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Inferninho
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E-book156 pagine2 ore

Inferninho

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Info su questo ebook

Il sedicenne Nilton, orfano di padre e cresciuto nelle favelas di San Paolo, in Brasile, sogna di diventare un calciatore professionista. La sua storia, specchio dei molti problemi sociali che affliggono il suo paese, racconta di lotta, coraggio, resilienza... Mentre Nilton - accompagnato da Calisto, il suo migliore amico; dal fratello Miguel, a capo di una banda di spacciatori; e dalla sua amica d'infanzia Aline, artista in erba -, con il sottofondo delle partite giocate dal Brasile al Mondiale di Calcio del 2014, combatterà per realizzare il proprio sogno, ma non prima di essersi lasciato alle spalle incertezze e lutti, allo stesso tempo ci racconterà una storia che incoraggia a coltivare capacità e talento, senza mai arrendersi.

Davide Grigoletto, milanese, dopo la Laurea Magistrale in Storia Contemporanea, frequenta il corso per l'editoria dell'agenzia Viaticum e il Master di Secondo Livello in Public History e Historytelling promosso
dall'Università degli Studi di Milano e dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Oggi è un insegnante di Lingua e Letteratura Italiana, Storia e Geografia. Lettore appassionato sin dall'infanzia, nel tempo libero si dedica alla scrittura di romanzi e racconti brevi, con l'obiettivo di diventare uno scrittore professionista. “Inferninho”, che unisce la sua passione per il calcio alla sua sensibilità verso le tematiche sociali, è il suo romanzo d'esordio.
LinguaItaliano
Data di uscita3 mag 2024
ISBN9791223036181
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    Anteprima del libro

    Inferninho - Davide Grigoletto

    Collana

    LE FENICI

    Davide Grigoletto

    INFERNINHO

    MONTAG

    Edizioni Montag

    Prima edizione aprile 2024

    Inferninho

    © 2024 di Montag

    Collana Le Fenici

    ISBN: 9788868927806

    Copertina: illustrazione di Alice Montorfano

    Quest’opera è esclusivamente frutto della fantasia dell’autore. Ogni riferimento a persone esistite, esistenti o a fatti accaduti è

    puramente casuale.

    INFERNINHO

    CAPITOLO 1

    Corro lungo la discesa, con un pacchetto stretto al fianco. Non riesco a credere di essere in ritardo, non oggi.

    Non che per me sia un fatto straordinario. Da quando ho dieci anni, rincaso sempre dopo l’ora di cena e mia madre mi grida contro, prima di lasciare perdere di fronte alla mia eterna giustificazione: Mi dispiace mamma, ero fuori a giocare a calcio . A questo punto lei sospira, mi indica il piatto in tavola e torna a guardare la televisione. Questa scena si ripete ogni sera, come le puntate delle pessime telenovele che infestano tutti i canali. Ormai familiari e amici si sono abituati a questo aspetto della mia personalità e quasi nessuno se ne lamenta più, ma ci sono alcune occasioni che richiedono la massima puntualità e il compleanno di Aline è una di queste. Ci siamo dati appuntamento davanti al negozio di suo padre per passare il pomeriggio insieme e ci rimarrebbe male se arrivassi tardi.

    Percepisco un odore insolito e spicco un balzo per evitare la pozza melmosa che si è formata ai piedi della discesa. Atterro all’asciutto e riprendo a correre. Per vivere nell’Inferninho, il corpo deve sempre essere più rapido del pensiero. Un odore nauseabondo, un rumore fuori posto, persino una puntura leggera possono essere un segnale di pericolo. La mia mente registra che è di nuovo saltata la tubatura dell’impianto fognario. Il tanfo dell’acqua di scarico è disgustoso e i fili elettrici che pendono dal muro potrebbero trasformare quella pozzanghera in una trappola mortale. Normalmente ci vorrebbero mesi prima che qualcuno si prenda la briga di venire a ripararla. Tuttavia, visto che mancano solo dieci giorni all’inizio dei Mondiali, potrebbero metterci di meno e persino sostituire i tubi. Sia mai che qualche turista distratto finisca folgorato. Anche se credo che nessuno sano di mente verrebbe in gita in una delle favelas più malfamate di tutto il Brasile.

    Saluto la vecchia Maria, seduta vicino al suo carretto della frutta, mentre le sfreccio accanto. Di solito sonnecchia come un ghiro, ma ora è sveglia e, con la coda dell’occhio, la vedo indicarsi il polso con le dita, come se si stesse indicando un orologio invisibile. Capisco con un attimo di ritardo che non mi sta chiedendo l’ora.

    «Ehi, tu! Fermati!»

    Mi immobilizzo come una statua e porto le mani lontano dalle tasche, con il pacchetto bene in vista. Due Scarafaggi mi vengono incontro con i fucili in mano. Non sono insetti veri e propri, anche se possono essere molto più fetenti di qualsiasi specie animale, ma agenti di polizia. Nelle favelas abbiamo a che fare tutti i giorni con animaletti schifosi come i pidocchi e le zecche, ma nessuno ne ha paura. I poliziotti, invece, con le loro divise nere e i giubbotti antiproiettile, riempiono tutti di angoscia, se non di un genuino terrore. Bloccano le persone per strada, entrano nelle case per perquisirle e soprattutto sparano addosso ai residenti con una facilità disarmante.

    «Buongiorno, agenti» saluto con cortesia.

    È meglio essere disponibili nei confronti degli esponenti delle forze dell’ordine, per ingraziarseli ed evitare guai. Stavolta sono in due: un uomo sulla quarantina accompagnato da un ragazzo con la pelle scura e i capelli rasati come un soldato della Marina degli Stati Uniti. Mi rassicura il fatto che non sembrino troppo agitati. Se faccio tutto quello che mi ordinano, mi lasceranno andare senza darmi noie.

    «Metti il pacchetto a terra e le mani contro il muro» ordina il più anziano.

    Obbedisco. Lascio la confezione, volto la faccia verso il muro più vicino e mi ci appoggio. Tutto in maniera fluida e senza movimenti bruschi. La prima volta che mi hanno fermato, avevo tredici anni e ho rischiato di farmela addosso. Ora quando capita sono quasi tranquillo.

    «Cosa c’è qui dentro?» chiede il più giovane, alle mie spalle.

    «Materiale per disegnare» rispondo prontamente.

    L’agente sbuffa. Sento il rumore della carta che viene strappata e delle mani pesanti che mi tastano i pantaloni. La perquisizione dura poco: non ho nulla nelle tasche che valga la pena controllare. Sono anche senza maglietta, un trucco di sopravvivenza basilare. Gli spacciatori nascondono la droga e le armi sotto vestiti ampi, quindi mostrarsi a torso nudo è il modo più efficace per dimostrare di non avere nulla di compromettente. Un altro sarebbe non correre quando si passa dalla discesa, visto che in fondo ci sono sempre degli agenti in agguato, ma non si può pensare a ogni evenienza.

    «Cosa hai trovato?» chiede il poliziotto più anziano.

    «Ha detto la verità: ci sono solo colori, pennelli e fogli da disegno» conferma il marine.

    Sono acquarelli penso.

    Credo che gli agenti mi fermino spesso perché non ho l’aspetto di un morto di fame. Grazie alle cure della mia famiglia e alle ore passate a giocare a pallone, il mio corpo è robusto e ho messo su una discreta massa muscolare.

    Il primo agente emette un verso di frustrazione. La sua convinzione di aver catturato qualcuno di interessante va in frantumi.

    «Puoi andare» taglia corto.

    Stacco i palmi delle mani dalla parete e il secondo agente mi restituisce il regalo di Aline, malamente avvolto nella carta strappata. Senza un’altra parola, i due si rimettono dietro l’angolo in attesa del prossimo sospetto. Forse saranno più fortunati. Mi allontano di una decina di metri e riprendo a correre. Non ho dimenticato di essere in ritardo.

    La vita nell’Inferninho è così da sempre. Le case, colorate e costruite con ogni genere di materiale, sono addossate le une sulle altre come i corpi degli ubriachi dopo una festa; i fili elettrici escono dai muri come serpenti arrabbiati e si intrecciano tra i tetti come liane; ci sono vie talmente strette e sporche che nemmeno i ratti ci potrebbero passare e vicoli oscuri che solo spacciatori, drogati, prostitute o gruppi di Scarafaggi hanno il coraggio di attraversare. Tuttavia è meno peggio di quello che possa sembrare: in ogni spiazzo, terrazzo o discesa si possono trovare gruppi di persone che giocano a calcio. Ci sono i bambini, che, anche se non conoscono le regole, si innamorano a prima vista della palla; i muratori, goffi e sporchi, che rincorrono palloni di stracci; ogni tanto si può vedere anche qualche vecchietto sdentato che palleggia con una maestria incredibile.

    Una volta uscito da questo labirinto, attraverso una strada trafficata e raggiungo l’unico luogo che chiunque potrebbe trovare carino nell’Inferninho: Plaza del Angel.

    Forse ha un nome pretenzioso, ma è senza dubbio un posto magico: c’è sempre la musica sparata a un volume impossibile da almeno tre furgoni; un paio di bar sgangherati, che vantano però televisioni di ultima generazione, arrivate in occasione dei Mondiali; e infine il negozio del padre di Aline, Julio, il migliore barbiere del Sud America. C’è persino un angelo, che se ne sta seduto appoggiato al palo di una delle tante porte disegnate sulle pareti con il gesso. Ha una sigaretta tra le labbra, le ali giallo-verdi a riposo e gli occhi distratti puntati verso il cielo. Quest’opera d’arte è un’aggiunta recente. Di fianco al murales, in piedi e con un libro aperto tra le mani, vedo il mio migliore amico: Calisto. Mi dirigo verso di lui. Non provo nemmeno a chiamarlo. Mentre legge, è come se fosse sott’acqua. Quando sono vicino, come se avesse percepito la mia presenza, alza lo sguardo.

    «Sei quasi in ritardo, Nilton» mi comunica a mo’ di saluto, prima di scambiarci il cinque.

    «La differenza sta tutta in quel quasi. Sono in perfetto orario, Calisto» replico.

    «Sei partito tardi o ti sei messo a giocare con i muratori?» chiede dopo un esame critico delle mie condizioni.

    «Due Scarafaggi mi hanno fermato alla fine della discesa» ribatto.

    «Non mi stupisce affatto. Con quel taglio, io ti arresterei subito».

    I miei capelli non hanno nulla che non va. Me li sono fatti rasare ai lati e li ho lasciati lunghi al centro, come tutti i migliori attaccanti del mondo. Se avessi avuto i soldi, me li sarei anche fatti tingere di biondo. Calisto, che è in grado di risolvere qualsiasi problema di matematica e comprende qualsiasi frase astrusa trovi nei suoi libri, sembra essere l’unico a non capire.

    Del resto, lui è diverso da chiunque abbia mai conosciuto.

    È alto e magro, con i capelli ricci e un po' di barba che gli ricopre le guance a macchie. I suoi arti sono così lunghi che sembra abbia rubato le zampe anteriori a una scimmia e le gambe a un airone. Sono caratteristiche che ne farebbero un grande portiere, invece lui ha scelto di giocare come fantasista, con risultati eccezionali. Riesce a dare al pallone traiettorie imprevedibili e vede linee di passaggio invisibili ai difensori e a gran parte degli attaccanti. Probabilmente, dietro ai suoi occhi scuri, c’è il miglior cervello di tutto lo stato di San Paolo. Da quando l’ho conosciuto e siamo diventati amici, grazie ai suoi assist ho cominciato a segnare cataste di gol. Mi metto di fianco a lui e osservo un gruppo di ragazzi e ragazze che improvvisa una partitella. Non sono niente di eccezionale, quindi inizio a fissare la vetrina del barbiere.

    «Aline ci sta mettendo molto» faccio presente.

    «Forse hanno tanti clienti» ipotizza Calisto, che si rigira il libro tra le mani, combattendo contro il desiderio di riprendere a leggere. Il suo amore per le parole scritte è pari a quello che prova per il pallone.

    «Potremmo entrare e chiederle quanto le manca» propongo.

    Calisto piega le labbra in una smorfia buffa, riflettendo sulla proposta.

    «Prima vai a darti una lavata alla fontana» mi impone.

    Io non protesto, gli affido il pacchetto e mi avvio, perché so bene che Calisto odia la sporcizia dell’Inferninho più di qualsiasi altra cosa. Nonostante non si faccia problemi a lanciarsi a terra per recuperare una palla o a giocare scalzo, è impossibile non cogliere gli sguardi colmi di disgusto che rivolge ai mucchi di immondizia accatastati nei vicoli, invisibili agli occhi degli altri passanti. Non è nemmeno la stranezza maggiore che lo contraddistingue. Per esempio, indossa quasi sempre delle camicie vecchie e piene di buchi causati dall’usura, che ripara con pezzi di stoffa colorati. Chiunque altro sfoggiandole apparirebbe ridicolo, mentre su di lui sembrano capi di abbigliamento comuni.

    Il racconto di come siamo diventati amici è ancora più bizzarro. È arrivato nella mia classe quando avevo nove anni. Come accade abbastanza di frequente, in quel periodo non c’erano insegnanti a fare lezione e noi riempivamo le ore rimaste vuote giocando a calcio. Calisto, dal canto suo, preferiva passare il tempo nello sgabuzzino adibito a biblioteca, dove aveva trovato decine di libri dimenticati. Quasi tutti lo trattavano con

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