Vivo nel buio
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Info su questo ebook
Nell'estate tra la terza media e le scuole superiori, un gruppetto eterogeneo di compagne di classe decide, all'insaputa dei genitori, di andare in pellegrinaggio sul luogo in cui, dieci anni prima, si è consumato un feroce delitto: un omicidio suicidio, in cui una ragazza di diciannove anni è stata barbaramente uccisa dal fidanzato coetaneo, prima di togliersi la vita. Si tratta, né più né meno, di una passeggiata sulle colline a margine della città da cui tornare in tempo per la cena.
Nel bosco, però, una presenza all’apparenza innocua, un ricordo dolce dell’infanzia, prenderà forme davvero inaspettate, conducendo le ragazzine a smarrire il sentiero del ritorno. La madre divorziata di una di loro, nonostante l’inettitudine dell’ex marito e l’indolenza degli altri genitori, riuscirà a scoprire indizi sulla meta delle fanciulle e deciderà di affrontare il bosco e la notte per tentare di portare in salvo sua figlia e le amiche.
Intanto, l’isolamento e la paura faranno emergere conflitti tra le disperse, che da tempo bruciano sotto la cenere, mentre quella stessa entità, all’apparenza salvifica, userà il suo potere per confonderle e condurle alla stessa disperazione delle sue precedenti vittime.
Wladimiro Borchi
Wladimiro Borchi è nato a Firenze il 3 febbraio del 1973, è un avvocato fiorentino appassionato di teatro e narrativa. Ha scritto: Liriche esplicite (La Signoria Editore, 2017), Aurora Conan Boyle e il Grande Segreto di Babbo Natale" (La Signoria Editore, 2017), Alice Conan Boyle e i misteri di Querciamondo (Edizioni Jolly Roger, 2018), Eravamo fascisti (Edizioni Jolly Roger, 2018), Il respiro dell'Uno (Edizioni Jolly Roger, 2019). Coi racconti Ludus in fabula e Invasion San Donnino ha vinto due sfide sul Forum "Minuti Contati”. Il primo è stato pubblicato nell’antologia La Sfida - dal forum Minuti Contati (Scatole Parlanti, 2019). Nell’estate del 2020 il suo racconto Voci nel silenzio si è aggiudicato la medaglia di bronzo alle olimpiadi della scrittura. Il suo romanzo Vivo nel buio ha vinto il concorso “Streghe, Vampiri & Co.” Ed. 2019 e ottenuto la menzione d’onore al Premio Argentario 2020. Dallo stesso anno può fregiarsi del titolo di “Campione della Settima Era di Minuti Contati”.
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Anteprima del libro
Vivo nel buio - Wladimiro Borchi
Frontespizio
Wladimiro Borchi
Vivo nel buio
Horror
Colophon
© Bibliotheka Edizioni
Piazza Antonio Mancini, 4 – 00196 Roma
tel: (+39) 06. 4543 2424
info@bibliotheka.it
www.bibliotheka.it
I edizione, aprile 2021
e-Isbn 9788869347047
Disegno di copertina: Paolo Niutta
www.capselling.it
Progetto grafico: Riccardo Brozzolo
Wladimiro Borchi
Wladimiro Borchi è nato a Firenze il 3 febbraio del 1973, è un avvocato fiorentino appassionato di teatro e narrativa.
Ha scritto: Liriche esplicite (La Signoria Editore, 2017), Aurora Conan Boyle e il Grande Segreto di Babbo Natale (La Signoria Editore, 2017), Alice Conan Boyle e i misteri di Querciamondo (Edizioni Jolly Roger, 2018), Eravamo fascisti (Edizioni Jolly Roger, 2018), Il respiro dell’Uno (Edizioni Jolly Roger, 2019).
Coi racconti Ludus in fabula e Invasion San Donnino ha vinto due sfide sul Forum Minuti Contati
. Il primo è stato pubblicato nell’antologia La Sfida – dal forum Minuti Contati (Scatole Parlanti, 2019).
Nell’estate del 2020 il suo racconto Voci nel silenzio si è aggiudicato la medaglia di bronzo alle olimpiadi della scrittura.
Il suo romanzo Vivo nel buio ha vinto il concorso Streghe, Vampiri & Co.
Ed. 2019 e ottenuto la menzione d’onore al Premio Argentario 2020.
Dallo stesso anno può fregiarsi del titolo di Campione della Settima Era di Minuti Contati
.
Wladimiro Borchi prende un fatto di cronaca e lo trasforma in leggenda metropolitana, in un cerchio soprannaturale
come l’eco di una ninna nanna.
Giuria Premio Streghe, Vampiri & Co. 2019.
Wladimiro Borchi prende un fatto di cronaca e lo trasforma in leggenda metropolitana, in un cerchio soprannaturale come l’eco di una ninna nanna.
Giuria Premio Streghe, Vampiri & Co. 2019
«Say your prayers little one
Don’t forget, my son
To include everyone
Tuck you in, warm within
Keep you free from sin
‘Till the sandman he comes
Sleep with one eye open
Gripping your pillow tight»(1)
(«Enter Sandman», Metallica, 29.7.1991)
(1) Dì le tue preghiere, piccolo, non dimenticare, figliolo, di includere tutti. Ti rimbocco le coperte, così starai al caldo e non peccherai, fino all’arrivo dell’uomo del sonno. Dormi tenendo aperto un occhio. Stringi forte il tuo cuscino.
1.
Tanto tempo fa...
Il vento freddo si infilava sotto il vestitino corto.
La ragazza si strinse nel giubbino di pelle, piegandosi sulle gambe nell’attesa. Forse era tutto finito. Di lì a poco lui sarebbe tornato, l’avrebbe insultata ancora e poi l’avrebbe riportata a casa. Bastava solo aspettare.
La sagoma del ragazzo si dissolveva tra gli alberi nel rumore della sua pisciata.
Il suono della zip le fece capire che aveva finito. Ancora qualche minuto e sarebbe tornata al caldo, nel suo letto.
Bastava poco e finalmente avrebbe potuto piangere.
Il buio si consumò lentamente attorno alla figura del ragazzo che tornava visibile un passo alla volta: testa bassa, mani dietro la schiena. Il suo sorriso era una menzogna, i suoi occhi un velo grigio.
Lei ci era andata solo perché riteneva giusto esserci. Credeva di essere più forte. Ora voleva che tutto finisse, voleva rimanere da sola per cicatrizzarsi l’anima.
Che diavolo sta canticchiando?
La voce di lui, bassa e roca, la raggiunse insieme allo sguardo di scherno, mentre le labbra erano atteggiate in un ghigno.
«C’è un omino piccino piccino
che va in giro soltanto la sera
e cammina pianino pianino
con in mano una lampada nera.
È l’omino inventor del dormire
che nel lungo e oscuro cammino
senza farsi veder né sentire
porta il sonno per ogni bambino…
Vide il coltello quando lui era a meno di un passo.
Alzò le braccia d’istinto per difendersi e il primo fendente la colpì sul polso. Gridò per lo stupore e la paura, quando il sangue le schizzò sul viso.
Lo colpì con un calcio.
Corse in mezzo al buio, ma la lama le raggiunse la schiena.
La corsa finì tra le radici di un pino. Con il terriccio profumato di muschio tra le labbra.
Perché mi stai facendo questo?
Ancora una volta la lama le attraversò le costole, mentre quel sapore ferroso, che le gorgogliava in bocca, andava a coprire quello del fango.
Non sentiva neanche più male, voleva solo piangere e dormire.
Finalmente arrivò il buio, pochi istanti dopo il freddo.…
Fa la nanna mia bambina
ninna nanna, ninna nanna
Fa la nanna mia bambina
ninna nanna, ninna nanna.»
2.
Salita
Non sono una scimmia!
Aisha si era svegliata dall’incubo tremante, madida di sudore, i capelli appiccicati al volto.
La voce di Samir sembrava provenire da un barattolo di ovatta depositato in fondo al mare: «Alzati, sorellina! Fai tardi a scuola. Io scappo al lavoro. Ti ho lasciato il latte e i biscotti sul tavolo della cucina.»
Si voltò verso la sveglia. Erano le otto passate: o non aveva suonato o l’aveva spenta lei senza rendersene conto.
Brava Aisha! Nemmeno stessi facendo sogni belli!
Si costrinse ad alzarsi, con i nervi a fior di pelle, accompagnata dal rumore della porta di casa che si richiudeva dietro a suo fratello. Era arrabbiata. Lo era sempre quando veniva svegliata da quel sogno terribile: quel ricordo che ancora le bruciava nella testa e in fondo alla pancia.
Non aveva nemmeno la forza per accendere la luce.
Cercò le ciabatte coi piedi scalzi.
Quattro passi verso nord, cinque verso est e avrebbe toccato la porta.
Cercò conforto nella prospettiva della giornata.
Niente scuola, oggi! E sarà bene che Samir non lo venga a sapere...
Aveva in programma una gita con Deborah e un gruppo di sfigatelle di classe: Luna (la saputella, la cocchina delle prof!), quella cicciona disabile di Sabrina (chissà perché avevano deciso di tirarsi dietro quel peso morto!), Cora e Cristina. Le ultime due erano quasi tollerabili – quantomeno non blateravano di stupidaggini tutto il tempo – anche se non sapevano proprio come ci si vestiva. Messe com’erano le avrebbe friendzonate anche il più ebete dei maschi.
Aprì la porta e strizzò gli occhi, investiti dalla lama di luce proveniente dalla finestra del corridoio. Doveva reagire: aveva meno di un’ora per farsi una doccia, vestirsi carina e arrivare alla chiesa.
Non sono una scimmia!
No, non lo era. Non lo sarebbe mai più stata per nessuno. Aveva imparato da tempo come fare, fin da quando avevano iniziato a spuntarle le tette: abiti fighi, capelli sempre a posto e giusto un filo di trucco.
Versò il latte nel lavello, aprì l’acqua e attese che la vasca tornasse pulita. Sparecchiò la tavola e si diresse verso il bagno.
***
«Sabrina non verrà!»
Deborah era appoggiata a una delle colonnette in cemento che intervallavano il corrimano sul fiume, senza smettere di tormentarsi il caschetto nero e lucido.
«Te lo ha detto lei?» Luna le stava dinanzi e le fissava le ciocche lisce con un misto di ammirazione e invidia; senza nemmeno accorgersene, si sfiorò la lunga treccia castana, che d’un tratto le parve del tutto inadeguata alla sua età; per fortuna si era ricordata di mettere lo zaino su una spalla sola, come le ragazze grandi.
L’amica sbuffò teatrale: «Ma non capisci mai niente alla prima? Sono io che dico che non verrà. Figurati se la madre la lascia uscire di casa senza farle il terzo grado. Anzi, sono sicura che le ha spifferato tutto e adesso arriva assieme a mammina e ci fa tornare tutte a casa. Sei stata una scema a dirle di venire!»
Non è vero, Sabrina non è una spiona! Ma si limitò ad abbassare la testa, fissando la punta degli scarponi da trekking che aveva preso di nascosto dall’armadio, dopo che la mamma era uscita per andare al lavoro.
Le cose tra lei e Deb erano cambiate da tempo. Quando erano piccole erano proprio come Harry Potter e Ron Weasley: non c’era passo che Luna facesse, senza che la sua migliore amica infilasse i piedi in quelle stesse orme. Da piccole avevano passato lunghe estati a costruire castelli di sabbia e a dare la caccia ai pesci col retino. Un po’ più grandi, avevano letto assieme tutta la saga del maghetto e si erano scambiate inconfessabili segreti sui propri personaggi preferiti. Avevano anche macchiato una discreta parte del pavimento di casa di mamma, mescolando sostanze chimiche, mentre giocavano a fabbricare pozioni. Poi, qualcosa era cominciato a cambiare. D’un tratto la sua compagna di avventure aveva iniziato a snobbarla, a ritenerla sempre inadeguata. Abitini e acconciature avevano preso il posto dei giochi di fantasia e friendzonare
i ragazzi era diventata la sua unica missione.
Il colpo di grazia era arrivato tramite Tellonym
, un’applicazione del telefonino con cui era possibile fare domande ai propri contatti in anonimato. Luna aveva mandato un tell
a Deborah: «Scrivi il nome della tua migliore amica.» La risposta «Aisha» non era esattamente quella che si aspettava.
La pausa penitenziale durò solo qualche secondo, finché la voce di Deb la costrinse ad alzare la testa, riportandola al presente.
«C’è Cristina.»
Jeans sdruciti, maglietta nera di una qualche band metal che Luna non conosceva, l’amica proveniva ballonzolando dal marciapiede opposto, cuffie infilate nelle orecchie e lunghi capelli castani che le oscillavano sciolti davanti al viso, come tergicristalli in un giorno di pioggia.
Le ragazzine abbozzarono un rapido saluto con la mano al suo indirizzo, mentre la nuova arrivata attraversava la strada.
«Che ascolti?» chiese Luna curiosa.
«Garage Days Re-Revisited, Metallica... roba forte.» Cristina prese a cantare a squarciagola, interpretando alla perfezione l’atteggiamento di una grande rockstar:
«Well I got something to say
I raped your mother today(2).»
Deborah scosse la testa: «È roba schifosa e da sfigati! Spegni quell’affare e andiamo!»
Ma dobbiamo aspettare Sabrina! Ciononostante, Luna non ebbe il coraggio di aprire bocca. Si era fatta accettare da poco nel gruppo di amiche e non aveva nessuna voglia di mettersi subito in conflitto con quella che tutte riconoscevano come capobranco.
Per fortuna Cristina non aveva la minima voglia di farsi mettere i piedi in testa e, fingendo di avere una chitarra in mano e agitando la testa, si mise a cantare il ritornello della sua canzone proprio nelle orecchie di Deborah.
«Sweet lovely death, I am waiting for your breath. Come sweet death, one last caress…(3)»
Deborah, da comandante esperto, prese bene il gesto di insubordinazione e allontanò la testa dell’amica con una risata: «E smettila, cretina!»
Cristina tolse le cuffie dalle orecchie, saturando l’aria del ronzio della musica con cui, fino a un secondo prima, si stava fracassando i neuroni.
«La senti a volume così alto? Lo sai che fa male. Potresti diventare sorda. La prof dice che se ti esponi continuamente a rumori forti può venirti l’ipoacusia. Ti ritrovi con l’apparecchio a trent’anni.»
Le era proprio sfuggito, e si morse la lingua: possibile che non riesca mai a stare zitta? Se continuo a fare la maestrina mi odieranno! Ma Luna non aveva saputo resistere: era uno dei motivi per cui aveva fatto tanta fatica a farsi accettare. Si era ripromessa di starci attenta e invece ci era ricascata. Si preparò a essere ricoperta di insulti.
«A parte che, quando sarò una vecchia di trent’anni non me ne fregherà un cazzo di avere l’apparecchio acustico... e poi chi ci arriva, a trent’anni?» rise sguaiata Cristina, fissando complice Deborah.
Questa non mancò di rincarare la dose: «Oddio come sei, Luna! Non tutto quello che dicono la mamma o la prof è oro colato. Ogni tanto puoi anche avere delle idee tue, sai? Che palle!» E afferrò lo zainetto da terra in un gesto così fluido che Luna non poté fare a meno di ammirarla.
Cristina intanto si stava accendendo una Camel; sentendo gli sguardi delle amiche su di sé, alzò la testa e se ne uscì con un provocatorio: «Ne volete una?»
Luna evitò accuratamente di riportare all’amica l’elenco delle malattie e dei gravi danni che il fumo poteva provocare, soprattutto quando si iniziava a tredici anni. Per quel giorno aveva già fatto il pieno di insulti.
Deborah invece guardò l’amica con disgusto: «No, grazie. Non voglio che mi puzzi il fiato di posacenere.» Sbuffò, soffiandosi via i capelli dal volto, e ripeté: «Andiamo?»
Cristina annuì, esalando una densa coltre di fumo dalla bocca.
«Dobbiamo aspettare Sabrina!» ricordò Luna, trovando il coraggio nella disperazione.
«Che palle!» se ne uscì Cristina, mentre Deborah cominciava ad alterarsi.
«Come ti ho già detto» il tono stridulo cozzava con l’atteggiamento da donna vissuta «quella ora arriva con mammina e manda a puttane tutta la missione. E poi l’appuntamento era alle nove e sono passate da un pezzo. Chissà quando ci ricapita una mattinata per andare alla croce, i prof mica scioperano tutti i giorni!»
Deborah sta andando su tutte le furie. Se mi metto contro di lei sono di nuovo fuori dal gruppo.
Ci doveva comunque provare: «Sono le nove e un quarto. Diamole almeno altri dieci minuti. Eccheccazzo!» La parolaccia era un tentativo: forse così l’avrebbero ascoltata.
Due secondi di silenzio gelido.
Poi, dopo aver inarcato pericolosamente il sopracciglio destro, Deborah sorrise: «Oh, finalmente tiri fuori un po’ di carattere. Ora sì che mi piaci! Va bene, aspettiamo ancora dieci minuti; ma se la tua amichetta non arriva ce ne andiamo, ok?»
«Ok!» sorrise Luna, sollevata. Lasciò cadere lo zaino dalla spalla e si chinò per aprirlo: «Voi che avete portato?» Il cambio di argomento era stato così repentino da lasciare le amiche spiazzate. «Io cracker, biscotti al cioccolato, biscotti al burro e due bottiglie di acqua.»
Deborah sbuffò con aria di superiorità: «Io non ho portato niente. Mia madre non compra biscotti o altro,