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L'uomo eterno
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E-book452 pagine7 ore

L'uomo eterno

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Info su questo ebook

XXIII Secolo: la Luna incombe come una inesorabile spada di Damocle sulla Terra.

Giganteschi automi antropomorfi divengono realtà.

Una misteriosa organizzazione criminale che trama nell’ombra.

Un amore impossibile.

Una profonda amicizia che diventa un odio implacabile.

Il Pianeta Rosso risorge a nuova vita.

Dal blu profondo dei mari a quello infinito dello spazio, un vorticoso susseguirsi di avvenimenti sullo sfondo di celebri città d’arte, condurranno suo malgrado un semplice tecnico domotico a diventare… l’Uomo Eterno!
LinguaItaliano
Data di uscita18 mag 2013
ISBN9788867820818
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    Anteprima del libro

    L'uomo eterno - Flavio Maurizio Penati

    GDS

    Flavio Maurizio Penati

    L’uomo eterno

    EDITRICE GDS

    via G. Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    tel.  02  9094203

    email: edizionigds@hotmail.it

    Progetto copertina di ©Iolanda Massa

    Questo romanzo è opera di fantasia. Nomi, personaggi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore; se reali sono utilizzati in modo fittizio. I nomi dei luoghi menzionati sono serviti esclusivamente per fornire più realismo all’opera. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto causale. Contenuti e metodologia sono di proprietà dell’autore. Non sono consentiti l’uso, la riproduzione parziale e totale con qualsiasi mezzo, per qualunque fine senza l’autorizzazione espressa dell’autore e dell’editore.

    Ogni diritto riservato è tutelato dalle vigenti leggi sul Copyright                                                                 

    Questo libro è il prodotto finale di una serie di fasi operative che esigono numerose verifiche sui testi. È quasi impossibile pubblicare volumi senza errori. Saremo grati a coloro che avendone trovati, vorranno comunicarceli.

    Per segnalazioni relative a questo volume: iolanda1976@hotmail.it

    Prologo

    Il sole tramonta in un tripudio di bagliori vermigli e tinge di viola il deserto roccioso sconfinato che mi si para innanzi, mentre il cielo cangia dal carminio al porpora, quando le prime stelle fanno ormai capolino. A occidente gli ultimi baleni del crepuscolo palpitano sanguigni sopra i monti ormai caduti nel buio. Un magnifico tramonto, veramente un magnifico tramonto marziano.

    Forse l’ultimo della mia tormentata vita, poiché sto per morire. La morte, per tanto tempo agognata, ora che sta per ghermirmi mi terrorizza ma allo stesso tempo sono pago che la mia esistenza sia prossima a finire. Il mio unico rammarico è di non aver rivisto la mia cara, vecchia Terra, la mia città natale dove ha avuto inizio questa incredibile vicenda che ora mi accingo a narrare; in modo che i posteri potranno giudicarmi e forse anche recitare una prece in mia memoria.

    Tutto ebbe inizio alla fine del XXIII secolo con l’avvistamento di un asteroide in rotta di collisione con la Terra, proveniente dalla costellazione del Cancro. La notizia all’inizio non fece molto scalpore, visto che l’asteroide fu avvistato con largo anticipo; per di più allora era di opinione comune che questa eventualità prima o poi sarebbe sopraggiunta e a tutti i costi andava scongiurata. Tutte le nazioni fecero fronte comune e sotto l’egida dell’O.N.U. si approntò un piano di intervento missilistico. Ma col passare del tempo le osservazioni, sempre più accurate, rivelarono  che per la Terra non c’era scampo: l’asteroide era di dimensioni ben maggiori di quello che si riteneva aver causato l’estinzione dei dinosauri. Il giorno del giudizio o dell’Armageddon era dunque arrivato e con questo nome fu chiamato il gigantesco corpo celeste. Di conseguenza un’ondata di panico attraversò il pianeta, provocando ovunque disordini e tumulti, soffocati inevitabilmente nel sangue. La legge marziale fu decretata ovunque. In quel periodo l’esplorazione spaziale si era arrestata allo sfruttamento minerario della cintura degli asteroidi, che aveva portato alla costruzione di un’isola spaziale dove risiedeva la comunità detta dei minatori spaziali. In principio si pensò di lanciare l’isola spaziale colma di ordigni nucleari contro Armageddon ma, quando ci si rese conto dell’esito incerto dell’operazione, si preferì usarla come scialuppa di salvataggio, in teoria per accogliere i migliori rappresentanti della razza umana, in pratica per salvare i potenti della Terra e i loro accoliti. Per evacuare la comunità dei cosiddetti minatori spaziali fu necessario purtroppo l’uso della forza e questa prevaricazione non fece altro che peggiorare la già precaria situazione politica mondiale: interi popoli condannati all’estinzione insorsero, facendo precipitare il pianeta nel caos totale. Neppure le Nazioni Unite riuscirono a fermare l’escalation delle rivolte che ormai stava facendo precipitare il mondo intero in un nuovo conflitto mondiale, che avrebbe portato alla distruzione la razza umana ancora prima che Armageddon avesse colpito la Terra. Ma a questo punto accadde l’imprevedibile.

    Con l’avvicinarsi dell’asteroide al sistema solare fu possibile determinare con precisione la zona dell’imminente impatto e si scoprì che non era sulla Terra ma bensì sulla… Luna. Proprio così, la nostra cara, vecchia Luna ci faceva da scudo salvandoci da una fine inesorabile. Di seguito la situazione mondiale piano piano si normalizzò, anche se non del tutto. Passata l’ondata di violenza il mondo intero fu pervaso da un fervore religioso inimmaginabile, tutti vedevano, chi più chi meno, in Armageddon un monito divino. L’asteroide colpì la faccia nascosta della Luna, nell’emisfero sud occidentale, con una potenza tale da provocarne uno spostamento orbitale, avvicinandola ulteriormente alla Terra. Di conseguenza non solo le maree subirono cambiamenti, ma addirittura l’asse di inclinazione terrestre che variò di circa tre gradi. I nuovi mutamenti climatici trasformarono la Terra in un nuovo eden e con climi più temperati anche i deserti diventarono abitabili; l’umanità intera ebbe un lungo periodo di benessere e prosperità. La civiltà umana, grazie a questo periodo di pace condiviso dall’intero pianeta, si evolse enormemente, portandosi a uno stadio tecnologicamente e scientificamente molto avanzato.  Ma l’asteroide, di origine ferrosa, non si distrusse completamente nell’impatto con la Luna; una parte di esso, come un proiettile, si conficcò profondamente sotto la crosta della superficie, provocando una profonda faglia che attraversava tutto l’emisfero sud occidentale. In seguito, la forza gravitazionale terrestre fece sì che la zona dell’impatto cominciasse a sfaldarsi, provocando piogge di meteoriti lunari sulla Terra, con conseguenze terribili per la popolazione. Io vissi in questo periodo dal futuro incerto, ma prima di continuare a dettare le mie memorie ho bisogno di fermarmi a riposare, mi sento molto debole e non riesco più a proseguire nel mio cammino…

    Città Eterna fine XXIV secolo

    Domotica è un termine derivato da un neologismo francese, domotique, che sta a indicare l’applicazione dell’informatica all’abitazione. La Domotica studia dunque l’automazione della casa e degli edifici in genere, anche industriali, allo scopo di ottenere un’integrazione fra i diversi dispositivi e impianti installati nelle abitazioni e di migliorare così la qualità dell’abitare, con particolare riferimento al comfort e alla sicurezza. Se dunque negli aspetti più singolari, vistosi, e forse anche più pubblicizzati dai media la Domotica propone dei gioielli futuristici di comodità, ideati esclusivamente per pochi facoltosi, questa disciplina ha anche un aspetto molto più essenziale e di impatto sociale quando va a toccare gli aspetti della sicurezza, della riduzione delle barriere architettoniche, dei servizi per disabili e anziani e, perché no, anche quelli del risparmio energetico, che nel prossimo futuro paiono destinati ad essere un problema sempre più pressante.

    Ma che cosa ho fatto? Come ho potuto farmi cacciare in questo modo? Mi sono rovinato con le mie stesse mani! esclamò furente Mark Costantino, mentre accompagnava l’imprecazione sbattendo un pugno sul palmo aperto dell’altra mano. Un tipo sulla trentina, belloccio, castano riccio, piuttosto magro e di altezza media, il tecnico domotico pareva più giovane della sua effettiva età. Stava finendo di svuotare il suo armadietto riponendo i suoi effetti personali in una borsa da viaggio. Il giovane a fianco, suo coetaneo, con tratti somatici da nordafricano, con fare indulgente gli appoggiò la mano sulla spalla: Dai Mark, non te la prendere… gli disse con tono pacato.

    L’amico scosse mestamente il capo: "E cosa dovrei fare? Dia

    mine, sono appena stato licenziato!" sbottò con disappunto continuando a riempire la borsa e represse a fatica una seconda scarica emotiva.

    Te l’avevo detto di lasciar perdere, ma tu sei un gran testone… dovevi per forza strepitare col direttore in persona? fece eco l’amico. Ma  come risposta ottenne solo un mugugno.

    Finito di riempire la borsa chiuse l’antina dell’armadietto metallico sbattendola con forza. Si mise il borsone a tracolla e gli fece cenno di avvicinarsi: Ma lo sai perché mi ha sbattuto fuori? Il solito raccomandato di turno è un suo parente, così passa a me il turno di notte e a lui la giornata…  ti sembra giusto Omar? e rimarcò le sue parole alzando a mezz’aria la mano destra aperta,  poi serrandola in un pugno. L’ex collega scotendo la testa in senso di diniego gli rispose: Hai ragione da vendere. Però potevi evitare di metterti a urlare… diamine, vi si sentiva fino nel corridoio!

    Mark dapprima provò un moto di vergogna, poi non ci badò più. Sorrise in modo forzato. L’amico lo fissò per un po’. Era tutto così strano. Lo conosceva da tanto tempo e ora si comportava come un estraneo: pareva diverso. Ultimamente era diventato scorbutico e irascibile più che mai, gli mancava il vecchio Mark.  Si incamminarono taciturni verso l’uscita. Percorsero in silenzio vari corridoi sui quali si affacciavano numerose porte, peraltro senza incontrare nessuno, fino all’uscita dell’edificio dove si fermarono a salutarsi. Fuori un cielo di piombo gravava sulla città, uno scenario che un uomo poteva giudicare affascinante oppure desolante, secondo il proprio stato d’animo. In quel momento per lui, complice la giornata fredda e coperta, si trattava del secondo caso.

     Ciao Omar, è stato un piacere lavorare con te… proferì a bassa voce porgendogli la mano. Si vedeva che era visibilmente emozionato. L’amico commosso gliela strinse: Se c’è qualcosa che posso fare per te non farti scrupoli, chiamami quando vuoi. Ma dai, di lavoro me ne trovo subito un altro, non ti preoccupare. Non sono forse il miglior tecnico domotico che c’è sulla piazza? rispose con un sorriso amaro sulle labbra. Buona fortuna Mark, fatti sentire appena puoi, ciao gli disse Omar congedandosi da lui per tornare alla sua occupazione.

    Dopo un ultimo avvilito sguardo alla vecchia sede di lavoro, tristemente si incamminò alla  vicina  fermata della navetta di Colleverde. Dopo una breve attesa passata a mangiarsi le unghie dalla rabbia, arrivò la navetta e vi salì. Si abbandonò contro il sedile, guardando fuori i lampioni che passavano veloci. Con malinconia osservava per l’ultima volta quel tragitto ormai divenuto familiare da oltre dieci anni: Colleverde, poi Prato Lauro, la Borraccia, Casal de’Pazzi, Montesacro, fino alla stazione di Nomentana, dove scese. A piedi raggiunse la sua abitazione, un anonimo palazzone grigio identico a tanti altri in un quartiere popolare sul fiume Aniene. Vi entrò, salì al decimo piano e percorse frettolosamente il corridoio debolmente illuminato fino alla porta del suo appartamento, un quadrilocale di modeste dimensioni. Col pollice premette un pulsante di forma ovale che al contatto si illuminò, contemporaneamente la pesante porta blindata motorizzata si aprì. Appena entrato il locale si illuminò a giorno, rivelando una piccola saletta decorosamente arredata, mentre una voce femminile e sensuale lo salutava e si rimetteva ai suoi ordini.

    Ciao Sifr, preparami una doccia bollente gli ordinò mesto  andando di filato in bagno. Spogliatosi in fretta e furia si infilò sotto la doccia e col getto dell’acqua calda battente sulla nuca scivolò lentamente in un torpore sempre più profondo. Lo risvegliò la voce femminile che lo seguiva ovunque, annunciandogli una videochiamata urgente dal suo amico Tommaso Savelli.

    Sifr, digli che mi sto lavando e che lo chiamo più tardi gli rispose, ma la voce femminile gli replicò che il suo amico insisteva per parlargli immediatamente.

    Va bene, passalo sul monitor del bagno! acconsentì anche

    se evidentemente seccato da quella intrusione nella sua  privacy. Sullo specchio del bagno apparve il volto scavato di un ragazzo sui venticinque anni, rapato a zero e con una barbetta corta ben tenuta. Mark… lo sai che nudo fai schifo? esordì con tono ironico l’amico.

    Questa te la sei cercata, non potevi aspettare che finissi di lavarmi? rispose lui con un tono asciutto alzando le mani, come se quella rivoltagli dall’amico fosse un’accusa. Quest’ultimo voltandosi per pudore, interloquì: Scusa la battuta fuori luogo, non era mia intenzione offenderti ma farti sorridere per sdrammatizzare la situazione. Purtroppo di barzellette non ne conosco. Ho ricevuto il tuo messaggio Mark… diamine ti hanno sbattuto fuori, eh? Lui fece un lungo sospiro, chiuse l’acqua, si infilò l’accappatoio e uscì dalla doccia per avvicinarsi allo specchio: Licenziato in tronco dopo dodici anni, solo perché ho fatto valere le mie ragioni! Ho i nervi a fior di pelle! Savelli si voltò e cercò di rincuorare l’amico che lo fissava con un’espressione vacua. Dai non te la prendere, è inutile rodersi il fegato per queste cose. Guarda che in fondo chi ci ha rimesso di più sono loro. Uno in gamba come te lo trova subito un altro posto… a proposito, ti va se facciamo un giro stasera?

    Mark masticò amaro, ma dovette ammettere che almeno per quella volta, aveva ragione. Ci rifletté sopra un attimo e poi rispose: Ma sì dai, uscire mi aiuterà a sbollire un po’.

    Ci vediamo al solito posto? ammiccò l’amico visibilmente sollevato.

    Per me va bene, ciao Tommy rispose salutando l’amico con un cenno del capo, il quale ricambiò il saluto col medesimo cenno congedandosi da lui. Dopo essersi vestito andò a distendersi sul divano ma senza riuscire a recuperare la calma. Si torceva le mani e si arrovellava in continuazione sulla sua nuova situazione di disoccupato. Nella sua mente si affastellavano alcune supposizioni a dir poco catastrofiche. Aveva perso il lavoro e se non ne trovava subito un altro i suoi magri risparmi sa

    rebbero svaniti velocemente.

    Sifr, mi senti? chiese a un certo punto, anche se sapeva benissimo di essere ascoltato in qualsiasi angolo dell’appartamento. Parlava spesso col suo assistente virtuale e questo lo faceva sentire meno solo. Lui lo aveva installato e programmato poichè questo faceva parte del suo lavoro di tecnico domotico. Sì, Mark rispose la voce femminile con tono mellifluo. Accendimi la TV sul mio canale musicale preferito, grazie.

    La figura della Gioconda scomparve dal quadro appeso alla parete e al suo posto apparve un video musicale. Lo guardò per qualche minuto, poi insofferente, preferì uscire di casa per andarsi a svagare. Un pò di movimento lo avrebbe aiutato a schiarirsi le idee. Sifr, spegni pure che vado in ludoteca. Ci vediamo più tardi, ciao

    Sì, Mark rispose la solita voce. Si rimise il giubbotto e uscì; sempre a piedi si recò alla stazione di Nomentana per prendere la metropolitana che lo avrebbe portato a destinazione.

    Quartiere dell’Eur

    Alla fermata dell’Eur Mark scese dalla metropolitana avviandosi lesto lesto verso una palazzina di cinque piani su cui capeggiava una enorme insegna al neon blu intermittente con la dicitura Planet Cafè.  Entratovi attraverso una delle tre porte girevoli percorse frettolosamente l’atrio spazioso e prese uno dei quattro ascensori salendo al terzo piano. Quando le porte si aprirono gli sembrò di entrare in un altro mondo: una moltitudine di persone di tutte le età e razze si avvicendava alle svariate consolle situate nel vasto salone. Si fece largo tra la gente fino ad arrivare alla consolle che cercava e con disappunto vi notò attorno un nugolo di persone. Avvicinatosi, si rese conto che tutti quei ragazzi non erano lì per giocare ma bensì stavano divorando con gli occhi l’incantevole ragazza che intravedeva di sfuggita e che si cimentava nel gioco in quel momento. Incuriosito girò intorno al gruppetto di ragazzi fin quando a forza di gomiti riuscì ad accostarsi abbastanza per scrutarla per intero. Quello che vide trascendeva le sue aspettative. La giovane, assai aggraziata e perfettamente proporzionata nella corporatura, aveva un incarnato d’avorio e occhi scuri e languidi che splendevano in un viso radioso di un ovale perfetto, incorniciato da un trucco leggero. Dai lineamenti dolci, portava i lunghi e lisci capelli corvini sciolti sulle spalle. Dimostrava grosso modo qualche anno meno di lui. Profondamente colpito dalla sua avvenenza ebbe il classico colpo di fulmine. Una ragazza assai sensuale ma con uno sguardo dolce e un’aria assai sbarazzina, ci trovava Mark. E chissà se era anche simpatica? Ma questo non lo avrebbe mai saputo, dato che era inavvicinabile attorniata com’era da tutti quei spasimanti. Stava già provocando l’invidia delle altre poche ragazze nei paraggi, stando ad ascoltare i loro malcelati commenti. Qualcuno di quei focosi ragazzi le proferiva delle inviti che finivano immancabilmente per essere ignorati. Anche lui la sbirciava giocare, sorpreso che a una ragazza così attraente piacesse cimentarsi nell’Arena degli Iron Warriors; uno sparatutto, tridimensionale, tipicamente maschile, dove automi da combattimento dalle fattezze umanoidi si sfidavano in mortali duelli. La ragazza, mentre giocava, non lasciava trapelare la benché minima emozione. Terminata la sua partita se ne andò dileguandosi nella ressa generale e come d’incanto la piccola folla attorno alla consolle si volatilizzò e lui ne approfittò subito per cimentarsi a sua volta. Combattere nell’Arena per lui era una vera e propria valvola di sfogo e oggi ne aveva un valido motivo. Al termine della partita era in cima alla classifica e mentre immetteva il suo pseudonimo una voce femminile lo fece trasalire: Allora sei tu Mak!

    Sorpreso si voltò di scatto. La ragazza di prima era lì a pochi passi da lui, tanto bella quanto misteriosa. Preso com’era dalla foga del gioco non si era accorto che gli si era avvicinata a osservarlo a giocare. L’intensa fragranza del suo profumo e gli abiti aderenti che indossava risvegliarono nel giovane una passione latente. Come inebetito non riuscì a spiaccicare una sola parola. La giovane lo osservò per un attimo aspettandosi una sua risposta, poi prese l’iniziativa: Sei bravo… ci sai proprio fare nell’Arena! constatò con un sorriso che le lasciava scoperti leggermente i denti bianchissimi, e di seguito: Scusa, ma perché ti firmi Mak?

    Appena riavutosi dalla sorpresa gli rispose anche lui sorridendo: Beh, vedi io ho la erre francese che detesto, così ho scritto il mio nome saltandola, tutto qui… una banalità insomma… e tu come ti firmi? Venus rispose lei di slancio.

    Perché Venus? gli chiese ingenuamente e lei sempre sorridendo gli rispose scrutandolo intensamente negli occhi per la prima volta: Indovina, un po’…

    Spiazzato da quello sguardo e squadrandola  da capo a piedi così da vicino si rese conto del motivo del suo pseudonimo. Imbarazzato, arrossì abbassando lo sguardo. La ragazza divertita gli protese la mano: Piacere, Clelia lui gliela strinse fissandola intensamente negli occhi. Qualcosa di magico aleggiò tra loro fino a quando la voce di lui non ruppe l’incantesimo. Piacere, Mark. Ti piacciono i videogiochi bellici? Di solito le ragazze non li gradiscono molto. Io sono l’eccezione che conferma la regola, ti dispiace forse? rispose la fanciulla con un’espressione più spazientita che irritata.

    No, anzi… ti va di bere qualcosa? riprese lui sulla difensiva pensando di avere ormai compromesso l’approccio. Ma lei invece accettò l’invito di buon grado e i due salirono con l’ascensore al piano bar. L’atmosfera che vi regnava era tutto l’opposto di  dove si trovavano prima: luci soffuse, una musica gradevole a basso volume, tavolini con divisori per evitare sguardi curiosi. Si sedettero su un divanetto in un angolo in penombra. Poco dopo arrivò l’inserviente per prendere le ordinazioni, poi svanì tra i tavolini.  Il giovane, chiaramente impacciato, non sapeva cosa dire e soprattutto aveva paura di dire delle banalità o qualcosa che la urtasse, ma si rendeva conto che il suo mutismo era anche peggio. Doveva a tutti i costi trovare il modo di rompere il ghiaccio. Oltretutto lei lo guardava come se lo studiasse mettendolo così oltremodo a disagio. Lei gli sorrise e si passò una mano tra la morbida capigliatura che si mosse come un’onda. Mark avrebbe pagato tutto l’oro del mondo per perdersi tra le onde di quel mare e interpretò quel gesto come un semaforo verde: Scusa Clelia, che lavoro fai? disse lentamente con poca convinzione, sorseggiando il drink che gli era

    appena stato portato e senza staccare gli occhi da quelli di lei. 

    Adesso lavoro all’Axdora. Ti va di venirci? e gli sorrise in quel modo affabile che le era proprio, lanciandogli un’occhiata carezzevole.

    Grazie, accetto l’invito più che volentieri! gli rispose eufo

    rico visto che l’invito preludeva a un secondo incontro, prendendo il biglietto di invito omaggio che lei gli porgeva e riponendolo con cura nel portafogli. Chiacchierarono del più e del meno per circa mezzora, dopodiché lei si congedò da lui andandosene ancheggiando tra i tavoli, suscitando un’ovazione tra i presenti. Mark finì in fretta di bere il drink, pagò il conto ma non se ne andò via subito. Doveva soddisfare una sua curiosità prima. Ritornò alla consolle in sala giochi e guardò la classifica: Venus veniva subito dopo di lui.

    Ponte S. Angelo

    L’aria fredda delle ultime ore del pomeriggio aveva soppiantato il tiepido calore del sole autunnale. Riccardo Sarani in un impeccabile completo blu, appoggiato al muretto del ponte, fissava il lento scorrere del Tevere sotto di lui, come se ne fosse ipnotizzato. Vedendo guizzare qualcosa nel fiume sottostante si disse che era da un po’ che non mangiava pesce e si ripromise di cibarsene la sera stessa. Dimostrava una sessantina d’anni; di corporatura media, portava i capelli castano chiari brizzolati sulle tempie, corti e tagliati a spazzola. Gli occhi piccoli e inespressivi, il naso a punta e le labbra sottili, con una barba corta ma ben curata, contribuivano a dare l’impressione di un uomo che non sorridesse spesso. Improvvisamente si infilò una mano nella tasca della giacca estraendo un cellulare usa e getta che accostò all’orecchio: L’operazione ha avuto inizio disse una irriconoscibile voce metallica. L’uomo non rispose e sul volto gli apparve l’accenno di un sorriso arrogante. Il sopraggiungere di una piccola comitiva di turisti del Sol Levante pronti a scattare delle fotografie lo spinse ad andarsene. Senza darlo a vedere fece cadere il cellulare nel fiume. Dopodiché lentamente si avviò da dove era venuto.

    Appartamento di Mark Costantino

    Sifr, preparami la mia pizza preferita e un long drink, grazie chiese al suo assistente virtuale disteso sul divano mentre per l’ennesima volta rigirava tra le mani l’invito ricevuto poc’anzi.

    Sì, Mark rispose la solita voce, dopodiché la macchina distributrice si mise in funzione. Al suo interno c’erano bevande, cibi e anche interi pasti confezionati e surgelati per questi tipi di macchine, ideali per le persone che stanno spesso fuori casa o che hanno poco tempo, o voglia, per cucinare.

    La tua ordinazione è pronta, Mark disse un poco più tardi la solita voce femminile. Ritirò la pizza e la bevanda dalla macchina automatica e si accomodò al tavolo in cucina, semplicemente apparecchiato con una tovaglietta americana e delle posate usa e getta. Mentre consumava la sua cena non faceva altro che ripensare all’incontro inaspettato avuto nel pomeriggio, che forse non sarebbe mai avvenuto se non l’avessero licenziato, e che in fin dei conti non tutti i mali vengono per nuocere. Mentre rifletteva sui possibili sviluppi di una futura relazione con la ragazza della ludoteca, il suo assistente virtuale lo riportò alla realtà annunciando una videochiamata di Tommaso Savelli, che fu trasferita sul monitor nel salottino che fungeva anche da quadro. Al posto del viso della Gioconda ora appariva quello del suo amico, se pur con la stessa espressione: Ciao Mark, ti va se usciamo insieme domani sera? Domani sera non posso, ho un invito per entrare all’Axdora gli rispose  con tono serafico. All’Axdora? Il locale più in dei Parioli? E chi te l’ha dato? chiese interessato l’amico. Ecco… me l’ha dato una ragazza che ho conosciuto al Planet, abbiamo appuntamento lì rispose restìo a fornire ulteriori spiegazioni.

    Una ragazza? E com’è? Come si chiama? lo incalzò l’amico, sempre più incuriosito. Si chiama Clelia, ed è molto bella gli replicò, cercando di tenersi sul vago, ma l’amico, curioso e anche un po’ invidioso, volle farsi raccontare per filo e per segno il loro incontro e lui, anche questa volta, cedette alla sua insistenza accontentandolo tra un boccone e l’altro.

    Certo che hai una fortuna sfacciata, fattelo dire; mi farei licenziare anch’io se avessi la certezza di incontrare poi una tipa del genere. Chiedigli se ha un’amica da presentarmi, così usciamo in coppia lo incalzò l’amico, cercando di approfittare della situazione con un sorrisetto antipatico sulle labbra.

    OK lo farò, non ti preoccupare, ciao Tommy disse chiudendo la comunicazione con l’amico. Sparecchiò la tavola in quattro e quattrotto e spossato si accinse a coricarsi.  

    Axdora Club ore 23 del giorno seguente

    Mark guardava sconsolato la lunga fila di persone che cercavano di entrare all’Axdora Club, molte delle quali finivano respinte da due enormi buttafuori di colore con occhiali da sole così scuri che secondo lui non ci vedevano ad un palmo dal naso. Quindi prese una risoluzione: si sarebbe presentato all’ingresso con l’invito evitando la lunga coda; se lo cacciavano, avrebbe almeno evitato di farsi la fila per niente. Riuscì a eludere le persone incolonnate in fondo ma quando cercò di arrivare all’ingresso si trovò la strada sbarrata da uno dei due buttafuori che evidentemente ci vedeva benissimo con gli occhiali da sole anche di notte e teneva sott’occhio tutti lì in strada, onde evitare disordini.

    E tu che vuoi? lo apostrofò duramente il security man. Mark, che non si aspettava di venir subito bloccato non riuscì a spiaccicare una sola parola. Si sentiva addosso gli sguardi ironici di tutti  e a testa bassa porse l’invito al nero. Costui senza dire una parola lo afferrò in modo brusco quasi strappandoglielo dalla mano e si mise ad esaminarlo. La sua espressione da duro si addolcì e con cortesia gli rispose di aspettarlo sull’ingresso e che sarebbe tornato a prenderlo di lì a poco. Invece tardò parecchio. Mark era nervoso, non gli andava di starsene lì fermo sotto gli occhi di tutti, e non era ancora del tutto sicuro di aver evitato di fare una figuraccia. Ora la gente incolonnata lo guardava con atteggiamenti diversi e contrastanti e intuiva che qualcuno faceva commenti sgradevoli su di lui. Si dominò con uno sforzo che gli fece sprizzare il sudore sulla fronte. L’attesa era snervante ed era sul punto di andarsene quando l’uomo della sicurezza comparve sull’ingresso e gli fece cenno di seguirlo. Lo seguì senza pensarci due volte e varcò la soglia d’ingresso trovandosi in un vasto atrio circolare, adorno di alte piante che non aveva mai visto prima, con al centro una bella fontana rotonda da cui, al posto dell’acqua, zampillava un liquido verde iridescente. Il soffitto a cupola era tempestato da una miriade di luci che davano l’impressione di osservare un planetario. Di fronte c’erano due biglietterie, divise tra loro da un  breve corridoio con ai lati i guardaroba e in fondo una porta dorata automatica  immetteva nel locale. Il nero gli fece cenno di seguirlo oltre la porta dorata e lo spettacolo che si offrì al suo sguardo lo lasciò di stucco. Davanti a lui si parava un salone enorme gremito di persone che ballavano sfrenate in mezzo alla proiezione olografica di un buco nero, mentre tutto intorno sfilavano le costellazioni dello zodiaco e di altri corpi celesti. Il buttafuori lo condusse tra la ressa di persone fino a un’area riservata sopraelevata il cui accesso era delimitato da un cordone rosso. Lì lo aspettava un altro vigilante ma vestito in modo più confacente, che lo prese in consegna e lo fece accomodare all’interno dell’area Vip. Si sentiva frastornato, non si era certamente aspettato un ricevimento del genere. Di li a poco arrivò una deliziosa ragazza in tenuta da hostess a prendere la sua ordinazione e, una volta consultata la lista optò stavolta per qualcosa di forte. L’hostess ritornò quasi subito con la sua ordinazione e con un vassoio colmo di leccornie, omaggio della Direzione a suo dire. Sorpreso lo accettò di buon grado e dopo aver dato una mancia alla ragazza, che lo ringraziò con un smagliante sorriso, incominciò a servirsene. Sorseggiava il suo drink ascoltando l’ottima selezione di musica commerciale quando si accorse di un gruppetto formato da tre ragazze fuori dalla  zona Vip che lo fissavano sorridendo. Prima di allora non gli era mai successo una cosa simile. Bastava quindi essere al di là di un semplice cordone rosso per diventare più interessanti? Stava riflettendo su questa situazione per lui nuova e non si accorse dell’arrivo della persona che aspettava, complice anche l’alto volume della musica. La vide solo quando se la trovò di fronte e rimase letteralmente a bocca aperta al suo cospetto. Indossava un abito da sera nero lucido di pura seta, lungo fino ai piedi con spacco laterale, stretto in vita da una fascia e con un’ampia scollatura che metteva in risalto un seno alto e pieno, su cui riluceva una collana sfarzosa. Ora i capelli erano ricci con riflessi dorati e raccolti sulla nuca, il trucco perfetto metteva in risalto i suoi profondi occhi neri e la sua bocca sensuale, perfetta e seducente. Ne studiò i lineamenti eleganti, i capelli e le orecchie delicate, il naso finemente scolpito. Nel suo aspetto il raffinato e il prezioso, il suadente e il sofisticato prevalevano per rendere la sua femminilità ancora più avvolgente. Una donna stupenda, che lo attraeva ma al contempo gli incuteva un po’ di timore, allontanandola da lui. Lei capì subito questo suo turbamento e gli si avvicinò lentamente sorridendo in modo accattivante: Ciao Mark, scusami se ti ho fatto aspettare un poco esordì sedendogli accanto accavallando le gambe. Nell’averla così vicina provò un’emozione tanto forte che il suo cuore cominciò a battere più in fretta.

    Ma figurati… tutto questo ben di Dio me l’hai mandato tu? rispose indicando il vassoio con un dito e recuperando il consueto sangue freddo.

    Certo, era per farmi perdonare l’attesa che hai sopportato, è tutto di tuo gradimento? disse sorridendo e arrossendo dolcemente.

    Anche troppo, ma che scopo ha tutto questo? la interrogò arretrando leggermente da lei e mettendosi sulla difensiva. La giovane donna si fece seria e, raccogliendo le braccia conserte, gli spiegò cosa voleva da lui: Ascoltami Mark, io mi occupo delle relazioni pubbliche del locale. Abbiamo bisogno di un responsabile per la nostra sala giochi interna ma non vogliamo un colletto bianco qualsiasi, ma una persona che faccia divertire i nostri clienti, che li sfidi a giocare con loro, che organizzi anche dei tornei e tenga aggiornato il nostro parco macchine ludiche. Che faccia un po’ di tutto insomma, ti andrebbe? Dai dimmi di sì…

    Mark ne rimase sbigottito, mai e poi mai si sarebbe aspettato un’offerta di lavoro al primo appuntamento con una ragazza.

    Scusa, ma perché non me lo hai detto al Planet? disse con aria delusa, guardandola fissa negli occhi con sguardo interrogativo.

    Mi avresti presa sul serio? Almeno qui spero di essere più convincente, se vuoi puoi vedere di persona la nostra sala giochi, ti va? E dai…

    Lui era titubante, non sapeva cosa rispondere e rimase in silenzio. Lei si rese conto che stava per cedere alla sua offerta, quindi non perse tempo e subito lo incalzò:

    E dai… vederla non ti costa niente, andiamo? e si alzò in piedi.

    Per non sembrare scortese Mark accettò e si accinse a seguirla. Uscirono dall’area riservata e percorsero, con non poca fatica a causa del sovraffollamento del locale, il corridoio fino in fondo alla pista da ballo. Lì un secondo corridoio piuttosto breve immetteva direttamente nella ludoteca. Più che in una sala giochi  sembrava di essere in un piccolo casinò: le consolle erano distribuite tutte intorno alle pareti della sala come slotmachine, con al centro i tavoli per i giochi di società e di ruolo, le pareti erano ornate da copie di quadri famosi e dal centro del soffitto sembravano pendere le radici di un grosso albero che illuminavano il locale, mentre il pavimento era in parquet di legno di tek. L’insonorizzazione era perfetta, si poteva chiacchierare liberamente senza che la musica disturbasse in alcun modo. Clelia  incominciò a mostrargli le varie postazioni e a descrivere brevemente le attività ludiche che si svolgevano in quel momento. Mark la seguiva con attenzione, fino  a quando si bloccò di colpo. Davanti a lui c’era il suo videogioco preferito, l’Arena degli Iron Warrior.

    "E così è qui che ti sei allenata per diventare così brava… o mi sbaglio?" le disse interrompendo il suo monologo.

    "Certamente e pure gratis. Anche tu se accetterai la nostra offerta di lavoro potrai usufruire gratuitamente del parco macchine ludico. La Direzione offre tremila al mese più le spese… accetti?"

    Fiuuu… sono un sacco di soldi! rispose guardandola meravigliato. La giovane gli si accostò: Non credere che lo stipendio ti sia regalato. Qui da noi si lavora prevalentemente di notte e nei festivi, bisogna tenere il parco macchine aggiornato ed efficiente e inoltre bisogna trovare il sistema per invogliare i clienti a giocare, cioè a spendere. In questo ti aiuterò io… allora te la senti?

    Mark ci riflettè sopra un istante. In condizioni normali non avrebbe mai accettato, ma adesso era disoccupato. Inoltre l’idea di lavorare fianco a fianco a una bella donna era troppo allettante. Quindi accettò l’incarico di buon grado. Clelia  ne fu estremamente soddisfatta e non perse altro tempo; a tutti i costi lo volle condurre immediatamente dal direttore del locale per formalizzare l’incarico. Abbandonata la sala giochi ritornarono all’area Vip, accedendovi questa volta da una porta con una targa con scritto Privato; salirono su per una scaletta e si trovarono in un lungo corridoio dove, da un lato c’erano diverse porte contrassegnate ognuna con una targhetta diversa, dall’altro una lunga vetrata a specchio che dava sulla pista da ballo che permetteva di osservare qualsiasi movimento all’interno della discoteca senza essere visti. Percorsero il corridoio fino alla fine e si fermarono davanti a una porta contrassegnata da una targhetta con scritto Direttore. Clelia schiacciò un pulsante su di una piccola tastiera numerica di fianco alla porta. Quando si aprì, lo invitò a entrare congedandosi da lui. Lei lo avrebbe aspettato di sotto in discoteca. Lui la salutò ed entrò titubante dalla porta. In effetti, forse per la prima volta nella sua vita, Mark sembrava in soggezione davanti ad un altro uomo che tra l’altro neppure conosceva. Diede uno sguardo all’interno e ne rimase piacevolmente sorpreso. L’ufficio era arredato come un salottino d’epoca: pavimento in marmo bianco, pareti con appesi dipinti che stavolta dovevano essere originali, mentre sul pavimento spiccava un grande tappeto persiano. I mobili erano in legno con al centro la scrivania attorniata da tre sedie. Su un lato c’era una bassa libreria stipata di volumi con vicino una piccola palma in un vaso. Completavano l’arredo un sofà in un angolo e un grande armadio a quattro ante sull’altra parete con annesso un appendiabiti a piantana. Ma ciò che attrasse maggiormente la sua attenzione fu il lampadario con lampadine a incandescenza, una vera rarità, e questo particolare non sfuggì all’uomo dietro la scrivania. Il giovane gli si avvicinò per presentarsi porgendogli la mano: Buonasera signore, sono Mark Costantino. Sono qui per l’offerta di lavoro propostami dalla signorina Clelia.

    L’uomo si alzò prontamente in piedi e gli strinse con una insospettabile forza la mano.

    Piacere, Riccardo Sarani, bello vero? Ho visto che lo guardava, è un autentico Bohemia, ma si accomodi la prego.

    Mark si sedette e per rompere il ghiaccio iniziò a parlare per primo.

    Veramente io guardavo quelle vecchie lampadine a incandescenza. Non si useranno più da almeno cent’anni da quando sono state soppiantate. Pura deformazione professionale, sa, io sono un tecnico domotico.

    Il direttore gli sorrise e con fare affabile rispose: Ottimo, queste sue capacità potrebbero sempre tornarci utili, ma noi abbiamo bisogno di un responsabile della ludoteca a tempo pieno. Come le hanno anticipato noi le offriamo tremila al mese più le spese sostenute. Un posto che non sembra ma è di responsabilità, ed è molto impegnativo. Le va di essere dei nostri? Mark aveva già deciso di accettare ma finse di pensarci su un attimo. Affare fatto signor Sarani, sono anch’io dei vostri.

    Il suo interlocutore compiaciuto ammiccò col capo e prese da un cassetto della scrivania una cartelletta e gliela porse: Questo è il contratto, lo legga attentamente e mi restituisca la prima copia firmata e si ricordi che per qualsiasi chiarimento sono a sua completa disposizione. Mi può chiamare anche al telefono, il numero è allegato. Ha domande da pormi signor Costantino?

    Lui rispose che non aveva null’altro da chiedere per ora e che si prendeva qualche giorno di tempo per la valutazione del contratto di lavoro. Dopodiché si salutarono cordialmente, e Mark ridiscese velocemente in discoteca a cercare Clelia. La vide intenta a chiacchierare con un gruppetto di persone e la raggiunse facendosi strada a forza di gomiti nel marasma generale. Si fermò nell’istante in cui lei lo intravide tra la ressa e con un cenno della mano la invitò a raggiungerlo. Dopo pochi istanti lei lo raggiunse e gli chiese come era andata col direttore e lui fiero le mostrò il contratto e le disse che si riservava di esaminarlo prima di accettare, dandosi allo stesso tempo delle arie. Non sapendo cos’altro dire, dopo qualche attimo di imbarazzante silenzio la salutò  per tornare a casa, ma lei decisa lo prese a braccetto indirizzandolo in un angolo più tranquillo: Sei qui con i mezzi pubblici, Mark? Sì certo, perché? gli rispose subodorando qualcosa, forse

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