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Collide, l'incontro tra luce e ombra
Collide, l'incontro tra luce e ombra
Collide, l'incontro tra luce e ombra
E-book440 pagine6 ore

Collide, l'incontro tra luce e ombra

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Info su questo ebook

Winter è una ragazza come le altre, ama i libri, andare a cavallo e

ballare. Vive e frequenta l'ultimo anno di liceo a L., un piccolo paese

immerso nelle colline irlandesi. Si è trasferita a vivere in Irlanda

all'età di quattro anni dopo che un tragico incidente ha cambiato per

sempre la sua esistenza.

Tutta la sua vita è un piano già

programmato, una via sicura da seguire per avere tutto sotto controllo e

non perdersi nel mare dell'incertezza. Un giorno però questo equilibrio

che si è creata viene improvvisamente spezzato dall'arrivo di Rowan; e

da quel momento anche i sogni di notte prendono delle strane pieghe.

Luce e ombra che, guidate forse dal caso, entrano in collisione tra loro.

Che

cosa si può scoprire quando si scava a fondo nell'anima di una persona

avvolta dal mistero? Cosa può venire fuori dalle pieghe oscure del suo e

del proprio passato? Rowan è la risposta a tutti gli interrogativi che

Winter ha e non ha mai avuto il coraggio di affrontare; e forse anche

lei senza saperlo potrebbe aiutarlo.
LinguaItaliano
Data di uscita24 mag 2021
ISBN9791220339360
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    Anteprima del libro

    Collide, l'incontro tra luce e ombra - Mariacristina Cella

    life)

    CAPITOLO 1

    Irlanda

    La sveglia suonò improvvisamente facendomi riemergere dal sonno incolore in cui ero caduto qualche ora prima. Con gli occhi ancora chiusi cercai il telefono a tentoni per spegnerla ma nella confusione che regnava sul comodino mi sfuggì di mano e cadde a terra, portandosi dietro una cascata di fogli. Per un momento ebbi la tentazione di lasciarlo giù a continuare a suonare e ripiombare ancora per qualche ora nel sonno: dopotutto ero ritornato in quel buco di appartamento solo verso le quattro e mezza. Qualcuno però aveva deciso diversamente per me.

    La porta della stanza si spalancò e mi ritrovai gettati in faccia dei vestiti. Forza, alzati! L’aereo mica ti aspetta se fai tardi. Sentii esclamare la voce di Gregor. Borbottandogli contro qualche insulto con la voce ancora impastata scostai coperte e vestiti di dosso, e mi misi seduto sul bordo del letto accompagnato dal suono di ogni singola vertebra della mia schiena che scrocchiava gridando dolore. Gregor giusto per darmi ancora più fastidio andò diritto dall’unica finestra della stanza, ancora sbarrata per evitare che la luce del giorno entrasse a disturbare, e la spalancò godendosi la vista di me che voltavo di scatto il volto per proteggere gli occhi.

    Dannazione, ci trovi gusto a renderti sempre odioso? Gli ringhiai contro, e a fatica mi alzai dal letto per andare a tirare la tenda. E questo materasso mi sta uccidendo la schiena, non è possibile che con i soldi che ti hanno dato tu non abbia potuto trovare di meglio! Aggiunsi sempre più irritato.

    Eravamo in quell’appartamento da ormai tre mesi e quel materasso ogni notte era l’incubo della mia schiena, sembrava fatto con le pietre.

    Oh scusa, la prossima volta controllerò meglio le recensioni del posto su Tripadvisor! Ribatté stizzito Gregor. Siamo qua per lavorare, non per alloggiare in hotel di lusso: ringrazia il cielo che questa volta il letto ci sia, sempre meglio che niente. La faccia, quadrata e lunga, cominciava a colorarglisi di rosso. Gregor infatti non sopportava chi metteva in dubbio le sue azioni, una simile mancanza di rispetto nei suoi confronti la vedeva come il fumo negli occhi: ormai sapevo i tasti da toccare per irritarlo tanto quanto lui conosceva i miei, punzecchiarci a vicenda era stato il modo fino ad allora per sopravvivere a quella convivenza forzata.

    La prossima volta scelgo io dove stare, e mi prendo il divano. Dissi e mi diressi nello stanzino accanto in cui c’era il bagno, sempre se così si potevano chiamare: un lavandino, uno specchio rotto tenuto insieme solo da chissà quale forza oscura e una doccia posta a due centimetri dal gabinetto. Alle mie spalle intanto Gregor continuava nel suo fiume di insulti e lamentele che ignorai completamente, tanto era sempre la solita solfa: lui era stufo di stare lì tanto quanto me, voleva tornare a casa dove c'era chi lo rispettava e tornare al suo vero incarico, lasciato per seguirmi e farmi da babysitter.

    Chiusi la porta con un sospiro e affondai la faccia tra le mani riempite d’acqua gelida: sentii ogni singola cellula del mio corpo risvegliarsi al fresco contatto e liberarsi del torpore del sonno. Ripetei quel gesto due o tre volte e intanto iniziai a pensare alla lunga giornata che mi attendeva. Davanti a me lo specchio rotto mi restituiva mille immagini frammentate del mio volto che mi fissavano intensamente. Un piccolo taglio ormai quasi rimarginato sovrastava il sopracciglio sinistro, regalo insieme ad alcuni lividi su braccia e gambe dell'ultimo lavoro portato a termine giusto l'altra sera. La barba cominciava a vedersi, non avevo trovato ancora il tempo per radermi, e le occhiaie stavano diventando sempre più evidenti di giorno in giorno. –Dio che faccia, devo prendermi un mese di sonno dopo questo lavoro.– Pensai tra me e me. Già rimpiangevo di aver accettato quell'ultimo incarico, ma avevo bisogno di soldi ed era anche l'occasione buona per liberarsi della presenza di quel troglodita di Gregor per un po'. –Questa volta però sarà alle mie condizioni.– Riflettei mettendomi addosso dei vestiti puliti. Dando voce a quei pensieri uscii dalla stanza e raggiunto il mio coinquilino in quella accanto affermai con tono deciso: Voglio una bella macchina, e anche una moto, o non se ne fa niente: ho chiuso con gli spostamenti sui mezzi. Dopo tre mesi di avanti indietro passati tra odore di ascelle non lavate da chissà quanto e gente che starnutiva, o tossiva senza neanche la decenza di provare a coprirsi la bocca, la metropolitana e gli autobus mi erano venuti decisamente in odio.

    In tutta risposta Gregor sfoderò uno dei suoi sorrisi ironici scoprendo una fila di denti bianchi. Questo non è un mio problema, parlane con loro quando arrivi lì. Disse. Ecco i documenti, prova a non perderli questa volta.

    Afferrai al volo il pacchetto che mi lanciò e presi su la giacca dal gancio, vicino al citofono, adibito ad appendi abiti. Avrei voluto domandargli esattamente chi fossero quei loro di cui continuava a parlare da ieri sera, ma sapevo che giusto per dispetto non me lo avrebbe mai detto. Sapevo solo che avevano chiamato trenta minuti esatti dopo la fine dell'ultimo lavoro mentre stavamo tornando, seduti da soli nel vagone della metro che attraversava sferragliando la città. Le voci non mi erano famigliari, ma a quanto pareva loro mi conoscevano bene poiché avevano chiesto esplicitamente di me.

    Mi raccomando Cenerentola non fare tardi la sera, anche se non ci sono io a controllare che torni a casa entro la mezzanotte. Mi salutò Gregor accompagnandomi fuori, e senza neanche aspettare che avessi superato l'uscio cominciò a chiudere la porta.

    Sospirai profondamente trattenendomi dal tornare indietro e rovinargli quel suo sorriso perfetto di cui andava tanto fiero: per fortuna me ne stavo andando, la mia pazienza non avrebbe retto ancora a lungo. Fino alla prossima estate avrei finalmente assaporato la pace della vita solitaria, niente più disordine, niente più caffè che sembrava solo acqua sporca e cibo in scatola da mangiare puntualmente ogni sera: io, e solo io, avrei deciso per me, e sicuramente avrei fatto molto meglio.

    A quei pensieri il buon umore cominciò a tornarmi, aiutato anche dal sole che finalmente aveva deciso di tornare a farsi vedere in cielo dopo una settimana di pioggia e nebbia. L'estate stava lasciando lentamente il posto all'autunno, le foglie infatti mostravano già le prime venature gialle che splendevano, toccate dai raggi, come fili d'oro intessuti nella trama verde.

    Fendei la folla di gente che scorreva lungo il marciapiede e corsi verso un taxi che si era appena liberato. All’aeroporto, grazie. Dissi all’autista accomodandomi sul sedile posteriore. Traffico permettendo sarei arrivato giuso in tempo per metter qualcosa sotto i denti, fare un giro veloce nella libreria per scegliere una buona distrazione per il viaggio, e poi imbarcarmi.

    L’Irlanda mi aspettava.

    * * * * * * * *

    Una settimana dopo il mio arrivo avevo già esplorato il posto da cima a fondo. L. infatti non era molto grande di per sé: fatta eccezione per il piccolo complesso di case e negozi che costituivano il centro del paese, snodandosi attorno al corso principale che portava alla piazzetta della chiesa, non c’era molto altro. Una seconda piazza più piccola si apriva poco dietro quella della chiesa e ospitava un edificio del tardo Ottocento adibito a liceo; accanto, proprio il giorno dopo il mio arrivo, un gruppo di operai muniti di ruspa aveva cominciato i lavori per la costruzione di un parcheggio. Il resto delle case invece, villette e fattorie ristrutturate per lo più, era disseminato qua e là tra i campi che seguivano, insieme a piccoli gruppi ordinati di alberi, le dolci forme delle colline. La strada provinciale collegava il tutto circondando il paese, per un pezzo costeggiata da una pista ciclabile, e su di essa si affacciavano strette stradine sterrate che si perdevano tra il verde dei campi e degli alberi e l’intrico dei fossi.

    Era insomma un posto tranquillo, con abbastanza gente perché non tutti si conoscessero a vicenda: se in caso di necessità avessi dovuto scegliere un posto per passare un po’ di tempo mantenendo un basso profilo, avrei scelto sicuramente un luogo come quello.

    Il paese poi aveva anche una parte più movimentata, affacciata sulla statale, perennemente trafficata, che lo affiancava a nord. Lì una serie di ampi edifici in mattoni rossi ospitava diversi supermercati, che sembravano aver fatto a gara ad aprire nello stesso posto; accanto ad essi si trovavano un negozio di macchine agricole, un ristorante-pub, un bazar cinese e un hotel, l’Excelsior, nascosto dietro un muro di alberi e siepi.

    Proprio in quell’hotel presi una stanza la sera del mio arrivo. Scelsi la più grande e costosa che fortunatamente si era appena liberata, optando anche per tutti i servizi extra che l’hotel offriva compreso il servizio in camera, e decisi che sarebbe stato tutto a carico dei miei due futuri soci: in fin dei conti mi meritavo un premio anche io di tanto in tanto, dopo aver portato a termine tutti quegli incarichi vivendo in buchi di appartamenti e sopportando in aggiunta la costante presenza di Gregor.

    La prima cosa che feci, appena presi possesso del mio alloggio, fu farmi una lunga e rilassante doccia calda per levarmi di dosso l’odore di Londra e la stanchezza del viaggio, poi scesi per la cena che consumai in un ampio salone illuminato da due file di sottili lampadari in vetro che pendevano dal centro del bianco soffitto, e infine ritornai in camera. Non appena la mia testa entrò in contatto con i morbidi cuscini del letto Ipno venne subito a farmi visita e sprofondai addormentato tra le coperte. Il sonno fu come al solito un sonno grigio, incolore, a cui ormai mi ero abituato; ma abbastanza calmo da farmi recuperare parte delle energie consumate durante quei mesi passati.

    Dormii fino a quando il sole non fu alto nel cielo, assaporando il piacere, dopo tanto tempo, di non esser svegliato da nessuna sveglia bensì da un raggio luminoso che penetrò tra i buchi delle tapparelle e invase la stanza; e appena ebbi deciso cosa mi andava per colazione me lo feci portare su in camera.

    Gustai la mia fumante tazza di caffè e le sei brioches ancora calde finendo di leggere il libro che avevo comprato in aeroporto prima della partenza, poi mi feci un’altra lunga doccia e infine uscii a farmi un giro lasciando le chiavi giù nella hall.

    Era una tiepida giornata di fine estate e il sole splendeva circondato dal profondo azzurro del cielo, coperto in alcuni punti dalle informi macchie bianche di alcune nuvole. Decisi per prima cosa di fare un giro in centro alla ricerca di un qualche negozio di vestiti, non mi ero infatti portato dietro molto e sebbene la temperatura fosse ancora abbastanza tiepida le poche magliette e pantaloni che possedevo erano troppo leggeri per fronteggiare la nuova stagione alle porte. Sistemata la questione dei vestiti vagai poi in cerca di una libreria: avendo finito l’ultimo libro necessitavo di una nuova distrazione per occupare il tempo. Con mio grande disappunto però non ne trovai neanche una, in compenso invece individuai tre o quattro pub in cui tornare una di quelle sere. Alla fine dunque optai per la biblioteca, sebbene il concetto di dover restituire il libro una volta finito non avendo la possibilità di riaverlo subito a disposizione nel caso mi venisse voglia di rileggerlo non mi fosse mai andato molto a genio; e tornai al mio hotel recando sotto braccio un libro di Coe e due di Simenon, il meglio che riuscii a trovare.

    Anche quelle due distrazioni però durarono poco e nel giro di due giorni mi ritrovai senza nulla da fare e senza neanche l’ombra di una chiamata da parte dei due tizi che mi avevano fatto venire fin lì. Le ore cominciarono a passare sempre più lente e neanche la tv era di grande aiuto. Dunque, preso dalla necessità di muovermi, per combattere la noia ed evitare di divorare tutti i libri della ben poco fornita biblioteca nella mia prima settimana di permanenza a L., decisi di trovarmi un lavoro. Con mia grande fortuna così scoprii che nel ristorante-pub vicino al mio hotel cercavano un aiuto per servire al banco. Era il lavoro perfetto: niente a che vedere con i miei precedenti incarichi ovviamente, ma non richiedeva una gran scienza e mi avrebbe permesso di occupare un po’ la mente, senza contare che la paga non era nemmeno male e così avrei anche messo in tasca un po’ di soldi per eventuali momenti bui, dato che al momento non avevo alcuna spesa.

    I turni al pub però, non occupavano tutte le mie giornate e dunque in aggiunta, visto anche che i lividi e le ferite dell’ultimo lavoro erano ormai guariti, decisi anche di riprendere con le mie corse: correre respirando la fresca aria di campagna e non più quella pesante del traffico di Londra era decisamente tutta un’altra cosa.

    Le mie giornate così passarono via abbastanza veloci una dietro l’altra, aperte dalla corsa mattutina e chiuse da un libro o da un episodio di qualche serie tv, di quelle sconosciute che di solito i canali mandano in onda la notte, dopo il turno al pub. Il mio telefono nel frattempo però non ricevette ancora alcuna chiamata, fatta eccezione per qualche fastidiosa pubblicità. La cosa comunque non mi preoccupava più di tanto: erano stati loro a volermi, se gli servivo conoscevano il mio numero e se non si fossero mai fatti vivi mi sarei semplicemente fatto una vacanza a loro spese. L’unica cosa certa era che non sarei tornato indietro da Gregor, piuttosto mi sarei cercato qualcosa da fare lì in Irlanda: avendo assaporato dopo tanto tempo il gusto, e soprattutto la pace, della solitudine non mi andava di rinunciarvi così presto.

    Stavo proprio correndo su una delle stradine sterrate che si intrecciavano tra i campi fuori L., quando una mattina il cellulare suonò interrompendo la riproduzione della playlist che stava facendo da sottofondo alla mia corsa. Mi fermai, giunto in cima a una piccola collina, per vedere chi fosse: il numero era sconosciuto.

    Rowan O’Connor? Domandò una voce maschile dall’altro capo.

    Dipende da chi vuole saperlo. Risposi cercando di capire chi fosse il mio interlocutore. Bar all’angolo della posta questa sera alle nove. Non fare tardi. Continuò la voce e poi mise giù senza darmi il tempo di rispondere. Rimasi un attimo immobile a riflettere. La voce non poteva che esser di uno dei famosi tizi che avevano contattato Gregor: finalmente si erano fatti vivi. Soddisfatto mi asciugai una goccia di sudore che stava scivolando giù dalla fronte e, riavviata la musica, ripresi la corsa sistemandomi le cuffie nelle orecchie.

    Tornato in hotel mi feci una doccia calda, il massaggio dei potenti getti d’acqua, soprattutto sulla schiena, era ormai diventato come una droga per il mio corpo, e ordinai il pranzo in camera; poi mi sdraiai sul letto e fissando il soffitto bianco preparai il discorso per quella sera: lasciando Londra avevo deciso che questa volta il gioco sarebbe stato alle mie regole, restava solo da decidere quali fossero per non lasciare spazio al caso.

    * * * * * * * *

    Il bar dell’appuntamento era dall’altra parte della cittadina così: non avendo ancora un mio mezzo di trasporto, e avendo finito tutti i soldi che Gregor mi aveva prestato senza rendersene propriamente conto, lasciai la mia stanza poco dopo le otto e mi ci avviai a piedi.

    Arrivai qualche minuto prima dell’orario convenuto, o meglio: impostomi. Allora, per non stare fuori sotto quella fastidiosa pioggerella che aveva cominciato a scendere dall’inizio del pomeriggio, entrai all’asciutto. Scelsi il tavolo a ridosso della parete di fondo, così da avere una visuale sull’entrata e tutta la sala, e ordinai una birra rossa.

    Finito il boccale stavo per ordinarne un altro quando da dietro la cameriera spuntò un tipo pelato vestito di scuro. Ne porti due, offro io. Disse alla cameriera e si accomodò davanti a me.

    Finalmente ci incontriamo. Esordii quando la ragazza si fu allontanata. Avevo cominciato a credere che Gregor si fosse inventato lei e il suo amico per liberarsi di me.

    Sorrise. Chiedo scusa per i giorni di attesa: sono sorti degli inconvenienti con il mio vecchio partner che ho dovuto risolvere. Spiegò. Probabilmente avrebbe voluto risultare enigmatico con quella frase, ma dal guizzo che gli attraversò lo sguardo si intuì benissimo cosa intendeva veramente con essa.

    Bene, spero che abbiate chiarito tutto: non voglio che in futuro sorga qualche altro inconveniente. Ribattei e per stare al gioco aggiunsi: Il suo compagno ci farà la grazia di presentarsi anche lui questa sera?

    No, non siamo più in affari insieme. Rispose evasivo scuotendo la testa. Ma non ti ho fatto venire qui per parlare del passato, concentriamoci sul presente: credo di doverti una spiegazione per averti fatto spostare da una grande città piena di opportunità come Londra, a un paesino come questo. Continuò agitando la mano destra come per scacciare gli altri pensieri.

    Mi sistemai meglio sulla sedia: il discorso cominciava a farsi interessante finalmente. Una pausa dalla metropoli e da Gregor non mi farà male. Risposi stringendomi nelle spalle per mascherare il mio interesse.

    Il pelato sorrise nuovamente. Questa volta non dovrai sopportare nessun altro al di fuori di te stesso… Si interruppe un attimo per l’arrivo della cameriera con le nostre due birre e, dopo averle sfoderato un ulteriore sorriso che scoprì di nuovo una fila bianca di denti, riprese: Ovviamente ti farò visita qualche volta per vedere come vanno le cose e tenermi aggiornato, ma non temere: sarò più che altro una presenza silenziosa.

    Annuii soddisfatto. Finché resterà una presenza non invasiva potrà farmi visita quando vuole, per quanto mi riguarda.

    Il pelato rise e sporgendosi in avanti puntò un dito verso di me. Mi piaci ragazzo, sul serio: sei un tipo che vuol mettere tutto in chiaro subito, e lo rispetto. Improvvisamente però il sorriso scomparve dal suo volto e lasciò il posto ad un’espressione fredda, gelida come il ghiaccio. Si tratta di un lavoro delicato di cui io in prima persona non posso occuparmi per ovvi motivi, come presto intuirai. Disse indicando una busta che gli spuntava dalla tasca interna della giacca. Stavo cercando una soluzione da diverso tempo quando è saltato fuori il tuo nome: hai delle buone…esperienze alle tue spalle, non lo metto in dubbio. Per questo ti ho chiamato. Ma se la tua intraprendenza non viene messa a buon frutto ti avviso che ti pentirai amaramente della mia chiamata.

    Senza scompormi per quella minaccia così poco velata buttai giù un sorso di birra, continuando a fissare da sopra il calice l’uomo che mi stava davanti. Aveva gli occhi marrone scuro, il naso un po’ arrotondato e il mento squadrato perfettamente rasato. La pelata spiccava vistosamente lucida sopra alla scura giacca che indossava. L’espressione seria che ancora gli era dipinta in volto attribuiva ai suoi tratti una gelida durezza, ma niente di così insostenibile. Gli servivo, lui stesso lo aveva ammesso.

    Visto che stiamo mettendo i puntini sulle i, mi permetta di porne qualcuno anche io. Gli risposi. Se conosce le mie esperienze passate, come le chiama lei, saprà bene che non ho mai lasciato irrisolto nessun incarico che mi fosse stato affidato. Ci sono stati degli inconvenienti, certo, ma se ha fatto bene i suoi compiti saprà anche che son sempre stati causati da quella palla al piede di Gregor. Perciò non ha nulla di cui preoccuparsi: il suo lavoro verrà portato a termine. Lo bloccai prima che potesse ribattere, e continuai. Ci sono però degli aspetti, se non le dispiace, che mi preme particolarmente analizzare con lei.

    Del tipo? Rispose cercando di non scomporsi troppo, ma si vedeva che non gli era andato molto a genio l’esser appena stato zittito. Dall’aspetto sembrava esser una persona abituata a farsi obbedire subito: probabilmente nessuno dei suoi precedenti partner aveva mai osato parlargli in quel modo e, se l’aveva fatto, qualcosa mi diceva che ne aveva pagato amaramente le conseguenze. Forse era proprio quello che era successo con il compagno scomparso all’ultimo secondo: il malcapitato aveva osato contraddirlo ed era finito a riposare nel letto di qualche ospedale, se non altrove.

    Purtroppo per il mio interlocutore comunque questa volta non poteva far più di tanto: eravamo in un bar ancora abbastanza affollato, troppo esposti per qualsiasi azione avventata: non gli restava altro che inchiodarmi con lo sguardo alla sedia mentre cercava di capire quali fossero le mie intenzioni.

    Sorrisi soddisfatto. Partiamo da quello più ovvio: presumo che per portare a termine il mio incarico dovrò esser capace di spostarmi, giusto?

    Nessuna riposta, solo un'altra fredda occhiata.

    Bene, allora mi serviranno dei mezzi come un’auto e una moto, preferibilmente di buone marche. I colori può sceglierli lei, non mi importano particolarmente. Ovviamente, nel caso in cui l’incarico preveda che debba fermarmi a lungo in un punto ad osservare qualcuno, non devono esser troppo vistosi o si rivelerebbero poco comodi come ben può immaginare.

    Il tipo stette in silenzio qualche secondo, come se stesse soppesando ogni mia singola parola, e infine rispose: Si può fare. Dovrai aspettare qualche giorno ma avrai i tuoi giocattoli. Si interruppe un attimo, e poi con un ghigno ironico aggiunse: Spero però che tu abbia la patente per guidarle…sarebbe un vero peccato se tutto andasse a monte perché vieni trovato dalla polizia senza permesso di guida.

    Non si preoccupi, Gregor avrà pure mille difetti insopportabili, ma se c’è una cosa che sa fare bene sono i documenti. Riposi ricambiando il ghigno. E ora che l’ho rassicurata anche su questo punto. Continuai riprendendo il filo del discorso che più mi premeva. Passiamo al secondo punto: mi occorrerà anche un tetto sulla testa, dato che molto probabilmente il lavoro non si concluderà in un solo giorno. Dico bene?

    Annuì.

    In tal caso sarebbe bello poter avere una casa con almeno quattro stanze e, possibilmente, in un posto un po’ isolato così da evitare troppi vicini: non sono una persona molto socievole. Dei mobili non mi interessa molto… Lo scrutai qualche secondo e per precauzione aggiunsi: Basta che non siano un’accozzaglia di chincaglierie prese al mercato delle pulci. Quello che mi interessa, e che intendo scegliermi personalmente, è il letto.

    Mi lanciò uno sguardo interrogativo, ma poi annuì nuovamente. Ovviamente non poteva capire cosa volesse dire dormire per mesi e mesi su materassi bucati o troppo morbidi scelti a caso da qualcun altro; mentre la mia schiena sì, e non avrebbe retto ad un altro trattamento del genere: dunque era meglio prender le dovute precauzioni.

    Bene. Continuai. Ora che abbiamo chiarito i primi punti, mi permetta di specificare il più importante: se non fosse già chiaro intendo prendermi il mio tempo per svolgere il lavoro. Feci un secondo di pausa pregustando già la reazione che gli avrei provocato, e poi fissandolo bene negli occhi ripresi. E con prendermi il mio tempo quello che intendo dire è che: non saranno richieste e, soprattutto, accettate sue intrusioni o sollecitazioni sui metodi da adottare. È chiaro?

    Come avevo previsto il volto gli si tinse di un leggero colorito rossastro, i suoi occhi si fecero due spilli aguzzi e il tono di voce, sebbene tenuto sotto controllo, lasciò trapelare il furore che gli stava montando dentro. Forse non ci siamo capiti bene ragazzo: passino le richieste di accessori vari per soddisfare il tuo ego da ragazzino viziato, ma se provi a parlarmi così ancora una volta vai a far compagnia ai miei vecchi colleghi. E facendomi l’eco aggiunse È chiaro?

    Sorrisi. Alla fine era solo un Gregor vestito meglio, il carattere però era lo stesso: nella voce si poteva notare la medesima nota di rabbia repressa suscitata da chiunque, ritenuto un essere di rango inferiore, tentasse di minare la loro autorità.

    Certo. Risposi tranquillamente, per niente intimidito. Come è chiaro anche che io le servo. Quindi, per favore, saltiamo la parte delle varie minacce intimidatorie che non serve a nessuno dei due, e siamo onesti l’uno con l’altro. Mentre i suoi due occhi, ancora ridotti a spilli, mi fissavano dall’altra parte del tavolo, potevo vedergli dipinti in volto li sforzi sempre più grandi che stava compiendo per tener la rabbia sotto controllo e non mandare l’intero incontro all’aria.

    Sorrisi nuovamente. Dopotutto forse non era proprio un Gregor vestito meglio, lui pur di far valere il suo orgoglio smisurato avrebbe dato sfogo a tutta quella rabbia senza curarsi né del progetto né delle persone attorno. L’uomo davanti a me invece no, la sua rabbia era leggermente diversa, più ragionata: era quella di chi vorrebbe sfogarsi ma, impotente, non può farlo perché qualcosa gli preme più dell’orgoglio e quindi sul momento medita solo dentro di sé la futura vendetta che impartirà.

    Molto bene. Esordii alzandomi in piedi. Mi sembra che abbiamo chiarito tutto, dunque dato che nient’altro ci trattiene direi che possiamo anche congedarci. Se vuole consegnarmi la busta che ha in tasca con tutte le informazioni del caso mi metto a studiarle già questa sera.

    Come un automa tirò fuori la busta bianca piegata a metà e me la consegnò, restando seduto ad osservarmi metterla via come se stessi maneggiando un prezioso tesoro. Ci risentiremo nei prossimi giorni: mi aspetto di sentire un buon progetto su come procedere, e stabiliremo anche la tua paga. Mi avvisò poi con tono autoritario, come uno che cerca di recuperare il controllo di una situazione che gli è sfuggita di mano; e con un lampo di acidità negli occhi aggiunse: Parte della quale ti verrà consegnata a lavoro finito. Giusto per precauzione, in modo da spingerti a dare il meglio di te. Annuii senza oppormi volendo evitare un’altra noiosa discussione, potevo anche concedergli quel contentino. Sorridendo soddisfatto poi mi sistemai la giacca, lasciai sotto il boccale di birra vuoto il conto e, senza più guardare il mio interlocutore, mi avviai verso l’uscita.

    Nei prossimi giorni attendo notizie per i veicoli e la casa: le conviene muoversi in fretta, perché al momento sono suo ospite all’Hotel Excelsior, e la spesa sta aumentando sempre più con tutte quelle colazioni e pranzi in camera. Esclamai giunto a qualche tavolo di distanza e poi varcai la porta del bar.

    * * * * * * * *

    In lontananza dal paese riecheggiarono i rintocchi del campanile. Erano le undici e mezza.

    Ero seduto sul bordo del letto, ancora sfatto, a leggere le ultime pagine del fascicolo che il pelato mi aveva dato la sera prima. Fuori il tempo aveva subìto un drastico cambiamento rispetto al giorno precedente: la pioggerellina si era infatti trasformata in una cascata d’acqua che scendeva incessantemente dal cielo, e dava l’impressione di voler continuare così a lungo.

    Giunto finalmente alle ultime righe gettai dietro di me il documento e mi alzai per stiracchiarmi. Avevo passato quasi tutta la notte precedente, dal mio arrivo in hotel, a leggerlo e rileggerlo pizzicato dalla curiosità di scoprire quale fosse il motivo così importante che aveva spinto il pelato a chiamarmi lì in Irlanda. La curiosità però era lentamente scemata, scivolata fuori di me via via che andavo avanti nella lettura, e aveva lasciato spazio a un leggero senso di stupita delusione che era andato sempre più in crescendo, uno di quelli che pian piano ti montano dentro quando ti sei costruito delle aspettative, neanche troppo alte, e i fatti reali te le abbattono senza tante scuse.

    Il fascicolo infatti non conteneva un granché di informazioni: solo alcuni indirizzi della zona, nomi e per lo più foto di persone a me sconosciute. Erano abbastanza sfocate ma sullo sfondo di alcune riconobbi l’edificio ottocentesco del liceo. Niente di più. Il motivo per cui fossi stato chiamato e richiesto con insistenza mi era ancora oscuro. Irritato diedi un calcio ad una delle scarpe facendola finire dietro una delle due poltroncine beige che costituivano insieme al divanetto parte dell’arredamento della mia stanza. Mi misi a camminare su e giù per l’ampia stanza meditando sul da farsi, la delusione si stava tramutando in stizza e rabbia, rivolte più che altro verso me stesso. Avrei dovuto chiedere al tizio più informazioni quando ne avevo avuto l’occasione. Ora non potevo certo chiamarlo per farlo: erano passate solo poche ore dal nostro incontro, e l’orgoglio mi impediva di prendere in mano il telefono. Al pelato infatti sarei sembrato uno sprovveduto, o peggio bisognoso del suo aiuto, e l’idea di apparire per tale di fronte a quel tipo così pieno di sé non mi andava proprio giù.

    Annoiato da quell’andare su e giù che non mi stava portando da nessuna parte andai dunque a recuperare la scarpa da dietro la poltrona, e mi preparai per uscire. Sarei andato a correre per un po’, l’unico rimedio che conoscevo per riacquistare quella razionalità del pensiero necessaria a decidere con intelligenza i prossimi passi da fare.

    La pista ciclabile era deserta a causa della pioggia, e probabilmente anche dell’orario vicino al pranzo. In giro c’erano solo alcune macchine che sfrecciavano via in una nuvola di goccioline. Approfittando di un momento in cui non passava nessuno attraversai e imboccai una nuova stradina sterrata. Presto il rumore delle macchine sulla provinciale fu solo un lontano ricordo. Intorno a me riecheggiava solo lo scrosciare della pioggia. Nonostante il pessimo tempo, la scelta di uscire era stata un’ottima scelta: l’aria, sebbene appesantita dall’umidità della pioggia, stava pian piano spegnendo i miei bollenti spiriti, come acqua su un fuoco, e sentivo una calma lucidità tornare a regnarmi nella mente.

    Decisi così che nell’attesa sarei andato a far visita ai vari indirizzi segnati nel fascicolo, tenendomi ovviamente a debita distanza. Magari avrei raccolto qualche nuova informazione per capirci qualcosa di più e poi, se anche dopo quel giro di ricognizione, non avessi appreso nulla di nuovo, allora e solo allora avrei richiamato il tizio pelato. Contavo di impiegarci qualche giorno: gli indirizzi erano infatti sparsi un po’ in giro per L. e nei suoi dintorni, e io avevo comunque i miei turni al pub da coprire; ma almeno sarebbe passato un po’ di tempo da quel nostro primo incontro, abbastanza per chiamare senza fare una cattiva impressione.

    Quel giorno però sembrava proprio che la realtà si divertisse ad infrangere i miei progetti. Il cellulare infatti si mise a vibrare nella tasca dell’impermeabile e mi costrinse a fermarmi. Asciugandomi il viso dalle gocce d’acqua lo tirai fuori e guardai chi fosse. Il numero era ancora una volta sconosciuto. Una sensazione di déjà-vu mi colse mentre rispondevo. Rowan O’Connor? Chiese una voce maschile dall’altra parte.

    Un po’ troppe persone lo vogliono sapere ultimamente. Gli risposi ironicamente. Silenzio. Sì, sono io. Precisai allora con un sospiro.

    Il signor Quinn mi ha detto che stai cercando una casa in zona, se oggi pomeriggio sei libero posso fartene vedere un paio. Quinn, così dunque si chiamava il pelato della sera prima: almeno ora sapevo finalmente per chi avrei lavorato. Per me va bene. Acconsentii alla proposta.

    Bene, passo a prenderti verso le tre all’hotel. Rispose la voce maschile e senza attendere oltre riattaccò: doveva essere un’abitudine da quelle parti chiudere così le chiamate.

    La pioggia intorno a me continuava a cadere in un’incessante cascata riversandosi senza pietà su campi e alberi ormai grondanti d’acqua, e il cielo si era fatto ancora più grigio e piatto. Guardai l’ora: era già la una passata, preso dalla corsa e dagli altri pensieri non mi ero reso conto dello scorrere del tempo. Un leggero senso di vuoto allo stomaco mi segnalò che forse era l’ora di tornare e mettere sotto i denti qualcosa, anche perché se no non avrei fatto in tempo per l’appuntamento con il nuovo tizio sconosciuto.

    Alle tre in punto salii su una Mustang blu elettrico. Con l’auto facciamo prima, le case sono un po’ lontane l’una dall’altra. Esordì l’autista mentre mi sistemavo sul sedile, e mi passò due cartellette. Sono queste, vuoi cominciare da una in particolare?

    È indifferente. Gli risposi non curandomi minimamente di aprirne una, mi bastava che la casa fosse in un luogo tranquillo, lontana dal traffico. Il mio compagno sembrò deluso dal mio scarso interesse, ma non disse nulla e mise in moto. Mentre il paesaggio sfilava attorno a noi mi misi ad osservarlo con attenzione di sottecchi: all’inizio l’avevo scambiato per il nuovo collega di Quinn, ma ora non ne ero più così tanto sicuro. Non uno dei tratti del suo volto infatti era caratterizzato da un’aria dura, tutto in lui era normale, piatto, quasi anonimo: somigliava proprio a una di quelle persone così normali che si incontrano sulla metro, che si notano un solo istante quando salgono e poi non ci si fa più caso. I capelli, marrone scuro, avevano un taglio normale e incorniciavano due occhi normali, anch’essi marrone scuro, sormontati da sopracciglia non troppo folte e privi di quella particolare diffidenza che vi nasceva dopo anni passati a lavorare nel nostro campo. Naso e mento non erano particolarmente pronunciati, e le labbra erano leggermente piegate in un accenno di sorriso che sembrava esser per loro la posa naturale. Anche il modo di vestire era normale, privo di colori troppo appariscenti. Se Quinn si era ridotto a scegliersi un nuovo partner come quello doveva esser messo proprio male. Per un momento me li immaginai insieme e per poco non mi scappò un sorriso: sarebbe stato come vedere un lupo e un agnello uno accanto all’altro.

    Il tizio probabilmente, dedussi, era solo il malcapitato di turno assunto come il tuttofare del momento: si limitava a compiere quanto richiesto ignorando gran parte della verità, e appena avesse sbagliato qualcosa, o non fosse stato più di alcuna utilità, un altro avrebbe preso il suo posto. L’unica cosa che stonava con la sua anonima figura e

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