Tutto sopra un Waffle
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Trova accoglienza e rifugio nella cucina del ristorante locale, dove la proprietaria, Miss Bowzer, dispensa consigli, pillole di buon senso e cibo.
L’importante è che tutto sia servito su un waffle!
Una storia meravigliosa su come anche in mezzo alla tristezza può irrompere la gioia.
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Anteprima del libro
Tutto sopra un Waffle - Polly Horvath
I miei genitori sono dispersi in mare
Abito a Coal Harbour (nella Columbia Britannica, in Canada) da quando sono nata. Mi chiamo Primrose Squarp e ho undici anni. Ho i capelli color carote in salsa di albicocche (segue ricetta), la pelle chiara nei punti in cui non ci sono lentiggini e gli occhi come temporali estivi. In un giorno di giugno, dal mare si alzò un tifone che faceva cadere la pioggia quasi orizzontalmente contro casa nostra. Papà non era ancora tornato con il peschereccio e mamma, che non era il tipo da starsene con le mani in mano, si mise l’impermeabile giallo e un cappello e mi portò dalla vicina dicendo: «Miss Perfidy, John è là fuori da qualche parte e non so se il suo peschereccio riesce a raggiungere la riva, quindi vado a cercarlo con la barca a vela».
Be’, una persona di buon senso forse avrebbe detto a mia madre che se un peschereccio non riusciva a superare quelle onde, di certo non ci sarebbe riuscita neanche la nostra barchetta.
Tuttavia Miss Perfidy non era una che perdeva tempo in chiacchiere inutili. Annuì e basta.
E quella fu l’ultima volta che vidi mamma.
Il peschereccio non tornò mai a riva, e nemmeno la barca a vela. Così per tutto giugno continuai a stare da Miss Perfidy. Ci fu una commemorazione per i miei genitori, ma io mi rifiutai di andarci. Sapevo che mamma e papà non erano annegati. Sospettavo che il mare li avesse spinti su qualche isola e che loro stessero aspettando di essere salvati. Ogni mattina andavo giù al molo a guardare le barche che arrivavano, sicura che avrei visto i miei genitori trainati a riva, o magari in groppa a una balena. «Non so cosa significa la storia di Giona secondo lei, Miss Perfidy» dissi. «Per me parla di quanto è pieno di speranza il cuore umano. Sono sicura che i miei genitori, anche se non sono nella pancia di una balena, si stanno chiedendo come sto e stanno cercando di tornare a casa da me!» Gridai le ultime parole nella direzione in cui era andata Miss Perfidy. Spesso si allontanava a grandi passi mentre io ero a metà frase. Questo non mi incoraggiava molto a confidarmi con lei. Non mi davano fastidio le fughe di Miss Perfidy, ma non sopportavo il suo odore di naftalina, che non era mai soffocante, eppure le aleggiava intorno come una lieve nebbia. Sbucavano palline di naftalina da ogni cassetto di casa sua. Non riuscivo a capire perché sembrasse che Miss Perfidy fosse l’unica persona in paese ad avere un problema così grosso con le tarme. Un giorno tirai fuori una scatola e lessi le istruzioni.
«Senta, Miss Perfidy» dissi «è possibile che lei abbia capito male le indicazioni? Mi pare che usi davvero tantissima naftalina». Miss Perfidy però era già uscita dalla stanza.
E poi comunque non erano affari miei. Finché non si fosse deciso cosa fare di me, il consiglio comunale avrebbe continuato a pagare a Miss Perfidy la sua solita tariffa da baby-sitter, ovvero tre dollari all’ora, prendendoli da quello che ufficialmente chiamavano il fondo Squarp
e che io chiamavo il conto in banca dei miei genitori
. Ci stavano mettendo un sacco a decidersi, perché i miei non avevano fatto testamento e non si erano organizzati in anticipo prima del giorno in cui entrambi erano scomparsi in mare. Perfino io, però, capivo che a tre dollari all’ora non sarei potuta restare a lungo da Miss Perfidy.
Un membro del consiglio obiettò che tre dollari all’ora erano tanti da dare a una baby-sitter per le infinite ore notturne in cui io dormivo e Miss Perfidy russava nel suo letto, ma era inutile discutere con lei. Non cedeva mai di un centesimo. A Coal Harbour si poteva fare il pescatore o il baleniere o arruolarsi nella Marina militare. Chi non pescava, non arpionava balene e non si occupava di imprese navali faceva quello che poteva per arrivare a fine mese, quindi Miss Perfidy era risparmiosa per necessità. Quando le cose erano diventate impossibili da gestire, qualche anno prima, aveva venduto la sua casina per comprarne una ancora più piccola. Prima di lasciare la casina, aveva estratto a uno a uno tutti i bulbi dei fiori – tulipani, giunchiglie, crochi – e, visto che non era una vera cafona, aveva ricoperto di terra tutti i buchi con cura. Quando l’agente immobiliare l’aveva scoperto, era piombato lì come un fulmine. «Miss Perfidy» aveva detto. «Non può fare così. La gente si aspetta che lasci qui i fiori». Lei però aveva risposto che aveva comprato e piantato ciascun bulbo e se li sarebbe ripresi tutti, e a proposito di cose a forma di bulbo, avrebbe svitato e portato via tutte le lampadine. Per l’amor del cielo, gli aveva chiesto, voleva anche che lasciasse i suoi vestiti per i nuovi proprietari? Verso l’inizio di agosto, quando il consiglio comunale finalmente decise di convocare una riunione per discutere del mio destino, mandò Miss Honeycut, la consulente scolastica, a scortare me e Miss Perfidy. Anche se non si avvicinava minimamente a una psicologa, Miss Honeycut era la figura che più vi somigliasse che avevamo a Coal Harbour. Tutti sapevano che Miss Honeycut era figlia di nobili inglesi e avrebbe ereditato metà dello Yorkshire alla morte del padre, il quale intanto, a ottantatré anni, continuava a tener duro. I nostri concittadini erano sempre gentilissimi con lei perché speravano che magari un giorno si sarebbe ricordata di loro nel testamento. O almeno che li avrebbe invitati a visitare la sua residenza nello Yorkshire quando finalmente l’avesse avuta tra le grinfie. Solo mia madre aveva sempre evitato Miss Honeycut. Diceva che, nonostante tutta la sua esperienza del mondo, era una persona noiosissima. Che parlava solo per aneddoti e non riusciva a conversare come la gente normale, e che era bloccata dall’altra parte del mondo perché era riuscita a trovare lavoro unicamente a Coal Harbour, e solo perché suo padre conosceva il preside della scuola elementare locale.
Io però avrei voluto ascoltare più cose sui posti dov’era stata Miss Honeycut e su quello che aveva visto. Mi ricordavo che aveva detto a mia madre di aver imparato a giocare a bridge da piccola su un treno che attraversava la Cina. Non mi sembrava giusto che alla mia età avesse già imparato più cose sul mondo di quelle che forse avrei avuto l’opportunità di imparare io in tutta la vita.
Quando Miss Honeycut arrivò alla porta, io e Miss Perfidy eravamo pronte. Miss Perfidy si era messa un vecchissimo completo di tweed e portava una borsetta nera in vera pelle sull’avambraccio. Miss Perfidy sapeva che nessuno avrebbe voluto discutere con una persona vestita come la Regina d’Inghilterra, e questo le dava un vantaggio. Non era mai contenta se non partiva in vantaggio. Purtroppo non lo era neanche Miss Honeycut, che guardò Miss Perfidy come se un tonno fosse appena morto ai suoi piedi.
Per tutto il tragitto verso la riunione, Miss Honeycut continuò a ripetere quanto le dispiaceva che i miei genitori fossero morti, calcando forte la voce sulla parola morti
, finché non le spiegai che doveva essersi sbagliata e che a me stava bene aspettare il ritorno dei miei, a prescindere dal tempo necessario. Miss Honeycut disse che era un atteggiamento per nulla realistico e che dovevo pensare al mio futuro. Miss Perfidy non disse nulla per tutto il percorso, ma sbuffò con disapprovazione nei confronti di entrambe.
Nella sala della riunione ci sedemmo davanti, aspettando che arrivassero gli altri. Miss Perfidy continuava a tirare su con il naso. Lo faceva così forte che la gente nelle file davanti e dietro di lei cominciò a imitarla per capire che odore sentisse. Ben presto tutti presero a tirare su con il naso. «Hanno tutti il raffreddore» borbottò Miss Perfidy, girandosi verso di me e guardandomi con aria accusatoria. «Una grande folla stipata in una saletta. Adesso ci ammaleremo tutti».
Non sapevo cosa dire, quindi abbassai lo sguardo, poi tirai fuori il blocco note di mia madre, che tenevo nella tasca posteriore.
Le era caduto dall’impermeabile quando mi aveva lasciata da Miss Perfidy. Non c’era molto dentro, solo la sua ricetta per le carote in salsa di albicocche e una vecchia lista della spesa.
Le altre pagine erano bianche. Lessi e rilessi la ricetta mentre aspettavamo che iniziasse la riunione.
Quando l’ultima persona fu entrata, tirando su con il naso come gli altri, Miss Honeycut diede inizio alla riunione dicendo che il conto in banca dei miei genitori si stava esaurendo e, per quanto a lei paresse una soluzione imperfetta mandarmi a vivere con un parente che nemmeno conoscevo, il consiglio doveva cercare di convocare il membro della famiglia più prossimo a me, Mr Jack Dion, perché, dopo tutto quel tempo, era l’unico parente su cui avevano trovato qualche informazione e nessun altro si era offerto di prendermi in casa. Be’, buona fortuna
pensai, perché l’unica volta che mia madre mi aveva parlato dello zio Jack, suo fratello, aveva detto che era un vagabondo. Lo chiamava Jack la trottola
.
Miss Honeycut aveva scoperto che adesso era nella Marina, di stanza esattamente all’altro capo del Paese, a Halifax, nella Nuova Scozia. Pensai che sarebbe stato un miracolo se fosse finito a Coal Harbour, eppure fu esattamente quello che successe. Dopo la riunione, il consiglio contattò lo zio Jack in mare e lui disse che non poteva venire, ma subito dopo la Marina cambiò tutte le assegnazioni e lui fu mandato proprio alla base di Coal Harbour, cosa che il consiglio trovò estremamente propizia perché così Jack poteva occuparsi di questo caos, ovvero di me.
Appena lo zio Jack arrivò, lo spedirono a una riunione del consiglio comunale. Quando lo zio, che era alto, biondo, abbronzato,