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Miscellanea di archeologia, topografia antica e filologia classica 17
Miscellanea di archeologia, topografia antica e filologia classica 17
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E-book668 pagine8 ore

Miscellanea di archeologia, topografia antica e filologia classica 17

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DAIDALOS è una collana di studi scientifici nell’ambito delle scienze dell’antichità. I volumi ospitano gli esiti di indagini condotte su documenti di natura diversa (archeologici, filologici, epigrafici e di storia antica) dispiegati in un ambito cronologico che dalla preistoria giunge fino alla tarda antichità e al medioevo, esteso geograficamente al mondo greco-romano, a quello europeo e al Vicino Oriente.
 
LinguaItaliano
Data di uscita19 feb 2020
ISBN9788878536876
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    Anteprima del libro

    Miscellanea di archeologia, topografia antica e filologia classica 17 - Gian Maria Di Nocera

    nell’Iliade

    EDITORIALE

    Il volume 17 di Daidalos costituisce una raccolta di scritti non associati ad un evento specifico, quali un convegno o un lavoro monografico. Sono state varie, infatti, le occasioni in cui la nostra collana ha ospitato l’esito di queste iniziative. Nel volume 17 si è voluto dar spazio, come è accaduto anche in passato, a studi, alcuni dei quali presentati in forma preliminare ed altri con carattere di maggiore compiutezza, frutto di progetti di ricerca maturati in seno all’Università degli Studi della Tuscia. Progetti per loro natura molto variegati come testimonia il titolo stesso del volume, Miscellanea di archeologia, topografia antica e filologia classica . Alcuni degli autori sono giovani e promettenti ricercatori, cui Daidalos, come politica editoriale, ha spesso dato spazio, permettendo loro di confrontarsi con sintesi scientifiche nate da progetti di qualità. In altri casi si tratta di studiosi consolidati provenienti dall’università, dal CNR e dal MIBACT.

    Sono 16 i contributi pubblicati: 4 articoli hanno come tema ricerche di archeologia preistorica, 3 ruotano intorno all’etruscologia, 5 sono di carattere topografico, infine 4 contributi riguardano studi filologici.

    La metallurgia preistorica è un argomento trattato da due articoli che approfondiscono soprattutto le origini della lavorazione del metallo nelle regioni del Vicino Oriente e nella penisola Balcanica. Gli articoli mettono in rilievo il ruolo sociale avuto dal metallo nelle società preclassiche. Poco sviluppate in Italia, ma certamente di grande interesse sono le indagini sulla nascita della musica e degli strumenti musicali dal Paleolitico all’età del Bronzo in Europa, frutto di un progetto europeo in cui l’Ateneo di Viterbo è stato partner attivo. Infine il Lago di Mezzano, presso Valentano (VT), con il suo insediamento dell’età del Bronzo, costruito con una fitta rete di strutture lignee ed attualmente sott’acqua, costituisce un riferimento importante per l’Italia centrale in relazione all’archeologia delle aree umide.

    La necropoli di Casale Galeotti presso Tuscania e lo studio di materiali archeologici provenienti dal Museo Nazionale di Tarquinia e da quello di Cerveteri costituiscono il contenuto dei contributi di etruscologia.

    Più vari sono i temi trattati in campo topografico, rivolti a contesti di epoca classica e soprattutto medievale. Si spazia dallo studio sulla viabilità, con particolare riferimento alla Via Flaminia in Umbria meridionale tra I millennio a.C. e il IV secolo d.C., allo studio urbanistico della città di Orte nel corso dei secoli. Studi di topografia antica costituiscono il contenuto preliminare delle recenti ricerche condotte presso Castel Campanile, nel comune di Fiumicino (RM), e il suo insediamento, mentre dallo studio della grotta artificiale medievale detta Casa dell’Igumeno a Massafra presso Taranto, emergono aspetti metodologici innovativi. Infine una applicazione sperimentale al centro urbano e suburbano di Ferento mette in relazione la documentazione catastale con le reali emergenze antiche, attraverso la georeferenziazione e digitalizzazione dei dati in ambiente GIS, uno strumento che ha permesso di comprendere il cambiamento nel tempo del paesaggio.

    Il contenuto dell’ultimo gruppo di articoli, che hanno carattere filologico, ruota intorno al personaggio di Elena, con punti di vista differenti attraverso l’analisi di più fonti letterarie e di specifici approfondimenti dei testi.

    Con Daidalos 17 si inaugura la collaborazione editoriale tra la nostra collana e la casa editrice Sette Città. Questa casa editrice ha già proficui rapporti con l’Ateneo della Tuscia. L’editore, che ringraziamo, ha accettato con entusiasmo la pubblicazione e la promozione di Daidalos; l’obiettivo è quello di far conoscere più capillarmente la nostra collana ad istituzioni pubbliche e private, e offrire spazio a singoli studiosi di scienze dell’antichità. Lo scopo ultimo è quello di proporre al lettore una pubblicazione che offra sempre più qualità e novità di contenuti e che, come prodotto editoriale, risponda efficacemente alle esigenze di un pubblico specializzato.

    Gian Maria Di Nocera

    La transizione tra la fine del Bronzo antico e l’inizio del Bronzo medio nell’insediamento sommerso del Lago di Mezzano (Valentano, VT)

    Patrizia Petitti*, Fabio Rossi**

    * Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Roma

    ** Museo della Preistoria della Tuscia e della Rocca Farnese, Valentano

    Abstract

    Lake Mezzano is one of the most quoted archaeological sites in sectorial literature. A pile-dwelling, whose deposit has been eroded away by the water, was identified on the lake bed. The archeological researches have been carried out together with paleo-environmental reconstruction, allowing the site to be placed in its original landscape. Waiting for the full results of the study on the ceramics found, particularly complex due to the large quantity of the samples, in this paper is analyzed the transition period from the Early Bronze Age up to the initial phases of the Middle Bronze Age.

    The study of a small part of the samples allowed to individuate, in the transition from the end of Early Bronze Age up to the beginning of Middle Bronze Age an intermediate period, the so called pre-Grotta Nuova phase.

    Based on the condition of the edition of the materials, it seems to be necessary to note the existence of a particularly interesting network of contacts due to the continuity and breadth of references, with what is known in the Monte Cetona (Siena) area and to a lesser extent with other Tuscan areas and those of southern Italy.

    Keywords: pile-dwelling, Early Bronze Age, Middle Bronze Age, Latera Caldera.

    Il lago di Mezzano è uno dei siti archeologici più citati nella letteratura di settore per l’ampiezza del campione ceramico e l’elevato grado di integrità dei singoli pezzi.

    Alla scoperta e successiva campagna d’indagine nel 1973 [1] è seguito un secondo ciclo di ricerche condotte dalla Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale a partire dal 1983 [²]. Nel 1996 si è svolta l’ultima campagna; negli anni successivi la sospensione dei finanziamenti ha di fatto troncato la ricerca sul campo ma naturalmente lo studio non si è mai interrotto ed ha prodotto diversi lavori in cui archeologia e analisi paleoambientali hanno interagito tra loro, ultimi in ordine di tempo nel 2012 il volume sulla Caldera di Latera, passaggio indispensabile per inquadrare l’insediamento sommerso nel suo più immediato contesto territoriale [³], e nel 2016 un aggiornamento di quei risultati [⁴].

    Attualmente è in corso lo studio per l’edizione completa che comprenderà i risultati del lavoro effettuato sul terreno, lo studio dei materiali e le molteplici analisi svolte nel tempo. Il lavoro di rielaborazione è stato in parte condizionato, o forse sarebbe più giusto dire rallentato, dalla necessità di ridisegnare i materiali editi nel 1982 da C. Franco: operazione faticosa e non ancora del tutto risolta ma obbligata dalla constatazione che la documentazione grafica era insoddisfacente. La revisione della campagna 1973 si è estesa a tutti i materiali raccolti in quell’occasione con conseguente identificazione di reperti mai disegnati ma significativi.

    Date le difficoltà di procedere velocemente alla conclusione del lavoro è sembrato utile proporre un’anticipazione sullo studio della ceramica: in questa sede si presentano alcuni risultati preliminari raggiunti relativamente allo studio del periodo di passaggio dal Bronzo antico al Bronzo medio che nel sito di Mezzano ricade, secondo le analisi paleoambientali (cfr infra), nel periodo in cui più forte appare l’impatto della comunità umana.

    È noto, perché già comunicato in passato, che nonostante gli sforzi fatti, non è stato possibile inserire i rilievi del 1973 nelle planimetrie redatte nel corso del secondo ciclo di ricerche per mancanza di punti di riferimento riconoscibili con certezza. Quindi quella che qui si presenta è sostanzialmente la planimetria prodotta dalle ricerche 1983-1996 mancante dei dati rilevati nel 2017: infatti la grave crisi idrica di quell’estate ha portato in luce indizi dell’estensione dell’abitato sulla riva nord-orientale del lago e nell’area dell’emissario Olpeta. Dunque, soprattutto la zona nota come M1 si è estesa verso NE confermando la complessità dell’occupazione in questo settore [⁵] (Fig. 1).

    L’obiettivo principale della campagna del 1996 era la realizzazione di un saggio di scavo nell’area di M2, saggio che ha evidenziato, purtroppo, la completa scomparsa del deposito archeologico certamente a causa dei processi erosivi provocati dalle variazioni di livello del lago. La sottrazione della matrice del deposito ha comportato la conseguente dispersione dei materiali contenuti e ha lasciato in posto solo la parte più profonda dei pali infissi nel limo lacustre. Si ipotizza, sulla base dei rilievi e delle osservazioni del fondale eseguiti negli anni, che questa situazione si debba estendere a tutte le aree dell’insediamento.

    Quindi il complesso dei materiali ceramici si presenta al momento piuttosto come una raccolta di superficie e soltanto il completamento dello studio consentirà di stabilire se le zone di accumulo nelle fasce più profonde di fondale presentino qualche grado di omogeneità cronologica e culturale.

    In mancanza di deposito archeologico conservato l’unico riferimento stratigrafico appare la sequenza messa in luce dalle quattro carote prelevate nel 1995 dai fondali del Lago di Mezzano; i risultati delle analisi a carattere multidisciplinare, per le quali si rimanda alla ricchissima bibliografia, ha consentito di ricostruire con sufficiente sicurezza l’ambiente naturale e l’impatto che su esso ha avuto la presenza umana [⁶].

    Nella caldera l’età del Bronzo inizia in un paesaggio di fitto querceto misto, mentre le sponde del Lago di Mezzano sono gremite da un gran numero di ontani. Un ambiente così rigoglioso tende a nascondere la presenza umana ed infatti tra 4100 e 3800 anni BP si può ipotizzare la pratica del pascolo solo grazie alla presenza di Rumex, una pianta erbacea che indica il diradamento del bosco. A 3800 anni BP circa si manifesta un improvviso e forte cambiamento climatico verso condizioni più aride: infatti da questo momento, nei diagrammi pollinici si riconosce una rapida deforestazione a favore di piante erbacee, soprattutto le graminacee che presentano la crescita maggiore, ugualmente importante è la presenza di Rumex. Tale cambiamento si collega alla discesa del livello di Mezzano, già iniziata almeno a 4700 anni BP circa: a 3800 anni BP il livello di riva sfiora la quota 440 m s.l.m., una situazione questa che dà la misura dell’entità della crisi idrica nell’intera caldera. In una situazione di cambiamento climatico, quando i boschi sono già diradati da agenti naturali, la pressione umana può condizionare la copertura vegetale ed apparire con chiarezza nei diagrammi pollinici: è dunque probabile che la deforestazione naturale sia stata intensificata dall’uomo mediante l’apertura di nuovi spazi alle coltivazioni e al pascolo e grazie all’uso della fitomassa come risorsa energetica e materia prima.

    Poco dopo 3800 anni BP prende avvio la fase di massimo impatto umano registrato per l’età del Bronzo nella caldera; questa situazione si mantiene fino a 3500 anni BP, quindi nel periodo corrispondente alla fase finale del Bronzo antico e a quella iniziale del Bronzo medio. Nel 3600 BP, a fronte di un notevole aumento della concentrazione di microcarboni di legna, la foresta, che ha continuato a decrescere, tocca il minimo mentre al contrario le piante coltivate, cereali e leguminose, accompagnate da erbe sinantropiche, cioè le infestanti e ruderali connesse alle attività dell’uomo, raggiungono i valori massimi dell’intera età del Bronzo. L’uso intensivo del territorio è quindi indicato da un complesso di fattori, che insieme documentano una forte pressione umana sull’ambiente.

    Questo sistema di occupazione sembra contrarsi nella fase finale della media età del Bronzo. A circa 3500 anni BP, infatti, si registra un miglioramento climatico verso condizioni più umide, come suggeriscono i cambiamenti dei diagrammi pollinici, che indicano una buona ripresa del bosco; inoltre la crescente presenza di ontano induce ad ipotizzare l’estensione delle rive del lago e dunque la risalita del livello delle acque. Contemporaneamente la presenza umana si attenua come dimostrano la riduzione della concentrazione di microcarboni ed i valori del polline delle piante collegate all’uomo, rispetto alla fase precedente più bassi o del tutto assenti. A questa situazione si associa la riduzione delle attestazioni della fase finale del Bronzo medio in tutta la Caldera.

    Il repertorio ceramico che si presenta in questa sede proviene quasi integralmente dalla zona di occupazione nota come M1-M3, da M2 soltanto tre reperti; sono stati selezionati materiali nuovi sia perché provenienti dal secondo ciclo di ricerche sia, nel caso di materiali del 1973, perché ridisegnati. L’analisi che segue quindi si deve considerare del tutto preliminare e non esaustiva perché non prende in considerazione l’intero campione. Per questo stesso motivo non è possibile proporre valutazioni statistiche, anche se per qualche tipo già emerge una presenza significativa dal punto di vista del numero degli esemplari.

    Proprio per la natura del complesso proveniente dai fondali di Mezzano si è ritenuto di dover evitare riferimenti a raccolte di superficie, privilegiando per l’analisi soprattutto contesti per quanto possibile organici e da scavo.

    1. Scodella troncoconica con labbro a tesa ed ansa impostata sull’orlo (M1-C5 30; Fig. 2, 1);

    cfr: S. Maria di Belverde, strato 3 (Cuda, Sarti 1996: Fig. 2, 4).

    2. Scodella ad orlo distinto da spigolo interno, sulla parete presa contrapposta ad ansa ad orecchio (M1-C6 138; Fig. 2, 2);

    cfr: Riparo delle Felci, US 5, tagli superiori (Cocchi Genick 1998a, tipo 19: 103; Fig. 10, 19); Grotta del Beato Benincasa (Radi 1981: Fig. 18, 1).

    3. Scodella con orlo everso e ansa a gomito con prolungamento asciforme (M1-C5 49; Fig. 2, 3);

    cfr: S. Maria in Belverde, strato 3 (Cuda, Sarti 1996: Fig. 2, 2); Riparo dell’Ambra, strato 9 (Cocchi Genick 1986: Fig. 23, 4); Monte Fellino (Albore Livadie 1999: Fig. 10, 4); Parco dei Monaci (Cipolloni Sampò 1999: Fig. 3, 4).

    4. Scodella troncoconica con gola accentuata, orlo a tesa con spigolo interno smussato (M1A2a; Fig. 2, 4);

    cfr: Buca del Leccio, strato C (Cuda et alii 2001: Fig. 2, 4).

    5. Scodella troncoconica con gola accentuata, orlo a tesa con spigolo interno, ansa a nastro impostata sulla parete (M1-C5 14; Fig. 2, 5);

    cfr: Buca del Leccio, strato C (Cuda et alii 2001: Fig. 2, 4).

    6. Scodella troncoconica ad orlo rientrante con due prese triangolari sulla parte conservata, corrispondente a circa metà del pezzo originale (M2 10-11; Fig. 3, 1);

    cfr: Riparo dell’Ambra, strato 6 (Cocchi Genick 1986: Fig. 39, 11); Dogaia 2 (Balducci et alii 2007: Fig. 3, 8); Buca del Leccio, livello B2 (Cuda et alii 2001: Fig. 3, 1); Riparo del Capriolo, strato 9-9 base/orizzonte superiore (Cuda et alii 2001: Fig. 4, 3); S. Maria in Belverde, strato 2, orizzonte superiore (Cuda, Sarti 1991-1992: Fig. 1, 7).

    7. Scodella troncoconica ad orlo rientrante con tre bugne sull’orlo e ansa a nastro impostata sull’orlo e sotto la carena (M2 39d; Fig. 3, 2);

    cfr: Riparo dell’Ambra, strato 6 (Cocchi Genick 1986: Fig. 39, 11); Dogaia 2 (Balducci et alii 2007: Fig. 3, 8); Buca del Leccio, livello B2 (Cuda et alii 2001: Fig. 3, 1); Riparo del Capriolo, strato 9-9 base/orizzonte superiore (Cuda et alii 2001: Fig. 4, 3); S. Maria in Belverde, strato 2, orizzonte superiore (Cuda, Sarti 1991-1992: Fig. 1, 7).

    8. Scodella a calotta con orlo a tesa (M1-C5 42; Fig. 3, 3);

    cfr: S. Maria di Belverde, strato 2, orizzonte inferiore (Cuda, Sarti 1991-1992: Fig. 1, 14).

    9. Ciotola carenata, diametro all’orlo decisamente maggiore che alla carena, parete rientrante poco incurvata, orlo distinto e svasato, impostata sulla parete un’ansa a gomito decorata da una cuppella sul punto di flessione, decorazione sulla parete costituita da un fascio di quattro sottili solcature parallele irregolari (M1A8; Fig. 3, 4);

    cfr: Buca del Leccio, livello B2 (Cuda et alii 2001: Fig. 3, 5); Riparo del Capriolo, I superficie (Balducci et alii 2007: Fig. 7, 2).

    10. Ciotola carenata, diametro all’orlo decisamente maggiore che alla carena, parete rientrante poco incurvata, orlo distinto e svasato, ansa a nastro compressa impostata sull’orlo e sopra la carena (M1A 12Aa; Fig. 3, 5);

    cfr: Buca del Leccio, livello B2 (Cuda et alii 2001, Fig. 3,5); Riparo del Capriolo, I superficie (Balducci et alii 2007: Fig. 7, 2).

    11. Ciotola carenata, diametro all’orlo decisamente maggiore che alla carena, parete rientrante poco incurvata, orlo distinto e svasato; sulla parete sembra di riconoscere un fascio di tre o quattro solcature (M1-C5 106; Fig. 4, 1);

    cfr: Buca del Leccio, livello B2 (Cuda et alii 2001: Fig. 3, 5); Riparo del Capriolo, I superficie (Balducci et alii 2007: Fig. 7, 2).

    12. Ciotola ad alta carena con diametro all’orlo maggiore che alla carena, ansa a nastro compressa impostata sull’orlo e sopra la carena (M1A 2Aa; Fig. 4, 2);

    cfr: Riparo del Capriolo, strato 10 base/orizzonte inferiore (Cuda et alii 2001: Fig. 6, 9).

    13. Ciotola carenata con breve orlo distinto e svasato, spalla a profilo convesso decorata da un fascio di solcature poco visibili per l’erosione (M1-C5 38; Fig. 4, 3);

    cfr: Prato di Frabulino, camera (Casi et alii 1995: Fig. 8, 3); Luni sul Mignone, trincea 11, strato 3 (Casi et alii 1995: Fig. 9, 5); fondali dell’Isola Martana (Petitti, G.A.M. 2000: Fig. 1, 2).

    14. Ciotola a carena arrotondata, colletto leggermente inclinato all’interno, spalla pressoché dritta, vasca a profilo convesso e piede a tacco; conserva una presa orizzontale con apici rilevati e tre fori (M2 36; Fig. 4, 4);

    cfr: Villaggio delle Macine, scavo 2001, US 6 (Franco 2007: Fig. 57, 4); Cocchi Genick ed. 1995, tipo 322 vb.

    15. Tazza a corpo arrotondato con accenno di alta carena, orlo rientrante con bordo lievemente estroflesso e ansa impostata sulla parete sotto l’accenno di carena (M1 A Nord Boa Nera; Fig. 5, 1);

    cfr: Riparo del Capriolo, superficie II (Balducci et alii 2007: Fig. 6, 3).

    16. Attingitoio a parete convessa e orlo leggermente estroflesso con ansa ora mancante ma in origine probabilmente soprelevata (M1A 22A; Fig. 5, 2);

    cfr: Lastruccia 3, strato 4 (Lo Monaco 2000: Fig. 35, 2); Monte Fellino, (Albore Livadie 1999: Fig. 8, 1).

    17. Attingitoio con carena a spigolo pronunciato, fondo ombelicato, ansa a nastro soprelevata impostata sull’orlo e sopra la carena (M1-C6 129; Fig. 5, 3);

    cfr: Buca del Leccio, strato C (Cuda et alii 2001: Fig. 2, 2); La Starza, trincea V, strato 8 (Trump 1963: Fig. 16, f); Grotta di Polla, saggio VIII, strato 5a (Di Lorenzo et alii 2017: Tav. IB, 14).

    18. Attingitoio con vasca a calotta, fondo ombelicato, lieve gola, orlo svasato e ansa impostata sull’orlo e sulla vasca, ora incompleta ma probabilmente sopraelevata (M1-C6 140; Fig. 5, 4);

    cfr: Riparo del Capriolo, strato 10 base/orizzonte inferiore (Cuda et alii 2001: Fig. 6, 4); Riparo del Capriolo, strato 10/orizzonte intermedio (Cuda et alii 2001: Fig. 5, 2); Prato di Frabulino, camera (Casi et alii 1995, Fig. 8, 1).

    19. Attingitoio, spigolo della carena rialzato, parete concava e continua rispetto all’orlo, diametro massimo alla carena, fondo apicato, ansa impostata sull’orlo e la carena, ora mancante ma probabilmente soprelevata (M1-Palo 282; Fig. 5, 5);

    cfr: La Starza, saggio VI, strato 7, (Trump 1963: Fig. 16, d); La Starza, struttura a contatto diretto con il livello di pomici dell’eruzione vesuviana di Avellino (Albore Livadie 1991-1992: Fig. 1, quarto dall’alto a sinistra); S. Vito dei Normanni, cella (Lo Porto 1964: Tav. I, 3); Vivara-Punta di Mezzogiorno settore B (Damiani et alii 1984: Fig. 3A, 2).

    20. Attingitoio carenato con ansa a nastro sopraelevata, diametro all’orlo appena maggiore che alla carena, parete concava, vasca poco convessa, fondo ombelicato (M1-C6 136; Fig. 6, 1);

    cfr: Paduletto di Coltano (Bagnoli, Betti 1986: Fig. 16, 9); Grotta del Beato Benincasa (Radi 1981: Fig. 21, 10); S. Paolo Belsito, Loc. Montesano (Albore Livadie et alii 2007: Fig. 1, 4); Vivara-Punta di Mezzogiorno settore B (Damiani et alii 1984: Fig. 3A, 1).

    21. Boccale con orlo svasato, profilo della parete convesso, ansa impostata sulla parete sotto l’orlo; motivo decorativo costituito da un cordone plastico liscio disposto a festone fissato da bugna e pendente da un secondo cordone liscio, agli attacchi inferiore e superiore dell’ansa quattro bugne (Mezzano 3; Fig. 6, 2);

    cfr: per la forma Cocchi Genick 1998, tipo 76 v.: 149; Fig. 32. Per la decorazione Riparo dell’Ambra, strato 9 (Cocchi Genick 1986: figs. 24, 1; 25, 2); Riparo delle Felci, US 5, tagli inferiori (Cocchi Genick 1998a, tipo 113B: 175; Fig. 43); Riparo delle Felci, tagli inferiori dell’orizzonte del Bronzo antico (Cocchi Genick 1998b: Fig. 1, 3); Monte Fellino (Albore Livadie 1999: Fig. 9, 1; 9, 2); Sarno-Foce (Marzocchella 1986: 43; Tav. XX, 6).

    22. Boccale ovoide decorato da cordone liscio che si diparte dall’attacco superiore dell’ansa con sopraelevazione ad ascia (M1-C5 25; Fig. 6, 3);

    cfr: Lastruccia 3 strato 4 (Lo Monaco 2000: Fig. 35, 6).

    23. Bacino con breve gola, orlo estroflesso e bordo piatto (M1-C6 132+144; Fig. 6, 4);

    cfr: Riparo dell’Ambra, strato 9 (Cocchi Genick 1986: Fig. 25, 1); S. Pietro Torre d’Elia (Albore Livadie, Marzocchella 1999: Fig. 4, 2).

    24. Olla ovoide con orlo leggermente everso e spigolo interno; sotto l’orlo cordone digitato su cui si inseriscono prese a lingua, attualmente due, probabilmente in origine, prima della frattura, quattro (M1-1 m esterno percorso VIII; Fig. 7, 1);

    cfr: Riparo dell’Ambra, strato 9 (Cocchi Genick 1986: Fig. 25, 3).

    25. Olla globosa con orlo appena svasato; decorazione plastica costituita da cordone liscio sulla spalla e prese a lingua (M1-C5 21; Fig. 7, 2);

    cfr: Lastruccia 3, strato 4 (Lo Monaco 2000: Fig. 34, 3).

    26. Olla che presenta il punto di massima espansione ad un terzo dell’altezza dall’orlo e decorazione plastica (M1A 10Aa; Fig. 7, 3);

    cfr: Riparo del Capriolo, superficie I (Balducci et alii 2007: 66; Fig. 6, 9).

    Il bacino n. 23 può essere avvicinato, soprattutto per l’andamento e la forma dell’orlo, ad un esemplare dallo strato 9 del Riparo dell’Ambra, assegnato ad una fase media del Bronzo antico [⁷] e a un bacino da S. Pietro - Torre d’Elia mancante purtroppo dell’orlo ma pertinente per la presenza di due anse nella stessa posizione e per l’andamento concavo della parete della vasca [⁸]; quest’ultimo sito, purtroppo mal noto per la carenza di documentazione, è forse relativo ad un contesto funerario inquadrabile nella facies di Palma Campania [⁹].

    Dal riparo dell’Ambra provengono altri confronti utili per questa fase. La grande olla ovoide n. 24 è avvicinabile ad un esemplare molto simile dallo strato 9, con cui condivide anche posizione e tipo di decorazione plastica [¹⁰]. Sempre lo strato 9 ha restituito due olle di grandi dimensioni decorate da cordoni plastici disposti a festone fissato da bugna o doppia bugna [¹¹]; la stessa decorazione appare anche su un’olla ovoide dal Riparo delle Felci, US 5 tagli inferiori assegnati alla fase BA1B [¹²]. Si tratta di un tipo di decorazione documentata anche in contesti Palma Campania, a Monte Fellino [¹³] e a Sarno-Foce, saggio 1 [¹⁴]. Dallo strato F, riferibile anch’esso alla facies di Palma Campania, del saggio 3 di Sarno-Foce provengono due date radiometriche: 3660 +45 (2130-1935 cal. a.C.) e 3615 +45 (2025-1835 cal. a.C.) che, essendo ricavate da carboni di legna individuati in due buche, indicano l’abbattimento dell’albero non il momento della messa in opera, anche se si può ipotizzare che questa abbia seguito in tempi ridotti il taglio dell’albero [¹⁵]. Una versione particolarmente elaborata di questa decorazione appare a Mezzano sul boccale n. 21 che richiama i confronti dall’Italia meridionale anche per la presenza sui boccali da Monte Fellino di piccole bugne all’attacco inferiore dell’ansa [¹⁶]. Per la forma il boccale n. 21 sembra assimilabile ad una tazza a profilo sinuoso proveniente anch’essa da Mezzano [¹⁷], assegnata da Cocchi Genick alla fase 2 del Bronzo Antico [¹⁸].

    La scodella n. 3 si può confrontare con un esemplare dallo strato 9 del Riparo dell’Ambra, descritto come senza ansa e con un profilo più arrotondato [¹⁹], e con una scodella dallo strato 3 di S. Maria in Belverde [²⁰], purtroppo molto frammentaria. Da contesti meridionali provengono due confronti: una versione carenata e con un diverso tipo di ansa da Monte Fellino [²¹] e da Parco dei Monaci un frammento molto simile, la cui attribuzione al complesso dei bronzi, assegnati ad una fase avanzata del Bronzo antico, è stata proposta da M. Cipolloni [²²].

    Nell’insediamento sommerso la seconda fase del BA è documentata dalla scodella troncoconica n. 1 confrontabile con materiale dallo strato 3 di S. Maria di Belverde [²³]. Al BA2 è riconducibile anche l’esemplare di scodella troncoconica n. 2 avvicinabile ad un esemplare dalla Grotta del Beato Benincasa [²⁴], che Cocchi Genick colloca nello stesso tipo insieme ad una scodella inedita proveniente dai tagli superiori della US 5 del Riparo delle Felci [²⁵]: l’unico esemplare pubblicato, quello del Beato Benincasa, si distingue dalla scodella di Mezzano per il fondo indifferenziato rispetto alla parete e per la presenza di una presa anche sull’orlo. Dai tagli superiori della US 5 del Riparo delle Felci proviene una datazione radiometrica (Rome-743) che ha restituito la data 3505 +60 BP, cal. B.C. 1980-1680, 2σ; purtroppo l’intervallo di calibrazione rende la data di difficile utilizzazione [²⁶].

    La fase finale del BA è documentata da tipi diversi. Il grande boccale n. 22 si confronta con un esemplare analogo, purtroppo molto frammentario e quindi non del tutto soddisfacente, da Lastruccia 3 strato 4 [²⁷]. L’olla globosa n. 25 sembra trovare un confronto nello stesso strato 4: il vaso, molto frammentario, si caratterizza per lo stesso andamento della spalla e dell’orlo, ripiegato all’esterno [²⁸]. Infine l’attingitoio n. 16 può essere avvicinato per il profilo ad una scodella decisamente più grande dallo strato 4 di Lastruccia 3, che presenta un’ansa ad anello [²⁹]; migliore per la presenza di un’ansa soprelevata impostata sull’orlo e sulla parete è il confronto con un esemplare da Monte Fellino, con profilo della parete più arrotondato [³⁰].

    L’attingitoio n. 19 si presenta al momento come un unicum, mancando di confronti puntuali. Il sito de La Starza ha restituito diversi attingitoi con fondo apicato, in generale con vasca a profilo dritto, carena a spigolo vivo e breve parete concava [³¹]. In particolare dagli ultimi scavi svolti a La Starza si segnala un esemplare che si differenzia dagli altri per l’apice del fondo nettamente distinto [³²], come nell’attingitoio di Mezzano. L’esemplare campano proviene dalla struttura a contatto con il livello di pomici vulcaniche dell’eruzione c.d. delle Pomici di Avellino, datata ai decenni intorno al 1900 (1935-1880 cal. a. C 1σ) [³³]; è un contesto assegnabile ad un aspetto iniziale del protoappenninico che conserva molti elementi che rimandano alla facies di Palma Campania. Per quanto attiene al profilo della parte superiore dell’attingitoio, caratterizzato dallo spigolo della carena rialzato, la parete decisamente concava e continua rispetto all’orlo, che presenta diametro inferiore rispetto alla carena, il confronto migliore sembra al momento una ciotola carenata dalla cella della tomba di S. Vito dei Normanni [³⁴], tipo assegnato, nell’ambito della datazione al protoappenninico dell’intero complesso, alla fase I [³⁵]. Meno preciso è il raffronto con un frammento da Vivara-Punta di Mezzogiorno settore B [³⁶] perché l’andamento della vasca in prossimità della carena appare più teso che nell’esemplare di Mezzano. La seconda fase di Punta di Mezzogiorno, cui compete l’area B e la seconda fase dell’area A, evidenzia la scomparsa dei tratti più tipici di Palma Campania e la prevalenza di elementi Protoappenninici [³⁷].

    Anche per l’attingitoio n. 20 mancano riferimenti puntuali. Confronti possibili sono stati individuati a Paduletto di Coltano [³⁸] e nella Grotta del Beato Benincasa [³⁹]; entrambi gli esemplari sono frammentari e con l’ansa impostata in modo leggermente diverso; quanto alla datazione sono stati assegnati su base tipo-cronologica all’aspetto Grotta Nuova.

    Un confronto avvicinabile proviene da S. Paolo Belsito, dallo scavo dell’area ai margini orientali della necropoli del Bronzo antico indagata nel 2000. Il contesto che qui interessa, compreso tra il livello delle Pomici di Avellino ed un’ulteriore strato di prodotti vulcanici pertinenti ad un’eruzione assimilata a quella del Somma nota come protostorica AP1, è stato attribuito ad una fase avanzata del protoappenninico 1 [⁴⁰] e datato 3513 +20 (1890-1770 cal. a. C 1σ) [⁴¹]. La tazza carenata, di cui alla Fig. 1, 4, si distingue per l’impostazione dell’ansa, la vasca più arrotondata, e in generale perché poco più stretta e fonda dell’esemplare da Mezzano con il quale condivide il diametro all’orlo di poco maggiore che alla carena.

    Infine si ricorda un frammento da Vivara-Punta di Mezzogiorno settore B [⁴²] che si distingue per la larghezza poco maggiore alla carena rispetto all’orlo. Come già osservato sopra, la seconda fase di Punta di Mezzogiorno documenta, insieme alla scomparsa dei tratti più tipici di Palma Campania, la prevalenza di elementi protoappenninici [⁴³].

    Nello strato C della Buca del Leccio, attribuito ad una fase di passaggio dal Bronzo antico al Bronzo medio iniziale, si possono individuare altri confronti utili. Ad una grande scodella troncoconica con gola accentuata sotto l’orlo a tesa [⁴⁴] sono raffrontabili due esemplari da M1 che presentano una gola meno evidenziata: il n. 4 è quasi delle stesse dimensioni del confronto toscano mentre la scodella n. 5 risulta di dimensioni minori.

    Ancora nello strato C della Buca del Leccio è possibile isolare per l’attingitoio carenato n. 17 un riferimento, che si distingue per la decorazione costituita da due solcature sopra la carena [⁴⁵]. Da scavi in ambiti geografici diversi provengono altri elementi: a La Starza [⁴⁶] è noto un frammento inserito tra i tipi caratteristici della fase 1 del protoappenninico da Damiani et alii 1984 [⁴⁷]. Un frammento assimilabile all’attingitoio di Mezzano, da cui si distingue per la maggiore profondità, è stato individuato nella Grotta di Polla, saggio VIII, strato 5a [⁴⁸]; lo strato 5 di Polla, considerato un contesto omogeneo della fase 1 del protoappenninico, ha restituito due datazioni radiometriche che collocano il deposito nell’ambito del XVIII sec. a. C. [⁴⁹]. Naturalmente si tratta di elementi tutti incompleti che non restituiscono la globalità della forma caratterizzata nel caso di Mezzano da un’alta ansa a nastro e dal fondo ombelicato. Il profilo dell’attingitoio n. 17 non è isolato a Mezzano: si ritrova infatti in una classe completamente diversa, sulla ciotola M1-2 [⁵⁰] con la quale condivide lo spigolo evidenziato della carena che sottolinea l’andamento dritto e appena inclinato all’esterno della parete e l’orlo decisamente svasato.

    La ciotola n. 12 trova un buon confronto nel livello 10 base/IV superficie del Riparo del Capriolo [⁵¹] che Balducci et alii 2007 associano ai livelli B3 e B2 della Buca del Leccio e allo strato 2 di S. Maria in Belverde III e II superficie nella definizione della prima fase del Bronzo medio iniziale.

    Sempre nel livello 10 base/IV superficie del Riparo del Capriolo [⁵²] appare una forma parallelizzabile all’attingitoio n. 18, presente anche tra i materiali del 1973 [⁵³]: l’esemplare del livello 10 base/IV superficie (Fig. 6, 4) presenta la parete della vasca tesa ed è un confronto meno buono di quello che appare nel successivo strato 10/orizzonte intermedio (Fig. 5, 2); purtroppo entrambi gli elementi dal Riparo del Capriolo sono frammenti privi di fondo e dell’eventuale ansa. Più completo è il confronto proveniente dalla camera della tomba di Prato di Frabulino [⁵⁴], che si differenza per la parete più tesa e la carena pronunciata, purtroppo si tratta di una tomba con più deposizioni saccheggiata dagli scavatori di frodo, elementi questi che non hanno consentito di andare oltre una generica assegnazione alle fasi Bronzo medio 1-2 [⁵⁵]. Tale condizione non è stata modificata neppure dall’analisi radiometrica dell’individuo B (OZC 177) che ha restituito la data 3295 +39, cal. B.C. 1684-1495, 2σ, con il 95,4% di probabilità [⁵⁶].

    Le scodelle ad orlo rientrante costituiscono un elemento di lunga durata: a Mezzano presentano un modellato meno rigido e spigoloso di quanto non accada nei siti toscani. Dallo strato 6 del riparo dell’Ambra, datato al BM iniziale [⁵⁷], proviene un confronto per la scodella n. 6, che nel gruppo di materiali assegnabili a questo tipo è quella che presenta l’orlo più angolato; un riferimento per questa scodella si individua anche a Dogaia 2 [⁵⁸], un contesto assegnabile ad una prima fase del Bronzo medio iniziale [⁵⁹], e poi nel livello B2 della Buca del Leccio [⁶⁰] e ancora nello strato 9-9 base/orizzonte superiore del Riparo del Capriolo [⁶¹], infine un esemplare decorato dallo strato 2 orizzonte superiore di S. Maria in Belverde [⁶²]. Una situazione analoga riguarda la scodella dello stesso tipo n. 7, che presenta l’orlo rientrante anche meno spigoloso del n. 6.

    La scodella n. 8 è confrontabile con un esemplare dallo strato 2 orizzonte inferiore di S. Maria di Belverde, a suo tempo interpretato dubitativamente come il frammento di un sostegno [⁶³].

    La tazza n. 15 è confrontabile con un frammento decorato e di minori dimensioni [⁶⁴] dalla superficie II del Riparo del Capriolo che, insieme alla superficie III, Balducci et alii 2007 ritengono inquadrabile in una fase ancora successiva del Bronzo medio (BM1B).

    Ad un tipo di ciotola carenata, con diametro all’orlo decisamente maggiore che alla carena e vasca a profilo sia convesso che dritto, sono stati assegnati attualmente tre esemplari: il n. 9 si distingue per l’ansa impostata sulla parete e per la decorazione, una cuppella sull’ansa e, sulla parete, un fascio di solcature parallele alla carena; il n. 11 è un grosso frammento che sembra conservare traccia di un fascio di solcature sulla parete, anch’esse parallele alla carena, si distingue per la vasca a profilo dritto; infine il n. 10 è intero con un’ansa a nastro compressa impostata sull’orlo e la carena. Dal livello B2 della Buca del Leccio [⁶⁵] è confrontabile al tipo un esemplare con la vasca a profilo dritto più simile al n. 11; seppure con la parete meno dritta, sembra raffrontabile anche una ciotola dalla IV superficie del Riparo del Capriolo [⁶⁶]; infine pertinente è anche una ciotola dalla I superficie del Riparo del Capriolo [⁶⁷], superficie che Balducci et alii 2007 considerano come probabilmente assegnabile ad un momento di pieno sviluppo della facies di Grotta Nuova. In genere gli esemplari di Mezzano sembrano profondi rispetto ai confronti toscani; si tratta comunque di un tipo che prosegue dalla fase pre-Grotta Nuova alla fase di Grotta Nuova.

    L’aspetto Grotta Nuova in passato è stato già ampiamente discusso per gli insediamenti sommersi del lago di Mezzano: qui, per chiudere l’arco cronologico preso in considerazione, si fa riferimento soltanto a pochissimi materiali, dato che l’esame di tale facies non rientra negli obiettivi del presente lavoro.

    Ad una famiglia articolata e molto diffusa in area medio tirrenica è pertinente la ciotola carenata n. 13: il confronto migliore è costituito da un esemplare proveniente dalla tomba a camera di Prato di Frabulino, contesto come già detto purtroppo saccheggiato dagli scavatori di frodo [⁶⁸]; qui, venendo per una volta meno alla regola di evitare materiale sporadico, si ricorda anche la ciotola dai fondali dell’Isola Martana [⁶⁹] che, essendo completa, consente di seguire l’andamento dell’orlo, variabile da verticale a lievemente inclinato all’esterno e dunque permette di sfumare le differenze tipologiche tra esemplari con orlo a colletto e esemplari ad orlo distinto e svasato. In letteratura in genere questa famiglia tipologica è attribuita ad un orizzonte iniziale dell’aspetto Grotta Nuova. In questa sede si propone anche una nuova edizione grafica della ciotola n. 14. Dallo scavo del Villaggio delle Macine (campagna 2001, US6) proviene un confronto che si differenzia per la vasca più profonda; questo elemento è stato assegnato alla facies di Farneto-Monte Castellaccio (BM 1-2) [⁷⁰].

    Infine la superficie I del Riparo del Capriolo [⁷¹] restituisce un confronto puntuale per l’olla 26 che presenta il punto di massima espansione ad un terzo dell’altezza dall’orlo e decorazione plastica.

    Il materiale considerato in questa sede costituisce una selezione molto ridotta rispetto al complesso proveniente dagli insediamenti del Lago di Mezzano e dunque i risultati raggiunti dal presente lavoro debbono essere considerati come assolutamente provvisori e parziali. Un altro limite, che però si manterrà nel tempo, è costituito dalla difficoltà, quasi paradossale, di confrontare materiali interi o quasi a frammenti, che conservano solo una parte del complesso delle informazioni registrate dai reperti completi; inoltre questi ultimi alla ricchezza dei dati aggiungono l’evidenza della costante variabilità della morfologia sullo stesso pezzo, i cui singoli aspetti sono cristallizzati nella condizione parziale dei frammenti e, per qualche verso, potrebbero essere fuorvianti.

    Pur all’interno del gruppo ridotto dei materiali considerati è possibile individuare una transizione piuttosto articolata dalla fine del Bronzo antico alla facies di Grotta Nuova.

    Il quadro di riferimento per la scansione cronologica è costituito dai risultati delle indagini svolte in diverse aree della Toscana: qui infatti, grazie alla presenza sia di successioni stratigrafiche che di depositi relativi ad una sola fase, è stato possibile seguire il passaggio dalla fine del Bronzo Antico all’inizio del Bronzo medio, riconoscendo un aspetto pre-Grotta Nuova di cui a più riprese è stato evidenziato il carattere di progressione molto fluida e sfumata pur all’interno di un’articolazione in due fasi, BM1A e BM1B [⁷²]. Naturalmente la finezza di alcune analisi, che si sono sforzate di andare oltre il sistema dei confronti tipologici per definire il profilo della produzione ceramica [⁷³], non è applicabile a Mezzano data la mancanza di complessi risultanti da scavo.

    Le datazioni radiometriche dell’Italia centrale non sembrano sostenere il quadro di dettaglio che risulta dall’indagine sul campo: appaiono invece più utili alcune datazioni da contesti meridionali che sembrano permettere una sincronizzazione con gli sviluppi dell’Italia centrale.

    Nella valutazione degli areali di riferimento deve essere considerato il grado di edizione dei materiali, che certamente costituisce un forte condizionamento. Per quanto riguarda il Bronzo antico sembra di dover rilevare significative relazioni con l’area senese del Cetona, l’area fiorentina e la Toscana settentrionale di Candalla; decisamente minore l’apporto da altre zone, in particolare da siti assegnati alla facies di Palma Campania e ad un protoappenninico iniziale.

    Nella fase pre-Grotta Nuova si evidenzia l’esistenza di una rete di contatti particolarmente interessante per la continuità e l’ampiezza dei riferimenti con quanto noto nell’area del Monte Cetona mentre sembrano quasi esaurirsi gli apporti da altri areali toscani e dall’Italia meridionale. Naturalmente non si esclude che nella considerazione dell’intero complesso la situazione possa cambiare in modo significativo.

    Da ultimo sembra di dover rilevare una conferma ai dati ricavati dai diagrammi pollinici che evidenziano per il periodo tra BA e BM una pressione forte e continua della comunità umana sull’ambiente circostante il lago.

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