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Quasi come essere
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E-book336 pagine5 ore

Quasi come essere

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Info su questo ebook

Le filosofie, al pari di ogni altro sistema di pensiero o visione più o meno mitica o critica o dialettica, principiano con una chiusura d’orizzonte. Diversamente non saprebbero come apparire a se stesse esclusive. La domanda di un certo sapere, desiderabile e urgente nell’immediato contesto storico-culturale, predetermina il campo e l’orientamento della risposta. Si può parlare di 'eros del banale' e di 'autoctisi', perché tipicamente vi si dà anzitutto – come fosse la totalità di ciò che importa – una qualsivoglia banalità o contemplazione circoscrivente, un aperçu verso cui la mente si spinge (in realtà entro cui si chiude) e al cui possesso anela (di fatto chiede di esserne posseduta) per mezzo di idee che costruiscono l’oggetto del desiderio. La risposta desiderata condiziona la domanda, la indirizza verso di sé così che assume l’aspetto di un’apertura alla verità delle cose e di una conferma della giustezza del desiderio e della connessa ragione desiderante.

Il disfacimento della storia, l’universale immediato del world wide web, la post-postmodernità in cui il XXI secolo va addentrandosi impongono un nuovo filosofare, diversamente costruttivo, capace di superare (ma al tempo stesso di comprendere) ogni ideotica locale, ogni pensiero del bisogno e del contentamento. Quel sentire che qui chiamo 'prosofico' è già operativo. Lo è da sempre, in qualche misura, nella conduzione del privato e del quotidiano. Ora se ne sta diffondendo la coscienza come dell’unico possibile orizzonte comune dell’umanità intera. Serve però un più minuto darsene conto, esplicitarne i riferimenti che sono finalmente non più fondali di scene prescritte da una regia qualunque (il Destino, la Fede, la Ragione, la Nazione, il Progresso, la Rivoluzione ecc.) ma piuttosto 'illimiti' da gestire consapevolmente, con gli occhi ben aperti sulla sola questione veramente essenziale, debellare l’ingiustizia.

LinguaItaliano
Data di uscita9 dic 2013
ISBN9781310516160
Quasi come essere
Autore

Paolo-Ugo Brusa

Italian by family and citizenship, born (1950) and living in San Marino, SM. School years in Rimini, 1958 to 1965, and Bologna, 1966 to 1974. Doctoral degree in Philosophy from Bologna 'Alma Mater' University in 1974 (master thesis on the education of James Joyce). Enrolled in San Marino public schools as a teacher of Italian, History and Geography in junior high (1974-1995); then of History and Philosophy in high school until retirement in 2010. In the early 80’s, I was involved in developing computer apps in a ground-breaking field, at the time: individualized teaching aid for Down children. Works include 'Parentesi', 1983, a collection of free verse; 'Ripeness Is All', 2012, a red carpet of pictures; 'La cura di sé (in giovane età)', 2018, a bildungsroman; 'Genesi. L'origine qui e ora' (my fifth philosophicsl essay, to be published 2023).

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    Anteprima del libro

    Quasi come essere - Paolo-Ugo Brusa

    Sommario

    Seconda edizione – In corso d’opera

    0. Anticipazioni – 1. Originarsi – 2. Presentarsi – 3. Inclusione – 4. Esclusione – 5. [dico che] – 6. Prologica – 7. Radicalità – 8. Desumere la triradicalità – 9. Radicalità e temporalità – 10. Alla prova dell’inclusione – 11. Prospettive e lon-tananze – 12. Criticità prevedibili – 13. Del nulla preordinare – 14. Nessi prologici – 15. La & interradicale – 16. Irriducibilità & trasducibilità – 17. Intrecci di eventi – 18. Regimentazioni dell’essere al mondo – 19. In altre parole – 20. Oltre l’ethos

    Opere citate – Note – Termini – Colophon

    ***

    Seconda edizione

    La prima edizione di Quasi come essere è comparsa su Smashwords nel dicembre 2013, pochi mesi fa. Questa seconda edizione (aprile 2014) è il frutto del lavoro di correzione della prima sfociato in qualcosa di più. Il testo essendo stato quasi solo emendato, il lettore troverà il di più nelle note di chiusura e nelle annotazioni alle opere citate. Quanto alle prime va ricordato che in un e-book le note a fondo pagina sono tramutate in note di chiusura per ragioni estrinseche, di formato, benché per il contenuto esse siano talvolta, come qui, strettamente collegate agli svolgimenti della pagina. Le sparse annotazioni alle opere citate sono invece da intendere come accenni a confronti critici importanti da approfondire, se sarà possibile, in altro momento. 

    In corso d’opera

    Dopo Essere al mondo [1] e Del che è & che non è [2], propongo qui una nuova introduzione alla prosofia.¹ Non a concludere una sorta di trilogia, ma per tornare a dire sullo stesso tema, la biografia elementare e la cognizione complessiva dell’esistenza che ritengo ne consegua. A che scopo riprendere il discorso dall’inizio? Perché non lavorare sulle implicazioni che il pensare prosofico intrattiene con le diverse sfere esistenziali e culturali? Implicazioni e applicazioni – in questi scritti appena viste in concetto – il cui esame mostrerebbe cosa esso sa fare, quale sapere sa agire. I motivi sono diversi. Anzitutto quella che chiamo prosofia, di cui questi lavori non sono che precarie descrizioni, non si esplicita come ennesima filosofia in competizione col pensiero del passato, ma come nuovo porsi intellettuale e morale, emergente dal post-moderno, dalla dissacrazione, dalla ironizzazione, dalla relativizzazione, dalla connessione globale, dalla rigenerazione dei valori. Serve quindi un’indagine approfondita dei suoi concetti-base, prima di metterla faccia a faccia con le diverse versioni e visioni del sapere e dell’agire umani.² Come il vecchio filosofare – con le sue speranze, i suoi orizzonti, le conquiste e le sconfitte – ha retto per secoli e si è da ultimo risolto/dissolto grazie al confuso proliferare di molte e diverse verità, così solo se reggerà alla più ampia diversificazione la consapevolezza prosofica germogliata tra i due millenni giungerà a fruttificare. Tuttavia, a differenza del filosofico, che puntando all’essere e all’assoluto non poteva non produrre sistemi contrapposti, al modo in cui la natura produce le differenti specie ciascuna delle quali bada solo a salvare se stessa, il pensare prosofico punta alla descrizione complessiva dell’essere al mondo e della relatività di ogni evento (e del connesso saperne) al suo vissuto, a quel quasi come essere da tutti sperimentato, capacissimo eppur carente, di cui filosofie e religioni hanno temuto la libertà pur avendone tratto nutrimento per le loro visioni. Per ciò serve una pro-ontologia post-filosofica, sostenuta da una gnoseologia non dottrinaria, inclusiva nei confronti delle teorie della conoscenza impostate dal pensiero regimentante (ciascuna a suo modo sapiente), ma più vicina all’originario darsi dell’esperienza, un sapere come sapere che affianchi la quotidiana ricerca del senso.³

    Nello specifico, questa terza prova offre un andamento più concentrato, una sorta di sintesi destinata a chi voglia conoscere il nucleo della proposta prosofica o riesaminarla concettualmente. Rispetto a Del che è & che non è e a Essere al mondo, lavori (specie il primo) di ricognizione e ammissibilmente approssimativi, questo scritto s’avvale, se non m’illudo, di un certo affinamento dei concetti, di una miglior tenuta lessicale. Tuttavia, benché anche qui l’arco della trattazione e l’argomento stesso portino a una sorta di schematica compiutezza, non vi si troveranno semplicemente abbreviati i percorsi precedenti. Anzi, uno spazio più ampio vi è riservato a. al cammino concettuale verso la triradicalità, b. all’esame dei nessi intra- e inter-radicali, c. nonché al rapporto tra pro-logica e logica. Soprattutto, qui d. non accentuo i contrasti tra prosofia e altri avvicinamenti all’essere al mondo; e. intendo piuttosto mostrare come la disposizione prosofica sia volta a ricercare in concetto e in esempio – per farsene una rappresentazione certo non definitiva bensì regolativa – quella universalità del comprendere di cui l’umanità ha sempre avvertito l’impellenza. Un’urgenza che ha spinto secolo dopo secolo verso soluzioni localmente esaudienti, destinate a soddisfare prima e poi a deludere di fronte al moltiplicarsi di nozioni e impersonazioni e interpretazioni che tutto legittimano e tutto erodono. A cui fanno spesso seguito, con opposto rischio, l’indifferenza insulsa per cui non si danno che o tecniche e punti di vista o la bieca conflittualità, guerra totale di mondi fondamentalisticamente avversi.

    La prosofia tratta insomma della cosa più difficile, del nostro quasi come essere, gettato nell’indeterminato, drammaticamente autoreferenziale per reazione, incline a presumere di sé e del suo sapere, ma vocato altresì alla diversità, alla relatività, alla comprensione, a una sua felicità e in modo certo impervio alla giustizia. Volgendosi al molteplice darsi dell’umano, a quel quasi come essere così come lo si vive – arduo da dire, facile da mistificare – la riflessione prosofica non vuole accontentarsi di una configurazione concettuale qualsiasi che possa dir sua, di una visione esclusiva che le sembri speculativamente soddisfacente. Tutte le dottrine perseguono e facilmente conseguono qualcosa del genere, sono anzi tipicamente autogratificanti. La prosofia – come anti-dottrina costruttiva, pensiero dell’essere al mondo in tutte le sue vicende (intenzioni emozioni espressioni illusioni ecc.) – deve confrontarsi con gli altri modi di conoscere e giustificarsi col saperli comprendere. Occorre mettere la prosofia alla prova. È necessario, dopo l’approccio concettuale per grandi linee, saggiare quanto regge al duro test degli atti di vita: se essa sappia davvero guardare all’insieme di tutti gli svolgimenti e rivolgimenti dell’essere al mondo in ciò che hanno di ordinario e di eccezionale; se sia capace, come sostiene, di abbracciare l’infinità delle diversità individuali e collettive, passate e presenti; se riesca a rapportarsi ai diversi saperi indirizzati, a stimarne l’estensione e l’orizzonte; se porti a un affinamento della responsabilità critica non solo della ragione riguardo alle proprie operazioni, ma della libertà relativamente ai valori; soprattutto, se e come possa adoperarsi per ridurre l’ingiustizia.

    Pertanto questo terzo invito alla prosofia si offre anzitutto come ulteriore meditazione su quell’essere intorno al quale tanto per millenni è stato scritto (come anche qui) per approssimazione, senza evitare quel seccante ma indispensabile quasi come. Vale però anche da introduzione a nuove indagini sulla capacità della proposta prosofica di tenere il campo. Consideri quindi il lettore di trovarsi nel bel mezzo di estesi lavori in corso. Tra i temi di evidente interesse ancora da affrontare:

    a. Il confronto con l’evenienza, con la quotidianità, l’esperienza in azione, l’intima pro-logica dei vissuti, la complessa casistica della costruzione e della distruzione del senso. Casi per quanto possibile colti in azione e di cui sia rappresentato, in contesto, il più ampio ventaglio di letture radicali. Con prevedibili difficoltà di esecuzione. Come rimpiazzare il metodo, in che modo superarne la questione o praticarne la pluralità, anzi l’indeterminatezza, visto che la prosofia è apertura a tutti i sensi e quindi a tutti i modi e metodi e a tutte le anarchie? E poi come entrare nel vivo, come giungere a descrivere non-genericamente eventi reali? I quali non si danno a conoscere se non grazie ad afferramenti ideal-concettuali che, se consapevolizzati, ingenerano un’altra e diversa evenienza pronta a mutare le sorti della prima, e così indefinitamente (salvo accordi pattuenti significati localmente e temporaneamente condivisi, ammesso che reggano).

    b. Prosofia e filosofie. Le seconde hanno mancato le loro mete più ardite come la demitizzazione dell’astratto, la comprensione non vincolante del vissuto, il superamento dell’autoctisi consolatoria, il sapere del proprio non sapere, la resistenza ai poteri alienanti, l’uso politico della ragione dialettica, la comprensione della miseria dell’idea di fronte all’ingiustizia. Potrà mai la prima premunirsi e premunire contro un’analoga sconfitta? E di che sarà mai pensiero un concetto senza idea, ammesso non si tratti di una pattuizione qualsiasi? Peraltro le filosofie, proprio perché fondamentalmente regimentanti, hanno raccolto una mole smisurata di annotazioni circa la complessità dell’umano in tutti i suoi aspetti e quindi, prese insieme, costituiscono una sorta di enciclopedia prosofica in controcanto tutta da rivisitare e rivalorizzare.

    c. Prosofia e logiche/tecniche/scienze. Partendo dalla contrapposizione non ostile, anzi dal continuum tra senso e significato, dalla loro concertabile giustapposizione, indagare su quali presupposti possa reggersi una civiltà al tempo stesso più razionale, più tecnologica, più scientifica e più radicalmente libera.

    d. Biografia e diversità culturali. La rivoluzione cibernetica⁴ sta rapidissimamente cambiando la diversità culturale. Tende a emarginarne/sopprimerne alcune dimensioni e a introdurne/imporne altre. È questo un momento storico focale per la comprensione della diversità delle diversità. La prosofia si propone come pensiero non di un necessario divenire dello spirito, ma di un non troppo errabondo esplorare il limite/illimite umano.

    e. Prosofia e narrazione. Di tale esplorazione del senso dell’umano si è sempre occupata egregiamente la letteratura in genere e ai tempi nostri soprattutto, se non erro, la narrativa in senso lato (romanzo racconto film fumetto documentario ecc.).⁵ La riflessione prosofica non vuole diventare una teoria e tantomeno una dottrina. Vorrebbe essere e restare, come dire, una piena esperienza dell’esperienza. Conta quindi sulle arti narrative per affinare la propria visione e condivisione dell’essere al mondo.

    f. Il sapere-agire prosofico. La riflessione prosofica sa che dell’essere al mondo può fornire al più una biografia elementare. Ne coglie l’immagine dell’intero nella frattale micro-infinità delle sue manifestazioni, quasi come l’universo si riflette incompreso in una monade leibniziana o si compendia geneticamente nel fenomeno originario goethiano. Perciò vede il rischio di sostituire all’imperscrutabile integrità dell’esistenza il proprio bisogno di soluzioni. L’intelligenza prosofica cerca il massimo della saldezza là dove solo può trovarla, in un mobile precario equilibrio tra cognizione e scepsi.⁶ I suoi concetti – l’inclusione/esclusione (capp.2 e 3), il [dico che] (cap.5), la triradicalità (capp.7-9), l’irriducibilità/trasducibilità (cap.16) ecc. – sono da vedere anzitutto come strumenti a tale scopo.

    g. Etica prosofica. L’ethos naturale dell’essere al mondo non evidenzia alcuna norma insita, a parte la salvaguardia della specie. Nel caso dell’essere umano ammette poi tutte le licenze che non rischiano la vita del soggetto (sia esso inteso localmente come individuo famiglia clan nazione dio ecc.) o qualcuno dei suoi appannaggi, (il piacere il sapere il guadagno il dominio la libertà stessa). Come sopperire a questo vuoto meta-normativo (o plenum dei più disparati valori locali) che la biografia elementare mette a nudo?

    Su questi approfondimenti vorrei contribuire ancora, meglio forse in forma di slow blog – osservazioni in lento divenire, riflessioni aperte cammin facendo ai suggerimenti di chiunque voglia seriamente contribuire alla investigazione prosofica. Ma intanto eccoci qua, di nuovo all’inizio dell’inizio.

    0. Anticipazioni

    Capitolo di compendio in due sezioni. La prima presenta una tabella di comparazione dei contenuti dei tre saggi. La sezione II enuncia sommariamente gli svolgimenti a seguire. A chi non gradisce anticipazioni consiglio di ignorarlo o lasciarlo per ultimo. Altri riepiloghi nel testo all’inizio del cap.7, alla fine del cap.10 e alla n.173. Più che elenchi sintetici essi sono uno strumento di valutazione della tenuta complessiva del discorso che viene svolgendosi a tratti, riconoscibilmente, con una certa fatica. Imputabile oltre che ai difetti di chi scrive alla complessità del tema – l’essere al mondo, di cui nulla può pensarsi maggiore a maggior ragione di quanto Anselmo non potesse affermare di Dio [3].

    I

    La biografia elementare o generale descrive l’universale concreto del vivere (l’evenienza), rintraccia gli elementi originari costitutivi dell’esistenza – onnipresenti in ogni agire sapere dubitare sperare immaginare, presso ogni individuo o gruppo umano – senza distinzione di epoca cultura fede tradizione ideologia.

    Cose fatti pensieri discorsi sentimenti convinzioni, tutto ciò di cui si usa dire che è (o che non è), che potrebbe o dovrebbe essere (o non essere), che si vorrebbe fosse (o non fosse) ecc. risulta dal concorso vario ma obbligato di tre co-fattori: insorgere & determinare & riferire. Interagendo, questi coefficienti o radicalità producono il darsi originario, il solo essere non-ideotico, l’essere al mondo.8

    Separatamente le radicalità non sussistono, poiché l’apparenza di qualsivoglia sussistere deriva dal loro interagire (irriducibilità). L’esistere e tutto quanto vi compare (cose fatti parole ecc.) non è che il risultato dell’eventuarsi delle interrelazioni radicali.

    Le radicalità si colgono a. per inclusione: nulla accade senza la loro presenza co-efficiente, induzione universale evidente a chiunque, qualsiasi cosa uno dica, pensi o faccia; b. per esclusione o revisione critica: nessun’altra ipotesi saprebbe farne a meno o sostituirle o evitare di essere preceduta da quelle; c. per adduzione: un evento {ε}, comunque si presenti, si regge immancabilmente su un presupposto del tipo [dico che] o [succede che] o [mi chiedo se] e simili, a sua volta necessariamente triradicale, che ne prefissa l’ambito di occorrenza.⁹ Anche la più impersonale delle proposizioni, l’enunciato, e il più formale degli enunciati, l’equazione algebrica, diventano argomenti effettivi di un evento soltanto grazie a quel presupporre. Diversamente sono meri nonnulla.

    L’irriducibilità radicale caratterizza ogni evento quale che sia l’essere al mondo che lo vive, in qualsiasi universo reale o virtuale (vale insomma anche per lucertole celenterati omini verdi ecc.). Quale che sia l’organismo, il sopravvivere richiede decisioni salvavita. Il darsi originario tende pertanto a produrre datità conformi ai bisogni speciespecifici; l’evoluzione spinge le radicalità alla soddisfazione di questi bisogni. Sorgono così corrispondenze interradicali stabili tra indicatori (ad es. un odore, un rumore), indicazioni (cibo, pericolo) e interessamento (rincorri, fuggi). La stabilizzazione polarizza (assializza) le radicalità.

    In un’autocoscienza (ad es. nell’esistere umano) all’irriducibilità si oppone la trasducibilità: ciò che in un evento si è dapprima presentato come un insorgere può comparire come il determinare o il riferire di un evento successivo o di un secondo momento dello stesso evento.¹⁰ Lo stesso vale per il determinare rispetto all’insorgere e al riferire, nonché per il riferire rispetto all’insorgere e al determinare. Nel fluire dell’evenienza le radicalità si ricombinano incessantemente. Il risultato di tale fluido scomporsi e ricomporsi non è afferrabile se non vivendo l’evento.

    L’indefinita apertura umana (o licenza etica) consegue alla trasducibilità interradicale, grazie alla quale un evento o un suo argomento diventano insorgenza o determinazione o riferimento per un qualsiasi altro evento. Mentre l’irriducibilità tende all’in sé e per sé, la trasducibilità conduce all’in altro e per altro. Le due protensioni collaborano, competono, si ostacolano: insieme contribuiscono all’incerto equilibrio tra stabilità e cambiamento, conformità e improvvisazione, ripetizione di significati e ricerca di senso.

    Un evento concreto (o atto di vita) si compone di uno o più argomenti dell’insorgere a cui corrispondono un determinare e un riferire, anch’essi costituiti di uno o più argomenti. I nessi tra argomenti sono prologici come le interrelazioni radicali. Diciamo prologico qualsiasi tipo di nesso o relazione operi ai livelli intra- e inter-radicale senza riguardo a quanto sembri convincente o coerente. Una logica non è che una selezione di tali nessi, criteriata e coerente a uno scopo. Il logico, inteso come disparata silloge di tali collezioni e criteri, non è che una sottoclasse del prologico. Mentre il logico è essenziale al calcolo all’algoritmo alla macchina al sistema, nel vivere è cruciale il prologico (logico incluso).¹¹

    Nell’essere umano l’indefinita apertura originaria (l’irriducibilità & trasducibilità triradicale) implica tra l’altro anche la capacità di fissare delimitazioni a piacere. Tali datità, soprattutto se pubblicamente definite e convenute, si stabilizzano in significati. La proliferazione dei significati può favorire l’esplorazione dell’apertura originaria, ma può anche condurre a un ripiegamento dell’esistenza su configurazioni ripetitive, prefissate.

    La concordata fissazione dei significati, come avviene ad es. nella ricerca scientifica, è fondamentale per travalicare l’immediato, accedere alla meta-riflessione, alla sperimentazione, alla progettazione, alle tecniche; tuttavia il mero significativo, proprio perché pre-fissato, non sa mai tutto e a volte non sa nulla dell’evento, non vive nell’emergenza dell’atto di vita. Il mero significativo è tipico dell’istinto e del congegno, di tutti i formalismi e della razionalità astratta; la concretezza del vivere si serve, se ritiene, dei significati, ma punta al senso dell’agire.

    Il senso è intrinseco all’atto di vita. Può diventare a sua volta argomento radicale di un diverso momento di vita, ad es. quando una persona riflette su che senso ha una certa scelta, ma il senso di questo diverso momento, quello in cui riflette, sarà un altro.

    La più comune apparenza dell’insorgere è l’oggettivo, del determinare il soggettivo, del riferire il medio – intendendo per oggettivo ciò che compare come dato, come risultato di un insorgere estrapolato, astratto dal contesto triseminale, separato dalle due restanti co-radicalità; per soggettivo ciò che è assegnato a una datità pensante, capace di intenzione, prodotto mentale o spirituale; per medio ciò che si assume come intermediario (grammaticale referenziale denotativo esplicativo simbolico analogico ecc.).

    Tipicamente un mondo ad hoc (un’assializzazione riduttiva dell’apertura triradicale) privilegia un certo sistema di rapporti tra le radicalità, fa di una di queste l’assialità dominante, a cui subordina le restanti due. O quantomeno obbliga la trasducibilità interradicale a rispettare criteri e parametri prestabiliti.

    Se rinunciasse del tutto alla libertà derivante dalla trasducibilità interradicale l’essere umano si ridurrebbe allo stato di animale o macchina; al tempo stesso, per quanto egli si liberi non gli riuscirà mai di abbracciare l’intera apertura triradicale, le innumerevoli figure dell’insorgere|determinare|riferire, l’illimitata capacità generativa della sua libertà.

    Come gli animali, le macchine e le tecniche esercitano sull’essere umano un particolare fascino, sembrano a volte forme di esistenza migliori: il loro funzionare coincide col loro significare, mentre del senso nulla sanno, non ne hanno alcuna coscienza, tantomeno responsabilità. Un mondo interamente animalizzato o automatizzato pare agli umani liberatorio. Li libererebbe della loro libertà. Unico limite, restare indifesi rispetto a tutto ciò che non è del proprio mondo. E ciò perché esso non è proprio, se non in quanto se ne è pervasi e irrimediabilmente posseduti.

    Nella direzione opposta, rinunciando a disfarsi della questione del senso di cui investire i loro atti, gli umani giungono a consapevolizzare la propria impervia collocazione tra limite e illimite, e a favorire in se stessi e nei loro simili la più ampia gamma di esperienze, sensibilità e conoscenze, così da sostituire le ristrettezze autoctiche e autoconsolatorie polarizzate sull’oggettivo, sul soggettivo e sul medio con il più ampio concetto di tutto quanto possa eventualmente darsi ed esser vissuto come oggettuale, soggettuale e mediale.

    Illusione primitiva del filosofare: padroneggiare l’evenienza, separare le radicalità, formalizzarle, confinarle entro schemi finalizzati a un ordine preferito, un mondo ad hoc con le sue previste oggettità, soggettità e medianti; ridurre quindi ad ogni costo il prologico (visto come illogico o confuso o assurdo) al logico, anzi a una sola logica. Offrire in tal modo una solidità in apparenza concettuale, di fatto ideotica, da contrapporre alla indeterminatezza delle interrelazioni triradicali.¹²

    Le scienze – esatte o fluffy, della natura o dello spirito, nomotetiche o idiografiche [20], analitiche o ermeneutiche – costituiscono eccezione a questa regola perché (e finché) si contentano, paradossalmente, di uno sfondo epistemologico debole, relativizzante e non-fondante, peraltro di conquista piuttosto recente, che propone concetti come paradigma, convenzione, congettura, falsificabilità, programma di ricerca, coerenza interna, protocollo (e anche destrutturazione, rivoluzione, anarchia). In una parola, è scienza tutto ciò che si basa su significati, intendendo con significato qualsiasi dato di fatto concordato. Ciò ha l’aria di un ossimoro perché l’eros del banale per conseguire il suo scopo, che è la soddisfazione ideotica, spinge su opposte sponde ciò che invece non può che darsi unitamente nel flusso del vivere che ragiona e della ragione che vive: da un lato il ripetersi di un esser così in cui confluiscono pregiudizi abitudini esigenze di diverso genere, circa il quale si vuol ribadire, se non altro provvisoriamente, che è noto e che va bene o ci può stare o può andare; dall’altro il convenire delle intelligenze su una particolare delimitazione (descrizione, protocollo) del dato, che è sempre in una certa misura anche occultazione nel e del paradigma.

    Coi loro significati le scienze forniscono, nel migliore dei casi, argomenti per la costruzione del senso. L’opposizione concettuale senso vs. significato, due opposti limiti di cui di continuo la vita sperimenta il reciproco interferire, mantiene la conoscenza scientifica libera dalla nativa indeterminazione dell’essere al mondo (mentre le resta di vedersela con la sua indeterminazione/indecidibilità) e quest’ultimo altrettanto e più libero dalla prevaricazione dei presunti dati di fatto. Del senso delle cose vissute una scienza seria non ha modo di occuparsi, perché il vissuto non ha né convenzioni né definizioni né procedure a cui necessariamente conformarsi, mentre una scienza è tale solo se e in quanto se ne assegna di precise e controllabili.

    Il disfacimento della storia, l’universale immediato del world wide web, la post-postmodernità in cui il XXI secolo va addentrandosi impongono un nuovo filosofare, nuovamente costruttivo, capace di superare (ma al tempo stesso di comprendere) ogni ideotica locale, ogni pensiero del bisogno e del contentamento. Quel sentire che io chiamo prosofico è già operativo. Lo è da sempre, in qualche misura, nella conduzione del privato e del quotidiano. Ora se ne sta diffondendo la coscienza come dell’unico possibile orizzonte comune dell’umanità intera.

    Serve però un più minuto darsene conto, esplicitarne i riferimenti che sono finalmente non più fondali di scene prescritte da una regia qualunque (il Destino, la Fede, la Ragione, la Nazione, il Progresso, la Rivoluzione ecc.) ma piuttosto illimiti da gestire consapevolmente, con gli occhi ben aperti sulla sola questione veramente essenziale, debellare l’ingiustizia.

    Proposito primo della prosofia: seguire le tracce dell’eventuarsi, concettualizzarne gli svolgimenti, apprezzarne l’indefinita apertura triradicale. Evitare l’autoctisi solutorio-consolatoria, pseudo-liberatrice. Affrancare il filosofare dalle ideotiche auto-gratulatorie dell’in sé e per sé, correggerle con la multi-narrazione dell’in altro e del per altro.

    Nel libero gioco triradicale l’ingiustizia non è che un punto di vista: semplicemente qualcosa si presenta nell’esperienza di qualcuno come ingiusto. Allo stesso modo qualcosa si presenta come divertente o noioso, vero o falso, bello o brutto. La triradicalità non conosce essenze, non possiede alcuna particolare sensibilità etica, giacché l’ethos umano genera tutti i sensi e i giudizi, dai più elevati ai più abominevoli. Il dover essere non è che uno di questi, il giusto non è né innato né integrato all’essere al mondo.

    La prosofia quindi è dedita da ultimo a penetrare e a combattere l’ingiustizia radicale, quella che ostacola l’accesso alla cognizione integrale della libertà e alla stessa coscienza dell’ingiustizia. Pone in risalto la missione pro-etica che un’autocoscienza non può non assegnarsi, l’abbattimento dell’ingiustizia. Intesa quest’ultima non solo come torto subito o danno inflitto, ma anche come mancato riscatto dai condizionamenti di cui una coscienza soffre proprio per effetto dell’ingiustizia subita o agita.

    II

    In linea di massima i contenuti di questo e dei precedenti due scritti sono gli stessi e riguardano il pre-paradigma, la biografia generale, l’etica. La trattazione varia però non di poco. La tabella seguente può agevolare il recupero di tale unità nel disuguale.¹³

    1. Originarsi

    Le idee di origine e di principio, che mito religione scienza filosofia e le stesse arti hanno sovraccaricato di attese e soluzioni, non lasciano esplorare liberamente la complessità dell’originario, del quale è ancora irrisolta la questione. Dalle più remote alle più recenti le dottrine dell’origine presuppongono tutte, più o meno dichiaratamente, una restrizione della domanda circa l’originario. Circoscrivere e orientare la domanda è loro necessario per condursi alla soluzione optata; quest’ultima si staglia già sullo sfondo della domanda e la pre-indirizza. Ma la questione dell’originarsi dev’esser posta diversamente, come quella che spiegando qualsiasi origine, principio e accadimento non potrà condurre da nessuna parte e non fornirà alcuna consolazione di parte. Non sarà tale da patrocinare questo o quel sistema di pensiero, questa o quella cultura o tradizione o visione del mondo. Ma è proprio questa non-discriminante imparzialità ciò che insieme si richiede nell’indagare un tale argomento e si desidera come risultato dell’indagine.

    Con la domanda sull’origine inizia la filosofia occidentale e tutta la sua storia ne è intrisa. Niente di particolarmente originale peraltro, lo stesso potendo dirsi delle filosofie orientali, delle religioni e dei miti in genere. Privata della sua risposta esplicita o implicita intorno all’origine nessuna visione del mondo saprebbe configurarsi, se non come un esser così meramente vissuto. L’originalità occidentale fu semmai nell’estremizzare la domanda, nel rivolgerla all’essere, inteso come interità onninclusiva. Ma appunto il concetto ontologico di essere è eminentemente greco, culturalmente marcato, infinitamente discutibile e posteriore alla questione dell’origine, che a sua volta non è neppur essa originaria, poiché discende a. dal lento configurarsi protostorico di interrogativi sulla vita (nascita morte destino caso male bene giusto ingiusto ecc. [59]); b. dalla generalizzazione della domanda sull’autorità e la legittimità del potere e del sapere [60, pp.818-820 (320c-325d)]; c. dalla reazione della ragione al suo dubbio circa la consistenza del pensare e ritenere e argomentare: quale principio, quale sostrato, da dove parto, da dove parlo, come so?

    Prima del recente métissage delle culture era piuttosto facile e frequente, consegnati a una data cultura, illudersi di essere portatori di verità, benché queste, contrastando con le verità o sacertà di altre culture, chiedessero di esser difese a spada tratta. Anzi, quel doverle difendere come da un attacco esterno rafforzava l’esigenza di far quadrato intorno alle certezze di appartenenza, di credere nella propria verità e contropartitamente nella insostenibilità delle ragioni dell’altro – il barbaro il pagano l’eretico l’infedele il selvaggio ecc. Quando con la modernità l’Occidente si è

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