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La filosofia spiegata ai giovani: Come costruire la propria esistenza e orientarsi nella vita
La filosofia spiegata ai giovani: Come costruire la propria esistenza e orientarsi nella vita
La filosofia spiegata ai giovani: Come costruire la propria esistenza e orientarsi nella vita
E-book158 pagine2 ore

La filosofia spiegata ai giovani: Come costruire la propria esistenza e orientarsi nella vita

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Che cos’è la filosofia? La filosofia può dirci chi siamo? Come può mostrarci la strada per orientarci nel cammino dell’esistenza? Questo libro tenta di rispondere a tali domande attraverso la filosofia come stile di vita, mettendo in evidenza i tratti dell’esistenza che essa ci aiuta a fissare: che siamo qui e ora, che l’esistenza è prima di tutto un percorso, che può assumere molte forme diverse, che siamo esseri dipendenti destinati dare e ricevere, che siamo sempre esposti agli altri e al mondo, mai isolati da esso, che non possiamo fare a meno di interrogarci sulle cose, che siamo personaggi oltre che persone, sempre sulla scena, che abbiamo bisogno di esprimerci e di manifestare bellezza e di essere riconosciuti per quello che siamo. Così, una vita filosofica offre punti di riferimento essenziali per trovare la nostra direzione quotidiana: scegliere lo stile della saggezza, tornare all’esperienza come prima autorità, prendersi cura delle parole, del linguaggio nel colloquio, scegliere il meglio piuttosto che il bene, e, infine, pensare l’infinito per percorrere la finitezza del mondo.
 
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita14 set 2023
ISBN9788836163243
La filosofia spiegata ai giovani: Come costruire la propria esistenza e orientarsi nella vita

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    La filosofia spiegata ai giovani - Stefano Zampieri

    FILOSOFIAGIOVANI_COVER_EBOOK.jpg

    Stefano Zampieri

    LA FILOSOFIA SPIEGATA AI GIOVANI

    Come costruire la propria esistenza e orientarsi nella vita

    A Rita e Martina.

    PARTE PRIMA.

    Che cos’è la filosofia

    Il discorso filosofico

    Che cos’è la filosofia? Non è facile rispondere in modo adeguato a simile domanda che, in fondo, è una di quelle che i filosofi da sempre si pongono. Tuttavia è possibile fissare qualche punto di riferimento e chiarire qualche malinteso. Non si deve pensare, infatti, che la filosofia sia solo la sua storia, cioè quella che si insegna a scuola, naturalmente è anche questo, ma se vogliamo trovare le condizioni generali per cui un discorso può essere definito filosofico, allora abbiamo due possibilità, entrambe sono necessarie.

    Prima di tutto il discorso filosofico (così come accade per il discorso scientifico, quello poetico, quello romanzesco, eccetera) è quel tipo di discorso che si fonda sulla tradizione di un certo numero di opere che tiene ferme come punti di riferimento, come modelli di linguaggio, come repertorio di locuzioni e di figure, come vocabolario. In questo senso dovrebbe essere intesa la nota battuta di Alfred North Whitehead (1861-1947) secondo cui tutta la storia della filosofia occidentale non sarebbe che una serie di note a margine all’opera di Platone. C’è qualcosa di vero, la filosofia è prima di tutto il riferimento a un canone di opere e di autori che costituisce il suo campo, anche se l’attribuzione è sempre stata molto complessa; i limiti di questo campo, infatti, appaiono assai confusi, talvolta debordando nella direzione della letteratura e della poesia, altre volte verso quella della teologia o della scienza.

    L’altra possibilità è quella di pensare al gesto del fare filosofia. Gli antichi, com’è noto, dicevano che la filosofia nasce dalla meraviglia, questo è l’atteggiamento originario contenuto tanto nelle parole di Platone, secondo cui «è proprio del filosofo questo che tu provi, di essere pieno di meraviglia, né altro cominciamento ha il filosofare che questo», così come è proprio delle parole di Aristotele quando ribadisce che «gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia».

    La meraviglia è ciò che strappa le cose, gli eventi, i rapporti, dallo stato dell’indifferenza in cui sfuggono e scompaiono e li tiene invece saldamente presenti con la forza dell’interrogazione. Cioè, appunto, il gesto filosofico per eccellenza. Il gesto che si realizza quando riusciamo a strappare le cose, le persone, gli eventi dalla consuetudine con cui ci si presentano.

    Ci si meraviglia quando il solito appare come insolito, quando proviamo un senso di vertigine davanti alle cose, questa capacità di meravigliarsi incessantemente denota l’atteggiamento filosofico. Lo dice benissimo Friedrich Nietzsche: «Non è il vedere per primi qualcosa di nuovo, ma il vedere come nuovo l’antico, ciò che è già anticamente conosciuto e che è da tutti visto e trascurato, contraddistingue le menti originali».

    Ma ciò che è strappato dall’indifferenza – e diventa occasione di meraviglia – suscita in me degli interrogativi, delle domande, che mi spingono a cercare delle risposte, o almeno a porre delle questioni. Così, la filosofia può essere intesa in primo luogo come questa sorta di passo indietro che faccio per osservare le cose, gli eventi, le persone, le relazioni, i concetti, i discorsi stessi; per osservarli e chiedermene il significato, il valore, la consistenza, la sostanza, eccetera. Cioè per metterli in questione. Ecco, il primo gesto della filosofia, comunque la si intenda, è quello di meravigliarsi delle cose e fare un passo indietro per metterle in questione, per poterle interrogare.

    Ma non basta, perché il discorso filosofico ha la caratteristica di costruire discorsi razionali o, meglio ancora, sottoposti alla verifica della razionalità, controllati alla luce della ragione. Il discorso filosofico è sempre un discorso che si pone la questione della propria razionalità, è discorso che fa i conti con le strutture logiche del pensiero e quindi con qualche forma di verità, comunque la si voglia intendere. Ecco allora un altro tratto del discorso filosofico: esso ha bisogno di una forma di razionalità, anche se sappiamo che ce ne sono diverse, e quindi punta, talvolta con presunzione, a manifestare una qualche verità.

    Ma, non è tutto, c’è almeno un altro elemento da ricordare per chiarire la specificità del discorso che chiamiamo filosofia: si tratta infatti di un discorso interrogativo che non solo ha cura della propria razionalità, ed è rivolto a qualche forma di verità, ma esso adotta anche uno sguardo panoramico, nel senso che la prospettiva dalla quale parla il filosofo anche quando magari parla di sé e dei propri sentimenti, anche quando è preso nell’analisi interiore, o quando realizza l’antico precetto del conosci te stesso, anche allora, il suo modo di parlare è sempre rivolto a tutti, posto di fronte a tutti; ciò che dice è detto sempre di fronte a un pubblico, anche solo potenziale. E coinvolge tutti. Il discorso della filosofia non è mai un discorso privato e la mia interrogazione appartiene comunque a una dimensione comune, può essere collocata in una storia, in un tempo, in una condizione pubblica. L’io della filosofia è sempre, essenzialmente, un noi.

    Riassumendo possiamo così indicare le condizioni essenziali che qualificano un discorso come filosofico: l’appartenenza a una tradizione di opere, una certa presa di distanza dalle cose (il gesto della meraviglia); il costituirsi come interrogazione; l’essere sempre in condizione di fare i conti con la propria modalità razionale e con le strutture logiche del pensiero; l’essere orientato a una qualche forma di verità e, infine, quella di presentare una prospettiva panoramica, di essere, cioè, discorso comune che appartiene a tutti, che riguarda tutti.

    A partire da questa drastica semplificazione che costituisce il campo generale, è necessario osservare però che la filosofia al giorno d’oggi si presenta, nella pratica, in tanti modi diversi. In questo senso dobbiamo dire che certo la filosofia è una, ma le pratiche attraverso cui si esplica invece sono numerose, e in ognuna di esse il discorso filosofico tende a presentarsi in modo diverso, ed è difficile, talvolta, comprendere i rapporti tra le diverse pratiche, cioè le diverse modalità attraverso le quali la filosofia si realizza in differenti contesti e con differenti finalità. Tutto ciò, ovviamente, rende difficile fissarne un’identità stabile.

    Immaginiamo dunque un grande contenitore: il discorso filosofico. Al suo interno, altre sezioni, innanzi tutto la filosofia accademica, cioè quella che si fa nelle Università e negli Istituti di ricerca, ma anche la filosofia insegnata nei licei, e poi c’è la ricerca filosofica solitaria, oltre le cosiddette pratiche filosofiche, al cui genere appartiene la consulenza filosofica; ma tra le tante forme attraverso cui si presenta oggi la filosofia non possiamo dimenticare anche pratiche quali la filosofia spettacolo per intendere quella pratica della filosofia veicolata dai media, dai talk show, dai festival, eccetera, e la divulgazione filosofica come una pratica da intendere a sé stante con le sue regole e le sue specificità.

    La diversità degli approcci e dei metodi della filosofia, così condizionata dalle mutazioni in atto nelle forme di comunicazione e dunque così variabile, dall’accademismo autoreferenziale degli studiosi al chiacchiericcio televisivo, tende a nascondere la più profonda realtà della filosofia.

    Una realtà più facile da intravedere nella filosofia antica, più difficile da percepire oggi, cioè il fatto che, fin dall’origine, la filosofia si è presentata non come un semplice contenitore di conoscenza, ma piuttosto come un vero e proprio stile di vita. Le scuole filosofiche del mondo antico – platonismo, aristotelismo, stoicismo, cinismo, epicureismo, scetticismo e tutte le altre scuole minori – non devono essere intese semplicemente come repertori di dottrine contrapposte, ma come vere e proprie comunità, all’interno delle quali si condivideva non solo un sistema di pensiero ma un insieme di valori, di pratiche, di modi di vivere, dove i singoli adepti cercavano di applicare a se stessi i precetti di un maestro e di una dottrina.

    Appunto, uno stile di vita.

    Oggi le distinzioni tra filosofi e tra filosofie non ha più questa valenza, tuttavia, è possibile ritrovare le coordinate profonde della filosofia e riconnettersi al senso originario del discorso filosofico. Anzi, è necessario se vogliamo che la filosofia stessa non resti un sapere marginale ma torni a essere parte della nostra vita e un potente ausilio al nostro cammino di abitatori del terzo millennio.

    Uno stile di vita

    Come abbiamo visto, la filosofia è prima di tutto un tipo di discorso con certe regole, la razionalità, l’obiettivo della verità, ma allo stesso tempo essa è anche un modo di rapportarsi al mondo: meravigliarsi, fare un passo indietro, interrogare, adottare una prospettiva universale, cioè un modo di essere e, infine, abbiamo notato come essa si realizzi in molte pratiche diverse. Quest’ultimo elemento deve essere ulteriormente chiarito.

    Uno dei grandi filosofi dell’antichità, per molti il primo vero e proprio filosofo, Socrate, dice chiaramente che «una vita non esaminata non è degna di essere vissuta», e ci mette sull’avviso: quella del filosofo non è una attività come tante altre, ma qualcosa di più, qualcosa che riguarda l’esistenza stessa, il modo di vivere, il modo di essere, in questo senso il filosofo è colui che vive filosoficamente. In questo senso vanno intese le esperienze dei filosofi antichi, non si trattava infatti solo di correnti di pensiero, ma di vere e proprie comunità. In età moderna questo aspetto della filosofia si è perso, ma esso appartiene alla natura stessa del filosofico e può in qualche modo essere recuperato, non certo nella forma della setta ma, più semplicemente, come ambizione, per chi si avvicina alla filosofia, di vivere filosoficamente.

    Dunque proveremo a pensare la filosofia come una forma di vita, quella forma in cui l’uomo è presente a se stesso e al mondo, sa meravigliarsi di esso, e si interroga. In questo senso tutti gli uomini sono filosofi in quanto desiderano di sapere, cioè cercano le risposte alle proprie domande e cercano di vivere nel modo migliore. Cioè con saggezza.

    Qui tocchiamo un’altra parola chiave che merita di essere pensata in modo adeguato. Ma servirà un lungo giro. Ne riparleremo alla fine del percorso.

    Un corpo, un animale, un mondo

    Per natura la vita non è filosofica. Una vita naturale, come quella degli animali, o anche quella degli uomini prima della civiltà, probabilmente non può essere una vita filosofica. Solo a un certo stadio dello sviluppo dell’essere umano si può porre il problema di una vita che sia filosofica. Qui però è bene precisare: è infatti opinione largamente condivisa dagli antropologi che la condizione umana non sia radicalmente separata da quella animale con la quale piuttosto condivide una comune appartenenza alla biosfera e una comune radice racchiusa nel termine zoē, con il quale i greci indicavano la vita animale nel suo insieme. Ecco da questo punto di vista l’uomo, in quanto animale, condivide con tutti gli altri animali un comune fondo istintivo, una comune reattività rispetto ai segnali, i pericoli, le attese dell’ambiente, una comune esigenza di sopravvivenza, che diviene desiderio di autoconservazione, e insieme percorrenza lineare di un tempo di vita e delle sue fasi. Certo, l’umano non è solo questo. La differenza, da sempre, è stata giocata per esaltare il salto qualitativo, per fare dell’uomo il predestinato alla terra, colui che deve dominarla, l’essere prescelto. Ma al di là delle consolatorie difese dell’essere umano come qualitativamente

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