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Il nuraghe Santu Antine decodificato: Un computatore del cosmo?
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Un calendario di pietra, ecco cosa poteva essere il nuraghe Santu Antine. L’imponente, impressionante, austera costruzione nasconde un elementare calcolatore delle fasi lunari e solari, un sistema per tracciare gli spostamenti della Luna, del Sole, dei pianeti nel cielo. Tramite un meccanismo semplice, ma ingegnoso, si potevano coordinare le attività agrarie, festive e rituali. Progettato come una serie di strumenti a incastro, Santu Antine era un monumento dove l’ingegnosità superava il design.
Osservando i principali fenomeni del cosmo, si conteggiava il passare del tempo, l’alternarsi delle stagioni e, forse, si potevano persino prevedere le eclissi.
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Anteprima del libro
Il nuraghe Santu Antine decodificato - Massimo Rassu
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«Il popolo che non conosce il proprio passato non ha futuro.»
(Michail Vasil’evič Lomonosov, 1769)
Massimo Rassu
Il nuraghe Santu Antine decodificato
Un computatore del cosmo?
norIndice
Introduzione
I – Un grande e articolato nuraghe
II – Ipotesi sull’osservazione dei fenomeni del cielo
III – Ipotesi di calendario agrario nuragico
IV – Ipotesi del calcolatore dell’Età del Bronzo
V – Ipotesi dell’osservazione dei pianeti
VI – Ipotesi del calcolatore delle eclissi lunari
Bibliografia
Riferimenti delle tavole
L'Autore
Sa colletzione Thesis
Colophon
INTRODUZIONE
Il nuraghe Santu Antine, uno dei gioielli dell’architettura protosarda, è unico. In tutto il mondo non c’è niente come la poderosa rovina che sorge in mezzo a una fertile piana del nord Sardegna.
Ogni visitatore si chiede quale potesse essere stato il suo scopo.
Cos’era? A quale obiettivo serviva questo monumento? Era una fortezza imprendibile? O una città dei morti? Un luogo di orribili sacrifici? La reggia di un sovrano? Una cattedrale pagana? Un santuario in mezzo a una terra benedetta?
Santu Antine era così antico che la sua vera storia è stata probabilmente dimenticata dai tempi classici. Gli scrittori greci e romani non lo menzionano affatto. Quando gli invasori romani arrivarono in Sardegna, gli prestarono poca riverenza: dopotutto, Roma aveva i suoi templi e l’Egitto le sue piramidi, forse in condizioni migliori di questo mucchio di blocchi di pietra.
Come mostrerà questo studio, c’è una ricchezza di saperi, di conoscenze, nel posizionamento delle pietre, nelle successive planimetrie della struttura e nella scelta del sito stesso. C’è molto da leggere nel Santu Antine senza invocare parole antiche o moderne.
Se si riesce a individuare un allineamento, una relazione generale o un uso per le varie parti del Santu Antine, forse era probabilmente noto anche ai suoi costruttori.
Il monumento potrebbe costituire un’ingegnosa macchina di calcolo, in grado di prevedere le fasi del Sole e della Luna, di studiare i moti dei cinque pianeti visibili a occhio nudo, da Mercurio a Saturno, ma anche di predire, e con largo anticipo, le eclissi di Luna e forse anche quelle del Sole.
Impostando adeguatamente il sistema di previsione, il nuraghe diventa un computer analogico benché elementare e semplificato che, con facili passaggi matematici, consente di pronosticare i moti dei corpi celesti.
Col dubbio, irrisolto, se sia mai stato utilizzato per lo stesso scopo dagli antichi Sardi durante l’Età del Bronzo. Non lo si può affermare con certezza scientifica.
Venne sicuramente profuso tanto ingegno per costruire il nuraghe, quanto quello per le cattedrali gotiche che circa 2.500 anni dopo assorbirono le abilità, le fatiche e l’amore di generazioni di uomini medievali. Le cattedrali erano templi di culto, aule scolastiche (il loro simbolismo rendeva chiare tutte le grandi lezioni della storia e della moralità), luoghi di incontro, memoriali della fede, della speranza e dell’orgoglio.
Santu Antine potrebbe essere stato tutte queste cose e altro ancora.
I blocchi di basalto sono muti, ma forse un giorno, per una scoperta casuale, verranno svelati i loro segreti.
1. Un grande e articolato nuraghe
La pianta del complesso ha una forma a triangolo equilatero, che registra sugli angoli tre corpi fabbrica laterali, distanziati tra loro di circa 42 metri, e che racchiude al centro un corpo troncoconico svettante sull’insieme. La muratura è costituita da filari irregolari di blocchi di basalto recuperati nella zona, e trattati con varie lavorazioni, da appena sbozzati a conci ben sagomati.
Dall’ingresso principale della struttura triangolare, aperto sul piano di campagna nel lato sud est del complesso, si arriva a un cortile centrale di disimpegno. Il suo corridoio d’accesso, esaltato da un grande architrave con sovraluce, presenta sulla sinistra un piccolo vano, una sorta di ampia nicchia finestrata da tre basse aperture quadrangolari. La corte interna ha forma oblunga trapezoidale (circa metri 19 × 7), su cui si aprono gli ingressi ai tre corpi di fabbrica, uno centrale e due frontali, ovest ed est, ai corridoi ausiliari del piano terra e alle scale verso i piani superiori. A fianco all’ingresso del corpo centrale si apre uno dei tre pozzi d’acqua del complesso.
Il corpo centrale è una struttura troncoconica, con diametro alla base di 15,50 metri e altezza residua di 17,75. L’ingresso conduce alla camera interna – circolare con diametro di 5,25 metri e coperta da una cupola ogivale alta quasi 8 metri – alla quale si arriva tramite un corridoio dove si aprono, a sinistra, la scala per i piani superiori, e, dall’altra, un condotto che gira ad anello intorno alla cella con la quale è collegato da tre ampie aperture architravate. Il corridoio, ricavato nello spessore del muro, è dotato nella parete verso l’esterno di nove aperture verticali, poste a distanza irregolare, e contiene l’imboccatura di un secondo pozzo idrico. La scala sale, con andamento elicoidale in senso orario, ai piani superiori e al terrazzo, chiudendo un giro completo di quasi 360 gradi di sviluppo, alternando i gradini con tratti a rampa. Essa presenta sezione ogivale, con larghezza di 1,30 metri, ma il doppio in altezza, e viene aerata da piccole aperture verso l’esterno.
Si arriva alla camera del primo piano, illuminata da una finestra rettangolare, aperta anch’essa verso sud est: la camera, ancora circolare, è più piccola di quella al piano terra, con diametro di quasi 5 metri e cupola alta 5,33. Inoltre, presenta una sorta di bancone lungo il bordo, mentre ai lati si aprono solo due nicchie, questa volta sopraelevate, e di cui una avente un’apertura verticale.
La scala prosegue verso una camera del presunto secondo piano, circolare di oltre 4 metri e di cui sopravvive il filare di base, per un’altezza residua di un metro e mezzo, da far pensare fosse, in realtà, quanto rimane dell’ultimo livello, il terrazzo. Secondo altri studiosi, invece, sarebbe la parte superstite di una seconda cupola, a sua volta coperta da un ulteriore piano a terrazza, ora non più esistente.
L’intera torre centrale non ha alcun collegamento col resto del nuraghe – a parte l’ingresso al piano terra dalla corte interna – ma venne progettata come struttura autonoma, in un periodo temporale anteriore: la differenza d’impianto è evidenziata anche dalle otto finestrine aperte nel corridoio anulare verso l’esterno, poi tamponate dall’addossamento del secondo impianto.
Intorno a questa struttura si sviluppa, come detto, la piattaforma triangolare di circa 42 metri di lato (detta bastione
), racchiudente sul fronte anteriore due corpi cupolati e il cortile intermedio, e sul retro, verso nord, una terza cupola posta in asse con l’ingresso e il corpo centrale.
Tavola 1
I corpi fabbrica secondari ovest ed est hanno più o meno al centro una camera circolare – con diametri sui 5,40-5,70 metri – coperta a cupola, ora parzialmente scapitozzata (altezza residua sui 6 metri). Dotati di numerose aperture verticali – a sud ovest 6 feritoie
e a sud est solo 5 – i due vani si collegano entrambi, da una parte al cortile con corti passaggi, e, dall’altra, con altrettanti due lunghi e monumentali corridoi (circa 23 metri per 2 di larghezza). Tali ambulacri coperti – a sezione ogivale (altezza 4 metri), paralleli alle facciate esterne e aerati da numerose piccole aperture, dieci ciascuno – conducono entrambi al corpo troncoconico nord, situato nella parte posteriore. Corti passaggi intermedi, inoltre, collegano i corridoi tra loro e col cortile, aggirando i vani circolari.
Il corpo posteriore, di dimensioni simili agli altri due – cella di 5,80 metri di diametro con cupola scapitozzata di 7,55 metri residui –, è l’unico con ingresso autonomo, indipendente dal resto della struttura. Al centro della pavimentazione della camera si apre un altro dei tre pozzi idrici del nuraghe. Il passaggio al corridoio orientale è condizionato dalle dimensioni della porta, che lascia un valico alto poco più di un metro (esattamente 1,30 metri) all’intradosso del suo robusto architrave.
Non avendo collegamento con la torre troncoconica centrale, l’accesso ai piani superiori della struttura triangolare è possibile solo dalle due scale speculari accessibili dal cortile interno ai lati della stessa torre centrale. Esse conducono a due corridoi simili a quelli del piano terra, in realtà formanti un unico condotto a V
, essendo agevolmente collegati in corrispondenza del corpo cupolato nord. Coperto superiormente da una volta a ogiva in gran parte crollata, questo lungo corridoio del primo piano ha uno sviluppo articolato: oltre ad avere passaggi intermedi, si affaccia sulle tre cupole laterali mediante delle porte finestre, ai lati esterni è dotato di basse e piccole aperture quadrangolari, otto da un lato e nove dall’altro, mentre dalla massa muraria sono ricavate ai due lati interni altrettante piccole celle circolari coperte con cupola.
Le due scale proseguono con una quindicina di gradini fino a un secondo livello, quanto rimane del terrazzo superiore della piattaforma triangolare, molto degradato (altezza residua complessiva di 9 metri dal piano di campagna), a chiusura del piano sottostante, e avvolto intorno al corpo troncoconico centrale¹.
Evoluzione storica
Il monumento si sviluppò tra il Bronzo Medio – a cui va assegnata la costruzione del corpo centrale e della piattaforma triangolare – all’età del Ferro, impianto e successiva fase edilizia del villaggio, attorno e adiacente al nuraghe, con le classiche capanne a pianta circolare. La frequentazione umana continuò anche in epoca storica, con abitazioni a pianta rettangolare di periodo romano, a testimonianza del riutilizzo della struttura. Forse qui andrebbe localizzata la stazione di sosta di Hafa, o Iafa, lungo la strada romana tra Karales (Cagliari) e Tibula (Castelsardo). Infine, il nome Santu Antine testimonia la presenza – verosimilmente in età altomedievale – di una chiesa, forse collegata a un monastero, dedicata alla figura di San Costantino, un culto legato alla chiesa greco ortodossa e ancora vivo in alcune parti dell’isola.
I nuraghi pluricellulari triangolari
Sono vari esempi di edifici simili al Santu Antine, caratterizzati dalla forma triangolare della piattaforma, a profilo sinuoso, con una corte interna compresa tra i due corpi troncoconici di prospetto, la posizione baricentrica del corpo centrale rispetto all’intero sistema triangolare, e, infine, i corridoi di raccordo tra i due corpi troncoconici di facciata con quello posteriore. Analogamente, nel primo piano si sviluppano dei corridoi perimetrali, anch’essi congiunti in prossimità del corpo troncoconico posteriore. I nuraghi Atzara (Paulilatino), Losa (Abbasanta), Ruju (Perfugas), Voes (Nule), Aeddu (Orotelli) ricordano il Santu Antine nella conformazione triangolare della piattaforma, a profilo curvilineo, e per la presenza del cortile nel lato sud est². Tuttavia, in questi mancano i corridoi di raccordo fra i tre corpi angolari. L’edificio maggiormente comparabile col Santu Antine sembra essere il nuraghe Voes (Nule), più modesto nelle dimensioni, tuttavia mai oggetto di indagine archeologica e quindi solo parzialmente conosciuto nelle sue strutture interne³. Alcuni triangolari condividono col Santu Antine l’ingresso autonomo per il corpo nord, come l’Atzara (Paulilatino), dove l’ambiente è accessibile solo da questo ingresso esterno, così come nel Losa (Abbasanta), anch’esso triangolare, ma mancante di
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