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Luci di periferia
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E-book162 pagine1 ora

Luci di periferia

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Info su questo ebook

L’idea del viaggio, del sacrificio, della fecondità, di un ritorno al mito che vede come protagonista una donna di cui volutamente non si conoscono le origini, quale moderna testimone di realtà tutte da esplorare.

"Diversi anni fa, mi capitò di ascoltare la testimonianza di una donna di circa cinquant’anni che mi colpì particolarmente.
Lei stessa dichiarò di vivere in una baracca e di badare a cinque o sei cani, svolgendo a questo scopo lavori umili.
Raccontò come in passato le era capitato di poter andare a vivere in una casa vera, che se ciò non era accaduto era stato perché non avrebbe potuto portare loro con sé.

La storia di questa donna dai lineamenti duri, non gentili come quelli di Maria, ma dall’animo altrettanto buono, mi rimase dentro finché decisi di prenderne spunto per costruire una storia. Provai ad immaginare un altro personaggio e mi venne in mente Giulia, una donna che apparteneva ad un ceto sociale superiore a quello di Maria ma che un evento ingiusto e tragico aveva reso ultima tra gli ultimi.

Dalla convivenza di queste due donne, dal succedersi di piccoli e grandi accadimenti che daranno vita a nuove quanto inattese evoluzioni, la convinzione dell’imprevedibilità della vita."
Roberto Marotta

Roberto Marotta è laureato in Lettere Moderne con specializzazione in Storia e Critica del Cinema all’Università di Roma La Sapienza. Ha frequentato diversi corsi, tra cui “lo studio del soggetto e della sceneggiatura” tenuto dal professore Guido Aristarco, Direttore del Dipartimento delle Discipline dello Spettacolo; ha collaborato alle ricerche filmografiche e alle interviste al “Film Festival Tagliacozzo 2000”, ha scritto inoltre diverse sceneggiature e racconti.
LinguaItaliano
Data di uscita14 apr 2014
ISBN9788863582543
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    Anteprima del libro

    Luci di periferia - Roberto Marotta

    1

    È notte. Dall’interno di una baracca, Maria, una donna di cinquantacinque anni, seduta su una sedia, sente fuori il vento forte e la pioggia accanirsi sulle lamiere di quel riparo. Il rumore in certi istanti diminuisce d’intensità per riprender forza nei successivi scrosci ancora più intensi.

    Due candele le illuminano ogni ruga, ogni segno del viso, i capelli castani, gli occhi scuri, lucenti. Nonostante il fisico un poco appesantito, conserva ancora sul volto tracce di un’antica bellezza.

    L’umidità è forte, in più punti le gocce filtrano cadendo a terra, andando a sparire sotto dei riquadri di linoleum poggiati con cura, seppure non incollati, su di un tavolato, probabilmente recuperati da uno scarto di lavorazione.

    All’interno s’intravedono due brande, uno scaffale su cui sono poggiate pentole, padelle, barattoli e alcuni vestiti.

    Un guaito scopre ai suoi piedi due cani infreddoliti, Ringo e Sara, due meticci di media taglia. Ringo, in particolare, trema, con gli occhi lucidi sembra implorare la fine del nubifragio. Trema anche Sara, più anziana, il suo manto nero tradisce una probabile discendenza da un pastore belga, più arduo il compito per l’altro cane, figlio di chissà quante razze.

    Più giovane, Ringo, di carattere vivace e giocoso al punto da diventare a momenti insopportabile, lo sa bene Sara, ogni tanto costretta a mostrargli i denti per farlo rientrare nei ranghi.

    Nell’aria esplode un tuono, Ringo ha un sussulto, Maria con tono di voce rassicurante gli dice di stare buono.

    Il cane strisciando le si avvicina un poco.

    Maria, preoccupata, continua a guardare verso l’esterno, dal vetro ora nero come la pece.

    Guarda ancora fuori.

    Ringo guaisce, nervosamente.

    Come spinta da un pensiero opprimente lei si alza avvicinandosi di più alla finestra.

    Cercando qualcosa, nel fragore della pioggia, tiene il viso a sfiorare il vetro.

    Apre la porta. Esce.

    La pioggia, immediatamente, la raggiunge.

    I cani accennano a seguirla, si fermano vedendola sparire nel buio. Sente i piedi affondare nel fango, però s’inoltra ancora.

    Un lampo illumina la zona mostrando i fianchi di un alveo, forse una baracca vicina, dei rovi.

    «Costantino!» chiama «Costantino!».

    Faticosamente risale il fosso.

    Scivola. Si rialza. Riprende la salita.

    Lentamente, risale l’alveo.

    Dall’alto, lontane, luci di palazzi cinturano la zona.

    Va avanti.

    «Costantino!» chiama ancora.

    I piedi, in mezzo al fango, ora affondano, ora slittano.

    Prosegue lungo una zona sterrata.

    Brancolando nel buio raggiunge una strada, un vialone deserto illuminato dai lampioni come innocente citazione della periferia romana.

    Accanto a lei, ritrova i suoi cani.

    Prende un’altra direzione, ora seguita dai suoi animali, cammina ancora.

    S’avvicina a quei palazzi alti e costeggiandone una parte continua a chiamare Costantino. La sua voce, coperta dal rumore della pioggia, quasi non si sente.

    Senza perdersi d’animo riprende verso il fosso, verso la zona più buia.

    Ad un certo punto le sembra d’intravedere qualcosa, forse una sagoma scura:

    «Costantino, sei tu?».

    Con la mano lo cerca, lo tocca, è lui, il suo cavallo.

    «Costantino!»

    Prendendolo per le briglie, prova a tirarlo, ma non si muove.

    Prova ancora, l’animale rimane immobile.

    «Andiamo!» gli dice.

    La pioggia cade sempre più fitta. Prova a tirare con forza. Il cavallo rimane fermo come una roccia.

    Prova ancora e poi riprova.

    Passano le ore.

    Accanto a lui e ai suoi cani rimane lì ferma ad aspettare e quando la luna s’intravede tra quelle nubi scure, cariche, lasciando filtrare una benché fievole luce, li vede con la testa e le orecchie basse, vede l’acqua scolargli da ogni parte e le si stringe il cuore, poi di nuovo la luna sparisce.

    2

    È l’alba, nel mercato rionale ha smesso di piovere da poco, le strade sono ancora bagnate. Una per una vengono aperte le cappottine, gli ombrelloni, le merci pronte per essere esposte annunciano la fine del silenzio. Alla fontanella Maria, con le mani gelate dall’acqua, il volto segnato dalla stanchezza, lava delle verdure.

    La notte, il suo cavallo, da solo, aveva poi fatto ritorno verso il fosso e lei con i suoi cani, stremata, lo aveva seguito fino alla baracca, s’era tolta gli abiti bagnati, ne aveva messi degli altri, s’era sdraiata infine un paio d’ore, forse meno, prima di tornare a lavorare.

    Raccogliendo due cassette s’avvia verso il banco. Ad aspettarla una vecchia bassa e tonda con i capelli bianchi legati dietro.

    Approfittando della calma di queste ore, intanto, ovunque, ci si appresta a collocare ogni prodotto nella giusta posizione.

    Tira su col naso, Maria, sistemandosi il cappello di lana troppo vicino agli occhi.

    «Ti sei presa un brutto raffreddore!» dice l’altra.

    Maria annuisce.

    Insieme preparano mazzi di spinaci e cicoria.

    Finito di sistemare una cassetta: «Prendine un’altra!» le dice Fernanda.

    Maria, da sotto il banco, gliela passa, riprendendo da dove avevano lasciato.

    Alle loro spalle un furgone s’accosta al marciapiede richiamando la loro attenzione. Scende un vecchio.

    Aprendo il portello laterale, comincia a scaricare frutta. Insieme a una donna, la sistema sopra il banco.

    La luce incerta di una fredda mattina invernale filtra timidamente tra le nuvole, arrivano i primi clienti e la piazza pian piano si popola di gente, una liturgia di grida, di rumori.

    Prepara altre verdure, Maria. Poco più in là, una vecchia con un barattolo di alici sotto sale e uno sgabello, avrà cent’anni come la bilancia che usa, sull’asticella graduata muove le sue dita sottili come ramoscelli secchi.

    Per un attimo la guarda.

    Sente la voce di Fernanda che la chiama: «Prendi altre mele!».

    Abbandonando i suoi pensieri, s’avvia verso il furgone.

    Sulla strada che costeggia la piazza si ferma il camion dell’immondizia, aggancia un secchione.

    Da dietro il predellino salta giù un uomo di circa cinquant’anni con i capelli bianchi, il viso raggrinzito dal freddo. Raccoglie le buste lasciate a terra dalla gente, il camion ingoia anche queste poi riparte.

    L’uomo risale in fretta e sputa all’indietro. Cinquanta, forse cento metri più avanti, si ferma di nuovo.

    Poco più in là, sul marciapiede, una zingarella poggia un cartone a terra e ci si siede sopra. Porta un bambino in grembo che ora s’è svegliato e piange, scopre il seno per offrirgli il capezzolo a cui lui voracemente s’attacca.

    Riempie cassette vuote, Maria, prepara minestroni pronti, pulisce a terra.

    Raramente, una pausa, poi si ricomincia.

    Nella tarda mattinata, infine, quando le serrande sopra i banchi vengono chiuse, file di cassonetti stracolmi di scarti di merce segnano la conclusione di un giorno di lavoro.

    Dietro al telaio della sua bicicletta, Maria lega due buste.

    Lentamente, s’avvia per far ritorno al suo rifugio.

    Sotto un grosso cartello pubblicitario, si ferma, scende dalla bicicletta, sale sul marciapiedi.

    In un punto dove la rete è rotta, entra.

    Risale in sella.

    Attraversando la zona sterrata raggiunge la sommità di un fosso.

    Dall’alto vede tre baracche, il suo cavallo legato ad un albero e poco più in là, sdraiati vicini, Ringo e Sara.

    Con attenzione, prende la discesa.

    I cani, vedendola, le corrono incontro abbaiando. Li accarezza entrambi.

    Eccitati, le leccano le mani.

    Entra nella baracca, prende un sacco, con questo riempie due recipienti, sono croccantini, Ringo e Sara si precipitano a mangiarli.

    Avvicinandosi al cavallo vuota una delle due buste in un secchio da calce, ci sono carote, cetrioli, avanzi di lattuga, mele. Sul retro del rifugio prende un poco di fieno.

    Soddisfatta lo guarda mangiare.

    Sulla parte esterna della coscia destra s’accorge di una ferita. Sembra superficiale, se la deve esser procurata fuggendo la sera prima, forse con del filo spinato.

    Teneramente, lo accarezza.

    Aspetta che il cavallo finisca di mangiare, dopodiché lo slega.

    Tenendolo per le briglie s’avvia per la salita. I due cani, subito, s’accodano.

    Sopra il fosso, si ferma.

    Guardandosi intorno, vede la parte sterrata, i palazzi lontani.

    Lasciandogli le briglie, l’animale accenna qualche passo, poi si ferma.

    Poco distanti, circa cinquanta metri, tre bambini di dieci, undici anni, giocano a pallone.

    Vedendolo, si fermano. S’avvicinano.

    Il cavallo passa al trotto, poi al galoppo, Maria lo guarda innamorata, vederlo correre la ripaga delle fatiche quotidiane, scompaiono i palazzi intorno, i muri, le strade e in quell’istante sente di essere felice.

    3

    Rimane ancora molto, Maria, insieme ai suoi animali. Seduta sopra le radici di un albero tagliato, guarda il suo cavallo fermo da tempo. Poco distanti,

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