Gandhi: La trasformazione nonviolenta della società
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Anteprima del libro
Gandhi - Roberto Mancini
Parte prima
GANDHI
LA TRASFORMAZIONE NONVIOLENTA DELLA SOCIETÀ
di Roberto Mancini
Capire Gandhi oggi
In questo volume si punta a mostrare come la visione di Gandhi abbia aperto un orizzonte che poi ha trovato un’espressione attuale nella concezione e nel movimento della decrescita. Per iniziare questo percorso di confronto tra le due prospettive è opportuno tenere conto del fatto che il pensiero e l’opera di Mohandas Karamchand Gandhi sono molto distanti da noi¹. Il loro orientamento, da una parte, e la direzione prevalente della storia attuale, dall’altra, sono semplicemente opposti. Di conseguenza, per entrare nello spirito dell’opera gandhiana bisogna anzitutto richiamare, in uno sguardo d’insieme, la nostra situazione culturale e storica in modo da capire meglio come oggi possiamo entrare nella sua visione.
Nel registrare il fatto che la globalizzazione, in quanto stadio recente dei processi della modernità, ha comportato l’economicizzazione totalizzante della vita e del mondo non bisogna isolare l’economia come se fosse l’unico sistema di potere vigente. Essa è semmai il sistema centrale in una rete di sistemi sociali globalizzati. Mi riferisco al sistema tecnologico radicalizzato nella forma della tecnocrazia, al sistema mediatico orientato alla rappresentazione di realtà fittizie che oscurano la verità, al sistema burocratico con la sua ragnatela di vincoli paralizzanti, nonché al sistema militare della geopolitica con la sua lotta permanente tra nazioni più aggressive. Quello che dovrebbe essere l’«ordine» del mondo è in verità il disordine strutturale, è la risultante entropica dell’interazione tra questi cinque sistemi di potere globale.
L’economia dell’accumulazione, della competizione, della crescita illimitata e del mercato assoluto è il motore di questo complesso multisistemico che per il momento ha il governo del mondo. Per andare alla radice di questo «ordine» della società globale bisogna risalire all’angoscia per la morte e per la vulnerabilità: chi ne è sopraffatto non assume le relazioni con gli altri, con il mondo e con sé come un valore primario e come una forza per vivere bene. Al contrario, si sente isolato e perciò si trova a confidare esclusivamente nell’arma del potere.
In tale ottica distorta lo scopo di fondo non è la vita buona, o la felicità, o eventualmente la salvezza; l’unico scopo è sopravvivere, ossia differire più a lungo possibile il momento della propria fine addossando sugli altri le perdite, le sofferenze, le situazioni di morte. Si tratta dunque di un’idea di sopravvivenza esclusiva, che vede gli altri come rivali da eliminare o come strumenti da utilizzare. Questo scenario individualista e competitivo, naturalmente, non s’instaura solo nella mente dei singoli, ma, per così dire, orienta la «mente» delle collettività, delle istituzioni, dei sistemi di potere.
La coazione a cercare l’illimitato, il sempre-più e la crescita incessante sorge dal principio della sopravvivenza esclusiva, che spinge a obbedire alla logica del potere assolutizzandola. Quest’ultima non può mai accettare alcun tipo di limitazione, perché il limite è considerato la confutazione del potere stesso. Esso si vuole supremo e sempre crescente, dato che in tale ottica il potere o è assoluto o non è. L’economia e la mitologia della crescita senza fine sono chiaramente fondate sull’imperativo costitutivo per la natura del potere: l’imperativo di espandersi fino a diventare assoluto.
In uno scenario del genere la via della nonviolenza percorsa da Gandhi e, da parte sua, la stessa prospettiva della decrescita sono accomunate anzitutto dal fatto di costituire un’interruzione salvifica. Infatti l’una e l’altra (ciascuna con la sua storia e a suo modo), interrompono la spirale della mentalità tipica della globalizzazione capitalista – fatta di nichilismo, di angoscia accecante, di logica di potere e di economicismo – per aprire invece un orizzonte completamente differente e umanizzante. Prima di mettere in risalto gli elementi di convergenza, ed eventualmente di contrasto, tra le due prospettive, occorre andare a considerare direttamente la visione gandhiana. Nel farlo non serve alcun approccio apologetico, anzi solo con la coscienza dei suoi limiti diventa possibile apprezzarne le indicazioni più valide rispetto alla nostra situazione attuale.
La prospettiva di Gandhi è ispirata da una profonda fiducia nell’umanità e nel potenziale della sua trasformazione, così come può essere sperimentata dai singoli e dall’intera comunità umana. Mai si trova nei suoi scritti, nei discorsi, nelle scelte e nelle azioni della sua vita alcuna traccia di quel pessimismo antropologico che in larga parte della tradizione occidentale ha portato a disprezzare l’umano e, complementarmente, a stimare il potere. La sua stessa biografia attesta questo atteggiamento fondamentale.
Una vita nella luce
Nato nel 1869 a Portbandar in una famiglia di commercianti i cui membri avevano talvolta anche ricoperto cariche politiche, fin da bambino Mohandas è appassionato della vita. O meglio, dell’altezza e della bellezza divina della vita. Il modo di dare seguito a questo appassionamento per lui è dato dal compito di riuscire a svolgere la propria esistenza con dignità, con moralità, in armonia con la verità che la rende umana, onorevole e bella. Perciò passione per la vita e per la verità sono tutt’uno per Gandhi. Qui non si tratta affatto della «verità» come costruzione dottrinale che si impone all’esistenza e la snatura, si tratta anzi della vita stessa riconosciuta nella sua fonte originaria, nella sua luce, nel suo respiro, nella sua apertura all’eterno e nella sua universalità.
Tutta la vita di Gandhi segue questo filo conduttore. Di carattere molto timido, viene spinto a sposarsi a soli tredici anni con la coetanea Kastürbā, da cui ebbe quattro figli: Harilal, Manilal, Ramdas e Devdas. Dal 1886 al 1891 studia all’Università di Londra per diventare avvocato, giacché aveva ammirazione per l’importanza del diritto nella società britannica e occidentale. Dal 1893 al 1914 si trasferisce in Sud-Africa per esercitare la professione forense. Qui scopre la durezza delle controversie legali e s’interessa della possibilità di trovarne una composizione per via consensuale. Ma soprattutto scopre e sperimenta personalmente la discriminazione, la violenza e il disprezzo riservati alle persone di etnia diversa da quella occidentale dei coloni. Così si accende in Gandhi la passione per la politica come via maestra per far prevalere la giustizia. Fonda il Natal Indian Congress e il giornale Indian Opinion
.
In questo periodo, oltre che dalla lettura dei testi fondamentali dell’induismo, è colpito dagli insegnamenti di alcune figure della cultura occidentale. Conosce e apprezza opere come Fino all’ultimo di John Ruskin, Disobbedienza civile di Henry David Thoreau, Civilization: Its Cause and Cure di Edward Carpenter e viene a contatto con il cristianesimo di Lev Tolstoj. È impressionato in particolare dal suo scritto Il regno di Dio è in