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Olle
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E-book94 pagine59 minuti

Olle

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Info su questo ebook

Se hai un cane parlante devi fare attenzione con le altre persone. Perché loro non ci credono, pensano che tu sia matto.
Guus Kuijer ci racconta la storia vera del suo amatissimo Olle: un cane speciale, che non solo sa parlare ma si impiccia delle faccende umane, così dolce da aver paura di far male persino a una paperella di gomma, sempre curioso di capire come funziona il mondo.
Una grande amicizia, che farà ridere e commuovere chiunque sappia cosa significa voler bene a un animale.
LinguaItaliano
Data di uscita2 feb 2024
ISBN9791254640784
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    Anteprima del libro

    Olle - Guus Kuijer

    Olle

    Comprammo Olle quando aveva tre mesi. Adesso ha tredici anni. Quando hai un cane da così tanto tempo ti dimentichi che l’hai comprato, ti sembra che ci sia sempre stato. Adesso è vecchio e la sua fine si avvicina. Scrivo questo libro perché non voglio che muoia.

    Olle è sempre stato un cane bizzarro. Quando lo chiamavi, si sedeva davanti a te e ti guardava dritto negli occhi. È una cosa singolare, la maggior parte dei cani ti fissa la fronte o il naso. Lui ti guardava negli occhi finché non gli dicevi cosa volevi.

    Il tono con cui le persone si rivolgono ai cani non gli piaceva. Se gli dicevi: «A terra!» o: «Seduto!» non ubbidiva. Ma se dicevi: «Mettiti comodo, ragazzo, se no ti stanchi», allora si stendeva subito.

    Se volevi entrare in un negozio e dicevi:

    «Resta!» lui abbaiava furioso, saltava contro la porta o entrava con un altro cliente. Bisognava fargli un discorso, più o meno così: «Sta’ a sentire, Olle, qua i cani non possono entrare. Devi aspettare un attimo fuori, io torno subito». Allora lui rimaneva fuori e aspettava paziente.

    Quando andavamo a dormire non dovevamo dire: «Nella cesta!», o continuava a guaire e a fare confusione. Bisognava dirgli:

    «Mettiti a dormire adesso, Olle. Buona notte». E lui si acciambellava nella sua cesta e dormiva come un ghiro.

    Addestramento

    Io e Olle stavamo passeggiando in un bosco. Sentimmo gridare e abbaiare. Olle tese le orecchie e annusò l’aria.

    Arrivammo a uno spiazzo aperto. C’era un piccolo campo sportivo recintato col filo spinato. Sul campo vidi delle misteriose costruzioni: uno steccato, un ponte e una torre di legno. C’erano alcuni uomini con dei cani alla catena. Gli uomini gridavano ordini. Se un cane non ubbidiva subito, sbraitavano ancora più forte e strattonavano la catena. Il cane si rannicchiava tremante e guardava impaurito il padrone, la lingua a penzoloni. «Bravo» gli diceva allora quello, soddisfatto.

    Un uomo si avvicinò a me e a Olle. Non aveva un cane, ma un frustino con cui si dava dei colpetti sui pantaloni in pelle.

    Si fermò davanti al filo spinato e mi guardò. «Bello, no?» chiese.

    «Sì» risposi. «Niente male».

    «È un duro lavoro» annuì, «ma ti ripaga». Guardò Olle.

    «Bella bestia» commentò. «Più da compagnia, no?»

    «Sì, sì» feci io.

    «Ubbidienza incondizionata» continuò l’uomo, «tutto qua».

    «Posso guardare da vicino?» chiesi. Acconsentì.

    L’uomo con il frustino ci fece strada fino al cancello, poi ci dirigemmo insieme alla torre di legno. Era alta più o meno tre metri. Una ripida scala portava a una piattaforma, e all’altro lato della piattaforma era appoggiato un grosso tronco d’albero. Accanto alla scala c’era un tizio con un cane. Il cane doveva inerpicarsi su per la scala, sedersi sulla piattaforma e poi scendere lungo il tronco.

    Il cane non aveva il coraggio di salire sulla scala. L’uomo lo tirò su e gli poggiò le zampe anteriori sul quarto piolo. Il cane era quasi in posizione eretta. Le zampe posteriori gli tremavano.

    A quel punto l’uomo ne afferrò una e la mise sul piolo più basso.

    «Muoviti, Hector!» sbraitò. «Sali!»

    Ma Hector non saliva. Guaiva per la paura.

    «Forza, Hector! Sali!» strillò l’uomo.

    Afferrò la zampa anteriore destra di Hector e la spostò un piolo più in su. Poi mise sulla scala la seconda zampa posteriore. Ora il cane era sospeso, tremante, per aria. Gettò la testa all’indietro ed emise un guaito straziante. E poi fece pipì. Un misero zampillo, esattamente tra due pioli.

    Il padrone mi gettò un’occhiata imbarazzata e diventò rosso come un peperone.

    «Vieni giù» ringhiò.

    Hector saltò a terra sollevato e si avvicinò mugolando al padrone, ma quello fece finta di non vederlo.

    «Questa è una delle parti più dure» spiegò l’uomo con il frustino. «Alcuni cani non imparano mai». Mi guardò beffardo. «Vuole mica provare col suo?»

    «No, certo che no» dissi io.

    «Perché no?» esclamò il padrone di Hector. Il suo viso si illuminò.

    Mi sentivo un infame, ma non riuscii a resistere alla tentazione. Fischiai. Olle si alzò e venne tranquillo verso di me.

    Nel tragitto rallentò per annusare un ciuffo d’erba, osservò un uccello che passava, si fermò per grattarsi un orecchio, ma alla fine arrivò davanti a me e mi guardò negli occhi. Non osai ricambiare lo sguardo.

    «C’è una cosa, Olle» dissi timidamente.

    «Lo vedi quell’affare lì?» e indicai la torre. Olle la guardò. «Vogliono che tu ti arrampichi sulla scala fino in cima e scenda per quel tronco d’albero. Lo vedi?»

    Olle osservò la scala, la piattaforma e il tronco. Poi guardò me, un po’ triste, credo. «Così quella bestia non capisce niente» fece irritato l’uomo con il frustino.

    «Se non vuoi torniamo a casa» continuai. Suonava falso, perché avrei tanto voluto che Olle ci riuscisse. Speravo ardentemente che non mi facesse fare una figuraccia.

    Olle si avvicinò alla scala e guardò su.

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