Il lieto fine
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Info su questo ebook
La maggior parte della gente risponderebbe in senso affermativo.
Nulla di più falso perché, diversamente, non tenderemmo a stipare nel luogo più recondito del nostro essere tutti gli sbagli e quello che ci ha ferito.
Non opereremmo per la salvifica edulcorazione dei ricordi, li lasceremmo tutti, indistintamente, vestiti della loro stoffa originale, dolorosa o felice che sia.
Luciana Balducci, nata il 21 maggio 1970, vive a Bari con suo marito e i due figli. Avvocato per formazione, attualmente lavora presso il Politecnico di Bari.
Ha pubblicato un racconto dal titolo Il cuore oltre l’ostacolo (in self publishing) e il romanzo In un qualsiasi mattino di settembre (ERETICA EDIZIONI), secondo classificato al Premio letterario "Chiamatelo Amore".
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Anteprima del libro
Il lieto fine - Luciana Balducci
Ringraziamenti
Dedica
A mia nonna Francesca.
uno
Il telefono trillò. Era mattina presto. Non si trattava di una telefonata, circostanza che , da sempre, quando accadeva durante il sonno mi pervadeva di angoscia, ma un più rassicurante messaggio.
Vai a casa di Antonia, le chiavi sono nella cassetta della posta.
Mi drizzai sul letto in preda all’angoscia e senza nemmeno comprenderne il reale motivo mi preparai e corsi trafelato verso casa di mia moglie.
Entrai prima nella Dimora dei Ricordi
che, per ovvi motivi di orario, era ancora chiusa. Salii le scalinate che portavano a casa nostra, il sole pian piano iniziava a illuminarle quando oltrepassai l’uscio non c’era nessuno. La casa era in perfetto ordine, non un oggetto fuori posto. La cercai sempre più agitato, in soggiorno, nel suo studio, in camera: entrai nella stanza da letto e aprii persino il suo armadio e lì, tra i suoi abiti, in una tasca scorsi un foglio.
Lo lessi, ma senza realmente capire: l’agitazione mi consentiva solo di comprendere il testo letterale ma non l’effettiva portata del senso.
Riuscivo solo a intendere che Antonia non era lì. Ridiscesi le scale di corsa e andai a cercarla sul mare, su quella panchina dove dieci anni prima ci eravamo conosciuti.
Non era nemmeno lì, perciò investito da un’angoscia sempre più prepotente, mi sedetti, le gambe mi tremavano, riaprii la lettera e la rilessi forse dieci volte.
Poi, volsi lo sguardo verso il mare e mi sorpresi nel costatare la calma nella quale si era adagiato rispetto alla furia in cui l’avevo trovato poche ore prima. Sembrava che anche il mare avesse letto le righe di mia moglie e che, come il mio animo sopraffatto, avesse finalmente compreso che non potesse che quietarsi.
Richiusi la lettera, avendo cura di farlo alla francese, come soleva fare Antonia quando inviava lettere formali, in quel modo che aveva imparato quando, ancora avvocato, doveva spedire missive ai suoi colleghi perché fosse ben visibile il mittente e certa la data, ma non il contenuto. Come anche questa volta lei l’aveva ripiegata perché io potessi trovarla prima, perché in ogni momento della mia vita — anche quando tutto era finito — il nome di Antonia mi faceva sobbalzare il cuore.
Assicurai lo scritto nella tasca interna del cappotto, dal lato del cuore, ed esso per un attimo si restrinse, poi si dilatò e fece passare le lacrime.
Tornai a casa, apparecchiai la tavola e preparai la cena, poi la lasciai freddare sul tavolo.
Appena avevo provato a ingoiare il primo boccone, quello mi era risalito in gola, lo sputai e cominciai a piangere. Presi tutti i piatti che c’erano sul tavolo e iniziai a spaccarli per terra uno a uno.
Cosa era successo? stava male? Se era morta doveva essere successo qualcosa.
Perché l’avevo abbandonata così? Perché non ero mai andato a trovarla? Perché avevo pensato che lei non volesse più vedermi? E anche fosse stato vero, perché non avevo avuto il coraggio di sentirmelo dire?
«Alexis...», chiamai in preda alla disperazione, colui che per me era un fratello.
«Nicola, cosa è successo?», mi rispose agitato.
«È per Antonia... credo sia morta», gli dissi singhiozzando.
«Cosa vuol dire, CREDO?», mi chiese alzando la voce.
«Qualcuno mi ha mandato un messaggio sul cellulare, scrivendomi di andare a casa di Antonia e che avrei trovato le chiavi nella cassetta della posta», gli dissi sempre più afflitto.
«Ci sei andato? Ebbene?», continuò a incalzarmi.
«Sì, ci sono andato, per fortuna avevo la chiave della cassetta della posta poiché mi ero scordato di restituirgliela», continuai a rispondergli.
«E... ho trovato una sua lettera per me... posso leggertela?», provai a chiedergli.
«Certo, cosa aspetti», mi intimò.
Gli lessi la missiva di Antonia, seguì un lungo silenzio.
Poi.
«Non è morta. Sta cercando di dirti qualcosa, ma non è morta», mi rispose sicuro.
«Alexis, cosa diavolo stai dicendo? Che modo è di dire qualcosa a qualcuno? Non è da lei fare questi giochetti», gli risposi infuriato.
«Pensaci Nicola, chi poteva mai sapere che possedevi ancora la chiave della cassetta della posta?», mi invitò a riflettere.
«Nicola, Antonia non sta giocando... sta cercando di dirti qualcosa», mi ripeté.
«Io non capisco, se fosse come dici tu non avrebbe potuto semplicemente chiamarmi?», gli chiesi ingenuamente.
«Dopo cinque anni? Dopo che nessuno di voi ha mosso un passo in direzione dell’altro? Magari per sentirsi dire che l’hai dimenticata?», mi rispose cercando di riportarmi alla ragione.
«Ma io non ho mai smesso di amarla», protestai.
«Questo lo sappiamo io e te, tu a lei non lo hai mai detto», mi rispose ricordandomi l’ovvio.
«Nemmeno lei me lo ha mai detto», provai a replicare.
«Senti Nicola, tu vuoi continuare a vivere in questa maniera?», mi chiese schietto.
Riflettei.
Cinque anni prima, quella sera in cui avevo maturato la decisione di andarmene, lo feci pensando di stare male con lei.
Gli anni successivi erano stati i peggiori della mia vita. Mi svegliavo la mattina con l’unico pensiero di sapere di lei.
Così uscivo di casa prestissimo, passeggiavo fino a casa sua. Rimanevo a guardare le finestre solo per accertarmi che si fosse alzata, che stesse bene. Non mi avvicinavo mai abbastanza per capire se il suo viso tracciasse sorrisi o tristezze.
A modo mio, mi definivo un brav’uomo perché mi assicuravo che stesse bene; in realtà, ero solo un codardo che non aveva il coraggio di andare a bussare alla sua porta e dirle che non respiravo senza di lei per paura di sentirmi rispondere che per lei non era così, che aveva, invece, ripreso a prendere fiato da quando me ne ero andato.
«Sei ancora in linea?», mi chiese Alexis di fronte al mio silenzio.
«Sì, scusa, no, voglio sapere cosa è successo», gli risposi risoluto.
«Non ho idea di dove possa essere, però», seguitai sentendomi già sconfitto in partenza.
«Va bene, prendo il primo aereo e ti raggiungo, ti prometto che la troviamo e sarà viva», mi comunicò perentorio.
«Grazie, fammi sapere a che ora arrivi, ti vengo a prendere in aeroporto», gli risposi grato.
Ero felice che avesse deciso di venire, avevo bisogno di stare un po’ con lui, ma soprattutto avevo bisogno della sua lucidità e del suo senso di risolutezza, due attitudini che a me mancavano completamente, specialmente in questo momento.
due
I giovani devono partire, devono andar via. Ma non per curiosità, non per disperazione. E poi devono tornare. I giovani devono andare per capire com’è il resto del mondo e, cosa ancora più importante, per capire sé stessi.
Renzo Piano
Mi chiamo Antonia, vivo in un appartamento nel cuore di Bari dove ho sempre desiderato si svolgesse la mia vita.
Non sono mai andata via. Sono sempre stata molto curiosa ma mai disperata.
Volevo capire me stessa, ma volevo farlo nel posto in cui ero nata, volevo vivere qui, a Bari, Non volevo esportare il mio lavoro, le mie radici e i miei sentimenti.
Non volevo sentirmi per sempre straniera da un’altra parte.
Non so se per tutti sia così.
Non so se chi va via dal proprio Paese natio si senta davvero un eterno straniero. So, con certezza, che io mi sarei sentita così.
Sono nata il 13 giugno, sono figlia unica, i miei genitori mi ebbero che erano già grandi, ero il loro miracolo.
Non ci sono più.
Sono andati via a distanza di pochi mesi.
Porto il nome, declinato al femminile, del Santo che in quel giorno era morto e la cui storia ai miei genitori piaceva tanto.
Al contrario di me, loro erano cattolici e osservanti io, invece, credo esista qualcuno al di sopra di noi, ma non riesco in nessun modo a conciliare questo mio pensiero con i dettami che la chiesa pone.
Quando ero piccola mi portavano a messa, non ero particolarmente interessata, ma un giorno, ero adolescente, il prete citò proprio un sermone di Sant’Antonio da Padova che mi colpì profondamente:
"La verità genera odio; per questo alcuni, per non incorrere nell’odio degli ascoltatori,