Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il Gatto di Kyriake. Genesi
Il Gatto di Kyriake. Genesi
Il Gatto di Kyriake. Genesi
E-book125 pagine1 ora

Il Gatto di Kyriake. Genesi

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

«Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo so». Questa massima di Sant'Agostino racchiude forse il senso più profondo del romanzo.

"Il gatto di Kyriake" pone infatti il lettore di fronte a interrogativi e inquietudini molto comuni: è possibile fermare il tempo? Dominarlo, piegarlo ai nostri desideri, fargli cambiare velocità? Da qui nascono a loro volta altre domande, sull'esistenza di una vita dopo la morte, di un Dio creatore e su ciò che per comodità mettiamo sotto l'etichetta "religione".

Il dono che Antonio, un quarantenne senza troppi grilli per la testa, riceve da una sconosciuta, è appunto quello del tempo: verrà trasportato dalla Terra (che scoprirà non avere la forma con cui siamo soliti conoscerla e rappresentarla) al pianeta Kundal, dove due giorni terresti corrispondono a centocinquant'anni e le persone vivono, restando esteriormente giovani e mutando soltanto il colore dei capelli. Tutto diventa quindi relativo, e concetti come "vita" e "morte", "aldilà" e "Dio" si fanno più sfumati, di difficile definizione. La morte non esiste, per chi è stato in grado di crearsi un'anima, ma è come un passaggio a un livello superiore – Kundal appunto.

Con queste premesse, il vero regalo diventa per Antonio, più che il tempo fine a se stesso, la possibilità di una nuova esistenza al fianco della donna della sua vita, strappatagli via troppo presto, sulla Terra, da un male incurabile. E quando per i due arriverà il momento di una nuova, dolorosa separazione, ecco che il tempo si fa di nuovo relativo: sarà un addio? Ci sarà ancora un'altra vita, un'altra possibilità, un'altra dimensione da esplorare?

Al ritorno sulla Terra i centocinquant'anni vissuti su Kundal sembreranno appena un soffio, forse un sogno, ma lo avranno cambiato per sempre. Ammesso che dire "per sempre" abbia un senso.
LinguaItaliano
Data di uscita15 nov 2017
ISBN9788892695160
Il Gatto di Kyriake. Genesi

Correlato a Il Gatto di Kyriake. Genesi

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il Gatto di Kyriake. Genesi

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il Gatto di Kyriake. Genesi - Antonio Borromeo

    Bernard

    1

    Cosa di rado veduta, più cara è tenuta.

    Proverbio

    Un tale diceva: «Il destino è quella cosa che accade quando non sei stato in grado di prendere in mano le redini della tua vita». Certe situazioni avvengono e non puoi farci niente, accadono, precipitano, ruzzolano giù dal pendio, come animate da una forza cinetica. E noi? Abbiamo due possibilità: assistere inerti, osservare con perizia certosina e descrivere gli episodi, come Plinio il Vecchio nell’eruzione Vesuviana del settantanove a.C.; oppure, intervenire affinché i fatti possano mutare l’ordine naturale degli eventi. Ma è realmente possibile, una volontà maestra può modificare i risultati? Democrito sentenziò: «Tutto ciò che esiste nell’universo è frutto del caso e della necessità». Dobbiamo credergli? Ai posteri l’ardua sentenza…

    C'è stato un momento in cui mi ritrovai, figuratamente, come quei piloti che affrontano male una curva e perdono il controllo del mezzo. Quando si rendono conto dell’errore è troppo tardi e possono assumere soltanto una posizione di riparo e affidarsi alla misericordia di Dio! Se però, ignori da cosa proteggerti, allora comprenderai il mio stato d’animo. Ero tale e quale a Wile E. Coyote quando, tra le gole del Monument Valley, dopo essere rimasto sospeso nel vuoto per alcuni istanti, precipita nel dirupo. La speranza era di cadere in piedi, espressione usata soventemente da un simpatico e caro amico antiquario, in relazione ad investimenti non fruttuosi: quelli dai quali, qualora fossi riuscito a recuperare l’investimento saresti già stato un miracolato; analogamente l’espressione di cui sopra ha il suo antitetico nel cadere a gambe all’aria… la cui spiegazione è fin troppo palese.

    Non parlerò di economia: ma restare con i piedi per terra era quantomeno auspicabile.

    Come ogni domenica mattina mi recai a Napoli, nel popolare quartiere periferico di Poggioreale, noto ai più per la famosa Casa Circondariale, altresì conosciuto per essere uno dei luoghi partenopei in cui si svolgono diversi mercatini rionali, uno su tutti quello delle pulci. Che sia ben chiaro, non perché vi siano insetti dappertutto, ma le persone, spulciando, per l’appunto, di bancarella in bancarella, ricercano qualcosa di particolare, antico, unico e simpatico da poter comprare e portare a casa. Tuttavia, all’origine, questa nomenclatura fu coniata perché in un noto e storico mercatino d’Oltralpe, per davvero, le pulci infestavano tappeti e capi d’abbigliamento.

    Come tutte le sante domeniche, dicevo, alle 5 in punto ero lì. Preciso come un orologio svizzero, inesorabile come l’acqua delle cascate dell’Iguaçu in Sud America, iterativo come l’alternanza tra il giorno e la notte. Ero lì, nel posto che amavo frequentare sia come venditore professionale, con tanto di posto fisso che rinnovavo con cadenza mensile, sia come ricercatore di rarità antiche e moderne.

    Sul lungo viale al di sotto del ponte della statale, le auto, copiose come api pronte a entrare nell’alveare, incolonnate in attesa dell’accesso al primo cancello del mercato, confluivano da entrambi i sensi di marcia, formando una biforcazione tutto sommato ordinata. I veicoli attendevano il loro turno in silenzio: macchine, furgoni, tre ruote traboccanti di oggetti, stipati in ogni angolo possibile, come le carovane che percorrono il deserto del Sahara o i treni del Bangladesh. Situazione talmente paradossale che sarebbe stata degna del miglior Fellini. In men che non si dica, mi lasciai alle spalle il cancello, ora i veicoli formavano un’unica fila, eravamo allineati gli uni agli altri ed io riuscivo persino a percepire il respiro affannoso dell’automobilista dietro di me che fumava e parlava con voce roca. Non tutti i parcheggi di questo tratto iniziale adibiti ad uso esclusivo per disabili erano realmente occupati dai portatori di handicap: ahimè troppe volte ho visto scendere da questi mezzi persone sane come un pesce. Tuttavia si dice che a pensar male spesso e volentieri si fa peccato, però s’indovina, quindi supponendo che non tutti i permessi accordati per i disabili fossero non veritieri, propugnai per un’ipotesi filantropica e moralmente cristiana, secondo la quale la maggior parte delle auto parcheggiate nei posti per i disabili, erano occupate lecitamente dai familiari degli stessi. Francamente parlando, ne approfittavano per sostare vicinissimi all’ingresso. Lungi da me nel credere che il tanto stimato e onorato ente ACI, possa rilasciare pass a persone sane e totalmente prive di ogni disabilità.

    «Guaglio’ o’ cartellin aro’ sta?». La tessera, certo. Era la voce di Rosario, uno dei membri dell’associazione promotrice di questo evento.

    Abbassai il finestrino per mostrargli che ero in regola, ma si limitò a guardarmi in faccia, e riconosciutomi fece segno d’entrare. Rialzai per metà il vetro e un venticello piacevole avvolse il mio viso. Ebbro di stanchezza, quell’arietta destò un’estemporanea e piacevole vivacità.

    Superato il punto di verifica, si accede al cuore del mercato delimitato a sua volta da un altro cancello di ferro. Sulla destra si presenta l’ufficio della direzione, sulla sinistra invece i bagni e di fianco un bar che diffondeva nell’aria il buon aroma del caffè. Quasi tutti i venditori, ancor prima di esporre i prodotti, dovevano sorseggiare questa bevanda tropicale. Dal canto mio, mi sentivo come un oriundo, uno straniero in casa, non bevo caffè perché la pressione arteriosa è sempre alle stelle. In primo piano, ti accoglie un’imponente statua di Padre Pio con tanto di candeliere e inginocchiatoio, di fronte al quale la maggior parte dei passanti, o con un lieve inchino o un accennato segno della croce, gli rivolgono lo sguardo. Un camorrista diventato collaboratore di giustizia una volta disse: «I santi a noi ci servono, ci aiutano». Ecco, abbiamo capito!

    Questa cappella, quasi a simboleggiare un aiuto trascendente e apotropaico, foriero di buone vendite e ottimi acquisti, fa da spartiacque tra i due vialoni che da questo luogo pio in poi si estendono per circa trecento metri. Si aprono allo sguardo quattro file di coperture, due sui lati perimetrali e due centrali. Le protezioni sono nella parte iniziale di ferro, di zinco al centro e sul finire invece di un resistente PVC blu, e sono le migliori. La loro utilità è fuori discussione: permettono in estate un riparo dai cocenti raggi del sole e in caso di pioggia garantiscono il normale svolgimento della manifestazione. Dove termina la tettoia centrale si crea uno spazio, nel quale trova alloggio un secondo bar. In questo punto si può sterzare e accedere all’altro viale, sul quale ai numeri 126-127 avevo il posto assegnato. Il mercato si estende anche e oltre l’area di svolta per ulteriori cento metri, ma le coperture sono assicurate solo in parte. A mio vedere è uno dei mercati meglio organizzati ed è sensibile alle esigenze fisiologiche dell’individuo. Poiché la superficie è molto ampia, si garantisce un servizio di facchinaggio, dietro un piccolo corrispettivo. Ne sa qualcosa chi acquista cose ingombranti o pesanti e, contando solo sulle proprie forze, non riuscirebbe a trasportare fino al proprio veicolo.

    La notte cedeva man mano tenebra alla luce. Le plafoniere al neon erano ancora accese per permettere ai venditori e gli affaristi della buonora di districarsi nell’ancora debole alba. Molti acquirenti si sarebbero raccapezzati anche al buio più cupo, perché forniti di torce al led: le usavano per sbirciare nei mezzi in sosta e avere così la primissima scelta. Insomma, è una vera e propria corsa all’oro che si conclude con moti di gioia e ritrovata stima di sé quando si acquista la cosa tanto sperata. Personalmente, appena agguantavo la mia rarità, mutavo d’aspetto: un sorriso si palesava più forte della stessa accortezza nel non rivelare alcuna emozione o interesse, altrimenti il prezzo, poi, era difficile trattarlo. Mi reputavo fortunato perché avendo vestito per lungo tempo i panni dell’acquirente, passato dall’altra parte del banco capivo all’istante il grado d’interesse di chi voleva mercanteggiare. Appresi dalla cultura araba un sottile stratagemma. Si racconta di venditori egiziani, i quali osservavano il cliente innanzitutto negli occhi. Se notavano una dilatazione della pupilla chiedevano una cifra molto più alta di quella che avrebbero preteso in condizioni normali. Ai nostri giorni il linguaggio non verbale è diventata una scienza quasi esatta e spiega il fenomeno come del tutto involontario. Verrebbe da dire che gli occhi sono per davvero lo specchio dell’anima.

    Il viso, stanco per le poche ore di sonno, fu come per magia illuminato da un raggio di sole, un sole pallido, ma allo stesso tempo familiare: come la carezza mattutina di una madre, o la premura di un padre mentre ti aspetta alla stazione con ansia, o il profumo delle pagine del libro che ho sul comodino, quando la sera prima di dormire, inizio a leggere. Be’… mi sentii finalmente rassicurato perché il cielo, sgombro del colore plumbeo dell’alba, fu definitivamente pervaso dalla luce.

    Alle 8 in punto, come tutte le domeniche, d’improvviso una voce stridente: «Antò lo vuoi un caffè?». Era Pasquale Mezza Recchia, chiamato così perché le orecchie erano talmente piccole da sembrare la metà. Veniva sempre al mio banco per quattro chiacchiere di cortesia e a sottopormi cose di cui non aveva perizia. Mi chiedeva la valutazione di oggetti con i quali aveva poca dimestichezza: tra i venditori si stabilisce un mutuo soccorso!

    «No grazie, non bevo caffè» risposi.

    «E com’è possibile? Un napoletano di adozione che non beve caffè è o’ scuorn [vergogna] dei napoletani» esclamò con sorriso beffardo.

    «Pascà tu hai sempre voglia di scherzare, tieni a capa fresca» gli risposi con gentilezza ma deciso.

    Tra una proposta di caffè e

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1