Le avventure di Pinocchio
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Carlo Collodi
Carlo Collodi (1826–1890), born Carlo Lorenzini, was an Italian author who originally studied theology before embarking on a writing career. He started as a journalist contributing to both local and national periodicals. He produced reviews as well as satirical pieces influenced by contemporary political and cultural events. After many years, Collodi, looking for a change of pace, shifted to children’s literature. It was an inspired choice that led to the creation of his most famous work—The Adventures of Pinocchio..
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Anteprima del libro
Le avventure di Pinocchio - Carlo Collodi
Carlo Lorenzini, in arte Carlo Collodi
(Firenze, 24 novembre 1826 – † Firenze, 26 ottobre 1890)
è stato uno scrittore italiano, indelebile nella memoria di tutti per aver scritto Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattin
Figlio di una cameriera, Angelina Orzali, e di un cuoco, Domenico Lorenzini, è il primogenito di una sfortunata prole. Perde infatti sei su dieci fratelli quando sono ancora in tenera età. La sua fortuna è quella di essere affidato una zia che, in un periodo in cui l’alfabetizzazione non è diffusa come oggi, lo iscrive alla scuola elementare. Carlo è un bambino vivace, irrequieto e ribelle ma, nonostante ciò, viene avviato agli studi ecclesiastici presso il Seminario di Val d’Elsa e poi dai Padri Scolopi di Firenze. Quando il fratello Paolo diventa dirigente nella Manifattura Ginori, l’agiatezza guadagnata dalla famiglia permette a Carlo di iniziare la carriera di impiegato e di giornalista. Abbraccia le idee mazziniane e diventa un attivista durante le rivolte risorgimentali del 1848 e 1849. La sua passione per la scrittura e per il lato più sarcastico
della vita non scompare, ma lo accompagna anche nella sua carriera giornalistica. Racconta la Toscana come nessun’altro, con simpatia e umorismo, cogliendone i lati bizzarri e intriganti e mettendo tutto sotto forma di storielle. Ed è da tutta questa produzione ironica e, spesso, metaforica, che prenderà spunto per il suo capolavoro: Pinocchio.
È in tarda età che inizia ad appassionarsi alla letteratura infantile e assume lo pseudonimo di Collodi
(che altro non è che il paese d’origine della madre).
Pinocchio
Le avventure di Pinocchio vengono pubblicate per la prima volta nel 1881 sul Giornale dei Bambini con il titolo La storia di un burattino. Originariamente il racconto terminava con l’episodio l’impiccagione del burattino ma visto il successo riscontrato dal racconto e l’insurrezione dei piccoli lettori, Collodi decise di continuare la narrazione arrivando fino al punto che tutti conosciamo, quello in cui il piccolo Pinocchio diventa un bambino vero
. L’opera completa di Carlo Collodi venne pubblicata dall’editore Felice Paggi di Firenze e divenne subito un successo letterario. Successivamente l’opera è stata pubblicata in 187 edizioni e tradotta in 260 lingue o dialetti in giro per tutto il mondo. Ha allietato bambini di tutte le età
ed ispirato film, canzoni, libri e quant’altro. Perché è proprio questo che ha reso la vita di Carlo Collodi tanto speciale: l’aver reso speciale l’infanzia di ognuno di noi regalandoci un sogno, un’avventura, una storia da ricordare.
«Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito! perché ve ne sono di due specie: vi sono le bugie che hanno le gambe corte, e le bugie che hanno il naso lungo»
«Non dar retta ai consigli dei cattivi compagni: se no, te ne pentirai!»
«Non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito, o sono matti o imbroglioni!»
Quello che non sapevate sulla Vita Speciale di Pinocchio
Non esistono documenti tangibili
che colleghino Collodi alla massoneria, ma da quanto traspare dalla sua letteratura e dal suo impegno politico pare facesse parte dei Massoni d’oriente d’Italia. Questa collocazione politica di Collodi è avvallata proprio dalla storia del burattino che lo ha reso celebre. La storia di Pinocchio pare avere un sacco di analogie proprio con l’iniziazione massonica. La storia sembra quasi una guida esoterica
che illustra passo per passo i quattro viaggi d’iniziazione dell’Apprendista attraverso i 4 elemnti fino alla rinascita come uomo, in pieno possesso delle sue facoltà e non come semplice burattino
del mondo. La stessa medicina fatta ingoiare dai tre medici (simbolicamente il Maestro Venerabile e i 2 sorveglianti) a pinocchio è il simbolo della cura
materiale e spirituale a cui l’apprendista arriva dopo aver ingoiato i bocconi amari
della vita. Una metafora, quella de Le avventure di Pinocchio, che sembra appunto non scritta per i soli bambini, ma per un pubblico ben più erudito e predisposto all’esoterismo.
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— C'era una volta....
— Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori.
— No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta,
di quelli che d'inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.
Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr'Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura.
.... sentì una vocina sottile sottile.
Appena maestro Ciliegia ebbe visto quel pezzo di legno, si rallegrò tutto; e dandosi una fregatina di mani per la contentezza, borbottò a mezza voce:
— Questo legno è capitato a tempo; voglio servirmene per fare una gamba di tavolino. —
Detto fatto, prese subito l'ascia arrotata per cominciare a levargli la scorza e a digrossarlo;
ma quando fu lì per lasciare andare la prima asciata, rimase col braccio sospeso in aria, perchè sentì una vocina sottile sottile, che disse raccomandandosi:
— Non mi picchiar tanto forte! —
Figuratevi come rimase quel buon vecchio di maestro Ciliegia!
Girò gli occhi smarriti intorno alla stanza per vedere di dove mai poteva essere uscita quella vocina, e non vide nessuno! Guardò sotto il banco, e nessuno: guardò dentro un armadio che stava sempre chiuso, e nessuno; guardò nel corbello dei trucioli e della segatura, e nessuno; aprì l'uscio di bottega per dare un'occhiata anche sulla strada, e nessuno. O dunque?...
— Ho capito; — disse allora ridendo e grattandosi la parrucca — si vede che quella vocina me la son figurata io. Rimettiamoci a lavorare. —
E ripresa l'ascia in mano, tirò giù un solennissimo colpo sul pezzo di legno.
— Ohi! tu m'hai fatto male! — gridò rammaricandosi la solita vocina.
Questa volta maestro Ciliegia restò di stucco, cogli occhi fuori del capo per la paura, colla bocca spalancata e colla lingua giù ciondoloni fino al mento, come un mascherone da fontana.
Appena riebbe l'uso della parola, cominciò a dire tremando e balbettando dallo spavento:
— Ma di dove sarà uscita questa vocina che ha detto ohi?... Eppure qui non c'è anima viva. Che sia per caso questo pezzo di legno che abbia imparato a piangere e a lamentarsi come un bambino? Io non lo posso credere. Questo legno eccolo qui; è un pezzo di legno da caminetto, come tutti gli altri, e a buttarlo sul fuoco, c'è da far bollire una pentola di fagioli.... O dunque? Che ci sia nascosto dentro qualcuno? Se c'è nascosto qualcuno, tanto peggio per lui. Ora l'accomodo io! —
E così dicendo, agguantò con tutt'e due le mani quel povero pezzo di legno, e si pose a sbatacchiarlo senza carità contro le pareti della stanza.
Poi si messe in ascolto, per sentire se c'era qualche vocina che si lamentasse. Aspettò due minuti, e nulla; cinque minuti, e nulla; dieci minuti, e nulla!
— Ho capito — disse allora sforzandosi di ridere e arruffandosi la parrucca — si vede che quella vocina che ha detto ohi, me la son figurata io! Rimettiamoci a lavorare. —
E perchè gli era entrato addosso una gran paura, si provò a canterellare per farsi un po' di coraggio.
Intanto, posata da una parte l'ascia, prese in mano la pialla, per piallare e tirare a pulimento il pezzo di legno; ma nel mentre che lo piallava in su e in giù, sentì la solita vocina che gli disse ridendo:
— Smetti! tu mi fai il pizzicorino sul corpo! —
Questa volta il povero maestro Ciliegia cadde giù come fulminato. Quando riaprì gli occhi, si trovò seduto per terra.
Il suo viso pareva trasfigurito, e perfino la punta del naso, di paonazza come era quasi sempre, gli era diventata turchina dalla gran paura.
In quel punto fu bussato alla porta.
— Passate pure, — disse il falegname, senza aver la forza di rizzarsi in piedi.
Un vecchietto tutto arzillo, il quale aveva nome Geppetto.
Allora entrò in bottega un vecchietto tutto arzillo, il quale aveva nome Geppetto; ma i ragazzi del vicinato, quando lo volevano far montare su tutte le furie, lo chiamavano col soprannome di Polendina, a motivo della sua parrucca gialla, che somigliava moltissimo alla polendina di granturco.
Geppetto era bizzosissimo. Guai a chiamarlo Polendina! Diventava subito una bestia, e non c'era più verso di tenerlo.
— Buon giorno, mastr'Antonio, — disse Geppetto. — Che cosa fate costì per terra?
— Insegno l'abbaco alle formicole.
— Buon pro vi faccia.
— Chi vi ha portato da me, compar Geppetto?
— Le gambe. Sappiate, mastr'Antonio, che son venuto da voi, per chiedervi un favore.
— Eccomi qui, pronto a servirvi, — replicò il falegname rizzandosi su i ginocchi.
— Stamani m'è piovuta nel cervello un'idea.
— Sentiamola.
— Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno: ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirar di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino: che ve ne pare?
— Bravo Polendina! — gridò la solita vocina, che non si capiva di dove uscisse.
A sentirsi chiamar Polendina, compar Geppetto diventò rosso come un peperone dalla bizza, e voltandosi verso il falegname, gli disse imbestialito:
— Perchè mi offendete?
— Chi vi offende?
— Mi avete detto Polendina!
— Non sono stato io.
— Sta' un po' a vedere che sarò stato io! Io dico che siete stato voi.
— No!
— Sì!
— No!
— Sì! —
E riscaldandosi sempre più, vennero dalle parole ai fatti, e acciuffatisi fra di loro, si graffiarono, si morsero e si sbertucciarono.
Finito il combattimento, mastr'Antonio si trovò fra le mani la parrucca gialla di Geppetto, e Geppetto si accòrse di avere in bocca la parrucca brizzolata del falegname.
— Rendimi la mia parrucca! — gridò mastr'Antonio.
— E tu rendimi la mia, e rifacciamo la pace. —
I due vecchietti, dopo aver ripreso ognuno di loro la propria parrucca, si strinsero la mano e giurarono di rimanere buoni amici per tutta la vita.
— Dunque, compar Geppetto, — disse il falegname in segno di pace fatta — qual è il piacere che volete da me?
— Vorrei un po' di legno per fabbricare il mio burattino; me lo date? —
Mastr'Antonio, tutto contento, andò subito a prendere sul banco quel pezzo del legno che era stato cagione a lui di tante paure. Ma quando fu lì per consegnarlo all'amico, il pezzo di legno dette uno scossone, e sgusciandogli violentemente dalle mani, andò a battere con forza negli stinchi impresciuttiti del povero Geppetto.
— Ah! gli è con questo bel garbo, mastr'Antonio, che voi regalate la vostra roba? M'avete quasi azzoppito!...
— Vi giuro che non sono stato io!
— Allora sarò stato io!...
— La colpa è tutta di questo legno....
— Lo so che è del legno: ma siete voi che me l'avete tirato nelle gambe!
— Io non ve l'ho tirato!
— Bugiardo!
— Geppetto, non mi offendete: se no vi chiamo Polendina!...
— Asino!
— Polendina!
— Somaro!
— Polendina!
— Brutto scimmiotto!
— Polendina! —
A sentirsi chiamar Polendina per la terza volta, Geppetto perse il lume degli occhi, si avventò sul falegname e lì se ne dettero un sacco e una sporta.
A battaglia finita, mastr'Antonio si trovò due graffi di più sul naso, e quell'altro due bottoni di meno al giubbetto. Pareggiati in questo modo i loro conti, si strinsero la mano e giurarono di rimanere buoni amici per tutta la vita.
Intanto Geppetto prese con sè il suo bravo pezzo di legno, e ringraziato mastr'Antonio, se ne tornò zoppicando a casa.
Geppetto, tornato a casa, comincia subito a fabbricarsi il burattino e gli mette il nome di Pinocchio.
Prime monellerie del burattino.
La casa di Geppetto era una stanzina terrena, che pigliava luce da un sottoscala. La mobilia non poteva esser più semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e un tavolino tutto rovinato. Nella parete di fondo si vedeva un caminetto col fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e accanto al fuoco c'era dipinta una pentola che bolliva allegramente e mandava fuori una nuvola di fumo,