Solo un caffè il lunedì
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Info su questo ebook
Una metamorfosi lenta, dentro una spirale in movimento lungo un sentiero senza segnaletica.
Solo il cuore a farsi strada nell’oceano dei sentimenti. Un amore pieno di incertezze e oscurità, sconsideratamente asimmetrico, tra un uomo e una donna divisi da generazioni diverse, ma foderato di ciclopico coraggio e ostinata incoscienza. Una storia di sentimenti dove i protagonisti non hanno bisogno di un nome. A parlare per loro è soltanto l’amore. Un amore tagliente, irrazionale, dai tratti quasi patologici. Un amore costretto a misurarsi anche tra le lacerazioni di uno scenario pandemico. Fino al capitolo finale.
Claudia Angelini è un’autrice romana di 45 anni, laureata in Sociologia all’Università “La Sapienza” di Roma, con indirizzo in comunicazione e mass media. È anche funzionario della Pubblica Amministrazione capitolina con la passione per la poesia e, soprattutto, per la scrittura e le sue contorsioni nel distretto dell’emotività. Gestisce un profilo Instagram (pensierichediventanopoesia) dedicato alla composizione di poesie e pensieri romanzati, nel quale si definisce “narratrice di emozioni”. Una passione coltivata con perseveranza, ma sempre a livello amatoriale. Questo è il primo romanzo, scritto d’istinto, in meno di un mese, trainato dalla convinzione che c’è sempre un’immagine che vale la pena “fermare” e saper raccontare dentro le righe di un’emozione, fitta di rumore e conversazioni speciali.
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Anteprima del libro
Solo un caffè il lunedì - Claudia Angelini
Claudia Angelini
Solo un caffè
il lunedì
© 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-8197-2
I edizione agosto 2023
Finito di stampare nel mese di agosto 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
Solo un caffè il lunedì
A tutte le persone
che con me hanno condiviso
questo lungo viaggio sulle montagne russe
senza mai avere avuto la tentazione
di urlare così forte da interrompere il giro per scendere.
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
Mi presento
A un certo punto della mia vita, verso i 38 anni, ho iniziato a desiderare un figlio.
Tu c’eri già, nella mia vita disordinata e piena di pezzi da rimettere a posto. Un puzzle disfatto, il mio. Che ho cercato di ricomporre, in maniera diligente. Per anni. Nove lunghissimi anni, con te.
O meglio da sola, ma con te nel cuore. Un cuore che ha amato per due. Ogni volta.
Gli anni passavano. Io quel figlio continuavo a volerlo. Tu no. Ne avevi già di tuoi. Io soffrivo, piangendo la mia condizione di donna a metà
. Una donna incompleta. Una donna che voleva solo essere intera. Con te. Che mi rinnegavi, senza lasciarmi mai andare avanti. Senza che io potessi andare oltre. Non mi volevi. Dicevi di non riuscirci.
Che, in fondo, non mi volevi bene abbastanza. Abbastanza da far crescere quel bene (che dicevi di provare, a modo tuo), fino a farlo diventare amore. Ma non mi lasciavi. E io restavo tua, ma soltanto nella tua testa.
Questo mi sono sentita ripetere. Io restavo solo nella tua testa. Perché le tue figlie, che nel frattempo erano cresciute, erano adolescenti, non potessero vedermi
.
Io ero tua. La tua donna relegata nella clandestinità. I miei anni con te (o meglio, praticamente, senza di te) li ho vissuti tutti al buio.
Convincendomi che fosse giusto non esistere. Almeno per te. Ti amavo. Ma potevo farlo solo in silenzio. Solo in cattività.
Per te, ho imparato perfino a non dormire. O, comunque, a dormire in superficie, perché le mie orecchie potessero, in ogni momento, sentire quel messaggio sul cellulare che arrivava a orari improbabili. Ho imparato ad amare la notte, perché potesse lasciarmi esistere dentro quel messaggio che nessuno, dormendo profondamente, avrebbe carpito o semplicemente spiato. Anni senza dormire mai completamente. Eternamente affamata di quei messaggi che mi riscaldavano dal freddo dei miei inverni quotidiani. Ogni giorno. In attesa che calasse la notte. Per leggerti, striminzito e glaciale, mentre mi auguravi la buonanotte. Per sentirti sollevato. Per avere la coscienza libera dalla prigione in cui mi rinchiudevi da anni.
Io, intanto, volevo quel figlio. Tu prendevi tempo. Il tempo passava e il mio sogno si accartocciava, come un pezzo di carta appallottolato nel cestino.
Mi guardavi, mi accarezzavi il viso, guardandomi con occhi distanti, e mi proponevi di cercarmi un altro uomo con cui realizzare questo desiderio. Un desiderio enorme che, ormai, non trovava più spazi sufficienti a contenerlo tutto. Un altro uomo. Senza però lasciarmi andare via. Senza che io potessi andare oltre.
Tu mi convincevi che fossi io. Che fossi colpevole di non riuscire, in tutti quegli anni, ad averti fatto perdere la testa per me. A farti innamorare.
Io sanguinavo. Fuori e dentro. Sentivo di avere una colpa. Ma non quella che tu mi imputavi.
Il mio peccato originale era solo uno. Ascoltare le tue bugie, tutte, fino a farne una medicina che volevo mi curasse. Per allontanarmi da te.
Invece, la medicina diventava veleno, che io volevo bere. Sempre di più. Mi sentivo un’alcolizzata. Pienamente cosciente che tu mi facessi male. Ogni giorno. Ma con la bramosia di bere ogni tua menzogna. Ancora. Ogni volta. La consapevolezza si appannava, naufragando con la mia lucidità.
Tutto diventava dipendenza. Da te. Che restavi invisibile.
Il grande assente nei capitoli trasparenti della mia vita. Anni di parole taglienti come bisturi, che la mente custodiva dentro il grande archivio dei miei sentimenti.
Quei sentimenti, dannati, avrebbero finito per uccidermi.
Mi ricordo di quando tutto ebbe inizio. La memoria, specie quando si tratta del dolore, conserva ogni fotogramma. Forse perché spera di farne preziosi elementi probatori. Per l’autoguarigione. Per la salvezza dalla tentazione di cadere dentro altri inganni, stavolta senza uscita.
Ero una giovane donna. Stavo cambiando lavoro. Il mio matrimonio iniziava a barcollare. Come le mie gambe. Gambe molli, che iniziavano a non sentire più il terreno sotto i piedi.
Cominciai a lavorare per te. Con te. All’inizio non riuscivo nemmeno a capire di cosa mi occupassi.
Provai a rubare
i segreti con gli occhi. Così mi aveva insegnato l’avvocato per cui avevo lavorato ancora ragazza, anni addietro. Mi disse: Bisogna carpirlo il lavoro. Prima di ogni cosa con gli occhi
.
Posare lo sguardo. Quello era il segreto.
Aveva ragione il mio avvocato, che ancora ringrazio per la donna, la professionista che sono diventata e che sono tutt’ora.
In pochissimo tempo imparai perfettamente a gestire il lavoro. Tu mi guardavi affascinato. Ti rendevi conto, da subito, che ero un potenziale che poteva cambiarti la vita.
All’inizio, solo quella lavorativa. Ero una vera macchina da guerra. Sempre presente. Sempre pronta a capire come funzionavano processi e procedimenti. Avevo fame di lavoro. Potevi contare sulla mia determinazione. Ero proprio come chi ti aveva suggerito
di reclutarmi.
Prendi lei
, ti avevano detto. Lei può risollevare l’azienda. Lei, può fare la differenza
.
I tuoi occhi restavano incollati sulla mia solerzia.