continuò a piovere per tutta la mattinata riempiendo di pozzanghere grigie il cortile, dove noi studenti ci radunavamo prima del suono della campanella a patire sotto la pioggia con ombrelli o impermeabili inguardabili. Anche quando giunse il momento di tornare a casa, l’autobus fece ritardo, rimanendo bloccato in un traffico causato da una fogna saltata a causa dell’accumulo d’acqua.
Per tornare a casa, chiedevo il passaggio a un’amica della mamma. Suo figlio andava nella mia stessa scuola ma in sezioni diverse. Lui si metteva davanti, io dietro e non ci rivolgevamo parola. Potevo solo restare in silenzio e ascoltarli mentre raccontavano le proprie giornate. Chiesi di farmi scendere sotto la grande quercia a pochi passi da casa. Rientrai con i pantaloni bagnati e le scarpe infangate fino ai lacci.
Andrea togliti le scarpe
avvertì mamma dal salotto, mentre toglieva la polvere dai mobili con un vecchio straccio.
Hanno chiamato questa mattina?
Nessuno. Hai bisogno di parlare con qualcuno?
Tolsi le scarpe lasciandole davanti l’atrio No, nulla.
Salii al piano superiore, dove c’era il bagno e due camere da letto. La mia era sempre grigia nei giorni freddi e le pareti bianche le donavano l’aspetto di una grotta ricoperta dal ghiaccio. Mi distesi sul letto senza cambiare i vestiti, tirai il piumino fino alle spalle e guardai le nuvole grigie attraverso la finestra. Da solo, nella grotta riuscivo a lasciarmi alle spalle qualsiasi pensiero che si tramutava in una nuvola di fumo nero che si disperdeva lontano. Al contrario di quel venerdì piovoso del 1983.
Pensai che in estate, c’era sempre il sole dietro il vetro e riscaldava la stanza e la sua mancanza. La mancanza mi lasciava un vuoto dentro.
Cosa stai facendo? Riordini la stanza? Stai salutando i vicini?
sussurrai debolmente con le labbra schiacciate sul cuscino.
Pensavo a lui.
Ci vediamo, vero?
sussurrai nel vuoto ciò che lui mi promise una settimana fa, l’ultima volta che ci siamo incontrati sulla spiaggia. Quella vaghezza non prometteva nulla di buono come fu dimostrato nei giorni a seguire dove riuscimmo a sentirci per telefono solo tre volte. Ci vediamo? Domani? Tra tre giorni? Perché non sei stato più specifico?
L’ultima telefonata risaliva ad un tardo pomeriggio nuvoloso, poi per tre giorni di fila ci fu il silenzio assoluto.
Guardi la televisione senza di me?
nemmeno da allungato riuscivo a trovare giovamento.
Le coperte erano ancora fredde, inadatte a scaldarmi e avevo l’impressione di stare sdraiato su un blocco di pietra.
Andrea!
chiamò all’improvviso la mamma dal piano inferiore. Le pareti della casa erano così sottili che bastava alzare la voce per comunicare da una stanza all’altra. Strofinai il viso sulla fodera del cuscino ignorandola.
Andrea lo so che sei sveglio. Scendi per favore!
fece presente.
Restai in silenzio nonostante fossi stato scoperto sin da subito.
Andrea!
Tolsi via un lembo del piumino, scoprendo le spalle.
Andrea ti prego!
insistette la mamma. L’unico modo per evitare di peggiorare la situazione era ubbidire.
Arrivo
sfiorai il pavimento con i piedi scalzi, ritirandoli improvvisamente indietro, sembrava di aver toccato una lastra di ghiaccio.
Potrei chiamarlo io
cercai le pantofole sotto il letto No, meglio non disturbarlo.
Tolsi i vestiti, prendendo una vecchia tuta blu scura che negli anni precedenti indossavo durante l’ora di ginnastica, divenuta alla fine un semplice abito comodo da mettermi per casa.
Mi cadde l’occhio sul comodino vicino al letto, dove avevo posato la rivista musicale dedicata ai Rolling Stones. Sulla copertina c’era il gruppo in tutta la sua bellezza. Il solo ricordo che conservavo di lui. Deve pensare a tante cose, me ne ha parlato l’altra volta.
Scesi le scale al piano di sotto. La cucina e la sala erano due stanze comunicanti. In quest’ultima la mamma aveva l’abitudine di chiudere tutte le finestre durante il brutto tempo.
Devo farti pregare pure per scendere?
la mamma posò sul tavolo una tazza di cera, la stessa che usavo a colazione per bere il latte, riempita fino all’orlo di tisana al limone.
Niente caffè?
ci rimasi male aggiungendo un tono scherzoso nella voce.
E poi dici che sei troppo agitato
rispose bruscamente lei dandomi le spalle.
Improvvisamente squillò il telefono in salotto. La mamma si precipitò a rispondere e io la seguii con un briciolo di speranza. Era capitato anche nei giorni scorsi che lui telefonasse nel primo pomeriggio.
Pronto?
Restai intorno a lei girando il salotto in attesa della fatidica risposta.
Oh ciao Margherita come stai?
la mamma allontanò il telefono dal viso e si girò verso di me Andrea è la zia resta qui così te la passo.
Zia Margherita telefonava almeno una volta a settimana. Di solito la sera perché era sicura di trovarci tutti, ma in rare eccezioni chiamava di mattina o nel pomeriggio. Dovevamo metterci in fila e parlare con lei uno ad uno perché ci teneva a salutarci tutti.
Tornai in cucina sedendomi al posto che occupavo sempre a tavola. Piegai le braccia appoggiandoci sopra la testa. Chiusi gli occhi sperando di addormentarmi il prima possibile.
Andrea! Andrea!
ignorai apposta la mamma. Zia Margherita aveva scelto il momento meno opportuno per parlare con me.
Devi scusarlo ma... non mi ascolta
si trovò costretta a confessare Se vuoi ti faccio richiamare questa sera. Davvero? Ma certo, non preoccuparti, riposati pure.
Richiuse il telefono e venne subito in cucina.
Si può sapere cosa ti è preso? Adesso ti senti imbarazzato pure a parlare con tua zia.
Sono stanco e voglio soltanto dormire
ammisi con voce ovattata.
Sempre stanco
roteò gli occhi verso il lampadario al centro della cucina Questo perché non esci mai.
Effettivamente le mie giornate erano tutte uguali e monotone, limitandomi ad andare a scuola, tornare a casa,