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L'ultimo sorriso (Policromia)
L'ultimo sorriso (Policromia)
L'ultimo sorriso (Policromia)
E-book180 pagine2 ore

L'ultimo sorriso (Policromia)

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Info su questo ebook

Tutti noi cerchiamo un sorriso in ogni angolo della vita, e talvolta lo troviamo laddove è impossibile. Alessandro Cocco, giovane venditore di vacanze a porta a porta, l’ha trovato in Halina, escort lituana trasferitasi a Bari, con la quale ha una profonda amicizia.   Quando, al telegiornale, Alessandro apprende della sua morte, non vuole crederci, soprattutto dopo essere venuto a sapere che per la Scientifica si è trattato di suicidio.   Conosceva davvero così poco la sua amica?   O c’è dell’altro
LinguaItaliano
EditorePubGold
Data di uscita17 lug 2018
ISBN9788894839982
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    L'ultimo sorriso (Policromia) - Alfonso Pistilli

    SORRISO

    Alfonso Pistilli

    L’ULTIMO SORRISO

    Alfonso Pistilli

    Collana Policromia

    PubMe Srl

    CAPITOLO 1 – PROLOGO

    4 settembre 2015

    «In effetti, una vacanza in un paese esotico non sarebbe niente male, dovrei solo decidere chi portare con me, visto che la sua offerta termina domenica e io non so nemmeno se mio marito lo vedrò fino a domenica!»

    Mi sono perso in quella bellezza così invadente al punto che il sorriso costruito e di circostanza, disegnato dalle sue labbra all’insù e dagli occhi neri e rotondi come due palle da biliardo numero otto, mi sembra al contrario quello di chi è interessato a ciò che le sto proponendo: una vacanza in un resort di lusso in Jamaica al miglior prezzo di sempre - almeno così ci è stato detto nell’ultimo meeting di presentazione dei nuovi prodotti aziendali.

    Un attimo dopo aver udito quelle parole, l’immagine che ho di lei, una donna che ondeggia dandomi le spalle sui suoi fieri tacchi vertiginosi, mi conferma che anche questa vendita si è conclusa nel peggiore dei modi.

    Do uno sguardo fugace alla villa che si apre innanzi a me: la folta vegetazione di platani orientali e piante grasse traccia un percorso tortuoso che si perde alla vista. L’erba appena irrigata inebria le narici e inumidisce l’aria torrida di un inizio settembre che raccoglie il testimone dal mese appena concluso per proseguire una delle estati più torride degli ultimi vent’anni.

    Ah, sì...

    Mi chiamo Alessandro Cocco e di professione faccio il venditore; questo dico nelle presentazioni, perché non posso certo dire di vendere vacanze porta a porta a quelle pochissime persone disposte ad ascoltarmi. Eppure, sei mesi fa mi era sembrato un ottimo affare: come al solito mi sono lasciato coinvolgere dall’entusiasmo di chi, evidentemente, ha saputo vendere meglio di me.

    Invece mi sono ritrovato presto a collezionare porte chiuse: questa è di Villa Manetti, il presidente della mia squadra del cuore, il Bari, solo la terza negli ultimi quattro giorni.

    Non che una delle quattro sia rimasta aperta.

    Ieri sono andato al campo d’allenamento per incitare la mia squadra in partenza per la prima trasferta del campionato. Lì ho visto Cinzia Bonafede, la moglie del presidente, e ho deciso di aspettarla fuori dalla sua villa cercando di agganciarla con un approccio brillante.

    Sapete com’è andata.

    CAPITOLO 2 – È ACCADUTO COSÌ IN FRETTA

    Quando crescerai? Quando comincerai a prenderti le tue responsabilità? Quando ti troverai un lavoro degno di questo nome?

    Iniziare la settimana con questo ritornello nella mente è come assistere stupefatto in platea alla performance di Gitano a Sanremo 1989 con la sua Pelle di luna, forse la peggior canzone di tutti i tempi. Io, invece, l’ascolto spesso - il ritornello, non la canzone - e gli interpreti si alternano con la regolarità dell’intestino agitato.

    Dal lunedì al venerdì ci pensano mamma e papà, dopo il trillo stanco della sveglia del mio cellulare; il week-end è prerogativa degli squilli della voce di Alessandra.

    Sì, il destino ha voluto che ci chiamassimo anche con lo stesso nome, che avessimo frequentato la stessa classe per i cinque anni del liceo e che ci fossimo piaciuti e messi insieme, così si diceva a quei tempi.

    Quando, invece, è la mia mente a riprodurre il ritornello, cadenzando la velocità con quella del motorino che cerca frescura sul lungomare Nazario Sauro, alle dieci e venti di oggi, lunedì 7 settembre 2015, la lotta si fa tutta intestina.

    E dire che il week-end appena trascorso non è stato nemmeno male: un sabato sera nelle viuzze del centro storico, tra la Muraglia e piazza del Ferrarese; una birra ghiacciata, una sigaretta e gli amici, quelli con cui basta la battuta più stupida per far scoppiare la risata eterna. Il pomeriggio aveva vinto anche il Bari in trasferta. La domenica in spiaggia solo con Ale, come ama farsi chiamare da me, a Capitolo, lungo la litoranea adriatica che colora la Puglia di tutte le sfumature di azzurro presenti in natura, cercando di trattenere l’estate ancora per un po’.

    La sera, sotto casa sua, ancora nella macchina di papà, dopo averle detto che no, stamattina non sarei potuto andare a prenderla per accompagnarla, visto il mio appuntamento di lavoro verso cui sto sfrecciando, è ripartito il ritornello. Stavolta, però, l’ho interrotto bruscamente, sollevando la mano come un vigile davanti all’uscita di scuola, aprendo la portiera e consegnando alla legittima proprietaria la borsa dei teli insabbiati. Non c’era bisogno di altre parole: io avevo capito, lei aveva capito.

    Mancano dieci minuti all’appuntamento e meno di due chilometri a via De Rossi 57. Decido per una breve sosta in piazza Diaz, dove la strada disegna un semicerchio sul mare. Scendo dal motorino, sollevo il casco e la brezza leggera dei trentadue gradi mi regala un brivido lungo la schiena arrossata dai raggi infuocati. Passo la mano tra i ricci appiattiti dal casco e asciugo l’umidità della fronte imperlata sui pantaloni beige di cotone, lasciando un alone intorno alla fessura della tasca da cui estraggo il cellulare.

    Compongo il numero di Halina, quello privato; essendo lì vicino potrei passare da lei dopo l’appuntamento.

    Risponde la segreteria telefonica del numero tre tre... Click!

    Sta lavorando, mi richiamerà.

    Lei è l’unica persona che sa come spegnere la radio dei miei neuroni.

    Con i pensieri ancora in circolo vorticoso, mi rimetto in sella non facendo caso al casco che è rimasto inforcato nel braccio sinistro; Appena partito ne avverto il peso, abbasso lo sguardo e i tanti piccoli tatuaggi sul mio braccio sembrano scivolargli addosso per disegnarlo un po’ di me.

    Giusto il tempo di far asciugare il sudore sulla schiena e sono lì, con il dito che sfiora il tasto del citofono mentre il vetro specchiato del portone riflette una barba cespugliosa e il sopracciglio destro formato da due linee dritte di rada peluria che si uniscono in un angolo preciso; sembra il frutto della moda di qualche anno fa, tatuarsi le sopracciglia per evitare di doversele sfoltire.

    Gli occhi castani, avvolti da palpebre leggermente cadenti, della donna sulla cinquantina che appare dietro la porta si soffermano proprio lì.

    Io so bene che il sopracciglio destro è la prima cosa che tutti notano di me, per questo ho anche preparato un pacchetto di battute simpatia: sconfiggere la timidezza con l’autoironia, uno degli ingredienti che ogni venditore dovrebbe avere - almeno così ci hanno spiegato.

    Ora, io lo so che avete voglia di sapere quali sono queste battute, ma, credetemi, visto il mio scarso successo come venditore, credo che anche il pacchetto avrebbe lo stesso risultato, fidatevi di me.

    La signora Tina, così si è presentata, mi precede per il corridoio lungo, lunghissimo, infinito come un buco nero. Ci fermiamo alla seconda porta sulla destra, quella del salotto, proprio quando cominciavo a prendere gusto nel sentire il legno scuro e invecchiato del parquet scricchiolare sotto i nostri passi, amplificando il rumore di ogni singola pedata.

    Dalla cucina avanza insolente l’odore della cipolla stufata, come l’aria della signora Tina che cammina leggera su un paio di pantofole consunte con un leggero rialzo ai talloni.

    Pasta e piselli, vero, Tina? Ah, lo so che le pantofole usate sono anche le più comode, ma prima o poi vanno cambiate!

    Non le dico così, ma vorrei farlo.

    I mobili sono datati ma ben tenuti, in legno scuro e lucido, e le pareti sono colorate da innumerevoli collage di foto che ritraggono una famiglia felice: Tina, un signore che presumo sia il marito, e tre giovani coppie e cinque pesti dalle gambe ammaccate e magliette sporche di marachelle.

    Mi accomodo sulla poltrona; il mio sedere sprofonda talmente in basso che mi si sollevano le gambe per aria, provocando un sorriso tenero in Tina, che si siede di fronte a me, attenta ad ascoltare la mia proposta di crociera sui mari del nord.

    Dopo sette minuti di monologo e annuenze, esclama: «Mi hai convinto! Ti faccio un caffè, tu prepara le carte.»

    «Ho già tutto pronto» mento.

    Mi affretto a compilare i moduli del contratto da far firmare, felice come un bambino a cui vengono regalate dieci caramelle raccomandandosi di non mangiarle tutte assieme, quindi mi alzo dalla poltrona e prendo a vorticare attorno al tavolino su cui campeggia il mio contratto.

    Sbircio involontariamente nella stanza di fronte attraverso il corridoio: Tina è immobile davanti al televisore a volume troppo basso per ascoltare dal salotto. Quell’attenzione m’incuriosisce, e mi affaccio impertinente sull’uscio della cucina, con la scusa di chiederle di poter usare il bagno.

    Tina annuisce senza distogliere lo sguardo dallo schermo. Faccio altrettanto e vedo una scena del crimine, con i nastri della polizia e la Scientifica.

    «Cos’è successo?»

    «Non so. Una donna trovata morta, qui a Bari.»

    Mi avvicino allo schermo e noto qualcosa di troppo familiare in quelle immagini; la scritta mi acceca.

    Bari: escort lituana trovata morta nel suo appartamento nel centro città.

    Di colpo le mani si paralizzano, come immerse nell’acqua ghiacciata; la lingua si attorciglia impedendomi di parlare. Devo avere anche un brutto colorito pallido, perché Tina quasi si spaventa voltandosi verso di me.

    Trovo la forza di trascinare le gambe di nuovo in salotto, afferro il contratto e la borsa, torno da Tina e mormoro: «Signora, devo... devo proprio andare. Mi scusi per il caffè, ma ho ricevuto un messaggio urgente. Può firmare il contratto? La chiamerò io, grazie.»

    «Non doveva andare al bagno?»

    CAPITOLO 3 – A CASA SUA

    La tensione è amica dell’adrenalina: arrivano sempre insieme, e insieme ti fanno sembrare un velocista pronto a battere il record mondiale dei cento metri. A me ne mancano cinquecento per raggiungere casa di Halina.

    Dopo aver attraversato col rosso e ad ampie falcate l’incrocio con via Cairoli, sento già il sudore di un maratoneta al trentesimo chilometro; ma il sudore è quello freddo che ha cominciato a invadere ogni singola parte del corpo già davanti allo schermo in casa di Tina. Non sento più l’afa, la bocca è spalancata per far entrare quanta più aria possibile, i polmoni bruciano come erbacce dopo il raccolto.

    Corro talmente veloce che mi sembra di volteggiare su una pedana di ginnastica artistica; più corro e più sento sciogliersi i muscoli delle gambe.

    Passo davanti a un’edicola e l’occhio cade su uno di quei cavalletti metallici che pubblicizzano le notizie più importanti del giorno. Per uno strano scherzo della mente, avanza in me la convinzione che non può trattarsi di Halina, altrimenti quella notizia l’avrei trovata lì. Sul mio volto si disegna un leggero sorriso.

    Proprio quando arrivo di fianco al cavalletto, lo urto con la mano, facendolo cadere e provocando un rumore di metallo così forte e secco da sembrare un colpo di pistola. Non posso fermarmi a raccoglierlo, devo correre da lei, magari sta anche per chiamarmi dopo aver trovato la mia telefonata.

    Una piccola folla assiepata davanti a una pescheria mi costringe a scendere il marciapiede e zigzagare tra due auto parcheggiate in doppia fila e ad affondare la scarpa nella pozzanghera puzzolente proveniente dal banchetto, mentre il tanfo del pesce invade disgustosamente naso e bocca aperti dalla fatica e dalla tensione.

    Sto per raggiungere l’incrocio con via Garruba, convinto che la piccola folla che vedo all’angolo siano i clienti del Le Grand Tabou, e mi rendo conto che il Grande Tabù è proprio all’angolo della casa di una che i tabù li ha abbattuti tutti nel momento in cui ha deciso di venire da Vilnius a Bari per fare la escort.

    Sarà il mio inguaribile, e a volte eccessivo, ottimismo, che è da sempre la principale causa dell’ormai famoso ritornello, ma anche in questo momento ho la strana convinzione che girerò l’angolo e smetterò di correre; raggiungerò con calma il portone di Halina, suonerò e lei mi dirà di salire per prendere il nostro tè.

    Spesso la realtà è diversa da come ce la siamo immaginati. Quante volte avete formulato ipotesi e ve le siete ripetute talmente tante volte da convincervi che fossero realtà? Non ditemi che lo faccio solo io, perché a quel punto sarei costretto a dare ragione ai cantanti del mio Ritornello.

    La folla invece è lì, curiosa, assetata di scandalo, infilata in ogni anfratto della cronaca. Anch’io sono lì, ma non so più se sono in me. Fermo, mentre i suoni dei clacson e dei motori si mescolano a un vociare simile a un alveare. Poi non sento più niente: è tutto ovattato, come se mi avessero dato delle cuffie per aiutarmi a dormire, per far evadere la mente da lì.

    Vedo un lampeggiante silenzioso su un’ambulanza dalla calma tragica, divise impegnate ad allontanare colli di giraffe alla ricerca di un particolare, e il verde dei miei occhi si gonfia senza controllo.

    Mi faccio strada fra la gente, spostando un anziano che proprio non voleva saperne di togliersi di lì. Noto le nocche della mano, insanguinate: il cavalletto che mi aveva regalato un sorriso inconscio.

    «Faceva la prostituta.»

    «Sì, mo’ com’è che le chiamano? Escort?»

    «Pure nei palazzi della brava gente.»

    Lo so che quello che sento è la verità, e

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