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Il sole beffardo
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E-book239 pagine3 ore

Il sole beffardo

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Info su questo ebook

Il sole beffardo di Elena Ungari affronta il difficile tema della perdita e del dolore, vissuti nel loro rendere, purtroppo, la vita di chi li incontra un abisso sempre più profondo e apparentemente senza possibilità di scampo. Sarà la vita, però, negli incontri sorprendenti che sa riservarci, a ricordare come non sempre tutto sia perduto e di come l’opportunità di rinascita si celi anche dietro la coltre più tenebrosa. È, questo, un romanzo di rinascita, di speranza, ma soprattutto di consapevolezza, quella che ognuno può trovare dentro di sé, anche se spesso a costo di sacrifici e sofferenze, che saranno però nulla a confronto del senso di pace che impareremo a scoprire, lentamente ma in tutta la sua potente forza.

Elena Ungari è nata nel 1967 a Manerbio (BS), dove tuttora vive e lavora come traduttrice per l’Università Cattolica di Brescia. Dopo la Laurea in Lingue e Letterature Straniere all’Università Cattolica di Brescia (1991), è diventata docente di Lingua inglese alla Facoltà di Lingue della stessa Università. Nel 2006 ha conseguito il PhD all’Università di Lampeter (Galles). Oltre a pubblicare diversi articoli accademici e un libro sulla letteratura postcoloniale australiana, ha collaborato alle pagine di cronaca, cultura ed economia de “Il Giornale di Brescia” (1992-2006). Dal 2011 al 2020 è stata Presidente dell’associazione culturale LUM (Libera Università di Manerbio). Il suo racconto breve Cara mamma (2019) ha avuto una menzione particolare a un concorso indetto dalla Croce Bianca di Brescia. Il suo primo libro di narrativa, All’ombra dell’oleandro rosa, è uscito nel 2021 per Gruppo Albatros Il Filo.
LinguaItaliano
Data di uscita8 ott 2023
ISBN9788830690486
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    Anteprima del libro

    Il sole beffardo - Elena Ungari

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: «Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere».

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi:

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi, ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei Santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i quattro volumi di Guerra e pace, e mi disse: «Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov».

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre, è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi, potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    CAPITOLO UNO

    L’aria era tiepida in quella tarda mattinata di metà aprile; dopo ore di pioggia e di vento, il sole era tornato a fare capolino. Mrs. Caroline Grant non se la sentiva di restare a casa. Infilò un impermeabile, prese la borsa e, arrivata alla porta, pensò di prendere anche un piccolo ombrello pieghevole: il tempo poteva cambiare repentinamente. Non c’era bisogno di dire a Betty, la governante, quali faccende sbrigare, perché, dopo tanti anni in quella casa, sapeva lei cosa fare ed era efficientissima.

    Mrs. Grant aveva deciso di fare una passeggiata ad Hyde Park, che non distava molto dalla sua casa a Belgravia: aveva sempre amato quello fra i tanti parchi di Londra, il ‘polmone verde’ per eccellenza. Il parco era immenso. Entrò dal lato sud, dal cancello che dava su Kensington Road e Knightsbridge. Presto si trovò davanti al Serpentine, sul quale stavano veleggiando delle barche. Guardandolo, sospirò. Lo aveva visto tante volte, ma non seppe spiegarsi perché, proprio oggi, la vista del laghetto avesse suscitato in lei questa reazione. Mormorò: «Galeotto fu il Serpentine...». E sospirò ancora.

    Ammirò le varie siepi di giunchiglie bianche e gialle che erano già fiorite. C’era gente seduta sulle panchine: vecchiette che si riposavano, o che conversavano, riunite in gruppetti di due o tre; giovani donne, con bimbi che giocavano a rincorrersi intorno a loro; altre, con i figlioletti sulle ginocchia; altre ancora, che spingevano dolcemente i passeggini avanti e indietro per cullare i piccoli dormienti e, contemporaneamente, leggevano oppure parlavano al cellulare. C’erano anche giovani che studiavano e persone più anziane che invece si dedicavano alla lettura del giornale. Altre persone erano stese sul prato e si godevano il sole primaverile.

    Caroline guardava la gente, ma ogni tanto si soffermava ad ammirare la natura e i suoi colori. Fece una lunga passeggiata nei viali, poi si sedette su una panchina: non si era portata né un libro né un giornale. Rimase senza far nulla, assorta nelle sue riflessioni: pensava a quante volte era venuta nel parco, con la figlia, con il marito, o con qualche amica, ma anche da sola. Caratterialmente, Caroline era una persona socievole; almeno, lo era stata in gioventù, ma poi gli eventi della vita l’avevano portata a diventare un po’ timida, perfino timorosa, a chiudersi in se stessa; spesso preferiva non avere nessuno intorno a sé, per vivere intimamente, senza condividere con altri le emozioni che l’ambiente le trasmetteva: ciò le dava una sensazione di tranquillità e di serenità.

    Dopo un quarto d’ora circa guardò l’orologio: si stava facendo tardi. Non aveva voluto tornare a casa prima e trovare che Betty non era ancora rientrata dalle sue commissioni. Se stare da sola all’aria aperta rendeva felice Caroline, la solitudine di casa le pesava.

    Mentre stava percorrendo il viale del ritorno, le capitò di incrociare un’amica.

    «Ciao Caroline. Che coincidenza: anche tu qui».

    «Ciao, Elizabeth. A me, in verità, capita sovente di fare una passeggiata ad Hyde Park».

    «Io invece non ci vengo spesso. Sono sempre al lavoro! Ma ogni tanto ho bisogno di allontanarmi per fare una passeggiata: oggi, per esempio, sono qui per schiarirmi le idee sulla causa in corso, che è abbastanza complicata. Ma dovrei stare all’aria aperta più spesso, perché mi fa bene alla salute e mi aiuta a riflettere».

    «Anche per me è così; camminare mi dà ossigeno al corpo e, soprattutto, alla mente, anche se io, non lavorando, non ho le preoccupazioni che hai tu. Da una parte ti invidio: con i tuoi innumerevoli impegni, almeno sai come occupare il tempo».

    «In che senso?» Elizabeth corrugò la fronte e fece uno scatto con la testa, quasi non capisse ciò che intendeva Caroline.

    «Ma sì, intendo dire che io, invece, non ho praticamente nulla da fare e mi sento inutile, soprattutto da quando Kitty si è trasferita ad Oxford».

    «Ah, capisco – e il viso di Elizabeth tornò a distendersi – ma una figlia, anche se lontana, non dà sempre da pensare? Veramente, non avere figli per me è una fortuna, perché non avrei il tempo da dedicare a loro. Con mio marito, ci vediamo più spesso entrando o uscendo dalle aule del tribunale che non a casa».

    «A proposito, come è finita la causa che stavi seguendo l’ultima volta che ci siamo viste?».

    «Ho terminato da una decina di giorni e l’ho vinta».

    «Bene, sono contenta per te!».

    «Ma cambiamo discorso. Oggi c’è il tè con Ann e Shirley, no?».

    «Peccato che tu non ci sarai».

    «Purtroppo no; mi dispiace molto. Ho una causa di stupro in corso che, come ti accennavo, è abbastanza spinosa. Ma fatemi sapere come va. Chissà cosa ha da raccontare Shirley questa volta!».

    «Shirley è un’incredibile fonte di informazioni! Ed è l’anima del gruppo».

    «Ma no, dai, anche tu, Ann ed io non siamo male».

    «Intendevo solo dire che Shirley è la più vivace».

    «Lo era già ai tempi della scuola... Dovremmo vederci un po’ più spesso: anche le nostre riunioni sono una ventata di ossigeno. Inoltre, queste rimpatriate, chiamiamole così, non ti ricordano gli anni della nostra giovinezza? Sempre insieme: le Quattro del Christ Church».

    «Sì, me lo ricordo bene» confermò Caroline con un sorriso.

    Intanto Elizabeth guardò l’orologio: «Uh, mi spiace, Caroline, il dovere mi chiama. Ma mi ha fatto veramente piacere vederti».

    «Anch’io sono contenta. Sta’ tranquilla: ti faremo sapere le novità!».

    Elizabeth se ne andò con passo veloce. Caroline la guardò allontanarsi, poi si mosse anche lei, ma in direzione opposta. Caroline non ne aveva molte, di amiche, ed Elizabeth era una di quelle che lei considerava del cuore, insieme a Shirley ed Ann, con le quali aveva appuntamento nel pomeriggio. Si erano trovate nella stessa classe alla scuola superiore ed erano diventate molto affiatate; poi tutte e quattro avevano fatto l’università ad Oxford ed erano diventate le Quattro del Christ Church. Al termine degli studi, la loro amicizia si era mantenuta stabile, nonostante le varie strade che ognuna aveva intrapreso. Insieme avevano condiviso le gioie ed i dolori che la vita riserva: i matrimoni di Shirley, Elizabeth e Caroline, la nascita dei figli, i primi successi e le promozioni professionali, qualche viaggio, il divorzio di Caroline, un paio di lutti familiari. Tutte e quattro tenevano molto a ritrovarsi insieme per una tazza di tè, per un po’ di shopping o per andare a teatro. Così, nel tempo, le Quattro del Christ Church erano rimaste un gruppo solidale.

    Caroline riprese a camminare, pensando a cosa avrebbe mangiato a pranzo. Quella mattina aveva chiesto a Betty di preparare delle verdure e dell’insalata, con del cottage cheese o altro formaggio tenero. Questo poteva bastarle.

    «Ben tornata, Mrs. Grant. Ha trascorso una buona mattinata?» Betty non soleva chiamarla con il suo cognome da nubile, Rymes, ma ciò non disturbava Caroline.

    «Sì, ho fatto una passeggiata ad Hyde Park. E tu, Betty, come hai trascorso il tuo tempo?».

    «Ho fatto una lavatrice, ho pulito i vetri ed ho lucidato l’argenteria; poi sono uscita per fare la spesa. Adesso volevo bere una tazza di tè. Ne desidera anche lei? Ma è ormai l’ora del pranzo. È sicura che vuole solo formaggio e verdura?».

    «Sì, Betty, mi basta. E tu, invece?».

    «Non si preoccupi per me. Mi preparerò un tramezzino e lo mangerò mentre bevo il tè. Vada, vada pure intanto che io preparo. È arrivata la posta. L’ho messa sul solito mobile».

    Caroline raggiunse il salottino e guardò le lettere: una era del commercialista, un’altra della banca, altre due erano pura pubblicità. In fondo, però, trovò una lettera di Kitty e se ne stupì: la figlia non era solita scriverle; questa lettera, inoltre, era scritta a mano, ancora più strano. Anche le sue telefonate non erano frequentissime. Era forse successo qualcosa, o aveva delle comunicazioni importanti per lei?

    La aprì subito, curiosa e un po’ trepidante. Non c’era nulla di allarmante nella lettera: Kitty raccontava la sua vita ad Oxford, parlava degli studi, che la entusiasmavano, degli amici con i quali andava alle lezioni e trascorreva il tempo libero. Le fece piacere leggere di professori, passeggiate, gare sportive, cene formali, feste in collegio: quantomeno poteva immaginare la vita della figlia, di solito poco incline a parlare di se stessa. E poi, così, Caroline rivedeva i giorni della sua stessa giovinezza universitaria.

    Aprì anche le altre due lettere: il commercialista le fissava un appuntamento per il lunedì successivo alle 11, mentre in banca l’attendevano nel giro di due giorni. Prima di pranzo, chiamò la banca ed il commercialista per confermare gli appuntamenti. Diede poi un’occhiata al Times, che le veniva recapitato ogni mattina.

    Betty annunciò che il pranzo era pronto. Da quando era rimasta sola, Caroline ci teneva che pranzassero e cenassero insieme.

    Come al solito, sedettero una di fronte all’altra.

    «Mi ha scritto Kitty» disse la signora Grant.

    «Ah, bene, e cosa dice? Se non è un segreto, naturalmente». Betty era sempre molto rispettosa.

    «Nulla di particolare. Racconta della sua vita ad Oxford».

    «Vede, si è ricordata di lei; deve essere bello avere una figlia; si possono condividere molte cose; e poi, una figlia può sempre essere d’aiuto nella vecchiaia».

    «Già, è vero» disse Mrs. Grant. E poi, dopo una pausa: «Sì, è bello». Rimase qualche istante soprappensiero, poi: «Cosa hai intenzione di fare questo pomeriggio, Betty?» riprese, per cambiare discorso.

    «Penso di andare a trovare mia sorella; è già da un po’ che lo voglio fare. È caduta, si è fatta male a una gamba ed ora è ingessata. Abita a Shepherd’s Bush».

    «Perché non me lo hai detto prima? Sai che non ti avrei negato il permesso di andare a trovarla; e poi tua sorella può avere bisogno di te». Ma Caroline sapeva che Betty, per timidezza, non era solita chiedere favori o permessi.

    La governante si strinse nelle spalle, quindi disse: «Questo lo so. Comunque mia sorella ha suo marito che bada a lei molto bene e così pure suo figlio. E lei, cosa farà Mrs. Grant?».

    «Andrò da Harrods, dove ho appuntamento con le mie amiche per il tè».

    «Posso dirle una cosa, Mrs. Grant? Dovrebbe uscire più spesso con le amiche o con qualche parente».

    Betty aveva ragione, pensò Caroline. Restare a casa nel pomeriggio la metteva in ansia: la sua abitazione le appariva così grande e deserta... aveva bisogno di vedere della gente e di stare fra la gente, anche se sconosciuta. Dentro la sua casa, nell’esclusivo quartiere di Belgravia, si sentiva chiusa nella sua solitudine, che temeva; quelle grandi stanze vuote le pesavano. A casa stava volentieri la sera, quando sceglieva la compagnia di un libro o della musica. Non frequentava molte persone, a parte le tre amiche del collegio con le quali si sentiva regolarmente per telefono. I suoi fratelli Peter e Liza, che vivevano in una tenuta a Cheltenham, li vedeva di rado. Betty aveva ragione, ma non volle continuare a rimuginare su questi pensieri.

    Intanto avevano terminato il pranzo e Betty si apprestò a rassettare la cucina. Terminati i suoi lavori, Betty si preparò; poi chiese il permesso di andare.

    «Ma certo, vai. Salutami tua sorella e falle gli auguri anche da parte mia». Poi, con un pensiero ritardato chiese: «Ma non le porti nulla?».

    «Avevo pensato di comperarle dei fiori. Le piacciono molto».

    Mrs. Grant sorrise: «Bene. Adesso vado anch’io». Si preparò, rinfrescandosi il trucco. Si mise l’impermeabile e prese la borsa.

    Entrambe erano pronte per affrontare il pomeriggio, ognuna con la propria meta ed i propri impegni.

    CAPITOLO DUE

    Mrs. Grant uscì e raggiunse Harrods a piedi. L’afflusso di gente all’elegante grande magazzino era notevole; superata la sicurezza, Caroline andò direttamente a cercare un foulard nel reparto accessori. La scelta era vastissima e gli articoli di ogni marca. Caroline li osservò e ne prese in mano qualcuno. Trovò subito ciò che voleva: un foulard beige coloniale, di Alviero Martini, con le carte geografiche proprie dello stilista. Le piaceva molto la geografia stampata sulla stoffa: le ricordava i viaggi che aveva fatto e quelli che le sarebbe piaciuto fare. Inoltre le sfumature di questo foulard si adattavano bene con il suo impermeabile color tabacco chiaro.

    Dopo l’acquisto, vide che mancava ancora mezz’ora all’orario dell’incontro con le amiche e ne approfittò per fare un giro nel reparto abbigliamento, anche perché aveva intenzione di rifarsi il guardaroba, con la scusa della primavera. Diede un’occhiata alle novità per rendersi conto delle ultime tendenze, sebbene, in genere, preferisse uno stile classico; quindi si diresse verso la caffetteria.

    Caroline ripensò a quanto si erano dette lei ed Elizabeth la mattina. Ripensò anche ad Ann e Shirley. Come in un flash, le venne in mente Oxford: le loro passeggiate all’Orto Botanico, le visite all’Ashmolean Museum, alcune conferenze particolarmente interessanti, le feste organizzate dall’Università, particolarmente i balli di fine d’anno. E poi i circoli sportivi: al nuoto, che avevano fatto tutte, Ann e Caroline avevano affiancato il canottaggio, mentre Elizabeth e Shirley venivano a fare il tifo alle regate.

    Caroline raggiunse la caffetteria, dove Ann e Shirley la stavano già aspettando, ma non si erano ancora sedute. La salutarono e la baciarono affettuosamente.

    «Peccato che Elizabeth non ci sia. Aveva quella causa importante» disse Shirley. Caroline confermò, aggiungendo che l’aveva vista proprio quella mattina ad Hyde Park.

    «Allora, dove ci accomodiamo?» chiese Ann. «Avremmo potuto scegliere una tea house vera e propria, più intima e magari un po’ più chic: questa sala è troppo grande e rumorosa».

    «Hai ragione, ma la colpa è mia. Siccome dovevo fare degli acquisti, ho proposto di incontrarci qui per praticità.

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