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Il ballo di Annetta
Il ballo di Annetta
Il ballo di Annetta
E-book163 pagine2 ore

Il ballo di Annetta

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Info su questo ebook

Dopo la morte del piccolo Mattia, un nuovo allontanamento colpisce la famiglia del vecchio contadino. Annetta, la figlia femmina, si trasferisce a vivere a casa del compagno; in questa sua nuova vita non mancano però botte e soprusi. Annetta, giunta al limite della sopportazione, sparisce il giorno di Natale insieme alla piccola Lucia. Che fine avrà fatto? Riuscirà a iniziare una nuova vita?

Toni Carli è nato a Tripoli e cresciuto nella Bassa friulana, a Fiume Veneto, terra di “Primule e temporali”, come scriveva Pasolini. Il 25 maggio 1986 un incidente in moto lo costringe su una sedia a rotelle. Dal 1993 al 2014 lavora al Siena Jazz University. Ha scritto racconti e dialoghi teatrali, ha curato la regia di uno spettacolo multimediale in omaggio a Chet Baker e scritto i testi dell’opera musicale Visioni in musica sugli scritti di David Lazzaretti di Mirco Mariottini. Ha pubblicato cinque libri: Tanto per rimanere uguali (Polistampa, 2003), Una dea bendata (Polistampa, 2009), Le uova degli angeli (Il Gattaccio, 2012), Il cielo nell’acqua (Il Gattaccio, 2017) e La finestra appesa a un filo (2018).
LinguaItaliano
Data di uscita16 ago 2022
ISBN9788830670617
Il ballo di Annetta

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    Anteprima del libro

    Il ballo di Annetta - Toni Carli

    LQ.jpg

    Toni Carli

    Il ballo di Annetta

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-6233-9

    I edizione agosto 2022

    Finito di stampare nel mese di agosto 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Il ballo di Annetta

    Solo col lavoro agricolo può aversi una vita razionale, morale.

    L’agricoltura indica cos’è più e cos’è meno necessario. Essa guida razionalmente la vita. Bisogna toccare la terra.

    Lev Tolstoj

    Le donne sono una vite su cui gira tutto.

    Fëdor Dostoevskij

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    PRIMA PARTE

    Capitolo I

    Una striscia di nebbia invernale, galleggiando lungo il fiume come una coperta sfilacciata, separava le sponde erbose dalle cime spoglie degli alberi. Sul campo dietro la stalla l’aratro attaccato al vecchio trattore mordeva la terra scura, rivoltandola come tante facce che guardano il cielo; dove le lame l’avevano affettata, brillavano al tiepido sole di dicembre; e proprio nel mezzo, planando sulle creste terrose, una nuvola grigia di colombi selvatici ne sbriciolavano il secco taglio del vomere.

    Scavato l’ultimo solco, il contadino scese dal trattore e con le mani sui fianchi osservò il lavoro svolto. L’aria era fredda e un soffio di vento leggero si perdeva sulla fitta boscaglia al di là del fiume. Il piangente intrico dei salici fiammeggiava con le foglie ingiallite lungo la sponda e i secchi campi di stoppie, nelle parti ancora in ombra, erano ricoperti dalla brina della notte.

    Il contadino si era inginocchiato sul bordo del campo e sembrava pregasse nella speranza di una generosa nevicata, preludio di buoni raccolti. Si immaginava i fiocchi di neve, soffici e polverosi, ricoprire i suoi campi come il velo nuziale di una sposa che sale la scalinata di un altare, una distesa candida dentro un silenzio promettente.

    Spicchio gli si avvicinò con prudenza e si accovacciò ai suoi piedi; con le orecchie dritte aspettò il suo momento, come la vita gli aveva insegnato. A un minimo cenno avrebbe trasformato quell’attesa in un folle inseguimento di galline e colombi, rei di pasteggiare senza alcun permesso tra le zolle rivoltate. Scrutò gli occhi del suo padrone alzando il muso da terra, la coda rasente l’erba secca si dimenava come un’anguilla. Un sommesso guaito gli scappò dalla bocca, quasi a scusarsi della sua fragilità. Una coppia di colombi si posò sul terreno e altri a ruota li seguirono. Subito dopo arrivarono un pugno di galline con il gallo a fare breccia. Il contadino, alzandosi da terra, gli rivolse uno sguardo complice e il cane si rizzò sulle zampe posteriori, la coda dritta come uno stendardo pronto all’assalto. Il cenno, impercettibile, arrivò accompagnato da un breve sorriso. Spicchio scattò come un fulmine e sgombrò il campo dagli intrusi; la lingua fuori e la coda come un’elica, tornò dal suo padrone a prendersi la giusta gloria. L’aria era ferma e si sentiva solo lo starnazzare stizzito delle galline in lontananza.

    Sotto il portico, Annetta osservava suo padre al margine del campo e ogni tanto, maneggiando una forbice fin troppo pesante per gli esili gambi delle ortensie, ripuliva la fila dei vasi dai rami rinsecchiti. Lo faceva con una cura particolare e muovendosi con grazia femminile, la stessa con cui sua madre le avrebbe poi colte e portate sul tumulo di Mattia nella stagione della fioritura.

    Una folata di vento agitò i ramoscelli del gelso al centro del cortile e un mucchietto di foglie secche si sollevò da terra. Annetta si fermò a guardare. Le foglie mulinarono nell’aria e dopo una breve sospensione ricaddero in un altro posto, poco più in là. Sentì una sensazione strana lungo la schiena, come se all’improvviso fosse stata sbalzata in un altro mondo, lontana dalle cose di tutti i giorni. Dimenticò di essere lì, sotto il portico, con le pannocchie appese alle travi del soffitto e le galline tra i piedi. Il cielo azzurro sembrava posasse la sua luce su strade e case abitate da gente felice, sulle bancarelle dei mercati o di piccoli negozi affollati di donne inseguite da uno sciame di bambini giocosi. Quasi le vedeva, dentro i loro abiti puliti e i capelli profumati, e negli occhi leggeva la loro vita e dove il vento portava i loro pensieri.

    Prima di rientrare in casa affondò un’ultima volta il naso tra i grappoli dei fiori appassiti, dal colore ramato, ossidati nella ruggine di profonde ferite, cercando forse la traccia di un amore che vaga nei dintorni di un sogno ormai spento.

    Dal fienile l’aria risuonava del tubare dei piccioni. Gli occhi si socchiusero. Fu in quel momento che pensò a Biagio, le labbra ancora calde di quel bacio. Ci pensò per un solo istante, senza dolore.

    Prese il pettine che teneva nella tasca del grembiale e se lo passò tra i capelli. Un nodo le increspò la bocca in una smorfia di fastidio, e non si stupì più di tanto che Biagio fosse sparito dalla sua vita.

    Si pulì le scarpe sullo zerbino, osservando nel riflesso della porta il viso forte e gli occhi chiari come l’acqua del fiume. Lenta, come se si fossero appesantiti anche i piedi, entrò in casa. Il caminetto acceso e i cerchi roventi della stufa spandevano un tepore uniforme in tutta la cucina. Un profumo zuccherino di mele cotte riempiva l’aria.

    Si scostò una ciocca di capelli abbassandosi sulla culla dove dormiva la piccola Lucia, il perno su cui girava la sua nuova esistenza. Si voltò verso la finestra e vide suo padre portare il trattore nella rimessa, avviarsi verso la stalla e togliersi il pesante berretto di lana un attimo prima di entrarci.

    Annetta trasalì alla voce di sua madre. Era scesa dalle scale alle sue spalle senza fare il minimo rumore, come se camminasse nella neve fresca. Dopo la morte del piccolo Mattia era diventata così esile e silenziosa che il vento avrebbe potuto accoglierla tra le sue ali, sollevandola fin sopra ai tetti. Scendeva dalla soffitta con in mano una vecchia scatola ricoperta di polvere, nel petto un grande vuoto, una specie di nostalgia che non si lasciava fissare né spiegare.

    «Ti va di andare nel bosco a prendere un po’ di muschio? Così stasera prepariamo il presepe, manca poco al Natale».

    La moglie del contadino, prosciugata nel corpo, parlava a mezza voce, quasi tra sé. Aveva i capelli castani, una chioma raccolta in un grande pugno d’un disordinato chignon sospeso sul collo. Indossava un vestito di lana grigio con un orlo bianco che le arrivava appena sotto le ginocchia; sopra il vestito, un golfino di cotone verde oliva le scendeva fino ai fianchi.

    «Ci pensava sempre...», disse Annetta senza finire la frase. La madre volse lo sguardo e fissò la fotografia della prima Comunione, incorniciata sulla mensola del caminetto. A volte sentiva la sua presenza così tangibile da credere che Mattia le fosse fisicamente accanto. I mesi trascorsi non ne avevano sbiadito il ricordo, nemmeno il silenzio. Non parlava mai del lutto, lo portava dentro, e non condivideva il suo dolore con gli altri. Ognuno ha la sua croce. Tacendo però, quella cosa nera che le ribolliva nel petto diventava sempre più pesante da sopportare; e, solo allora, al culmine del dolore, sentiva il bisogno di alleggerirsi con le parole, come il vapore che esce dalla valvola di sicurezza quando il troppo calore fa sibilare la caldaia.

    «Cercava sempre il muschio migliore, quello bello gonfio in cui le pecorelle affondavano... Nel bosco se la cavava come un grande, ci stava bene», pronunciò quelle parole a voce bassa, con delicatezza. «Con il figlio del maresciallo aveva costruito una capanna sull’albero e passavano i pomeriggi là sopra. Mi faceva perdere la voce a chiamarlo...».

    «Torneranno i miei fratelli?», la interruppe Annetta nel tentativo di sviare la madre dalla fotografia. I due fratelli maggiori lavoravano all’estero, partiti con una valigia di cartone prima del servizio di leva e ritenuti adesso alla stregua dei disertori.

    «E chi lo sa. C’è sempre il rischio che li prendano».

    «Sarebbe bello se venissero».

    «Prima o poi torneranno, costruiranno una casa da queste parti. Si faranno una famiglia, come tutti. I soldi non gli mancano. Così la nostra piccola Lucia avrà dei cuginetti con cui giocare».

    «Certo per una bimba è brutto crescere senza gli zii».

    «Non ti preoccupare, al momento giusto si faranno sentire e non le faranno mancare nulla». Sua madre fece una pausa, incerta se continuare o tacere. Guardò sua figlia, per qualche motivo pensò di non dirglielo. Non devo, pensò. A volte l’ansia di perdere l’unica figlia rimasta in quella casa soffiava sulla debole scintilla che aveva in corpo e la trasformava in una fiamma che l’aiutava a vivere. Vedendola così luminosa in viso, così spensierata e con una vita ancora tutta

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