Euroballe: La favola che non si può uscire dall’euro e come farlo prima di affondare.
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Anteprima del libro
Euroballe - Andrea Bizzocchi
2011.
PARTE PRIMA
Capitolo 1
La crisi dell’euro.
I retroscena, cinquant’anni fa
Negli anni Sessanta e Settanta, la maggior parte dei paesi europei arrivò a sperimentare un benessere reale frutto di conquiste sconosciute in ogni altro paese del mondo. I lavoratori avevano ottenuto diritti che altrove, ad esempio negli USA, se li sognavano. Benessere autentico e gente che sta bene significano difficoltà nel gestire questa gente. Significano anche che questa gente è capace di pensare e di lottare per i propri diritti. Si decise dunque, tra le altre cose, che era necessario passare da un regime labor-friendly a un regime labor-unfriendly, in cui i lavoratori fossero pagati poco e soprattutto rimanessero al di fuori dei processi decisionali attivi, sia in economia sia in politica. Nell’ottica allora virtualmente sconosciuta a chiunque di un piano di governo unico mondiale, l’Europa costituiva la macroarea di maggior intralcio. Non erano di intralcio gli Stati Uniti d’America (che hanno un unico governo e un’unica moneta, controllata dalla FED, e in cui certe conquiste sociali erano sconosciute), e meno ancora lo erano i paesi poveri
del terzo mondo, controllati e sfruttati senza la benché minima possibilità di alzare la testa (chi ci ha provato, Sankara, Torrijos, Roldós tra gli altri, è stato fatto fuori senza pietà). L’Europa era un problema anche per via del fatto che è costituita da un crogiuolo di popoli, lingue, tradizioni, culture diverse e dunque più difficilmente gestibili. Un texano si sente americano come uno del Maine si sente americano. In Europa un greco si sente greco e un olandese si sente olandese. L’Europa rappresentava il maggior intralcio ai piani di controllo globale dell’élite.
Qual era dunque la strada da percorrere per governare l’Europa? Come la si poteva controllare? La ricetta è facile: neutralizzare gli Stati nazionali spogliandoli di potere reale (economico, monetario, legislativo ecc.) attraverso organismi sovranazionali gestiti dietro le quinte da lobby di potere, sia finanziarie sia industriali. Un’Europa dunque governata non da Stati ma da banchieri e tecnocrati nominati da qualcuno, non eletti in un normale processo democratico. La strada era lunga ma la direzione giusta.
Dal punto di vista del controllo del denaro si partì con il serpente monetario (accordo stipulato nel 1972 dagli Stati della CEE: Germania Occidentale, Francia, Italia e Benelux; il fine era quello di mantenere un margine di fluttuazione predeterminato e ridotto tra le valute comunitarie, come pure tra queste e il dollaro statunitense) e poi con lo SME.² Erano le prove tecniche per arrivare all’euro attraverso una graduale spoliazione della sovranità monetaria degli Stati europei.
Se ricordate però, vent’anni fa o giù di lì l’idea di Europa venne venduta
ai popoli in altro modo, cioè come un meraviglioso coacervo di ideali, amicizia, civiltà, progresso, apertura di frontiere e barriere commerciali, con tutte le nuove e fantasmagoriche opportunità economiche che ciò avrebbe portato in dote. Molti, quasi tutti, ci credettero. Io perlomeno, che avevo vent’anni e ben altro per la testa, ci credetti. Nulla di tutto ciò si è però avverato e il motivo è uno solo, per giunta molto semplice: non erano questi i reali obiettivi di chi aveva programmato l’Europa unita
(a parte il fatto che unita non è, visto che ad oggi, buon per loro, dieci paesi ne stanno fuori). Del resto, se solo pensiamo a quel crogiuolo di razze e culture che il vecchio continente rappresenta, un’idea di Europa unita
studiata a tavolino va contro la stessa storia, oltre a essere un’idea contraria alla ragione e al buon senso. Ma come abbiamo anticipato, in ciò che è successo c’è invece una ragione e anche un senso. Peccato che non siano le ragioni e il senso delle popolazioni europee.
Negli anni Ottanta la finanza anglo-statunitense iniziò le stagioni delle deregulation, delle privatizzazioni e soprattutto della finanziarizzazione dell’economia. Venne venduta l’idea dell’arricchimento facile attraverso il gioco in Borsa (il film Wall Street con Michael Douglas aveva ispirato molti) nonché le scommesse su valute e prodotti finanziari vari. Il popolo bue, che è lo stesso popolo bue che butta denaro con i grattae-vinci
, pensò di essere furbo e di potersi arricchire facilmente senza capire ciò che del resto è logico e intuitivo: il gioco lo vince sempre chi lo ha inventato, chi ha scritto le regole (e le cambia se gli è necessario), scegliendo inoltre l’arbitro e i guardalinee. Ovviamente, almeno per qualche tempo, ci fu qualche vincitore anche tra la gente (esattamente come qualcuno vince con i gratta-e-vinci
). Bisognava far credere che alla roulette della Borsa, degli investimenti finanziari, delle new economy si vincesse. Poi, con l’inizio del nuovo millennio, cominciarono ad arrivare i crack tipo Enron negli USA e Parmalat in Italia.
Bolle speculative create ad arte su bolle speculative create ad arte, eccoci arrivati ai nostri giorni. Questo succintamente è quanto successo negli ultimi due decenni e che è alla base dello straordinario impoverimento conosciuto dalle popolazioni europee (ma non solo). In altre parole, abbiamo assistito a un enorme spostamento dall’economia reale a quella finanziaria. Alcuni nomi tra i maggiori protagonisti di queste truffe: ING, Allianz, Generali, China Life, AXA Group, AIG, Zurich, Munich Re, Prudential, Sun Life per le assicurazioni, General Motors Fund, General Electric, BT Group, AT&T, Verizon, Barclays Bank, Lloyds TSB, Citigroup per i fondi pensionistici privati, The Carlyle Group, Goldman Sachs Principle, TPG, Apollo Global, Bain Capital, Blackstone Group, 3I Group, Advent, Providence Equity per gli equity funds.³
Manca solo una domanda. Provate a chiedervi chi sta dietro questi giganti assicurativi, questi fondi pensionistici privati, questi equity funds. La risposta è l’élite finanziaria.
Maastricht ‘92. L’inizio della fine
A questo punto entra in gioco qualcos’altro, perché il piano dell’oligarchia finanziaria è preciso, dettagliato e non lascia nulla al caso. Entrano infatti in gioco quegli organismi sovranazionali che devono risolvere il problema dei debiti sovrani (di cui prima, chissà perché, nessuno parlava). È la parte finale del piano, quella che impoverisce le popolazioni attraverso i debiti pubblici, pagati dai cittadini con l’aumento di tasse e imposte ma anche attraverso le privatizzazioni di aziende pubbliche e di servizi di primaria importanza (acqua, energia, riscaldamento, treni, sanità, istruzione, telefonia ecc.). Tutte cose, badate bene, delle quali nella società contemporanea non è possibile fare a meno.
L’inizio della fine si ha con l’entrata in scena del Trattato di Maastricht (7 febbraio 1992). Con Maastricht si decise la creazione dell’IME (Istituto Monetario Europeo, 1° gennaio 1994), che entro il 1º gennaio 1999 sarebbe stato sostituito dal Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) e quindi dalla Banca centrale europea (BCE). Venivano distinte due differenti tappe per la circolazione monetaria. Nella prima le monete nazionali avrebbero continuato a essere utilizzate nei rispettivi paesi anche se già legate irrevocabilmente a tassi fissi con il nascente euro. Nella seconda, l’euro sarebbe entrato in scena direttamente. Perché tutto ciò si realizzasse, Maastricht stabilì che ciascun paese avrebbe dovuto rispettare i famosi cinque parametri di convergenza
. I cinque parametri sono i seguenti:
Già da questi cinque parametri si capisce benissimo, e lo dico senza ironia, che chi ha deciso roba del genere non può avere una vita felice e che di conseguenza la rovina a coloro che dei suoi deliri sono vittime. I parametri di Maastricht sono delle astrazioni assolute e per soprammercato si ha la pretesa di fissarli per sempre (nulla, si sa, è per sempre, ma Maastricht sì). Comunque Maastricht, questo gli va riconosciuto, mette in chiaro una cosa e cioè che comanda l’economia con le sue assurde e astruse leggi o meglio comandano coloro che tali leggi pensano, redigono, impongono. Tutto ciò che sta fuori (natura, umanità ecc.) non conta.
A parte questo, che pure non è poco, prendiamo atto anche di un altro fatto nuovo (almeno nella misura in cui questo avviene alla luce del sole) e cioè che Maastricht (e poi Lisbona 2007) bypassa le legislazioni nazionali; le direttive UE sono superiori. La Commissione europea ha un potere virtualmente infinito (basti pensare alle recenti disposizioni in materia di brevettazione delle sementi), mentre chi in Europa dovrebbe decidere in nome e per conto dei cittadini (gli europarlamentari, che dai cittadini sono eletti) conta come il due di picche quando l’asso è bastoni (l’Europarlamento non ha diritto di veto sulle decisioni della Commissione europea e non può proporre leggi. Che ci sta a fare?). Maastricht e Lisbona in breve distruggono la sovranità legislativa e quella monetaria, il che significa che i paesi aderenti all’UE non sono più sovrani.
Apriamo una brevissima parentesi. Chi scrive di questi temi viene generalmente accusato di complottismo. La cosa fa sorridere. Non c’è stato né c’è o mai ci sarà alcun complotto, per il semplice motivo che questi personaggi non hanno bisogno di complottare nulla. Su cosa devono complottare? Hanno già tutto ciò che serve loro per fare quello che vogliono: soldi, mezzi d’informazione, si fanno le leggi da sé e per il proprio tornaconto. Chi è costretto a complottare, semmai, è chi deve agire nell’ombra e parlare sottovoce per non farsi sentire. Sono i sudditi a dover complottare per cercare di cambiare le cose, non i sovrani. Da che mondo è mondo non complotta chi detiene il potere, ma chi ne è vittima.
Concludiamo il paragrafo dicendo che, in questo grand plan, l’UE si è dotata di uno strumento micidiale, la BCE, che con la sua non-moneta euro (primo caso nella storia di moneta senza Stato) rappresenta uno strumento d’impoverimento e al tempo stesso di controllo delle popolazioni europee. L’UE, attraverso il suo braccio armato BCE, obbliga gli Stati aderenti (cioè le popolazioni di quegli Stati) a indebitarsi. Gli Stati, nei fatti, non esistono più.
2 Lo SME, acronimo di Sistema monetario europeo, entrò in vigore il 13 marzo 1979 e fu sottoscritto dai paesi membri dell’allora Comunità Europea con la sola eccezione della Gran Bretagna, che entrò nel 1990. Lo SME rappresentava un accordo per il mantenimento di una parità di cambio prefissata che poteva oscillare entro una fluttuazione del ±2,25% (del ±6% per Italia, Spagna e Portogallo), avendo a riferimento l’ECU (European Currency Unit).
3 Barnard, Paolo, Il più grande crimine, p. 59.
Capitolo 2
E l’Italia? Facciamo un passo indietro
Il 13 marzo 1979 l’Italia entrava nello SME (il Sistema monetario europeo che era stato preceduto dal serpente monetario europeo del 1972), il quale prevedeva una parità di cambio fissa tra i paesi aderenti all’ECU (European Currency Unit). Ufficialmente la parità dei cambi doveva combattere l’inflazione che aveva caratterizzato il decennio precedente.
Due anni dopo l’entrata nello SME, il famoso divorzio
tra il Tesoro e Bankitalia, anche questo motivato dalla necessità di abbassare l’inflazione, sancì l’inizio della fine. Prima del divorzio
, il Tesoro si finanziava sostanzialmente in due modi. Il primo era rappresentato dal Conto corrente di Tesoreria
, un vero e proprio conto corrente bancario detenuto dal Tesoro presso la Banca d’Italia già a partire dal Dopoguerra. Grazie a questo Conto
, il Tesoro aveva la possibilità di "attingere a un’apertura di credito di conto corrente presso la Banca per il 14% delle spese iscritte in bilancio".⁴ In altre parole il Tesoro poteva spendere sopra le proprie entrate utilizzando un diritto di scoperto
sul conto che aveva presso la Banca d’Italia fino a un massimo consentito pari al 14% della spesa di bilancio.
Il secondo canale di finanziamento per il Tesoro era stato introdotto con la riforma del mercato dei Bot del 1975, riforma che prevedeva l’impegno da parte della Banca d’Italia "ad acquistare alle aste tutti i titoli non collocati presso il pubblico, finanziando quindi gli ampi disavanzi del Tesoro con emissione di base monetaria".⁵
Questo significa che se il mercato non voleva i titoli al tasso stabilito dal Tesoro, la Banca d’Italia li acquistava, immettendo così moneta fresca nel sistema. Il meccanismo prevedeva che il Tesoro pagasse gli interessi alla Banca d’Italia, ma che questa poi glieli restituisse, lasciando così la partita per il Tesoro a debito zero.⁶ Praticamente una situazione perfetta, tanto perfetta che non doveva durare. In conclusione, la questione centrale del divorzio
fu il sollevamento per la Banca d’Italia dall’obbligo di acquisto dei titoli di Stato rimasti invenduti alle aste.
Dopo il divorzio
, lo Stato non può più finanziarsi emettendo moneta. Chi acquista i titoli di Stato se non lo fa la Banca d’Italia? La finanza speculativa italiana e straniera. L’inflazione effettivamente scende, ma visto e considerato che anche il prezzo del petrolio fa altrettanto (e molto più dell’inflazione) la cosa non può né deve sorprendere. Succedono anche altre due cosette: i salari si bloccano e la disoccupazione prende a crescere. Cui prodest?
Negli anni Ottanta però c’è la Milano da bere e gli italiani non si preoccupano dello SME (che nel frattempo era diventato credibile
, cioè i cambi delle varie valute non potevano avere oscillazioni ma erano rigidamente fissi) e men che meno si preoccupano dei divorzi
.
Anno 1992
Con la dissoluzione dell’Urss e la conseguente fine della Guerra fredda
, gli USA non avevano più bisogno dell’Italia e del baraccone politico gestito da democristiani e socialisti che governavano il paese dal Secondo dopoguerra. Il problema non erano i democristiani e i socialisti in sé, quanto il fatto che quei governi erano lì a rappresentare un paese a moneta sovrana, cioè un paese che essenzialmente spendeva a deficit per creare ricchezza. Il 1992 fu un anno decisivo per la storia nazionale e siccome noi siamo complottisti, ci divertiremo a complottare (che altro fanno i complottisti?). Partiamo.
Il 17 febbraio iniziò ufficialmente l’operazione Mani Pulite
, poi conosciuta come Tangentopoli, quando il pubblico ministero Antonio Di Pietro emise un ordine di cattura per l’ingegner Mario Chiesa, esponente del PSI milanese con ambizioni di diventare sindaco di Milano. Non ripercorriamo qui l’intera storia di Tangentopoli, ma limitiamoci a osservare come questa, arrivata apparentemente dal nulla, spazzò in un attimo cinquant’anni di storia nazionale (e tra gli altri Bettino Craxi, che non era uno stinco di santo ma che, guarda caso, non si era mai piegato ai desiderata degli americani). Pochi mesi dopo un certo barone Guy de Rothschild, lui sì un vero stinco di santo, in un’intervista al Corriere della Sera affermò senza mezzi termini il suo sostegno al pool dei magistrati di Milano e ai media per le loro campagne mediatiche contro Dc e Psi. Così si espresse il barone: "…in Italia la gente pulita deve spazzare via la gente corrotta. Io, se fossi un Rothschild italiano, finanzierei i partiti che mirano a questa impresa di purificazione".⁷
Sarà un caso, ma esattamente dieci giorni prima dell’inizio di Tangentopoli, il 7 febbraio 1992, era stato firmato il Trattato di Maastricht, origine certificata della catastrofe attuale.
Sarà sempre un caso, ma ancora una volta il 7 febbraio 1992, lo stesso giorno della firma di Maastricht, la legge 82 sancì che il tasso di sconto sui nostri titoli di Stato fosse deciso unilateralmente dalla Banca d’Italia (nel frattempo passata in mano privata) e non più di concerto con il Tesoro. Poiché due più due fa quattro, in soldoni questo significa che il Tesoro viene completamente estromesso dalla gestione monetaria della lira (e quindi del paese), gestione che passa in mano privata. Se qualcuno avesse ancora dubbi che due più due fa quattro, gli basterà riflettere sul fatto che questa decisione non passò per il Parlamento e neppure per il Consiglio dei Ministri.⁸ Si è soliti dire che a pensar male si fa peccato ma spesso ci si prende
. Il fatto è che qui non c’è neppure da pensare. Qui