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I ragazzi di via Magri: Quando il raziocinio della mente sfugge di mano e va ad arenarsi nei territori oscuri della follia
I ragazzi di via Magri: Quando il raziocinio della mente sfugge di mano e va ad arenarsi nei territori oscuri della follia
I ragazzi di via Magri: Quando il raziocinio della mente sfugge di mano e va ad arenarsi nei territori oscuri della follia
E-book164 pagine2 ore

I ragazzi di via Magri: Quando il raziocinio della mente sfugge di mano e va ad arenarsi nei territori oscuri della follia

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Info su questo ebook

La storia si svolge su una barca a vela. Un viaggio verso un'isola, ma anche un'escursione nel passato, e, soprattutto, un viaggio nel presente. Quattro amici condividono per alcuni giorni la vita di bordo. La loro è un'amicizia antica che affonda le radici nell'infanzia, ma che ora ha smarrito un'autentica ragione d'essere. Così, nello spazio circoscritto della barca, tornano i ricordi di un'adolescenza spensierata, ma dopo i primi momenti di allegria emergono le incrostazioni che vite diverse hanno sedimentato in ognuno. Fino a che, grattando nel loro presente, emerge una morte misteriosa. Così si scopre che, dietro la maschera che alcuni si costruiscono per sopravvivere a loro stessi, si possono celare storie di persone apparentemente adattate che nascondono, invece, ossessioni e disagi profondi. Fino a diventare pulsioni di morte, desiderio irrefrenabile di uccidere.
LinguaItaliano
Data di uscita25 apr 2024
ISBN9788893783187
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    Anteprima del libro

    I ragazzi di via Magri - Gino Dondi

    Premessa

    La storia che viene proposta si svolge su una barca a vela.

    Un viaggio verso un’isola, ma anche un’escursione nel passato, e, soprattutto, un viaggio nel presente.

    Quattro amici condividono per alcuni giorni la vita di bordo. La loro è un’amicizia antica che affonda le radici nell’infanzia, ma che ora ha smarrito un’autentica ragione d’essere.

    Così, nello spazio circoscritto della barca, tornano i ricordi di un’adolescenza spensierata, ma dopo i primi momenti di allegria emergono le incrostazioni che vite diverse hanno sedimentato in ognuno.

    Fino a che, grattando nel loro presente, emerge una morte misteriosa.

    Così si scopre che, dietro la maschera che alcuni si costruiscono per sopravvivere a se stessi, si possono celare storie di persone apparentemente adattate che nascondono, invece, ossessioni e disagi profondi. Fino a diventare pulsioni di morte, desiderio irrefrenabile di uccidere.

    Introduzione

    Maledizione, è quasi un’ora che sono davanti a questo computer per scriverti: ho iniziato e ho cancellato tutto non so quante volte.

    Eppure, caro Franco, avrei tante cose da dirti, se solo trovassi un po’ di coraggio e se i miei pensieri riuscissero a farsi più chiari. Ma è tutto un groviglio d’interrogativi che non riesco a districare.

    Il più inquietante è: Io da che parte sto? Se taccio sono complice? È per questo che non so da dove cominciare, e tanto meno fin dove potrò addentrarmi nel racconto di questa dannata storia.

    È inutile, nella mia testa sento ancora quelle parole terribili, bisbigliate a mezza voce; allora mi chiedo se la follia si possa trovare anche in ciascuno di noi. Non la ‘grande follia’ dei pazzi, no, quella è inconsapevole e innocente; mi riferisco a una follia lucida, calcolata freddamente. Colpevole, quindi.

    Ecco, è su questo colpevole che mi si blocca il cervello.

    Colpevole!

    È così, accidenti?  

    Lui è colpevole?

    Sì, ne sono sicuro, lo è.

    Insomma, abbastanza sicuro.

    Ma che diavolo ne so...

    E io? Io che mi nascondo dietro un silenzio comodo e vigliacco?

    Via! Spengo e vaffanculo. Vado al bar e mi prendo una bella sbronza.

    È troppo comodo scappare: mi diresti così, lo so.

    Va bene, tento di nuovo. Proverò semplicemente a raccontare quello che è successo, innanzitutto per capire, valutare meglio ciò che è avvenuto, anche se mi costerà uno sforzo enorme. Perché quella fottuta crociera in barca ha fatto sì che la nostra bella amicizia finisse. Hai letto bene, ho scritto proprio che è finita. Ma non è questa, sai, la cosa più terribile.

    Quando ci siamo incontrati e mi hai chiesto com’era andata, se c’eravamo divertiti, io non ti ho risposto, in quel momento mi girava così, e tu hai capito che qualcosa era andato storto.  O forse, dico forse, tu già sapevi. Insomma, non avevo voglia nemmeno di accennartela, questa storia maledetta, ma ora sento di doverti dare delle spiegazioni, o forse delle giustificazioni, anche perché di lui, adesso, vorrei che non me ne importasse un accidente.

    Scrivere non è il mio mestiere, eppure sento l’esigenza di confidarmi, di trasformare ogni emozione, anche quelle più segrete, in parole.

    1. Rosignano

    Cala de’ Medici – giovedì tardo pomeriggio

    All’inizio sì, c’eravamo divertiti. Veramente. Come facevamo sempre, del resto. Poi… be’, poi è andato tutto a puttane.

    Lo sai, dovevi venire anche tu, l’appuntamento era a Cala de’ Medici, a Rosignano, giovedì pomeriggio. Destinazione la Corsica.

    Da mesi dicevamo che sarebbe stato bello fare una crociera in barca, tutti assieme. Certamente quello era il momento migliore dopo la brutta storia successa a Flavio.

    Ero elettrizzato: noi cinque, grandi amici da sempre. Avremmo vissuto una piccola avventura, avremmo giocato, detto le solite cazzate (e tu che dopo qualche parolaccia di troppo, ci avresti guardato storto), avremmo riso, come da copione quando ci incontravamo.

    Alberto, lo skipper, lo conosci, sembra un tipo burbero, ma se gli vai a genio diventa simpatico anche lui.

    C’erano tutti gli ingredienti per una breve, ma indimenticabile vacanza. Sbagliavo.

    Il giorno precedente la partenza avevo raccontato ad Alberto la storia della nostra amicizia. Di te ho detto poco, tanto ti conosce. Gli ho spiegato che siamo nati e cresciuti in via Magri. Gli ho detto dei giochi, delle piccole avventure di noi bambini; poi, crescendo, dei primi acerbi innamoramenti, e tutto era condiviso: le confidenze, le speranze, i dubbi, gli struggimenti. Anche da ragazzi, sempre insieme; le notti spensierate in discoteca, le birre, molte birre, e qualche sbronza. (Anche tu le prendevi, a quei tempi. Sì, gliel’ho confessato!) Facevamo un sacco di casini, ma in fondo eravamo bravi ragazzi. Gli ho detto che, allora, non avevamo programmi precisi per il nostro futuro e nessuna idea di ciò che saremmo diventati. A dirla tutta, non ci importava. Avevamo però la convinzione che la vita sarebbe stata generosa, questo sì.

    Poi ognuno ha preso la sua strada: io sono partito per il servizio militare a Treviso al 33° Reggimento, Pier è andato a Milano per frequentare la Bocconi; l’anno dopo anche Flavio e Massimo sono partiti: uno a Udine, l’altro a Tolmezzo, entrambi negli Alpini.

    L’estate successiva ci fu la tua scelta, la più incredibile per noi. La più naturale per te, dicesti.

    In seguito non abbiamo mai smesso d’incontrarci, pur vedendoci soltanto due, tre volte l’anno; che si andasse al ristorante o a casa di qualcuno per un poker non cambiava nulla, era comunque baldoria come ai vecchi tempi. Accidenti, ricordi le risate?

    L’appuntamento era sempre in piazza Repubblica: Pier arrivava con la sua Porsche nera, solo nere le comprava, Massimo con l’immancabile Audi, io e te come capitava, e Flavio con la sua sgangherata Peugeot del ’98. Eppure ci sentivamo tutti uguali. Si faceva un gran casino fino alle ore piccole, poi tornavamo al parcheggio della piazza, e da lì chi prendeva la Porsche, chi l’Audi, chi l’utilitaria del ’98 o quel che era. Insomma, la vera amicizia è capace di lunghe pause, poi nel momento che ti ritrovi, sembrano passati pochi minuti.

    La cosa bella della nostra amicizia era che, sebbene fossimo così diversi per temperamento, vicende personali, frequentazioni, reddito e abitudini, quando eravamo assieme tornavamo a essere i ragazzi di via Magri: allegri, sinceri e anche un po’ volgari. Conoscevamo i nostri difetti, e nonostante questo ci volevamo bene. Niente poteva turbare la nostra intesa.

    Alberto mi ascoltava con curiosità partecipe, forse da ragazzo gli sarebbe piaciuto avere anche lui amici come noi; che ne so.

    A quel punto avrei voluto dirgli che Pier in realtà si chiama Pierangelo. E che lui, affermato commercialista, con molti incarichi di prestigio, era diventato consulente amministrativo e finanziario del Vescovado. Lui, il più grande peccatore della città (ma anche il più abile intrallazzatore, mi dirai con una punta di rammarico), esperto in automobili di lusso, locali alla moda e costosissime troie (scusa il termine, ma è quello che usa lui). Insomma, che consigli poteva dare? Noi lo sfottevamo e lui si faceva sfottere. Perfino tu lo facevi.

    E raccontargli anche di Massimo: lui aveva avuto una relazione con l’amica della moglie, e una volta scoperto aveva dovuto divorziare. Un merito però gli andava riconosciuto: dopo le prime tempestose settimane dalla separazione, i rapporti con la ex moglie si sono placati. Hanno capito di non essere fatti l’uno per l’altra. E hanno trovato un nuovo equilibrio, quasi una rinnovata amicizia fatta di comprensione e stima reciproca. Devo dire che non è una cosa comune. In tutto questo, per noi cos’era cambiato? Nulla!

    E che dirgli di Flavio, dopo che era successa quella maledetta storia? Niente! Non c’era niente da dire. Per noi era rimasto il solito, dolce Flavio.

    E io? Io ero di sinistra e Pier di destra. E le discussioni che facevamo, con Massimo che dava torto a entrambi e Flavio a fare da paciere, ma poi, alla fine, eravamo più amici di prima. Non avevamo paura di contraddirci.

    Avrei voluto spiegargli tutto questo, poi, non so perché, ho lasciato perdere.

    Io e Alberto arrivammo a Cala de’ Medici verso le sette del pomeriggio, dovevamo fare il check-in con l’armatore. Massimo è arrivato un’ora dopo. Era venuto da solo con la sua auto, perché il lunedì doveva essere a Roma. Ha fatto presto conoscenza con Alberto e fra loro è nata subito una spontanea simpatia. Un ottimo auspicio, visto che avremmo dovuto convivere per i successivi tre giorni gomito a gomito. Massimo, appassionato di tecnologia, ha iniziato a tempestare Alberto di domande: di che materiale era composto lo scafo, quant’era alto l’albero, che differenza c’era tra le varie vele.

    Intanto che i due parlavano di carbonio, teak, sandwich in kevlar e gelcoat, io sistemavo la cambusa. Quando sono tornato in coperta Massimo e Alberto stavano ancora parlando di vetroresina e, visto che non volevo fare la parte né dell’esperto né del neofita, andai sul pontile ad aspettare gli altri.

    Ne approfittai per una telefonata a Marta, sai che quando arrivo vuole che la chiami. E non dire niente, fa così anche tua madre. Parlammo del tempo e di quello che aveva preparato per la cena. Poi terminò dicendomi: Fammi sapere di Flavio. Cerca di capire qualcosa. È una cosa troppo grossa per essere vera.

    Subito dopo mi soffermai ad ammirare una splendida vela d’epoca. Una goletta con fasciame in mogano e i due alberi in legno di pino. Su una targa il nome, Capriccio, e la data del varo: 1926. Ricordo di aver pensato che certe barche d’epoca dovrebbero essere considerate come opere d’arte e quindi rispettate come tali, non lasciate alla bizzarria di proprietari che personalizzano gli scafi a loro piacimento.

    Salutai uno dell’equipaggio e stavo per dirgli qualcosa quando sentii: Micio!

    Mi girai, ed eccoli arrivare. Pier, bello come il sole, camminava lungo il pontile come un’indossatrice percorre la passerella di una sfilata di moda. Sembrava lo skipper di tutti gli oceani: avanzava baldanzoso, sicuro di sé, abbronzatissimo, te lo puoi immaginare. Camminava in quel modo tutto suo, virile e femminile insieme. Indossava una T-shirt in microfibra della Slam. I pantaloni? Be’, Slam anche loro. Sopra, sebbene facesse ancora caldo, ma doveva farlo vedere, uno di quei golf aperti davanti con la zip che fuori sono in polipropilene e dentro in cachemire. Di chi? Ma della The North Face. Ai piedi aveva delle Helly Hansen, come quelle che abbiamo visto a Porto Ferraio la scorsa estate, ricordi? Come sempre recitava la parte del gran figo: valeva la pena di vederlo.

    Il nostro saluto, come al solito, fu una vigorosa stretta di mano.

    Con lui c’era Flavio. Era sorridente, ma dai suoi occhi si intuiva che portava con sé una profonda stanchezza. L’abbracciai forte, a lungo, come si abbraccia un fratello scampato a un grave pericolo.

    C’era da aspettarselo: arrivarono assieme. A Pier piace avere

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