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Ombralunga. Estate
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E-book185 pagine2 ore

Ombralunga. Estate

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Info su questo ebook

L’avventura della scorsa primavera ha dato la possibilità a Paride e ai suoi amici di dare una sbirciatina al mondo nascosto oltre la città di Ombralunga. Ora però ci sono altri interrogativi che li coinvolgeranno molto più pericolosamente di quello che si sarebbero aspettati.
– Succede però che noi abbiamo una cosa in più, che voi chiamate banalmente “magia”, anche se non sapete veramente cosa sia. La cosa cominciava a farsi interessante.
LinguaItaliano
EditoreIl Prato
Data di uscita3 ott 2016
ISBN9788863363487
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    Anteprima del libro

    Ombralunga. Estate - Emilio Drachini

    PRIMA PARTE

    I.

    L’odore del soffritto riempiva la cucina.

    – Buongiorno, Stefano, che ci fai già sveglio? Il caffè non è ancora pronto.

    «Buongiorno un cavolo!» avrebbe voluto gridarle, «perché ti metti a preparare il pranzo a quest’ora quando devo ancora fare colazione?»

    Si stropicciò la faccia, sbadigliò e prese posto a tavola senza degnarsi di risponderle. Come al solito tutto era pronto in abbondanza, dai biscotti fatti in casa al succo di frutta, dallo yogurt ai cereali. In quantità da sfamare un esercito.

    Di norma assaggiava un po’ di tutto, ma stavolta no. Il suo stomaco era chiuso a doppia mandata per l’emozione di quanto avrebbe combinato di lì a pochi minuti. Aveva ripassato il programma un’infinità di volte, riflettendo su ciò che sarebbe potuto andare storto. Potevano scoprire che era lui l’ideatore. Paride avrebbe potuto ammalarsi proprio quel giorno o avrebbe potuto cambiare strada per andare a scuola.

    – A pranzo ci sarà uno spezzatino che sarà la fine del mon … Ehi, perché sei scalzo? Ti prendi una malora! – disse sua madre che si era voltata con la moka pronta. Gli versò velocemente il caffè, rimise a posto la presina e corse verso la scarpiera a recuperare un paio di pantofole.

    Lui si costrinse a bere un sorso di succo, ma gli venne la nausea.

    – Ecco qua, tieni, mettiti queste, Stefano.

    La cosa che più lo faceva arrabbiare di sua madre era che non lo chiamasse con il suo detto. Lo faceva imbestialire. Cos’aveva quella donna contro la tradizione?

    Ogni volta che lui le presentava un suo amico lei scuoteva la testa e chiedeva Ok, ma qual è il suo vero nome?. Anche questo era uno dei motivi per cui non invitava più nessuno a casa e teneva alla larga le sue conoscenze.

    – Oggi non ho fame – tagliò corto, alzandosi senza dare altre spiegazioni. Qualsiasi cosa avesse detto, ogni emozione lasciata trapelare, sarebbe stato un pretesto per altre domande indiscrete.

    Qualcuno suonò il campanello.

    – Chi è a quest’ora? Da quando vai a scuola con qualcuno? Lo conosco? Dimmi almeno come si chiama, o magari è la tua nuova ragazza?

    Sblam!, Stefano chiuse la porta dietro di sé e scese le scale il più velocemente possibile.

    Il cuore prese a battergli forte. Era sicuro che quando avesse cominciato a parlare la sua voce avrebbe tremato e la cosa lo irritava perché odiava fare la figura del debole. Perciò, appena aprì il portone e incrociò lo sguardo del ragazzo che lo stava aspettando, prese un bel respiro e strinse i pugni. – Ehilà, Rotz!

    Rotz era il ragazzo più temuto di Ombralunga, non solo perché era il figlio del sindaco e quindi impunibile e impunito, ma perché era più cattivo di tutti i bulli messi insieme. Dietro ogni scritta su un muro e ogni atto di vandalismo c’era la sua firma o quella di uno dei Cagnacci, gli altrettanto malvagi componenti della sua banda.

    – Ciao Butch – gli ripose Rotz facendogli l’occhiolino.

    Era la prima volta che qualcuno lo chiamava con un nuovo detto e bisognava ammettere che faceva un certo effetto. Butch era stato scelto proprio da Rotz, ed era il diminutivo di Beauceron, quel cane forte e coraggioso pronto a seguire il suo padrone ovunque, anche a costo della vita. Di fatto, con quel saluto, Butch era diventato un Cagnaccio.

    Rotz non era solo un buon candidato per la galera, era anche il sogno proibito delle ragazze, teppiste o raffinate che fossero.

    Sei bello come il sole, avrebbe voluto dirgli Butch guardandolo negli occhi azzurri, chiari come il ghiaccio. Ma così facendo avrebbe mandato all’aria il lavoro di settimane.

    Tutto era cominciato molti giorni prima, quando in classe il nuovo professore, Il Matto, aveva letto il tema sugli elfi di quello sfigato di Paride. Butch non aveva creduto alla sua fortuna. Aveva fatto passare cinque minuti (giusto il tempo per non destare sospetti), poi aveva chiesto di andare in bagno. Là, il segnale per avere un’udienza con il capo dei Cagnacci, era aprire una finestra quel tanto che bastava per far riflettere il sole verso la sua aula e infatti, trenta secondi dopo, era arrivato in persona, spalancando la porta con un calcio.

    – Ohu … – aveva borbottato, prima ancora di capire chi volesse parlare con lui. – Ah, sei tu.

    – Ehi, c-ciao, avevo s-sentito che volevi essere i-informato – respiro lungo – se qualcuno era interessato agli elfi.

    – E allora?

    – Paride. Paride Strinapolli. Ha appena confessato di averne incontrato uno. Tempo fa. Quando era piccolo.

    – Dici sul serio? Sei sicuro?

    – Sì, sì, Rotz, sicurissimo. Non stava scherzando.

    Rotz, per un momento, soppesò quella novità e si massaggiò il mento. – Ok, ho capito. Tienilo d’occhio e fammi sapere se succede qualcos’altro. Non fare cavolate e vedrai che io e te andremo d’accordo.

    Ritornando in classe, Butch lo aveva visto andare nell’aula di Dogo (un Cagnaccio senza sopracciglia) e chiamarlo a rapporto. Più tardi, alla fine delle lezioni, mentre i Cagnacci acciuffavano Paride e lo trascinavano dietro un angolo, aveva guardato da un’altra parte fingendo di non sapere cosa gli sarebbe successo.

    Fatti suoi, se l’era cercata.

    – Rotz da Bob, Rotz da Bob – gracchiò ora una voce molto vicina.

    Rotz estrasse dall’interno del giubbotto un walkie-talkie. – Avanti, Bob.

    Butch rimaneva impressionato ogni volta dalla loro organizzazione. Nell’ultima settimana in cui avevano perfezionato il piano gli avevano insegnato come usare quei dispositivi, il linguaggio, i nomi in codice e i tempi da rispettare. Sembravano veri e propri soldati in guerra.

    – Il pulcino è nell’aia. – Cioè: Paride gli era appena passato davanti.

    – Perfetto, comincia a seguirlo. E butta via quel frappé.

    – Come sapevi che stavo bevendo un frappè?

    – Seee, seee. Muoviti! – Rotz scambiò mezzo sorriso con Butch prima di premere nuovamente il pulsante di trasmissione. – Yoyo, sei in posizione?

    – Presente! Lo vedo.

    – Ok, prendete tempo, stiamo arrivando.

    Butch pregò che tutto filasse liscio.

    Quando raggiunsero gli altri, Paride era già stato incappucciato e bloccato per terra da Alan che gi stava seduto sopra. La sua cartella era stata rovesciata e le sue cose erano sparpagliate un po’ ovunque.

    Dogo gli aveva sfilato le scarpe, le aveva legate per i lacci e le stava lanciando sui fili della corrente.

    Senza dire una parola per non farsi riconoscere, Butch salutò i suoi nuovi compagni di scorribande con un cenno del capo, si diresse verso un quaderno degli appunti a colpo sicuro, lo raccolse e si dileguò.

    – Meraviglioso – scandì Rotz, sfogliando il maltolto ben lontano dal luogo del pestaggio. – Butch, sei un grande.

    – Grazie, grazie – rispose lui, maledicendosi per non riuscire ad aggiungere altro per via dell’eccitazione.

    – Ora lo porto da mio padre e gli diamo un’occhiata. Poi, senza farti notare, lo restituirai a quell’imbranato, che magari neanche si sarà accorto che gliel’abbiamo preso.

    Per un breve momento Butch provò compassione per il suo compagno di classe. Ma durò poco.

    – Adesso devo trovarmi con Pesca, perché devo chiederle un piccolo favore. Buona giornata, mitico e … non farti beccare!

    Butch non se l’aspettava. Gli era stato rivolto per la prima volta il saluto ufficiale dei Cagnacci. – Non farti beccare! – riuscì a rispondere al volo, cercando di mantenere la calma.

    Più tardi pensò che avrebbe volentieri marinato la scuola, ma non sarebbe stato saggio: doveva tenere d’occhio Paride. Ma come avrebbe potuto rimanere concentrato durante le lezioni in quello stato di euforia?

    – Ehi, tu.

    Una vocina petulante lo chiamò mentre stava per raggiungere l’aula. Apparteneva alla ragazza che più gli era antipatica in tutta la scuola, anzi, in tutta la città.

    – Ciao bell’uomo!

    Lei lo abbracciò a tradimento, poi cominciò a dirgli cose carine guardandogli i muscoli.

    Butch le avrebbe tirato una gomitata con gran piacere, facendo un favore all’umanità, ma gli venne un’idea: era da quando aveva iniziato la prima superiore che sentiva delle voci che spettegolavano su di lui, perché non aveva mai avuto una ragazza. La cosa un po’ lo infastidiva (lo stare con una ragazza, le cattiverie invece gli scivolavano addosso) e pensò di mettersi insieme a lei giusto una settimana o due, per mettere a tacere queste dicerie.

    – Che affettuosa sei oggi. Ma … ma tu non eri insieme a Dox? – le chiese, lanciando il primo amo.

    – Chi, quel cretino? Fammi il favore – replicò lei, schifata.

    Perfetto.

    II.

    Il giorno dopo riuscì senza intoppi a far ritrovare a Paride il quaderno con i suoi appunti e nessuno lo notò.

    «Sono più bravo di uno 007. Ma che ci faccio qua a Ombralunga? Dovrei essere dietro le linee nemiche a sabotar piani, altroché!» pensò soddisfatto.

    Ben più complicato fu pedinarlo durante il funerale della professoressa Trillo, durante il quale dovette nascondersi non solo alla vista del ragazzo, ma anche a quella dei professori. Se l’avessero salutato ad alta voce, l’avrebbero fatto scoprire. Rotz gli aveva suggerito di confondersi tra le persone, vestendo abiti dai colori neutri, come il grigio e il marrone o il nero, di portare un paio di occhiali da sole che non avesse ancora messo e di avere sempre pronta una scusa per giustificare la sua presenza.

    Finita la celebrazione la situazione si fece più complessa perché il suo obiettivo si diresse verso il mercato e lì iniziò ad andare avanti e indietro senza una ragione. All’inizio si era fermato ad una bancarella di scarpe, ma poi aveva preso a vagare tra le persone, come se stesse cercando qualcuno.

    Pur conservando un atteggiamento spontaneo che non desse nell’occhio, Butch dovette stare attento ad avere un nascondiglio a portata di mano. I bidoni di grandi dimensioni o i camerini andavano benissimo, ma non ce n’erano ovunque.

    L’ansia di essere riconosciuto da un momento all’altro lo sfinì. Forse sarebbe stato meglio fare una pausa prima di commettere un errore. Si fermò ad un banchetto di caccia e pesca, fingendo di grattarsi i capelli per nascondere il viso, e valutò se comprare un binocolo tascabile e cambiare tecnica di appostamento.

    Alle sue spalle sentì un trambusto e fortunatamente ebbe l’accortezza di non voltarsi subito. Era infatti Paride che, per chissà quale ragione, stava correndo tra i passanti, urtandoli e creando un certo scompiglio.

    «Dove sta correndo con tutta questa fretta?» pensò amareggiato, rendendosi conto che non sarebbe riuscito a raggiungerlo e che ormai l’aveva perso. «Mannaggia la miseria nera!»

    Tirando a indovinare, ipotizzò che Paride si fosse ricordato all’improvviso di una commissione per i suoi genitori, perciò considerò conclusa la sua giornata lavorativa. Contrattò per il binocolo e lo comprò.

    Sopportarla stava diventando impossibile. Più volte aveva deciso di troncare la loro relazione (che ridere questa parola!), ma ogni volta si faceva mille scrupoli. Non tanto per la ragazza, che avrebbe piagnucolato un po’ e poi avrebbe trovato qualcun altro a cui rivolgere le sue moine, quanto per la copertura che si era costruito. Da quando fingeva di stare con lei, infatti, più nessuno si sognava di pensare che fosse gay o uno sfigato.

    Maggio stava finendo e la vita privata degli studenti era stata notevolmente ridotta dagli ultimi compiti in classe e dalle interrogazioni.

    Per Butch la situazione non era delle migliori, perché doveva continuare a usare il suo vecchio detto, che cominciava a odiare, e fingere di non essere uno dei Cagnacci, per spiare meglio Paride.

    – Il duro lavoro di chi fa il doppio gioco – pensò rassegnato e morto di noia, mentre guardava per la centesima volta le riviste di un’edicola. In realtà era appostato e in collegamento via walkie-talkie con gli altri della cricca. Dovevano coordinarsi per far incontrare casualmente Paride con Pesca, la ragazza di cui era innamorato perso e, tramite lei, convincerlo ad andare nella Foresta della Morte Misteriosa per scovare dove fossero gli elfi.

    Quando ascoltò le ultime comunicazioni tra i Cagnacci, capì che il suo compito era finito, perché tutto si stava svolgendo dall’altra parte della città e la sua presenza non era necessaria.

    – Dogo a Rotz, ce l’ho davanti. Ha attraversato il Quinto Raggio. Adesso siamo di fronte al cimitero. – Click! – Ricevuto. Pesca? – Click! – Avanti. Vedo Boxer che mi sta facendo segno di aspettare. – Click! – Sì, qui parla Boxer, lo vedo che sta facendo slalom tra i turisti. Contatto previsto tra una decina di secondi – Click! – Ok. Per tutti. Silenzio radio.

    Intanto Pesca aveva nascosto il suo apparecchio nella borsa e lo aveva messo in modalità TRASMISSIONE CONTINUA, come prevedeva il piano. Tutti rimasero in ascolto di ciò che si dicevano.

    – … a comprare una tavola da snowboard … In primavera, non è un po’ presto?

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