Educazione e pace
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Pace intesa come questione economica e sociale, ma anche come esito della raggiunta maturità psicologica e morale di un individuo e di un gruppo.
Ieri come oggi, in un mondo che non conosce vera tregua dai conflitti (ce ne siamo accorti amaramente), educare alla pace è una sfida pedagogica determinante.
E ancor oggi le parole di Montessori possono gettare luce e significato su questo compito ardito e necessario che ci spetta.
“La pace è una meta che si può raggiungere soltanto attraverso l’accordo, e due sono i mezzi che conducono a questa unione pacificatrice: uno è lo sforzo immediato di risolvere senza violenza i conflitti, […] l’altro è lo sforzo prolungato di costruire stabilmente la pace tra gli uomini. Ora, evitare i conflitti è opera della politica; costruire la pace è opera dell’educazione.”
Maria Montessori
Maria Montessori (1870-1952) was an Italian educator and physician. Born in Chiaravalle, she came from a prominent, well-educated family of scientists and government officials. Raised in Florence and Rome, Montessori excelled in school from a young age, graduating from technical school in 1886. In 1890, she completed her degree in physics and mathematics, yet decided to pursue medicine rather than a career in engineering. At the University of Rome, she overcame prejudice from the predominately male faculty and student body, winning academic prizes and focusing her studies on pediatric medicine and psychiatry. She graduated in 1896 as a doctor in medicine and began working with mentally disabled children, for whom she also became a prominent public advocate. In 1901, she left her private practice to reenroll at the University of Rome for a degree in philosophy, dedicating herself to the study of scientific pedagogy and lecturing on the topic from 1904 to 1908. In 1906, she opened her Casa dei Bambini, a school for children from low-income families. As word of her endeavor spread, schools using the Montessori educational method began opening around the world. In the United States, the publication of The Montessori Method (1912) in English and her 1913 lecture tour fostered a rapid increase of Montessori schools in the country. For her groundbreaking status as one of Italy’s first female public intellectuals and her role in developing a more individualized, psychologically informed approach to education, Maria Montessori continues to be recognized as one of the twentieth century’s most influential figures.
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Anteprima del libro
Educazione e pace - Maria Montessori
Premessa
La questione della Pace non può essere considerata da un punto di vista negativo, come fa in genere la politica, nel senso di «evitare le guerre» e di risolvere così senza violenza i conflitti tra le nazioni.
La Pace ha in sé il concetto positivo di una riforma sociale costruttiva. Si ripete che «bisogna formare l'uomo nuovo per avere una nuova società», ma non è che una frase astratta. È vero che l'uomo può essere migliorato in sé stesso e che la società potrebbe essere fondata su principi di giustizia e di amore; sappiamo però tutti che non è una realtà a portata di mano, ma una lontana aspirazione.
C'è invece una questione positiva e immediata che va considerata dal punto di vista della Pace; ed è che l'umana società non ha raggiunto la forma di organizzazione che sarebbe necessaria al suo stato presente. La «necessità del presente» e non l'organizzazione di un «futuro» migliore occorre dunque considerare.
Manca alla società odierna la preparazione adeguata dell'uomo allo stato presente della vita civile, l'«organizzazione morale» delle masse.
Nell'umanità gli uomini sono educati a considerare se stessi come individui isolati, aventi i loro interessi immediati da soddisfare, in concorrenza con altri individui. Sarebbe necessaria una «organizzazione» poderosa per comprendere e organizzare gli avvenimenti sociali, per proporsi e perseguire dei fini collettivi, e così ordinare il progresso della civiltà.
Esiste invece oggi solo una «organizzazione delle cose», non degli uomini; solo l'ambiente è organizzato. I progressi tecnici hanno messo in moto una specie di «meccanismo formidabile», che si trascina dietro gli individui, attratti come polvere da una calamita. E ciò si dica degli operai come degli intellettuali. Tutti vivono isolati l'uno dal l'altro nei loro interessi, tutti cercano niente più che il mestiere che assicuri la loro vita materiale, tutti sono attratti e assorbiti dagli ingranaggi di un mondo meccanizzato e burocratizzato. È evidente che i «meccanismi» non possono sospingere l'umanità verso il progresso, perché il progresso dipende dall'uomo. E un momento deve arrivare in cui l'umanità domina il progresso e ne assume la direttiva.
Questo momento è già arrivato. O le masse sì organizzano e s'impadroniscono del mondo meccanico, o il mondo meccanico distrugge l'umanità.
Questo formidabile passo e questo concorso universale dell'umanità al progresso realizzato esigono per sostenersi che l'umanità si organizzi. È urgente che l'umanità intera intervenga e ponga riparo a un difetto che mette in pericolo l'esistenza della civiltà. Bisogna organizzare l'umanità perché la frontiera pronta a cedere e per cui entra il nemico, cioè la guerra, non è quella materiale delle nazioni, ma la impreparazione dell'uomo e l'isolamento dell'individuo. Bisogna «svolgere la vita spirituale dell'uomo», e organizzare poi l'umanità per la Pace. La Pace ha il suo lato positivo nella ricostruzione della società umana su basi scientificamente determinate. L'armonia sociale pacifica deve avere una base unica e questa non può essere che l'uomo stesso.
La «ricostruzione», come assestamento stabile e definitivo, non è presa in considerazione dalla pratica, la quale parte dal punto di vista della conservazione. È chiaro invece che l'evoluzione improvvisa e fantastica avvenuta nella «organizzazione» dell'ambiente negli ultimi cinquant'anni e dovuta alle scoperte scientifiche, ha prodotto condizioni tanto diverse nella vita degli uomini, da rendere assolutamente necessario prendere in considerazione il lato «umano» per aiutare l'evoluzione degli uomini stessi.
Questo è il compito dell'educazione.
L'educazione oggi rimane in limiti che furono determinati dai bisogni di una civiltà sorpassata. Essa è non solo antiscientifica, ma contrastante coi bisogni sociali dei nostri tempi. L'educazione non può essere considerata un «particolare insignificante» della vita del popolo, un modo di fornire qualche elemento di cultura ai giovani; l'educazione dev’essere considerata dal duplice punto di vista: dello «sviluppo dei valori umani» dell'individuo e specialmente dei suoi «valori morali» - e da quello che ne deriva: di «organizzare gli individui valorizzati» in una società conscia del suo fine. Alla nuova forma di civiltà deve corrispondere una nuova forma di morale. L'ordine, la disciplina devono essere «orientati verso il raggiungimento dell'armonia umana» e dev’essere sentita come «immorale» e disastrosa per la vita sociale ogni azione che sia contraria all'assestamento definitivo della convivenza umana. Né vi si può arrivare senza un'opera pratica. Non basta lanciare un «principio astratto» né propagare una convinzione: bisogna intraprendere un grande lavoro. Questo lavoro sociale d'immensa importanza è la «valorizzazione» effettiva dell'uomo, la realizzazione del massimo sviluppo delle sue energie: la sua vera preparazione a realizzare una diversa forma di convivenza umana su un piano superiore. L’uomo sociale non si può formare tutto d'un tratto: quando cioè è già divenuto uomo l'individuo che, nell'infanzia e nell'adolescenza, è stato represso e isolato, in interessi personali, sotto il dominio cieco di adulti pronti a trascurare tutti i «valori della vita», di indirizzarlo al fine gretto ed egoistico di «trovare un posto rimunerativo» per sé nella società.
L'educazione oggi «inaridisce» l'individuo, disseccando tutti i suoi valori spirituali per farne un «numero», un «atomo» nella macchina inconscia che caratterizza l'«ambiente». Questa preparazione, se fu assurda in ogni tempo, oggi è delittuosa, è criminale. È delittuosa l'educazione che reprime e respinge l'«Io morale», che mette ostacoli e barriere allo sviluppo dell’intelligenza e condanna le grandi masse all'ignoranza. Mentre tutte le ricchezze vengono dal lavoro dell'uomo, è assurdo non considerare l'uomo stesso come «ricchezza». Occorre cercare, coltivare, valorizzare in modo che nulla vada perduto delle energie umane, né dell'intelligenza, né dello spirito creativo, né delle energie morali. E specialmente l'uomo va valorizzato nelle sue energie morali. Poiché egli non soltanto produce, ma è chiamato a custodire e a compiere una «missione nell'universo». Quello che l'uomo produce dev’essere diretto verso un fine che si può chiamare «civiltà», o creazione di una Supernatura opera dell'Umanità! Ma l'uomo deve sentire la propria grandezza, deve coscientemente diventare il «dominatore delle cose esterne e degli avvenimenti umani».
La morale riguarda specialmente i rapporti tra gli uomini ed è la base della vita sociale. La morale si deve considerare come la scienza di organizzare una società di uomini valorizzati nel loro io
e non nell’efficienza delle loro macchine. È necessario che gli uomini sappiano coscientemente partecipare a una «disciplina sociale» che presiede alle «funzioni sociali», e sappiano concorrere a mantenere l'equilibrio di queste funzioni.
Ora , dunque , la questione della Pace e della guerra non ha il suo punto centrale nella necessità di armare materialmente i popoli e di difendere poderosamente le frontiere tra le na zioni: perché la vera frontiera di difesa contro la guerra è l'uomo stesso , e dove l'uomo è socialmente disorganizzato e svalorizzato , fa breccia il nemico universale .
PARTE PRIMA
La pace non è l’assenza della guerra
(Bureau international d'éducation , Ginevra 1932)
Sembra singolare e non consono ai nostri tempi, in cui è così vivo il culto della specializzazione, che io sia chiamata a parlare della pace; della pace che, se fosse elevata a disciplina, nessuna ve ne sarebbe di più alta, poiché da essa dipende la vita stessa del popolo e forse il progredire o lo sparire di tutta la nostra civiltà.
È singolare infatti che non esista una scienza della pace sviluppata, almeno nei suoi caratteri esterni, come quella della guerra, per quanto si riferisce agli armamenti e alla strategia. Tuttavia, anche la guerra, come fenomeno dell'umanità collettiva, nasconde pur sempre un grande mistero: perché i popoli sono ansiosi di allontanarla come il peggiore tra i flagelli, eppure sono essi stessi a provocarla e a darvi il loro contributo volontario. Quando si tratti di cataclismi terrestri contro cui l'uomo è impotente, molti si consacrano con passione allo studio delle cause nascoste che li producono. La guerra è un fenomeno umano: dovrebbe, perciò, essere accessibile più di ogni altro alla indagine del pensiero. Se non lo è, vuol dire che il raggiungimento della pace nell'umanità è legato a fattori complessi ed indiretti, certamente degni di studio, capaci di costituire una scienza poderosa.
È impressionante che l'uomo abbia saputo sciogliere tanti enigmi dell'universo, e scoprirne e far sue le occulte energie, spinto a ciò dall'istinto di conservazione della vita e, più ancora, dall'impulso di sapere e di conoscere; mentre è rimasto un vuoto profondo per quanto riguarda l'indagine e il dominio delle proprie energie. Questo dominatore del mondo esterno non è giunto a dominare le sue proprie energie interiori, che attraverso i secoli si sono accumulate e organizzate nei grandi gruppi umani. Se si domandasse all'uomo la ragione di questo, non saprebbe rispondere nulla di preciso. Per quel che riguarda la pace, non esiste neppure uno di quegli sforzi ordinati e costanti di ricerca che si chiamano scienza; anzi, tra gli infiniti concetti, che pure arricchiscono le nostre conoscenze, manca il concetto stesso della pace.
Generalmente s'intende per pace la cessazione della guerra: ma questo concetto negativo non è quello della pace. Soprattutto se si osserva l'apparente finalità di una guerra, la pace così intesa ne rappresenta piuttosto il trionfo finale e stabile. Infatti, la guerra antica aveva come movente la conquista di terre, e, con essa, la sottomissione di popoli.
Benché l'ambiente dell'uomo non sia più la terra, bensì l'organizzazione sociale in sé stessa, che posa su strutture economiche, si seguita a dar come vero tale movente, e le folle vengono trascinate alla guerra per la suggestione risvegliata dall'idea di conquista.
Ora, perché innanzi allo spettro di un’invasione della patria le folle si levano a marciare incontro alla morte? E non solo gli uomini, ma anche le donne, e perfino i fanciulli corrono alla difesa? Per