Tess e la settimana più folle della mia vita
Di Anna Wolz e Regina Kehn
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Vincitore del Premio di Cento 2022 (sezione scuola primaria)
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Anteprima del libro
Tess e la settimana più folle della mia vita - Anna Wolz
Ringraziamenti
Titolo originale:
Mijn bijzonder rare week met Tess
© 2013 by Anna Woltz
Edizione originale pubblicata da Em. Querido's Uitgeverij, Amsterdam 2013
All rights reserved
Per l’edizione italiana:
© 2020 Beisler Editore s.r.l.
Via del Forte Bravetta 100 - 00164 Roma
Tutti i diritti riservati
Questo libro è stato pubblicato con il sostegno
della Dutch Foundation for Literature
Finito di stampare nel mese di settembre 2020
presso Fine Tone LTD, Bulgaria
Printed in EU
ISBN 978-88-7459-077-3
La versione audio è stata registrata presso Studiocolosseo, voce narrante di Daniele Di Matteo
Per Jefta
Per Jefta, il cane più buono del mondo 2001-2012
01
Sapevo che sarebbe successo.
La felpa rossa di papà e la mia a righe facevano da porta. Il sole ci batteva sulle braccia e pure il vento, di nascosto, giocava con noi. Continuai a correre finché non ce la feci più e mi fermai senza fiato.
In lontananza vidi Jorre camminare. Non faceva niente, vagava per la spiaggia deserta bello tranquillo, guardando per aria. Con gli occhi rivolti alle nuvole candide che passavano sopra l'isola. Come se di anni ne avesse quaranta invece di dodici.
«Samuel!», mi urlò papà. «Dai, siamo nel pieno della partita!»
«Sì-ì», gli gridai in risposta. Ma rimasi fermo.
Sentivo la sabbia asciutta salire tra le dita dei piedi. Ero come una clessidra che funzionava al contrario: mi bastava muovere ancora un po' le dita per guadagnare un altro paio di minuti.
«Samuel!», urlò di nuovo papà. Guardai un'altra volta verso Jorre e poi successe. Lui fece per posare a terra il piede, ma dove avrebbe dovuto esserci sabbia, c'era soltanto aria. Roteando le braccia precipitò in una gigantesca buca.
Uno spettacolo. Ma solo per un attimo, perché poi mio fratello iniziò a strillare. Ero già pronto a scoppiare in una risata, ma lasciai subito perdere. Il vento fischiava e le onde sciabordavano, ma le grida di Jorre sovrastavano tutto. Mi fecero raggelare il sangue. Sembrava un animale. Io e papà scattammo nello stesso istante. Corremmo il più velocemente possibile attraverso la sabbia molle. Non riuscivamo nemmeno più a vedere Jorre, era come se fosse stato inghiottito dal suolo.
«Jor!», chiamai.
«Stiamo arrivando!», urlò papà.
Ci ritrovammo sul bordo della buca. Mio fratello era in fondo, che si stringeva una gamba. Aveva il volto contratto e i capelli che gli pendevano davanti agli occhi.
Tutto quello che nelle settimane passate mi aveva così irritato di lui, era svanito. Quando ci vide, smise di urlare. Ansimando guardò papà.
«Ho sentito un crac», disse, «dopo che sono precipitato. C'è stato un crac.»
Mi venne un brivido. Erano i primi di maggio, troppo freddo per stare a maniche corte su una spiaggia ventosa. Papà si lasciò scivolare giù nella buca. Quando si raddrizzò, la sabbia gli arrivava fin quasi alla vita. Soltanto un'altra volta avevo visto una buca tanto profonda. Era stato tre settimane prima, per cui me lo ricordavo ancora con precisione. Tutta la mia classe aveva potuto buttarci dentro dei petali di rosa bianca. A manciate. Avevo temuto che i petali potessero finire, quando sarebbe arrivato il mio turno, ma ce n’era comunque un cestino di riserva, e io fui il primo a potermi servire da quello.
Papà s'inginocchiò accanto a Jorre e sfilò i pantaloni dalla gamba che aveva fatto crac. «Attenzione!», urlai.
Mio fratello non disse niente.
«Gli fai male!», gridai. Non osavo avvicinarmi troppo al bordo della buca. Di sicuro dopo poco la parete sarebbe crollata.
Papà slacciò le scarpe di Jorre e vidi che mio fratello ebbe un sussulto. Ma continuava a non dire niente.
«Dammi il tuo telefono», dissi a papà. «Chiamo il 112. Devono mandare un'ambulanza alla spiaggia.»
«Non agitarti così», replicò lui.
«Sente dolore! Lo vedi, no? Anche se non dice niente, è ovvio che deve andare in ospedale.»
Papà annuì.
«Andiamo dal dottore.»
«Ma non è in grado di camminare.»
«Lo porto io fino alla macchina e poi andiamo in paese», rispose papà.
«Sei pazzo!», esclamai arrabbiato. «Di sicuro inciamperai, le sue ossa si sposteranno e lui non sarà mai più in grado di camminare. Oppure diventerà zoppo e non riuscirà mai a trovare una ragazza...»
«Vuoi tapparti un po' quella bocca!», mi zittì improvvisamente Jorre. Si spostò i capelli dagli occhi e mi fissò. Era tornato a essere di nuovo Jorre. Quello stupido delle ultime settimane. «Mi fa già abbastanza male, non ho certo bisogno di sentire anche le tue strilla da moccioso nelle orecchie!»
Feci un passo indietro. Osservai in silenzio papà prenderlo sotto le ascelle e sollevarlo. Il viso di Jorre era pallido e vidi che stava stringendo i denti. Ma non disse niente, e allora capii che anch'io dovevo tenere la bocca chiusa.
Non potevo urlare per lui. Non potevo chiamare l'ambulanza. Quando sono nato mio fratello era già in vantaggio di due anni. Eravamo partiti malissimo, ma nessuno aveva detto: si riparte.
Mi chinai e raccolsi un paio di conchiglie bianche dalla sabbia. Le lanciai una dopo l’altra nella buca. L'ultima colpì la testa di Jorre.
02
Tornai indietro a recuperare le nostre felpe, mentre papà tirava Jorre fuori dalla buca. Se lo caricò in spalla e attraversò barcollando la spiaggia. A ogni passo mio padre ansimava e mio fratello gemeva. Insieme sembravano fare il verso di un vecchio dinosauro.
In macchina mi lasciarono sedere davanti, perché a Jorre serviva tutto il sedile posteriore. La sera prima eravamo arrivati che era già tardi e in realtà non avevamo ancora idea di dove fossimo. La nostra casa verde delle vacanze era nascosta tra le dune. Ma per trovare un dottore si doveva sicuramente andare in paese.
Passammo davanti a negozi pieni di secchielli di plastica colorati e delfini gonfiabili; davanti a bar affollati, carretti dei gelati grondanti e bandiere sventolanti. Ogni tanto mi voltavo verso mio fratello. Guardavo la sua gamba e provavo a immaginare come si sentisse. Dentro, tra i muscoli e il sangue pulsante.
«Che pensi?», gli chiesi. «È il dolore peggiore che tu abbia mai provato?»
«Il fatto che tu pensi in continuazione non significa che facciamo tutti così», mi rispose.
Proprio in fondo al paese trovammo un ambulatorio. Era dentro un edificio basso e grigio che non sapeva affatto di vacanza. Papà ci lasciò in macchina ed entrò da solo.
Guardai l'ora. Dopo tre minuti e quindici secondi arrivò con una sedia a rotelle.
«Uff!», disse con il fiato corto. «L'infermiera è proprio una strega, sapete? Per poco non mi ha staccato il naso con un morso, perché non abbiamo telefonato per prendere un appuntamento. Adesso dobbiamo aspettare finché il dottore non avrà tempo per noi.»
«Ma Jorre sta male!», esclamai. «Non resteremo mica a casa in attesa di ricevere un appuntamento!»
Papà alzò le spalle.
«Quella donna è abituata alle persone che soffrono. Se non sei proprio moribondo, ci vuole l'appuntamento.»
Aiutò Jorre a uscire dall'auto e a sistemarsi sulla sedia a rotelle.
«Posso spingerlo io?», chiesi all'improvviso.
Papà esitò.
«Farò attenzione», assicurai. «Davvero. Lo so che non è un carrello della spesa!»
Jorre sogghignò per un attimo. Non troppo, ovviamente, perché aveva dolore.
«Ehm», fece mio padre. Spostò lo sguardo da mio fratello a me.
«Per fortuna la mamma non mi ha mai raccontato quello che combinate con i carrelli della spesa.»
Si fece da parte.
«Okay, a patto che tu non vada troppo veloce.»
Era faticoso andare dritti con la sedia a rotelle, ma non urtai praticamente niente.
La severa infermiera non sembrava tanto entusiasta che fossi io a spingere mio fratello. Aveva i capelli biondi tagliati corti, le labbra rosso acceso e gesticolava come un vigile urbano.
«Da quella parte! E fate attenzione agli stipiti della porta, che è verniciata di fresco.»
La grande sala d'aspetto era piena di gente dall'aria sanissima.
Portavano calzoni corti e infradito a fiori. Parcheggiai Jorre vicino a un tavolo con dei Lego e mi andai a sedere accanto a papà sulla panchina dura. Sulla parete di fronte a noi erano appese fotografie di sette tipi diversi di erba che cresce sulle dune. C'era odore di cerotto.
Cercai di guardare le altre persone senza farmi notare, perché volevo sapere cosa avessero. Come mai erano dal dottore mentre fuori splendeva il sole? Non sembravano avere niente, eppure erano qui.
Senza volerlo