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Metamorphosis code
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E-book349 pagine4 ore

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Info su questo ebook

«Una cosa mi sto chiedendo da tempo...» e le lascio il tempo di ascoltarmi, «Noi Terrestri, i Danhabiani e moltissime altre civiltà, credono in un qualcosa che ritengono divino; in parole povere credono nei loro "Dei" o in un unico "Dio", non ha importanza. Ora, voi che venite considerati "DEI", ma avete piena coscienza di essere solamente una civiltà più avanzata che a torto o a ragione ne utilizza il nome, come fate a vostra volta a credere nella "Divinità"?...»
LinguaItaliano
Data di uscita2 feb 2024
ISBN9791223003008
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    Anteprima del libro

    Metamorphosis code - Gianfranco Pereno

    1

    «Non ho idea... tardi... forse non rientro affatto!»

    Che bello avere figli!!

    Se poi, come nel mio caso il figlio è femmina, ancora più esaltante!

    Guardo Megan allontanarsi a passo veloce e l’unica cosa che riesco a pensare è che ha lo stesso sedere di sua madre... oltre ai capelli naturalmente!

    Rossi e folti, impossibili da tenere a freno, come il pessimo carattere che le accomuna, peraltro.

    Quando ho visto per la prima volta mia figlia devo ammettere che ho rischiato l’infarto, il respiro mi era diventato improvvisamente un optional e un dolore lancinante al petto mi aveva offuscato la vista; ma poi ero poi riuscito, anche se lentamente, a metterne a fuoco la figura slanciata, che il suo sguardo ironico mi stregò all’istante.

    «Blanche...» Ricordo che balbettai stupidamente.

    «No... sono Megan... la mamma è ancora in viaggio...»

    Incredulo, ricordo che l’osservai con più attenzione, stesso naso, identica linea della mascella, spalle, seno, caviglie... era Blanche!

    Poi quell’apparizione sorrise e tutti i suoi lineamenti si fusero in una donna che non conoscevo e solo allora ebbi la netta consapevolezza che quell’essere non era la donna che amavo e che avevo perduto, ma mia figlia... nostra figlia!

    Mi accorgo che Meg, intanto, si è voltata a guardarmi con un’espressione stupita sul volto ed io divento di cera; è ancora più brava della madre a leggere i miei pensieri e temo che il mio sguardo, appoggiato preoccupato sul suo fondoschiena, non le sia affatto sfuggito.

    Ma poi lei sorride e mi fa un cenno con la mano, mentre alcuni riccioli di fuoco le ondeggiano sbarazzini sulla fronte.

    Con un sospiro di sollievo mi obbligo ad abbandonare con lo sguardo quella che è diventata tutta la mia vita e punto rassegnato verso il Doge De Oro.

    A parte le rare volte in cui mia figlia si ferma a cena da me, non mangio quasi mai a casa; non che mi dispiaccia, ma ormai considero quel piccolo ed esclusivo club veneziano, gestito da una delle mie più care amiche, veramente come casa mia.

    Megan abita in un minuscolo loft dietro Campo San Luca, mentre io ho affittato un ben più ampio appartamento a Santa Maria Formosa e di conseguenza tocca a mia figlia venirmi a trovare di tanto in tanto; così alcuni giorni prima avevamo concordato che avrebbe trascorso il fine settimana da me, ma evidentemente non abbiamo lo stesso concetto della parola trascorrere e già mi vedo a passare il sabato notte scimmiottando la parodia del padre preoccupato, diviso tra TV e finestra, l’orecchio teso costantemente a captare un familiare ticchettio di passi sulle pietre della calle.

    Un’ombra che dondola proprio ai piedi del ponte attira la mia attenzione ed istintivamente cerco con la mano la pistola, che però non porto più da molto tempo, poi scrollo la testa sconsolato.

    È vero che anche Venezia è cambiata e che il suo dedalo di calli e callette può riservare incontri non graditi, ma io continuo a considerarla una delle città più affascinanti e sicure sulla Terra, soprattutto di notte.

    Evidentemente la mia nuova condizione di padre sta influenzando il mio modo di pensare e, accelerando l’andatura, oltrepasso l’ubriaco che ora si sta appoggiando prudentemente a un muro.

    Comunque, l’imprevisto mi ha distratto dai ricordi e Blanche è tornata ad essere solamente il freddo fantasma che mi accompagna da vent’anni.

    Scaccio quella visione con un gesto di stizza e arrivato al Doge De Oro, spalanco la porta del Club con più impeto di quello che sarebbe necessario.

    Lo sguardo severo di Adele mi blocca già al primo passo, e mentre avverto alcune teste voltarsi verso di me, con un silenzioso gesto di scuse punto velocemente verso la piccola sala ristorante.

    Un’anziana coppia di uraniani, seduta al mio solito tavolo, alza stupita la testa verso di me e rimango come un allocco ad osservare i loro occhi gentili che mi scrutano interrogativi, quindi, ancora più imbarazzato, sorrido loro a mia volta, mentre con una rapida piroetta mi dirigo direttamente verso la cucina.

    Adele è immobile davanti alla porta basculante, le braccia conserte sul grembiule immacolato e l’espressione seria.

    «Mi spiace cara, ma sono un po’ nel pallone...»

    Ma le mie scuse cadono nel vuoto appena mi accorgo del dolore che galleggia nel suo sguardo.

    «Dio mio Adele! Cosa succede?»

    Osservo la donna scuotere la testa disorientata, come se fosse incapace di trovare le parole adatte, poi vedo balenare nelle sue pupille nerissime lo sguardo fiero che l’ha sempre contraddistinta, ma solo per affogare quasi all’istante dentro un’angoscia più profonda.

    «Blanche è in pericolo! Ha appena mandato una richiesta di soccorso.»

    Rimango paralizzato dal terrore.

    So di non essere in grado di poterla aiutare in nessun modo, l’ho sempre saputo, non c’è stato un solo secondo negli ultimi vent’anni dove non abbia avuto la consapevolezza di essere totalmente inutile, assolutamente inadatto per poterla in qualsiasi modo sostenere e al contempo sono altrettanto cosciente di essermi nascosto dietro l’illusione che non potesse mai accadergli nulla di male e che mai e poi mai le sarebbe stato necessario il mio sostegno.

    «Come sarebbe a dire... in pericolo?» Balbetto.

    Adele non stacca gli occhi dai miei e appena comprendo vado in bestia!

    Quante cose la mia amica mi ha taciuto in tutto questo tempo? Non faccio in tempo a trovare l’imprecazione giusta che la donna, con un gesto della testa, mi indica la stanzetta riservata.

    «Dentro ci sono due persone, aspettano te... non odiarmi...»

    La fisso furioso, poi punto dritto nella direzione del suo sguardo, rimpiangendo di non avere più al fianco la mia pistola di servizio.

    Due uomini sono seduti all’unico tavolo, quasi irreali nella stanzetta deserta.

    Appena mi vedono, con una sincronia perfetta si alzano in piedi, le mani bene in vista.

    «Colonnello...»

    «Colonnello un cazzo! Chi siete!»

    Non importa quanto sia diventato vecchio e quanto gli anni mi abbiano cambiato, in questo istante sono tornato ad essere il Colonnello della Polizia Interstellare Bruno Barbaro e nulla mi può fermare.

    «Ci lasci spiegare, Colonnello... vuole accomodarsi?»

    «Dov’è Blanche!!»

    I due uomini si scambiano uno sguardo indecifrabile, poi quello più anziano mi indica nuovamente la sedia.

    «La prego... si sieda, non sarà una cosa breve.»

    Avverto la porta chiudersi alle mie spalle e con la coda dell’occhio noto che Adele si è appoggiata allo stipite con tutto il suo peso.

    «È meglio se lasciate parlare prima me... ha il diritto di sapere.»

    L’uomo che ho di fronte ha un istante di esitazione, poi annuisce con un impercettibile movimento della testa calva.

    «Siediti Bruno, è meglio se le spiegazioni le faccio io.»

    Adele, che nel frattempo si è tolta il grembiule per abbandonarlo sulla spalliera di una sedia, si è avvicinata alla finestra, rimanendo ad osservare il buio oltre i vetri.

    «Dopo che inaspettatamente Blanche ti ha lasciato, vent’anni fa, nessuno ha più avuto notizie certe su di lei ma... in realtà dovrei dire che ‘tu’ non hai più saputo nulla.»

    Mi accorgo che la mia amica mi sta controllando attraverso il riflesso sul vetro, e sto per sbottare di brutto quando il ‘pelato’ mi appoggia una mano sulla spalla.

    «La signora Adele non ha colpe Colonnello, mi creda... le posso assicurare che è stata obbligata a mantenere il segreto... il rischio era troppo grande... è troppo grande!»

    «Rischio? Ma di che cavolo state parlando?»

    La mia vita si era conclusa vent’anni prima, con la morte violenta di amici carissimi e dove tutti i miei sogni e i miei sentimenti erano stati distrutti da un nemico ancora oggi sconosciuto, un autentico fantasma che aveva inesorabilmente colpito la sezione speciale della Polizia Interstellare che dirigevo, costringendomi a nascondermi come un topo di fogna e dove anche la donna con cui vivevo se ne era andata lasciando solamente una breve lettera d’addio sul cuscino.

    Giorni di follia, seguiti da un autentico incubo che in realtà continua tutt’ora, un’angoscia infinita che aveva finito per travolgere completamente la mia vita.

    Mi volto furioso verso l’uomo pronto a colpirlo, quando qualcosa nella sua espressione mi blocca, e non è certamente il timore del suo fisico massiccio a frenarmi, ma qualcosa che leggo dentro il suo sguardo duro, un terrore profondo che a stento riesce a dominare.

    «Valerio» continua il ‘pelato’ rivolgendosi improvvisamente al collega più giovane, «ti spiace mettere tu al corrente il Colonnello della situazione? Non abbiamo molto tempo!»

    Il suo giovane collega si affretta ad aprire una valigetta argentata per poi attendere un’ulteriore occhiata del suo superiore.

    Che erano poliziotti l’avevo capito sin dal primo sguardo, e se mi fosse rimasto però il dubbio sul tipo di poliziotti, l’ansia di Adele mi aveva tolto ogni dubbio.

    «Colonnello Barbaro, se non le spiace salterei tutti i preamboli e affronterei direttamente il nocciolo della questione.»

    Fisso il giovanotto perplesso, improvvisamente dimostra una sicurezza che non deriva dalla spavalderia giovanile, e questo non fa di lui il semplice portaborse che avevo immaginato in un primo momento; quindi, decido che è meglio ascoltarlo con attenzione.

    Lui afferra al volo il mio cambiamento d’umore e con un sincero ringraziamento negli occhi mi porge una cartellina dalla copertina rosso fuoco.

    «All’interno troverà nel dettaglio tutta la documentazione su quello che sto per dirle e potrà consultarla con calma, ma solo in questa stanza, quando andremo via non deve rimanere nulla che testimoni questo incontro.»

    Attende per un istante un mio gesto affermativo, poi riprende con sicurezza: «Come sappiamo bene tutti, dopo l’omicidio del suo vicecomandante, il maggiore Greco, marito tra l’altro della signora Adele, e di tanti suoi colleghi, la sua sezione venne immediatamente smantellata. Il timore di infiltrazioni era altissimo e per la sicurezza di tutti, anche tutto il personale amministrativo e tecnico venne dirottato verso altri incarichi. Una task force composta dai nostri migliori agenti iniziò immediatamente a seguire la situazione, arrivando però quasi subito alla inaspettata conclusione che ogni minaccia nei vostri confronti sembrava essere improvvisamente svanita e che nessuno sembrava essere più interessato alle vostre persone. La cosa sconcertante però, fu che quell’improvvisa calma coincise con l’altrettanto improvvisa interruzione di ogni attività dei viaggiatori del tempo, cosa di cui è perfettamente al corrente.»

    Il poliziotto si prende il tempo per bere un sorso d’acqua direttamente da una bottiglietta comparsa per magia nella sua mano, ma in realtà so che sta solo valutando l’effetto delle sue parole sul mio viso, ma io non batto ciglio e lui riprende con noncuranza:

    Alzo la testa per guardare Adele, poi mi lascio cadere sulla sedia che ho davanti.

    «In quegli anni» riprende l’uomo, «i nostri analisti erano arrivati a conclusioni più o meno condivise da tutti, considerazioni che andavano dalla probabilità dell’utilizzo di nuove tecnologie a noi completamente sconosciute, che ci impedivano di fatto di accorgerci del perdurare delle visite temporali, a una catastrofe globale avvenuta in un imprecisato futuro che aveva messo la parola fine a tutto, e ci eravamo quasi rassegnati all’inevitabile…»

    Sto per mandarlo al diavolo quando un fastidioso campanello d’allarme inizia a suonare in un angolo del mio cervello. «Cosa significa quasi rassegnati

    I due uomini mi guardano attenti, poi un sorriso tirato appare in sincrono sulle loro labbra.

    «Ormai alle corde tentammo un’altra strada…» Ora sì che li prendo a pugni!

    «Blanche!!»

    Il mio urlo fa vibrare il vetro della finestra e Adele fa letteralmente un balzo di lato.

    ‘Crapa pelata’ alza velocemente le mani in un gesto di difesa ma la mia amica mi si para davanti con una rapidità sorprendente.

    «Calmati! Lo ha scelto lei! Sai benissimo che è impossibile obbligarla a fare qualcosa che non voglia fare!»

    Non mi calmo per niente e prendo a calci una sedia, mandandola a sbattere contro la parete.

    «Hei giovanotto! O ti dai una calmata o non metti più piede in qui dentro!»

    Adele ha ritrovato di colpo tutta la sua determinazione e ora sta eretta di fronte a me con gli occhi di fuoco, ma il mio pensiero è solamente rivolto a Blanche e a quello che le hanno chiesto di fare.

    Non ho una pistola, per cui giro la schiena e mi dirigo con decisione verso la porta.

    Riesco a fare solo un paio di passi che questa si apre di colpo e Megan compare all’improvviso, l’espressione accigliata e lo sguardo interrogativo.

    «Cosa succede papà? Non ti ho mai sentito così agitato!»

    La fisso incredulo, mia figlia sta analizzando tutta la stanza come se io non esistessi, ogni fibra del suo corpo è tesa e pronta all’azione, identica a sua madre come la ricordo nei momenti di pericolo e incredibilmente mi calmo, mentre una feroce determinazione sostituisce la rabbia che ho dentro.

    Qualcosa devono averla avvertita anche i due poliziotti, che si sono alzati in piedi pallidi in volto, gli occhi che saettano attenti per tutta la stanza, la mano destra posata sul calcio della pistola che portano sotto la giacca.

    «Dov’è Blanche?!»

    Il mio è poco più di un sussurro, ma sembra colpire i due uomini come un ariete, tanto che indietreggiano di un passo. «Non lo sappiamo! Lo giuro! È per questo che siamo qui!»

    Osservo incuriosito la grossa goccia di sudore che ha iniziato a scivolare sulla testa perfettamente calva del poliziotto.

    «Balle!» Sbotta Megan alle mie spalle, «sta mentendo, lo avverto chiaramente!»

    «No! Lo giuro! Non abbiamo idea di dove sia!»

    «Menti!!»

    Avverto la furia repressa di mia figlia e penso che dovrei essere io a proteggerla, mentre invece ho la netta sensazione che potrebbe mangiarsi per cena questi due mammalucchi senza alcun problema, pistole comprese.

    Poi quello che dovrebbe chiamarsi Valerio alza le mani in segno di resa, e rivolgendosi al compagno più anziano gli fa un cenno autoritario.

    «Ok Sergio! Basta così! La ragazza è ancora più brava della madre! Ci sta leggendo nel cervello senza sforzo, inutile continuare.»

    Quindi mi tende la mano.

    «Tenente Valerio Holz. Sono io che dirigo ora la Space Agency, l’organizzazione che ha sostituito la sua Sezione Speciale.»

    «Piacere, Megan!» Si intromette di prepotenza mia figlia, «io sono come ben sai la figlia di Blanche e se mi menti te un’altra volta vi rompo entrambe le rotule!»

    Mi volto a guardare una figlia che non conosco, mentre inaspettatamente Adele s’informa prudentemente su cosa desideriamo per cena.

    2

    Inevitabilmente la mia mente va indietro a vent’anni prima, a quando mi trovai immerso in un incubo che decimò l’intero nostro gruppo ed io stesso fui obbligato a nascondermi per un lungo periodo ma, se poi il pericolo sulle nostre teste si era inaspettatamente dissolto, mai mi sarei aspettato che la donna con cui vivevo mi abbandonasse senza alcuna spiegazione.

    So soltanto che una mattina si alzò presto e subito dopo il bacio del buongiorno mi lasciò sul cuscino una decina di righe di addio, vergate velocemente su un foglietto di carta.

    Di lei non seppi più nulla per vent’anni, sino al giorno in cui Adele mi informò che sarebbe presto arrivata a Venezia la figlia di Blanche… mia figlia.

    Sorrido ancora al ricordo della confusione che avevo dentro mentre una fredda mattina obbligavo i miei passi a dirigersi verso la casa di Adele.

    Dopo la terza colazione mi ero reso conto che non c’erano più bar tra me e il campanello del portone, e venni preso dal panico, ma poi mi ritrovai a tirare con forza l’antiquata leva che, attraverso lunghi cavi, faceva tintinnare un campanello nel grande ingresso settecentesco.

    Adele comparve sulla porta con addosso un improponibile grembiulino a fiori gialli che faceva a pugni con la sua pelle diafana e un sorriso indecifrabile sulle labbra.

    «Ho appena sfornato i biscotti! Sbrigati che la colazione è pronta!»

    Trattenni un conato e mi obbligai a sorriderle mentre entravo titubante.

    Megan era lì, in piedi al centro dell’ampia stanza, le mani dietro la schiena, tesa come una corda di violino.

    Vedere lei e vedere Blanche fu la stessa cosa, tanto che rimasi senza fiato, incapace di credere ai miei stessi occhi.

    In un istante passarono nella mia mente tutti gli stereotipi che conoscevo sull’incontro tardivo padre-figlio, romanzi, film, serie tv; giuro che sfilarono tutti davanti ai miei occhi per... svanire immediatamente appena vidi aprirsi un sorriso su un volto che già amavo alla follia.

    «Cazzo papà! Era ora!»

    Non furono esattamente le parole che mi aspettavo di sentire, ma rimasi comunque ad annuire come uno scemo, impalato dov’ero, impossibilitato a compiere anche il minimo movimento.

    Ora però, sto nuovamente fissando quel volto con la consapevolezza di vedere per la prima volta un’altra figlia, un’entità che si è tenuta accuratamente nascosta, celata sotto l’incoerenza e la dolcezza propria della giovinezza, in attesa che fossi pronto ad accoglierla, a capirla, ad accettarla.

    La cucina del club ha ormai ha chiuso i battenti da un pezzo, ma noi cinque, rinchiusi nella saletta non ci abbiamo quasi fatto caso; a parte Adele che, da buona manager, dopo aver controllato con discrezione le prenotazioni delle camere per la notte, ha sprangato personalmente le porte ed è tornata al nostro tavolo portando un grosso bricco di caffè e una bottiglia ancora intonsa di grappa.

    L’atmosfera comunque non è delle più piacevoli.

    Intanto i due poliziotti non mi convincono affatto, soprattutto il più giovane, quello che asserisce di comandare la Space Agency.

    Quello che non mi convince proprio è la storiella che vent’anni prima, la Space Agency si era improvvisamente resa conto che le tecnologie inerenti i viaggi temporali stavano progressivamente subendo inspiegabili malfunzionamenti, fino ad arrivare in brevissimo tempo ad un completo blackout.

    Disorientati dalla misteriosa impasse tecnologica in atto, per tentare di far luce sul mistero erano stati costretti ad affidarsi al potere delle streghe del piccolo pianeta Danhabi, che i viaggi nel tempo li realizzavano da sempre, e quindi avevano reclutato Blanche, obbligandola però alla più stretta riservatezza.

    Ma purtroppo neppure quella razza dotata di un incredibile potere, che traeva origini da una magia antichissima e praticamente sconosciuta, era stata in grado di aiutarli, e anche di Blanche avevano infine perduto le tracce.

    Come ex ufficiale della Polizia Interstellare che di interrogatori ne aveva fatti anche troppi, dopo le interminabili ore passate ad ascoltare bugiardi convinti di essere furbi, so riconoscere le balle, soprattutto quando le menzogne sono astutamente ammantate di verità; quindi, allungo un braccio per coprire con il palmo della mano il bicchiere di Megan.

    «Ora basta piccola, hai già bevuto abbastanza non credi? Comprendo che sentir parlare di tua madre ti metta ansia, ma di sicuro la risposta alle nostre domande non è nell’alcol!»

    Il tenente ha un lampo negli occhi che lo tradisce una volta di più.

    Il pollo è sicuro che Megan abbia ormai abbassato le difese e stia accettato le sue poche sincerità come dato di fatto; inoltre è convinto che l’alcol ingurgitato debba senza dubbio aver contribuito ad annebbiare la capacità della ragazza di leggere nella mente altrui, per cui si sente relativamente sicuro nel continuare la pietosa alternanza di verità e bugie che ci sta rifilando da ore.

    Per quanto riguarda il sottoscritto poi, la sua certezza sulla mia imbecillità è talmente lampante che non tenta nemmeno più di celarla sotto la decenza dell’educazione.

    Quello che non sa e che in questi ultimi anni mia figlia l’ho conosciuta a fondo e so benissimo che ha ereditato il fegato soprannaturale di sua madre che le permette di bere ben oltre quello che si è concessa questa sera e che gli occhi assonnati e pesanti che offre al pubblico, sono solo un’abile messinscena.

    «Quindi» riprendo giusto per sintetizzare i discorsi fatti, «Blanche aveva già iniziato vent’anni fa a compiere per voi viaggi temporali, ma poi a un certo punto è sparita. E da quel momento in poi non avete avuto più sue notizie sino ad un misterioso S.O.S. che vi è pervenuto tre giorni fa, dove dichiarava di essere in pericolo e di avere immediata necessità di soccorso?»

    «Esattamente Barbaro! Hai afferrato la situazione!»

    «E come possiamo aiutare una strega Danhabiana scomparsa nelle nebbie del tempo?»

    Domando accompagnando il tutto con un ulteriore sorso di grappa.

    La risposta è troppo veloce.

    «Tu non puoi, ma...»

    E gli occhi del bastardo si posano su Megan.

    Un’altra cosa che i nostri due amici non sanno e che, se Blanche ha sempre avuto la capacità di leggermi nel pensiero con estrema facilità, Megan ha dimostrato più volte di essere direttamente collegata con le mie sinapsi, e se la cosa risulta il più delle volte fastidiosa, soprattutto per un padre, in certe occasioni è sicuramente d’aiuto.

    Così, quando colpisco con un calcio la sedia che ho davanti, mandando Sergio direttamente sul pavimento, non mi devo preoccupare d’altro che affrettarmi a sfilargli la pistola laser che porta al fianco e a puntargliela tra gli occhi.

    Poi, dopo essermi accertato dal suo sguardo allibito che abbia ben afferrato la situazione, mi volto a guardare il tenente.

    Il poveraccio è steso sul pavimento, con Megan che, comodamente seduta a cavalcioni della sua gola, sta giocherellando con l’arma del poliziotto con l’espressione di una ragazzina la notte di Natale.

    «Che diavolo stavate aspettando?»

    Adele si è nel frattempo alzata con calma dalla sua sedia e punta dritta verso la cucina, ma solo per ricomparire quasi immediatamente reggendo tra le mani delle lunghe fascette di plastica.

    «Greco li avrebbe già strozzati un’ora fa, siete troppo accondiscendenti!»

    Il tenente tenta di divincolarsi, ma la morsa delle cosce di Megan ai lati della sua testa lo fa immediatamente desistere; così tre minuti dopo i due uomini sono nuovamente sulle loro sedie, con braccia e gambe saldamente bloccate e l’espressione furibonda sul volto.

    «Liberaci immediatamente! È un ordine! Non hai idea del casino in cui ti sei messo!»

    «Ne ho visti di peggiori, credimi!» Mormoro facendo spallucce.

    «Questa la pagherai! Ma almeno pensa alle donne! Ad Adele per esempio! Tua figlia sembra essere pazza come te, ma non puoi mettere nei guai la donna di quello che è stato il tuo migliore amico.»

    «Piantala e dimmi dov’è Blanche!»

    «Non lo so! Devi credermi!»

    Il tacco di Megan lo colpisce esattamente sotto il ginocchio.

    «Ti ho già avvertito una volta...»

    Le lacrime che riempiono gli occhi del giovanotto sono l’unica cosa autentica in tutta la serata.

    «Adele! Li faccia ragionare! Vi state cacciando in un guaio colossale... lei sa che tipo di gente ho alle spalle! Glielo dica lei che non si può scherzare con loro!»

    La donna si volta a fissarlo perplessa, poi mi indica con la testa la porta della piccola cucina.

    «Sul bancone c’è il macina carne elettrico, se gli tappi la bocca con uno straccio non lo sente nessuno, qualche dito in meno non farà questa gran differenza... l’aveva già sperimentato ai suoi tempi Greco un paio di volte, non ci si mette poi neanche molto a pulire.»

    Valerio è ammutolito di colpo, completamente incredulo, ma quando poi vede Adele afferrare un grande grembiule cerato, sbianca in volto.

    «Non dirà mica sul serio, vero? Sono un poliziotto! Non può torturarmi!!»

    «E chi tortura tesoro? Tu volevi solamente aiutarmi e sei finito con le dita dentro quell’aggeggio, non è colpa mia se sei sbadato, ma d’altronde non è certamente il tuo mestiere e aiutare una povera vedova è stato veramente un gesto premuroso... anche se avventato.»

    Guardo le gocce di sudore che scivolano sul collo dell’altro poliziotto.

    «Non temere Sergio, solo nei film i cattivi se la prendono prima con i tirapiedi, noi andiamo direttamente al sodo e vedrai che il tenente incomincerà presto a cantare, e dal momento che non penso che avrà molta voglia di dilungarsi nei discorsi, il tuo compito sarà solo quello di spiegarci nei dettagli quello che lui dirà, così oltretutto non dovrai neanche rivelare cose che il tuo superiore non abbia già messo sul tavolo. Non vorremmo mai che ti dovessi trovare a passare un guaio per colpa nostra.»

    Poi faccio un cenno a Megan e con perfetta sincronia afferriamo Valerio per le spalle.

    Venti minuti dopo incominciamo ad avere un quadro più completo della situazione.

    Il tenente non aveva mentito riguardo all’incomprensibile arresto dei viaggi temporali, nulla negli ultimi vent’anni anni aveva più funzionato, dalle odierne navi temporali ai primi prototipi che la sezione speciale della Space Agency gestiva ormai da moltissimo tempo.

    E anche il coinvolgimento di Blanche e delle sue consorelle Danhabiane sembrava plausibile, solo che Blanche non era stata ingaggiata, ma si era offerta volontaria nel timore che ulteriori pericoli potessero incombere ancora sulle nostre teste.

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