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20 Racconti
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E-book110 pagine1 ora

20 Racconti

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Info su questo ebook

“20 Racconti” è il mio primo libro e spero non l’ultimo, che raccoglie 20 veloci ed avvincenti storie dal finale sempre inaspettato. Se avete gradito la lettura, fatelo conoscere a tutti i vostri parenti, amici, colleghi e a chiunque conosciate a cui piaccia leggere.

LinguaItaliano
Data di uscita14 mag 2015
ISBN9781311369598
20 Racconti
Autore

Massimo Paternostro

Massimo Paternostro, nato nel 1973 a Chioggia, cittadina di mare vicino a Venezia. Informatico di lavoro e scrittore per passione. Da sempre sono un amante dei viaggi, che mi permettono di incontrare nuove persone e conoscere i diversi modi di pensare e vedere il mondo in cui viviamo. Coltivo la passione per la lettura fin da piccolo, ed i vecchi libri di fantascienza e fantasy dal 1900 agli anni settanta sono i miei prediletti.Contatti: patermax@hotmail.com

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    Anteprima del libro

    20 Racconti - Massimo Paternostro

    Tutte le notti alle due. Puntuale. Eccolo che arriva. Passeggia con falsa tranquillità, guardando a destra e sinistra, senza soffermare lo sguardo su nulla, indifferente, annoiato, altezzoso.

    Sto nascosto. Non voglio che mi veda. Attendo rintanato nel buio tutte le notti, con ansia, timore, desiderio. I venti minuti che lui impiega a passare su questa strada sono diventati la ragione della mia vita. Lo osservo ed immagino i stupendi luoghi da dove proviene e dov’è passato per giungere fino davanti ai miei occhi, per poi, superandomi, visitare e scoprire nuovi posti ed affrontare chissà quali avventure, scoperte, paure.

    È perfetto. Elegante. Agile. Si muove sempre nell’ombra, fuggendo dalle pozze di luce dei radi lampioni. Io mi sposto lento da dietro il cespuglio ai bidoni dell’immondizia. Voglio continuare ad osservare la sua pigra andatura, gli scatti, gli indugi.

    Si ferma all’improvviso. Il cuore mi balza in gola, ho fatto rumore? Mi ha visto? Ho rovinato tutto?

    Si gira scrutando nella mia direzione. Il cuore mi pulsa nelle orecchie. Ma non guarda me, sta solo valutando la situazione, e con un balzo si porta sotto la pensilina della fermata del filobus. In controluce dei lampioni vedo le prime gocce di pioggia cadere. Lui si siede, si rannicchia, sbuffa. Le gocce s’ingrossano, mi bagnano, mi calmano. Chissà a cosa pensa. Alla sua casa, i suoi amici, a quello che ha fatto o che farà. Lo ammiro e lo disprezzo al contempo. Non piove già più. In questa notte d’estate, le poche gocce cadute, sono evaporate all’istante, lasciando strade e marciapiedi asciutti, e l’aria con un po’ più di umidità. Scende e ricomincia la sua inconfondibile camminata felpata, morbida, silenziosa. È arrivato alla fine della via, tra un po’ sparirà dietro l’angolo, e con lui svaniranno i miei sogni, speranze, desideri. Un’esitazione. Si gira, torna indietro. Un sorriso, felicità, palpitazioni salgono in me. Esamina e pondera ogni passo, movimento, espressione. Cerca qualcosa. Se ne dimentica e se ne va, dissolvendosi nell’ombra. Lasciandomi qui di nuovo da solo. Da solo con l’ansiosa speranza del suo ritorno domani notte. Puntuale, alla medesima ora.

    Nel mio caso il modo di dire è proprio azzeccato. Io, che posso camminare solo avanti ed indietro in questo sporco e stretto lembo di terra chiamato giardino. Obbligato a vedere una sola fetta di mondo tra le maglie della recinzione, immagino in ogni momento come sarebbe la vita lì fuori. Sì fuori, libero di scorrazzare con i miei simili, e, perché no, di rincorrere per sconosciute vie della città, quel gatto che mi fa agitare, sbavare e ringhiare, ma che dà senso alla mia vita facendomi sognare ad occhi aperti.

    Torna all’Indice

    2 - ETERNA FUGA

    È sicuro che non le posso offrire un caffè? chiesi al tecnico che ormai già s’avviava verso la porta d’uscita.

    No? …sicuro? insistei, allora arrivederci e grazie dissi, chiudendo la porta alle spalle del taciturno tecnico che ormai spariva giù in fondo alla scala.

    Giratomi su me stesso, con le spalle piantate alla porta e con il falso sorriso gentile che svaniva dal mio viso, contemplai l’intera unica stanza del mio piccolo appartamento. Alla mia destra il divano-letto, ancora aperto, implorava d’essere riassettato e chiuso, come pure l’armadio, ma dato che tra un po’ sarebbe stata ora di cena e poi da lì a poco sarebbe stato riutilizzato, perché fare un tale sforzo? Dalla singola grande finestra frontale non entrava mai un po’ di luce, bensì solo e sempre l’ombra del palazzo che si ergeva a pochi metri di distanza, ma almeno non mi sembrava di vivere in un bunker. Alla destra della finestra s’apriva, scassata e scrostata, la porta del bagno. Spostando lo sguardo sulla parete sinistra, in modo non meno ordinato della zona letto, il tavolo da pranzo era appoggiato alla piccola cucina, che una volta doveva essere stata d’un bel color argento lucido, ma che ora mostrava solo i segni di vecchie incrostature di cibo.

    Però il mio occhio era attratto da quel lungo e nuovo filo nero che, partendo da un recente foro in basso a destra della porta d’ingresso, si snodava lungo il pavimento come un serpente, e strisciante, s’avvinghiava lungo la gamba di un basso tavolino di legno, e lì, nel centro della stanza, nel posto d’onore, poggiava il nuovo telefono.

    Di per se stesso, quel semplice telefono, non aveva nulla d’interessante, ma per me era un traguardo, un obbiettivo che fin d’ora, negl’ultimi anni, non avevo mai raggiunto. Si certo, c’ero andato vicino una volta, se conto il primo alloggio circa tre anni prima, ma la prima volta ti lasciano tranquillo per più tempo, vogliono farti sentire sicuro, rilassato, e poi ti piombano sopra come falchi su indifesi topi di campagna. Tuttavia ora ce l’avevo fatta, erano ormai sei mesi esatti che abitavo lì, in quell’anonima città, in quel palazzo di periferia industriale, in quel sudicio alloggio, e nessuna busta rossa era arrivata, quindi credevo, anzi speravo, di potermelo permettere.

    Feci due passi in avanti, per ammirare più da vicino quel simbolo di libertà riconquistata chiamata telefono. Uno squillo improvviso mi fece irrigidire. Mille domande mi turbinavano nella mente. Ero stato imprudente? ….mi avevano trovato? …ma perché telefonarmi? …perché non irrompere nella stanza? …e soprattutto, perché non avvisarmi prima nel tradizionale modo?

    Un secondo squillo mi destò. Facendomi forza alzai la cornetta con fermezza, ed ancora prima che potessi parlare, una voce gentile, di donna, disse Buongiorno Signor Rossi, la chiamavo per verificare la linea, grazie di aver scelto la nostra compagnia, arrivederci. Con calma abbassai la cornetta, e, ormai totalmente rilassato, andai a prepararmi per uscire. Di fronte allo specchio mi accarezzai il mento, sentendo la barba incolta di due giorni, e con le dita seguii la corta cicatrice sulla guancia destra. La mente mi riportò alla nera foresta, dove il panico e la corsa furibonda mi fecero cadere su quell’aguzzo ramo, ed

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