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Ele – Evento Livello Estinzione
Ele – Evento Livello Estinzione
Ele – Evento Livello Estinzione
E-book992 pagine14 ore

Ele – Evento Livello Estinzione

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Info su questo ebook

Chi è Ruta, la misteriosa ragazza affetta da amnesia?

Cosa c’entra con i Danui e con Ardit?

La Terra è scossa da una serie di terremoti, tsunami, eruzioni vulcaniche e dissesti climatici.

E’ tutta colpa del ritorno di Nibiru, ormai imminente. Non è l’unico pericolo in arrivo dal cielo.

Con sgomento i Danui scoprono che sul pianeta incombe un vero e proprio ELE: Evento di Livello Estinzione.

Milioni di anni fa, i misteriosi Rutuli avevano previsto sia la minaccia che la soluzione...

Silvia Matricardi è giornalista, grafico e scrittore.

ELE costituisce il seguito di quanto narrato nel romanzo Ardit e nel racconto Amnesia.
LinguaItaliano
Data di uscita20 ott 2014
ISBN9788891160201
Ele – Evento Livello Estinzione

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    Anteprima del libro

    Ele – Evento Livello Estinzione - Silvia Matricardi

    Sinossi

    Chi è Ruta, la misteriosa ragazza affetta da amnesia?

    Cosa c’entra con i Danui  e con Ardit?

    La Terra è scossa da una serie di terremoti, tsunami, eruzioni vulcaniche e dissesti climatici.

    E’ tutta colpa del ritorno di Nibiru, ormai imminente. Non è l’unico pericolo in arrivo dal cielo.

    Con sgomento i Danui scoprono che sul pianeta incombe un vero e proprio ELE: Evento di Livello Estinzione.

    Milioni di anni fa, i misteriosi Rutuli avevano previsto sia la minaccia che la soluzione...  

    Silvia Matricardi è giornalista, grafico e scrittore.

    ELE costituisce il seguito di quanto narrato nel romanzo Ardit e nel racconto Amnesia

    SILVIA MATRICARDI

    ELE

    Evento Livello Estinzione

    La saga di Ardit vol. 2

    Tutto è energia

    ed è tutto ciò che esiste

    Albert Einstein

    ELE

    Evento Livello Estinzione

    Silvia Matricardi

    ISBN: 978-88-91160-20-1

    Youcanprint 2014

    Illustrazione di copertina: opera grafica dell’autrice

    con rielaborazione dell’immagine 13198024 di Branislav Ostojic

    su licenza www.123rf.com

    PREFAZIONE

    Come un bicchiere di vino eccellente

    Non si può toccare l’alba

    se non si sono percorsi i sentieri della notte

    K.Gibran

    Con questo straordinario aforisma, Silvia inizia il suo secondo emozionante romanzo: ELE Evento Livello Estinzione. Una vicenda che si inquadra come sequel di Ardit.

    Raramente le prefazioni vengono lette, forse perché ci si aspetta solo una breve introduzione ai contenuti di un libro, o forse semplicemente perché in qualche modo non le si considera veramente parte integrante dell’opera, quanto piuttosto una sorta di rito dal quale non si può prescindere, come passare dall’anticamera a lasciare il cappotto prima di entrare in soggiorno.

    Se anche riusciamo a porre un’etichetta a questo libro, qualsiasi essa sia, di sicuro gli starà stretta. Anzi strettissima. E anche per questo motivo mi appresto a farne la prefazione con una certa titubanza. Se, come scrisse una volta Italo Calvino, una prefazione è come l’aperitivo per la cena, nel caso di specie l’aperitivo non potrà mai essere all’altezza di quest’opera camaleontica uscita fuori come per magia dalla penna pirotecnica di Silvia Matricardi.

    Quando l’ho letto e riletto sono rimasto perplesso. L’opera stimola immediatamente, fin dalle prime righe, una serie di dubbi ed interrogativi (e questo è un buon segno). Domande che si celano dietro l’apparente semplicità di ciò che dovrebbe inquadrarsi in un fantasy, anche se più proiettato nella fantascienza, rispetto all’iniziale lavoro di cui costituisce il sequel. In Ardit abbiamo vissuto tra il fantasy e l’epica, strizzando appena l’occhio alla fantascienza ed ammiccando molto verso l’esoterismo. Gesta di guerra, epiche appunto, in una battaglia manichea, tra bene e male, senza esclusione di colpi. In ELE si resta inizialmente sconcertati. Ritroviamo, sì, gli affascinanti protagonisti di Ardit, ma nella loro dimensione quotidiana, non più a metà strada tra dei olimpici, semidei omerici e guerrieri immortali di wagneriana memoria. Eppure i loro poteri straordinari sono intatti. Sono divinità, ma sono al tempo stesso umani. Torna in questo modo, tra le righe, l’interrogativo portante del primo libro: quale è la differenza tra uomini e dei? La narrazione inizia lentamente, con un ardito quanto spiazzante io narrante in prima persona, poi esce progressivamente dal singolo e si amplia, accelerando sempre più fino ad un ritmo vertiginoso. L’autrice ci conduce quasi per mano in posti meravigliosi, ci fa correre, insieme ai protagonisti, facendoci perdere il fiato per poi trascinarci addirittura in altri mondi lontani. Non ci sono flashback, a differenza di Ardit, la narrazione è progressiva e contemporanea allo svolgersi degli eventi, ma cogliamo gli echi delle vicende narrate nel primo romanzo dai dialoghi tra i personaggi. Conosciamo il resto grazie ad una serie di straordinarie visioni che ci trascinano a spasso nel tempo, indietro di secoli, millenni e perfino milioni di anni. Ruta, la protagonista principale, è la donna coraggiosa per antonomasia, che per amore e per sete di conoscenza non esita neppure un attimo a rischiare tutto quello che ha, la vita stessa se necessario, pur di aiutare l’umanità. La sua è una storia di diversità, di come trasformare le proprie debolezze in punti di forza, di come l’insicurezza sia la più insidiosa dei nemici e quindi la prima da sconfiggere. Viviamo la sua delicata storia d’amore con Esus, l’affascinante figlio di Ptharis, cresciuto all’ombra di un padre talmente potente da oscurare qualsiasi altra luce. Anche lui è un diverso, un ferito nell’anima e nel cuore, sebbene sia il primo a guarire, proprio grazie all’amore di Ruta. E ritroviamo Ptharis, l’Ultimo dei Primi, in splendida forma, tuttavia più umano e segnato dai millenni. Mentre tutti i protagonisti sono impegnati ad impedire che uno sciame di comete distrugga ogni forma di vita sul pianeta, questo straordinario personaggio si ritrova a combattere la lotta più difficile: accettare di avere dei limiti. Zeria, l’amore della sua esistenza, è destinata a morire prima di lui e quel momento è vicino. A dispetto delle sue immense facoltà sovrumane e conoscenze scientifiche, egli è impotente davanti a questo dramma. Nel frattempo un secondo pericolo incombe sul mondo: il contatto con un popolo aggressivo, privo di sentimenti, cinico e prepotente.

    Amor vincit omnia diceva Virgilio, e questo forse è uno dei messaggi più forti del nuovo capolavoro di Silvia. Non solo l’amore uomo-donna, come fra Esus e Ruta o fra Ptharis e Zeria, ma anche l’amore per la storia, per l’archeologia, per la natura e l’universo e, soprattutto, quello per le proprie radici.

    Emerge con ancora più prepotenza la connessione tra Ardit, Ardea e Castrum Inui, il sito archeologico a cui Silvia Matricardi ha dedicato anni di lavoro come giornalista e non solo. E l’amore dell’autrice per quei luoghi è quasi commovente.

    ELE è un romanzo sui generis che unisce perfettamente molti stili e molti linguaggi. L’autrice ci dice, tra le righe, che non ci sono formule miracolose per cambiare la nostra vita. E’ un duro lavoro che spetta a noi stessi e passa per l’accettazione e l’introspezione. Ci dice che le svolte nella nostra esistenza si celano spesso in eventi apparentemente insignificanti, come una frase, un’idea, un incontro casuale. Circostanze fortuite che fanno scattare qualcosa dentro di noi, aprono una porta che pensavamo chiusa o non sapevamo neanche esistesse. Se andiamo avanti con la curiosità del bambino e la consapevolezza dell’adulto, e soprattutto se amiamo veramente la vita, nonostante i momenti difficili che spesso la caratterizzano, allora ogni incrocio, ogni bivio, ogni percorso rappresenterà comunque un’opportunità di migliorare noi stessi e la qualità della nostra esistenza.

    Questo libro ci conduce alla fine di un bivio o, come scriveva Borges, in un giardino dai sentieri che si biforcano un percorso impossibile da descrivere. E’ un romanzo-sentiero da assaporare fino in fondo. Va gustato come un bicchiere di vino eccellente, in silenzio, a piccoli sorsi, pagina dopo pagina. Ha un respiro ed un profumo inebriante, che ci lascia sulle labbra un po’ di infinito.

    Rodolfo Baldassarri

    Sommario

    Prefazione di Rodolfo Baldassarri

    Prologo:   Un tassello alla volta

    Prima parte: Il cristallo dati

    Capitolo 1: Senza passato

    Capitolo 2: Nobile fiore di luce

    Capitolo 3: Possibile e impossibile

    Capitolo 4:  L’eredità di Inanna

    Capitolo 5: La minaccia viene dal cielo

    Capitolo 6: Semi dal passato remoto 

    Capitolo 7: Ossessione

    Seconda parte: Il cerchio si chiude

    Capitolo 8: La fine dell’era dell’oblio 

    Capitolo 9: Rivelazioni

    Terza parte: Il seggio di Gea

    Capitolo 10: A caccia di stelle

    Capitolo 11: Scacco matto

    Capitolo 12: Anunnaki: coloro che dal cielo discesero sulla Terra 

    Epilogo: Promesse mantenute

    Postfazione di Fabio Monteduro

    Appendice

    Ringraziamenti

    Dello stesso autore

    Curiosità

    PROLOGO

    Un tassello alla volta

    Tutto quel che succede accade perché deve

    e se osservi con attenzione, vedrai che è proprio così.

    Marco Aurelio

    Un commando dei reparti speciali della divisione anti terrorismo della World’s Intelligence Security ha compiuto un fulmineo blitz nella città ipogea di Derinkuyu, in Turchia, avendo la meglio sul gruppo di terroristi barricati al suo interno. Con un’irruzione da manuale, i super agenti operativi sono riusciti a trarre in salvo, perfettamente incolumi, tutti i 52.103 ostaggi. Il segretario del governo regionale turco, Abdullah Taynir, si è detto estremamente soddisfatto: «Su nostra insistenza è stato elaborato un piano di intervento efficace ma non violento. Le forze speciali hanno operato una narcosi di massa. Dapprima hanno isolato la gigantesca struttura sotterranea, quindi hanno immesso gas soporiferi assolutamente innocui, per poi procedere all’arresto dei terroristi, alla liberazione dei civili ed al disinnesco degli ordigni esplosivi. Un esempio brillante di come sia possibile ottenere eccellenti risultati senza ricorrere a spargimenti di sangue non necessari.» Tutti gli appartenenti al gruppo terroristico erano dotati di capsule dentali al cianuro ed hanno proceduto ad un agghiacciante suicidio di massa, appena risvegliatisi dal sonno artificialmente indotto. I loro corpi sono stati cremati. Ricordiamo che nelle duecento città ipogee in territorio turco sono ancora rifugiati dieci milioni di cittadini, in osservanza al protocollo di sicurezza per gli eventi catastrofici tuttora in corso. Il dirigente della WIS, Vladimir Volosin, ha garantito, con apposita comunicazione ufficiale, che l’intera organizzazione è stata sgominata: «I rifugiati delle strutture ipogee turche e nel resto del mondo non corrono alcun pericolo. Abbiamo rafforzato le misure di sicurezza e nulla del genere potrà accadere di nuovo.» Se desideri approfondire questa notizia, pronuncia la parola ‘continua’.

    «E così è stata una brillante operazione della WIS - Esus fermò il notiziario, con una curiosa espressione ibrida tra scetticismo e ilarità - su insistenza del governo regionale turco, per giunta...»

    «Visto che i nostri amici hanno deciso di essere discreti - replicò Ptharis ridacchiando mentre faceva spallucce - avevamo bisogno di una copertura veloce... ho dovuto improvvisare.»

    «Avremmo potuto approfittarne per rivelarci ed emergere trionfalmente dall’oblio, come salvatori del mondo - obiettò suo figlio, incrociando le braccia al petto con circospezione - sarebbe stata un’occasione praticamente perfetta.»

    «Forse lo sarebbe stata davvero... - concesse l’Ultimo dei Primi aspirando una nuova boccata dalla sua pipa di terracotta - tuttavia, potendo scegliere, meglio operare con più...»

    «...Tatto e gradualità.» Sbuffò Esus alzando gli occhi al cielo.

    «Esattamente! - approvò beatamente il padre espirando il fumo e contemplandone le evoluzioni - la fretta non è mai una buona consigliera.»

    «E’ tempo che sia tempo. E’ il momento che i Danui escano dalla segretezza e si rivelino al mondo - incalzò il figlio aggrottando la fronte - ci stiamo nascondendo da troppo. Ormai non ha più senso continuare.»

    «Il processo è in essere. E’ iniziato con il ritrovamento di Ardit e non si può invertire - annuì Ptharis - aggiungeremo un tassello alla volta e lasceremo a ciascuna informazione il tempo di sedimentare. Il bicchiere è ancora troppo torbido, ogni ulteriore immissione sarebbe eccessiva e prematura.»

    «Perché mi ostino a tentare di convincerti?» Sospirò Esus, sempre più esasperato, mentre faceva ripartire il notiziario.

    Il dipartimento aerospaziale ha annunciato l’invio di una sonda esplorativa sul pianeta Nibiru. La navicella automatica Shenzhou 73 decollerà tra cinque mesi e raggiungerà la sua destinazione dopo un viaggio nel cosmo che durerà duecento giorni. Sulla base delle informazioni trasmesse dai sensori si procederà con l’avvio di un protocollo specifico di primo contatto. Se desideri approfondire questa notizia, pronuncia la parola ‘continua’.

    «Forse perché sei mio figlio ed hai il mio stesso carattere? - suggerì Ptharis con un tono chiaramente canzonatorio ed incurante dell’interruzione - o magari perché gradisci confrontarti con me, per quanto a volte possa essere frustrante?»

    Esus lo guardò dritto negli occhi, bloccando nuovamente la riproduzione delle notizie. Il silenzio fu rotto dalla sua improvvisa e fragorosa risata. «Almeno iniziamo a piantare qualche seme - propose speranzoso - per esempio diffondere discretamente il contenuto di un certo cristallo dati.»

    «Già fatto, ovviamente - sottolineò allegramente il padre sollevando le sopracciglia con aria innocente e stendendo le lunghe gambe sul divano - ed avremo cura di non confermare né smentire nulla.»

    «Lo sai che a volte sei proprio snervante?»

    «Non ne ero certo, ma lo sospettavo... tuttavia devi rassegnarti a sopportarmi ancora per molto, molto tempo.»

    «Ed invecchiando peggiorerai, suppongo.»

    «Temo di sì.»

    «Me ne farò una ragione.»

    Scoppiarono entrambi a ridere. Esus guardò il padre con occhi colmi d’amore. Ancora una volta ne ammirò la straordinaria forza e l’incredibile capacità di adattarsi a tutto, perfino all’arrivo imminente del più grande dei dolori. Lesse nei suoi occhi l’accettazione dell’inevitabile, unita ad un barlume di timida speranza. Era come un guerriero che si preparava a ricevere, nel migliore dei modi, un colpo al cuore, consapevole di non poterlo schivare e di essere, quindi, costretto ad assorbirlo.

    Ptharis sarebbe sopravvissuto anche a questo... avrebbe affrontato la più violenta delle tempeste ed avrebbe vinto. Ne sarebbe uscito piegato ma non spezzato. Con un sospiro ed un sorriso Esus fece ripartire il sommario delle notizie.

    Sale a 189 il numero di vulcani eruttati nel corso dell’anno. Con La violenta esplosione e successiva supereruzione dello Yellowstone, che ha avuto inizio stanotte alle ore 3.46 ora locale, il 2670 è definitivamente l’anno del record assoluto per l’attività vulcanica del pianeta. La cupola energetica di contenimento delle emissioni vulcaniche ha funzionato alla perfezione. Questa straordinaria innovazione, operativa da appena venti anni, ha impedito almeno cinquanta inverni vulcanici, che avrebbero già reso inabitabile la metà della superficie del pianeta. Se desideri approfondire questa notizia, pronuncia la parola ‘continua’.

    «Ti stai domandando come riuscirò a sopportare quello che sta per accadere... mi guardi e cerchi di capire se e dove troverò la forza... sei... preoccupato per me.» La voce di Ptharis era calma, con una nota malinconica, a dispetto dell’espressione serafica.

    «Questa volta l’Ultimo dei Primi è in errore - proclamò Esus abbozzando un sorriso affettuoso, mentre spegneva il virtual monitor - sono certo chela troverai e so anche dove... perché risalirai lungo l’irto pendio delle tue ferite, come ho fatto io stesso, trascinando i brandelli del tuo cuore e del tuo spirito, giungerai fino alla sorgente del dolore e sarà lì che scoprirai che dalla medesima fonte sgorga anche la forza.»

    «Ti... ho mai detto quanto io sia orgoglioso di te?»

    «Mai quanto io sono fiero di te - rispose Esus, profondamente commosso - Verliede Ilki.»

    «Suoni qualcosa per il tuo vecchio?»

    Con gli occhi ancora lucidi, il figlio dell’ultimo Anui vivente raggiunse il pianoforte e le sue abili dita iniziarono a sfiorarne delicatamente i tasti. Una dolcissima melodia vibrò nella sala, disseminata di fiori di ogni colore. Ptharis sorrise, lasciandosi avvolgere e cullare da quelle note gioiose e malinconiche al tempo stesso, che riconobbe immediatamente. "Ludovico Einaudi - approvò mentalmente, non osando turbare l’acustica perfetta né la concentrazione del suo esecutore - Stella del Mattino. Scelta incantevole quanto appropriata, Esus."

    ~ • ~

    prima parte

    Il cristallo dati

    Non si può toccare l’alba

    se non si sono percorsi i sentieri della notte.

    Kahlil Gibran

    CAPITOLO PRIMO

    Senza passato

    Non esiste il caso né la coincidenza.

    Noi camminiamo ogni giorno

    verso luoghi e persone

    che ci aspettano da sempre.

    Giuditta Dembech

    Cristallo dati (Me) di Ruta

    Quadrante 166 (Ardea)

    Ultima revisione: 10 Novembre 2668

    Mi chiamo Ruta e sono una seeker o più comunemente un segugio. Nome simpatico per indicare una cercatrice di storie. E’ un mestiere onesto, nato dalle ceneri di quello che una volta si chiamava giornalismo indipendente. Significa che mi guadagno da vivere spulciando tra milioni di notizie che invadono la rete, fiutando le tracce delle verestorie. Appena ne aggancio una, mi tuffo in ricerche, approfondimenti, interviste... fino a ricostruirla in ogni particolare. Quindi la scrivo, aggiungo contenuti multimediali, se ce ne sono, ed infine la metto all’asta. I miei clienti sono prevalentemente scrittori, editori e network televisivi.

    Questa è la storia più incredibile, più importante e più tosta che mi sia mai capitata... ed è la mia storia. Non posso venderla e non posso divulgarla, ma non posso neanche permettere che vada persa.

    Se mi stai leggendo, significa che tu, o qualcuno prima di te, ha scovato questa registrazione mnemonica, nata sistemando e mettendo insieme ricordi, dati e diari.

    Se la mia storia è venuta a te, qui ed ora, e se sei stato in grado di accedere al suo contenuto, probabilmente è arrivato il momento che anche la parte della verità che essa contiene emerga dall’oblio. Perché la verità trova sempre il modo di uscire fuori, prima o poi. Spesso sceglie di farlo in piccole dosi, con tatto e gradualità, come direbbe un mio amico molto saggio.

    L’inizio della storia

    Tutto è cominciato 7 anni fa, nella periferia a sud di Roma, in un posto dove fino a qualche secolo fa sorgeva l’antica città di Ardea. Era la notte del 21 dicembre del 2661dell’era cristiana, ma forse dovrei dire dell’anno 40150 della nuova era, o magari l’anno 21912 dell’era dell’oblio, che sarebbe l’anno 117803 dalla discesa degli dei tra gli uomini.

    Per me, quella era semplicemente una notte insonne come tante altre. Stavo fiutando distrattamente fra i milioni di bit della esonet, lo facevo da così tante ore che mi doleva la tempia con l’impianto neurale; anche la mano con i net-ring era indolenzita dal movimento di sfoglio e scrolling, per non parlare della net-len che mi bruciava sull’occhio. Sbuffando chiusi tutte le finestre aperte e sbirciai sul social-net, imprecando alla consueta vista delle centinaia di stupidi aggiornamenti di stato ed idiozie psico-depresse. Tutto normale, purtroppo.

    Un post attirò la mia attenzione, un’associazione nelle immediate vicinanze della mia abitazione organizzava una giornata di attività dimostrative gratuite ed aperte a tutti:Tai chi, Qi gong, meditazione con i cristalli. "Risveglia il potere divino che è in te." Curioso, non avevo mai sentito parlare di un gruppo di questo tipo nella mia zona. Cominciai a scorrere i commenti, mi bloccai su uno che diceva: Grazie! sai che con queste attività la mia insonnia è un problema archiviato? Non ci credevo ma è successo davvero... niente più farmaci, niente neuro-induttori, niente più notti in bianco... E’ bello diffondere, perché è di grande aiuto. Alzai un sopracciglio e storsi il naso... il solito commento finto... ma visto che non avevo di meglio da fiutare, magari poteva essere una storia: truffatori o scemologisti da sputtanare. L’evento era per il giorno dopo, mandai una mail di prenotazione e passai il resto della notte a documentarmi sul Tai chi, il Qi gong e le meditazioni con i cristalli.

    Il mattino dopo ero lì all’alba, cioè prima delle 10, che per un’insonne significa alzarsi ed essere lucida dopo aver dormito appena un paio di ore. Era una giornata fredda e tersa. Mi ritrovai in una bella villetta vecchio stile, circondata da un ampio giardino, con piscina, spogliatoi, palestra, vasca idromassaggio gigante, angolo bar e biblioteca con veri libri, quelli all’antica, fatti di autentica carta. Restai di stucco... il cartaceo era in disuso da secoli. C’era molta gente. L’aria profumava di incenso e di aspettative.

    «Benvenuti - esordì una donna di età indefinibile, corporatura morbida, capelli biondi, occhi chiari, voce acuta ma melodiosa - a questa giornata di ascolto del vostro corpo. L’organismo umano contiene in sé la straordinaria capacità di autoguarirsi ed autoripararsi, basta riuscire a connettersi con la nostra parte eterna. Dei molti modi possibili, oggi ne scopriremo insieme alcuni, sviluppati migliaia di anni fa dai monaci tibetani, quindi giocheremo con i cristalli che, secondo alcuni, sono esseri viventi, secondo altri sono invece dei veri e propri magazzini di energia, come batterie, che attendono di essere usati. Inizieremo con il Tai chi fra venti minuti. Nel frattempo c’è acqua alcalina e tisana alcalina per tutti. Alcalinizzare il nostro corpo aiuta ad attivare l’auto-guarigione.» Avevo letto qualcosa a proposito dell’eccesso di acidificazione dei tessuti dovuto alle alterazioni chimiche dei cibi ed alle abitudini di cottura, ed anche dei benefici di una dieta alcalinizzante, ma i particolari mi sfuggivano. «Io sono Sissi - proseguì intanto la donna, con affabile dolcezza - Andrea, il maestro di Qi gong, vi attende nella sala in fondo. Fra poco più di un’ora ci sarà la dimostrazione di questa fenomenale disciplina interiore. Per quanto riguarda il Tai chi, vi aspetto in giardino, vicino alla piscina.»

    Bevvi l’acqua alcalina gironzolando per il parco. Mi avvicinai all’ingresso, dove era stata messa una cesta, appesa alla porta. Un cartello diceva: «Lasciate qui le preoccupazioni, le ansie e gli affanni, se proprio ci tenete, potrete riprenderli all’uscita!»

    Le persone arrivavano e si abbracciavano. Tutti si mettevano le mani addosso, come vecchi amici. Mi sembrò una cosa strana, magari si conoscevano tutti ed io ero l’unicaestranea. Finché non cominciarono ad abbracciare anche me. Persone che non avevo mai visto prima, uomini e donne, di tutte le età, dicevano il loro nome e si avvinghiavano su di me come polpi sorridenti. Ricambiai quelle effusioni stampandomi in faccia un’espressione affabile, ignorai la sensazione di disagio procuratami da più di qualche uomo che sembrava indugiare un po’ troppo nella stretta e repressi l’impulso che mi spingeva a pestare i piedi a tutti. Conformarsi per non attirare l’attenzione è la prima regola del segugio. Appena possibile raggiunsi il gruppo che si stava formando in uno spiazzo fra la piscina ed uno spettacolare ulivo secolare. Tutti si liberavano degli indumenti più pesanti e delle scarpe, restando scalzi e con magliette leggere, assolutamente inadeguate all’inverno. Avvicinandomi compresi che un intero settore del giardino era sotto termoregolazione. Un’invisibile cupola energetica ed un pavimento riscaldato mantenevano le condizioni ideali per praticare la disciplina scalzi ed a contatto con la natura, a prescindere dalla stagione. Mi disposi in circolo insieme agli altri, godendo di quella piacevole ed inconsueta sensazione primaverile. «Il Tai chi è un’arte marziale cinese - spiegò Sissi - delle infinite varianti, questa scuola segue la forma Yang tradizionale lunga. Più che la marzialità ne approfondiamo la disciplina interiore. Questi movimenti armoniosi, che alternano yin e yang, vuoto e pieno, duro e morbido, inseguendo l’equilibrio e la rotondità, hanno la straordinaria capacità di fluidificare ed armonizzare la circolazione dell’energia, recuperando il ritmo naturale dell’universo. Pensate al respiro, al battito del cuore o all’amore. Tutto pulsa, passando dal forte al rilassato, dall’espansione all’accoglienza. Due princìpi non opposti ma complementari e parte della stessa energia in movimento. L’equilibrio e l’interazione tra yin e yang costituiscono il Tao. L’eterna forza che scorre ovunque. Equilibrando il flusso dell’energia nel corpo si mantiene in efficienza il nostro sistema di autoguarigione. I movimenti dolci e lenti ed il rilassamento portano beneficio ai muscoli, ai legamenti ed alla circolazione del sangue.»

    Trovai la lezione molto interessante, il mio corpo e la mia mente si lasciarono andare. Le mani si scaldarono e formicolarono. Curioso. Vedendo gli allievi del corso avanzato effettuare una dimostrazione della forma completa mi sembrò che danzassero, ne fui affascinata e decisi di iscrivermi.

    Giunse poi il momento del Qi gong. Mi avviai verso la sala in fondo. Tolsi nuovamente le scarpe e mi disposi in circolo, insieme agli altri. Il maestro, un ragazzo alto e magro, completamente calvo, anzi rasato, se ne stava in piedi in una curiosa posizione, con le ginocchia un po’ flesse ed il resto del corpo dritto, le braccia morbide distese lungo i fianchi, ma un po’ scostate. Ci descrisse la postura e ce la fece assumere. Ci spiegò che era chiamata Wuji ed agevolava naturalmente lo scorrimento dell’energia nel corpo. «Wu è il nulla, il vuoto - specificò solennemente - Ji è il fine ultimo. Wuji, il primo livello di manifestazione dell’energia e di differenziazione del Tao, nel Taoismo, è lo stato di calma assoluta.» Aveva gli occhi scuri e svegli, e c’era qualcosa di particolare, una nota indefinibile fra la concentrazione e la curiosità, nel modo in cui scrutava il mondo. Un po’ come se vedesse dettagli extra che sfuggivano a tutti noi, un po’ come se si trovasse perennemente in bilico fra il suo universo e quello degli altri, fra i suoi pensieri e quelli esterni, fra realtà e metafisica. Mi ritrovai ad associarlo con Alessandro Magno, non in quanto condottiero o bambino prodigio ma nel suo aspetto leggendario di essere diverso da tutti gli altri, allievo di Aristotele, in bilico fra la follia e la genialità, come attestato dai suoi occhi, uno nero e l’altro azzurro. Uno sguardo perennemente diviso fra cielo e terra. Chissà se anche Andrea aveva domato il suo Bucefalo? E se ci era riuscito... quante volte era stato disarcionato?

    «Nella sua forma originaria - spiegò il maestro, dopo qualche attimo di silenzio, interrompendo il mio flusso di pensieri - il Qi gong non prevede alcun tipo di movimento e consiste esclusivamente in un lavoro sull’attenzione, sulla postura e sulla respirazione. Chiudete gli occhi. Sorridete, come se nulla al mondo possa turbarvi. Non un sorriso tirato, ma un sorriso scemo, come se la vostra mente fosse completamente vuota. Rilassate tutti i muscoli, concentrate la vostra attenzione sui piedi, che si rilassano, sui polpacci, che si rilassano, sulle ginocchia, che si rilassano e risalite man mano concentrandovi sulle cosce, che si rilassano, sul bacino e sul ventre, quindi lo stomaco, la schiena, il collo, i muscoli facciali, che si rilassano, scendete lungo le braccia, che si rilassano, ed ora le mani, che sono morbide, come se circondassero due sfere di energia. Morbide e rilassate.»

    Come se avessi spento improvvisamente un interruttore specifico, la mia mente si vuotò del tutto, mi sentii galleggiare nel nulla, come avvolta da una confortevole nuvoletta di totale assenza di pensieri.

    «Sotto le vostre ascelle ci sono due piccole sfere di energia, che le tengono leggermente discostate dal tronco - proseguì il maestro, quasi cantilenando - un filo di energia entra dal centro della vostra testa ed attraversa tutto il vostro corpo, mantenetevi in linea con quel filo, mantenetevi centrati. Concentrate l’attenzione sul vostro addome, in una zona leggermente al di sotto e leggermente dentro rispetto all’ombelico. Inspirate contraendo la pancia, espirate rilassandola. Controllate la posizione, i piedi sono dritti e rilassati? Le ginocchia sono morbide e flesse? Inspirate contraendo la pancia, espirate rilassandola. Inspirate, sentite l’energia dell’universo entrare nel vostro corpo attraverso tutti i pori della pelle, espirate. Inspirate, l’energia dell’universo entra attraverso i pori della pelle e si addensa nel dantian inferiore, in quella zona sotto all’ombelico, che si accende come un tizzo di carbone, espirate ed espellete fumo nero da tutti i pori della pelle, restituendo all’universo le impurità. Inspirate energia, espirate fumo nero. Qualsiasi cosa accada adesso restate concentrati, rilassati e non perdete la visualizzazione dell’energia, se non la vedete, sentitela, se non la sentite, immaginatela, se non la immaginate, fingete di poterlo fare. Inspirate, l’energia dell’universo entra attraverso i pori della pelle e si addensa nel dantian inferiore, che si accende come un tizzo di carbone, espirate ed espellete fumo nero da tutti i pori della pelle, restituendo all’universo le impurità.»

    Iniziai a dondolare avanti ed indietro, oscillando ritmicamente ad ogni respiro, sentivo due sfere dense, pastose e tiepide fra le mani, mentre un gran caldo si propagava dalla mia pancia in tutto il corpo. Quando dico che lo sentivo, intendo che la sensazione era reale, concreta, vivida.

    «Molto bene - la voce del maestro era vicinissima a me - questo è il Qi che circola, ed è un potente mezzo di autoguarigione, non opponete resistenza e non esaltate i movimenti spontanei, accettateli ed accoglieteli, anche se diventano prepotenti. Inspirate ed espirate, restate concentrati e centrati. Postura, controllate la posizione. Piedi, ginocchia, spalle, mani, filo di centratura. Inspirate, espirate.»

    Dondolai e respirai sempre più lentamente. Così come si osserva nei sogni, con gli occhi della mente, iniziai a vedere l’energia dell’universo fluire in me ed un sottile fumo nero emanare da me. Era qualcosa che avvertivo anche nel corpo, una sensazione simile a quello che si prova restando immersi in acqua e lasciandosi attraversare da una corrente. Nonostante la sorpresa, restai calma e concentrata... mi sentivo in pace, invincibile... irraggiungibile da qualsiasi turbamento.

    «Inspirate, la vostra energia si espande, siete parte di questa stanza, siete la stanza. Espirate. Inspirate, siete parte di questo paese, siete il paese. Espirate. Inspirate, siete parte di questo pianeta, siete il pianeta. Espirate. Inspirate, siete parte dell’universo, siete l’universo. Espirate.»

    Mentre il mio corpo sembrava dilatarsi, ero anche più leggera, inconsistente ed onnipresente, come l’aria, come la luce stessa.

    Le prime visioni

    Mi ritrovai a volare al di sopra di quella stanza. «Inspirate, espirate.» Continuai a salire verso l’alto, fino a che potei abbracciare con lo sguardo la terra intera, una magnifica sfera azzurra e bianca, sospesa nel buio. Seguitai ad espandermi ed allontanarmi, ammirando la luna e poi, uno alla volta, gli altri pianeti.

    «Inspirate, espirate.»

    Scorsi tutto il sistema solare, come solo gli occhi artificiali delle sonde spaziali più remote potevano vederlo. Ancora più distante, dalle profondità del cosmo, notai che stava arrivando un pianeta sconosciuto. Lo percepivo con la consapevolezza, era parte di me, ancora più di quanto non fossero gli altri astri. Brillava in lontananza, grande quasi quanto Giove, ma consistente. Un solido pianeta gigante fatto di terra, aria ed acqua.

    «Inspirate, espirate.»

    Tornai bruscamente sulla Terra, e volai al di sopra di una titanica fortezza bianca.

    «Inspirate, espirate.»

    Era di pianta tondeggiante, protetta da una serie di mura altissime, a loro volta disposte in cerchi concentrici.

    «Inspirate, espirate.»

    Come un falco sulla preda, mi tuffai in picchiata ed entrai nell’enorme e maestosa torre, che dal centro esatto della fortezza, si stagliava e protendeva verso il cielo. Mi ritrovai fra alcune persone, riunite intorno ad un tavolo di pietra ed intente a parlare animatamente. Sia uomini che donne vestivano di bianco, tranne uno. Questi era un uomo alto e regale, che indossava una specie di tunica blu ed aveva una spirale disegnata o forse tatuata sulla fronte.

    «Inspirate, espirate.»

    Notai che i loro corpi erano avvolti da aloni luminosi di vari colori, aloni con filamenti che si intrecciavano tra loro. Il tizio con la spirale emanava quello più forte di tutti, un blu elettrico, intenso, come la sua tunica e come i suoi occhi.

    «Inspirate, espirate.»

    Mi concentrai sui loro volti, sembravano preoccupati. Appena smisi di cercare di capire... compresi, non so come, una frase, detta dall’uomo che risplendeva di blu: «Sta arrivando, non ci sono dubbi e non possiamo ignorarlo.» Una donna, che trasudava autorevolezza, indiscutibilmente il capo della riunione, esclamò: «Dobbiamo proteggerli, è nostro dovere salvarli!» A quelle parole tutti manifestarono approvazione.

    «Adesso aprite gli occhi.» La voce del maestro mi ricondusse bruscamente nel corpo fisico, ma in qualche modo ero ancora alterata, come quando ci si sveglia senza aver completato il ciclo del sonno, e si resta per un po’ nel limbo del dormiveglia: non più assopiti ma non ancora vigili. Aprii gli occhi e vidi ogni persona avvolta da un contorno lucente in movimento, come i tizi della fortezza, ma questi aloni erano molto più piccoli. Anche io emanavo un bagliore e dei fili colorati, ma non come gli altri. In me c’erano due colori anziché uno solo ed ero la più luminosa tra le persone in quella stanza.

    «Adesso qualche esercizio di chiusura, per riportarvi qui. Qualcuno di voi è partito - e guardò me - sarebbe meglio... restare, ma può anche accadere che si vada via durante una sessione. Non vi preoccupate.»

    Può accadere che si vada via... ma dove cazzo ero andata io? Gli esercizi di chiusura consistevano più o meno nel darsi schiaffetti e leggeri colpi in varie parti del corpo. Lentamente gli aloni luminosi si affievolirono e le persone tornarono ad apparirmi normali.

    «Secondo la tradizione alla base di questa disciplina - riprese Andrea - ogni malattia ha origine da una circolazione disturbata del Qi, ripristinandone la corretta fluidità non esiste problema che non possa essere sconfitto dalla nostra capacità di autoguarigione. Padroneggiare il movimento del Qi significa anche potenziare le nostre capacità psichiche, quindi, come effetti collaterali della pratica, si possono avere percezioni, visioni, premonizioni o viaggi nell’altrove. Ci sono varie metodiche sviluppate dalla formulazione più antica, quello che farete con me, per chi desiderasse proseguire, è una mia personale variante dello Spring Forest.»

    Iniziò tutto così. Quello fu il giorno che modificò la mia vita, imprimendole la prima di una serie di svolte sconvolgenti.

    Il grosso della mia insonnia svanì magicamente nel nulla, da compagna fissa delle mie notti divenne lentamente una visitatrice occasionale.

    Mi immersi con piacere e curiosità in questo universo alternativo. Il Qi gong ed il Tai Chi divennero parte della mia vita. Quando mi era possibile partecipavo anche a corsi e seminari di vario tipo, che indicavano diverse vie verso l’equilibrio emozionale. Un mix fra l’antica magia naturale, un bel po’ di psicologia, un pizzico di va tutto bene ed andrà sempre meglio, qualche tocco di filosofie orientali e medicina tradizionale cinese. In proporzioni variabili, in base al relatore. Spesso non condividevo alcune delle teorie esposte, soprattutto quando venivano propinate come verità rivelate. Se demonizzi un condizionamento, non puoi sostituirlo con un altro... o no?

    La mia indomabile curiosità mi portò a sperimentare tutte le tecniche pratiche illustrate nelle varie occasioni. Alcune non mi sembrarono sortire effetti, altre, come il ripetersi ossessivamente frasi incentivanti, avevano risultati motivanti e quindi percepivo una loro efficacia, a dispetto della noia mortale procuratami dalla loro enunciazione.

    La fortezza bianca

    Tornai spesso, viaggiando con la mente, in quella Fortezza bianca della prima visione. Durante la pratica del Qi gong, nei sogni, in ogni occasione in cui mi dedicavo alla meditazione, altra scoperta interessante, soprattutto con l’ausilio dei cristalli. Il trip mentale divenne un appuntamento fisso. Conobbi progressivamente ogni dettaglio della misteriosa Fortezza. A volte mi appariva leggermente diversa e compresi che ne osservavo l’evoluzione nel tempo.

    In quella che doveva essere stata la sua fase primordiale, al centro di una pianura immensa, c’era unicamente la torre; poi fu circondata da un altopiano artificiale; successivamente erano comparsi una cinta di mura ed un fossato. Quindi un secondo e poi un terzo muraglione. Tutti disposti in cerchi concentrici.

    Le persone vestite di bianco, che vi abitavano e la governavano, erano cambiate spesso, ma il tizio con l’alone blu e la spirale sulla fronte era rimasto una costante.

    Ad un certo punto la Fortezza aveva subito un assalto terribile. Qualcosa di così cruento da essere a stento descrivibile. Vidi decine di migliaia di cadaveri, ammassati ovunque, mentre il sangue scorreva a fiumi. Le mura della città ne furono intrise, al punto che da candide divennero vermiglie. Mi capitò di assistere a quelle scene in cui i personaggi della Fortezza si battevano fino allo stremo, facendosi strada tra cumuli di corpi senza vita. Ce l’avevano fatta. In qualche modo avevano vinto. Era qualcosa di talmente inaspettato che i loro stessi volti, cosparsi di sangue e ferite, lacrime e sudore, si mostravano sgomenti ed increduli.

    Era quindi comparso un dirupo immenso a circondare l’intera città. Poi sulle mura della torre e su quelle esterne erano affiorati una moltitudine di bassorilievi: disegni e scritte, qualcosa di simile alle pareti dei templi egiziani, probabilmente per narrare di quella battaglia feroce. Infine il burrone era diventato un lago. Questa trasformazione in isola al centro di un anello d’acqua segnava sia l’ultimo dei mutamenti architettonici dell’insediamento, che la cessazione degli avvicendamenti umani all’interno della sua torre.

    In genere vedevo le persone della Fortezza disposte intorno ad un gran tavolo marmoreo. Si trovavano alla fine di una immensa sala, tutta di pietra, con le pareti tappezzate di strane iscrizioni. C’era una ragazza con il viso perfetto, gli occhi color ambra e lunghissimi capelli quasi dello stesso colore. Al suo fianco vi era immancabilmente un uomo magnifico. Capelli neri come ossidiana, un po’ lunghi, occhi verdi come due smeraldi. Questi due erano chiaramente la coppia che ricopriva un ruolo di comando. Li avevo battezzati il capo e la capa.

    C’era poi l’unico personaggio che era stato presente fin da quando era esistita solo la torre. Era il tizio con gli occhi e la tunica blu come lapislazzuli e la spirale sulla fronte. Nelle prime fasi aveva il capo rasato con vari... tatuaggi luminosi sulla cute, in altri periodi aveva capelli castano scuro ed una barba a volte lunghissima, più spesso appena accennata. Tutti gli si rivolgevano con grande deferenza, come se fosse il più autorevole ed illustre della congrega. Per me lui era Merlino-blu, perché mi ricordava tanto il vecchio mago di quelle antiche storie millenarie su Re Artù ed i suoi cavalieri. Un grande saggio che consigliava il sovrano e che di fatto ne influenzava pesantemente ogni decisione. Con Merlino-blu c’era spesso una donna di carnagione bronzea, con grandi occhi d’ebano, un po’ a mandorla, e capelli scurissimi, come l’onice più nera. Era così sensuale ed affascinante da apparire irreale. Faceva evidentemente coppia con Merlino-blu, così l’avevo chiamata sexy-Morgana.

    Poi c’erano un uomo ed una donna più giovani, che somigliavano entrambi ed in modo impressionante a questa coppia. Avevano gli stessi occhi intensi di lui, un blu innaturale, brillante, magnetico. Anche l’espressione facciale era la medesima: quella di chi la sa molto lunga e non la racconta mai tutta. La carnagione scura e l’aria irresistibilmente sensuale erano chiaramente i tratti ereditati da sexy-Morgana. L’uomo era un vero Schianto, con la S maiuscola. Un appartenente alla categoria di esemplari maschili che con un solo sguardo ti fanno tremare le gambe e riempire lo stomaco di farfalle. Alto, proporzionato, snello ma non magro, atletico ma non palestrato... un volto angelico, perfetto, labbra carnose che non smetteresti mai di baciare... insomma, uno da urlo. Lo chiamavo lo Strafigo e la tizia che tanto gli somigliava, per estensione e conseguenza, era la sorella dello Strafigo. Completavano quella strana congrega una serie di donne, tutte molto belle, troppo belle per essere reali, e loro per me erano le Bianche, perché vestivano di candide tuniche.

    Quando vedevo queste riunioni, una delle Bianche diceva qualcosa, tutti guardavano Merlino-blu finché lui non interveniva, poi discutevano per un po’ ed alla fine il capo e la capa si guardavano e decidevano. Quando il dibattito si protraeva, appariva dal nulla una specie di ologramma un po’ scarico con le sembianze di una ragazzina quasi trasparente. Lei e Merlino-blu avevano un ruolo forse più importante del capo e della capa, anche se alla fine erano questi ultimi a decidere.

    Solo durante le sessioni di Qi gong particolarmente intense riuscivo a capire quello che si dicevano, come mi era successo la prima volta.

    Le cristalloterapeute, due ragazze simpaticissime che conobbi nella stessa associazione, ritenevano si trattasse di regressioni a vite precedenti. Roberto, il marito di Sissi, un gigante con una gran bella voce da tenore, supponeva che fossero proiezioni di me, perché tutto è frutto del nostro processo creativo ed educativo, materializzato dal nostro io al fine di farci capire qualcosa di specifico. In pratica, secondo la sua ipotesi, mi stavo mandando un videomessaggio in codice per comunicare a me stessa informazioni significative. Mi piaceva chiacchierare con Roberto, anche se non la pensavamo mai allo stesso modo, tuttavia avevamo il medesimo schema di analisi e ragionamento. Il che rendeva le conversazioni... interessanti e divertenti.

    Conobbi anche Federica, esperta di astrologia. Donna interessante, che sapeva essere pigra e pimpante al tempo stesso. Sempre pronta a qualsiasi nuova sfida, pur essendo tendenzialmente poco incline ad agire. Una donna da reazione, pensai, osservandola, forse anche da attacco preventivo, se immagina di evitare future grane. La trovai molto simpatica. Quando un giorno mi chiese, con estrema naturalezza «Di che segno sei? Quando sei nata?» Vissi un momento di impacciata esitazione, che minacciava di sfociare nel panico. Fortunatamente fu lei stessa a togliermi le proverbiali castagne dal fuoco: «Aspetta... non me lo dire - mi fermò proprio mentre tentavo disperatamente di articolare una risposta - hai molte caratteristiche dei Pesci e dell’Ariete, probabilmente Ariete con ascendente Pesci o viceversa. Tuttavia c’è questo aspetto molto razionale, devi avere la luna da qualche parte interessante, che aggiunge nuovi ingredienti ad una ricetta già anomala, l’incostanza e la conflittualità interiore, di cui non mostri alcuna traccia...» Una chiamata sul suo comunicatore e l’inizio della lezione di Qi gong ci impedì di finire la conversazione e soprattutto mi evitò di spiegare per quale motivo non fossi in grado di rispondere ad una domanda così banale. Fu un sollievo; è troppo imbarazzante confessare le tue anomalie e menomazioni a persone che conosci appena.

    Durante la lezione di quel giorno ebbi una nuova visione.

    Lo Strafigo era in cima alla torre della fortezza bianca. Gli incantevoli occhi di zaffiro erano lucidi, gonfi di fiumi di lacrime non versate. La mascella era contratta, la postura rigida. Fissava l’orizzonte, in direzione del mare. Il sole era tramontato da poco ed il crepuscolo spandeva il suo iniziale velo scuro. Una falce di luna gigante tentava di sostituirsi al sole, seguita a brevissima distanza da un astro molto brillante, Venere, probabilmente. L’uomo scrutava il cielo in silenzio. Le braccia distese lungo il corpo, i pugni serrati. La sorella sopraggiunse silenziosamente alle sue spalle. La donna aveva un’aria molto preoccupata. Molto prima che iniziasse a parlare lui si rilassò e sorrise, dicendole qualcosa, senza voltarsi. Lei replicò brevemente, mentre lo raggiungeva e lo abbracciava. L’immagine era così perfetta da sembrare una rappresentazione artistica: al calar della sera, un uomo ed una donna si consolano, due cuori si confortano, in cima alla torre dei giganti.

    «Dovresti analizzare quel che ti succede - suggerì il maestro Andrea alla fine della lezione - non mi è mai capitato prima di te, che un allievo abbia esperienze di viaggi nell’altrove sistematicamente ad ogni lezione. Se sta accadendo ci deve essere un motivo.»

    Anche a me sarebbe piaciuto svelare il mistero. Tuttavia, non me la sentivo di farmene un cruccio. Anzi... fantasticare non era certo un problema. Ero talmente gasata dal fatto di essermi liberata quasi completamente dell’insonnia e del mal di testa cronico, senza dover ricorrere a farmaci e neuroinduttori, che ero più che disposta a convivere con qualsiasi visione fantasiosa e Fortezza immaginaria. Il rapporto fra vantaggio ed effetti secondari era decisamente favorevole. E poi, essere dei visionari, se si ha l’accortezza di non divulgarlo, non è così male. Tutto sommato è... figo!

    Le cose andarono avanti così per un paio di anni.

    Mentre imparavo a padroneggiare il movimento dell’energia e la mia capacità di concentrazione in modo sempre più affinato ed efficace, mi affezionavo a quel mondo alternativo, che sapeva essere avvincente, proprio come alcune belle storie, raccontate a puntate, quelle che diventano una piacevole parte dei riti della quotidianità. Seguivo i miei personaggi preferiti nelle loro rocambolesche avventure, in giro per un mondo che non somigliava neanche lontanamente a quello che conoscevo. Sembrava più magico che tecnologico e trasudava un’antichità remota.

    Scoprii che mi bastava desiderare di vedere uno specifico personaggio di Ardit per riuscire quasi sempre ad entrare in visioni che lo riguardavano direttamente. Così sceglievo sistematicamente lo Strafigo, l’aitante e fascinoso figlio di Merlino-blu.

    Era sempre vestito di nero. Quando compariva in un contesto selvaggio, fatto di montagne impervie, grotte e boschi, era abbigliato in modo molto simile ad un antico guerriero Ninja giapponese. Erano le scene in cui sorrideva di più e sembrava... giovane. Immagini di vita quotidiana. Guardava una ragazza incantevole con occhi carichi d’amore e lei, ovviamente, arrossiva ogni volta che lo incontrava. Come darle torto... un paio di metri di puro fascino maschile, un fisico da modello ed un volto perfetto. A volte li vedevo insieme. Si baciavano, si scambiavano tenerezze. Erano una bella coppia, anche se mi sentivo gelosa. Che idea idiota. Ero gelosa del fatto che due creature della mia immaginazione provassero sentimenti reciproci. Tuttavia mi sentivo così. Desideravo essere io quella che lo abbracciava e baciava, quella che lui guardava come se fosse l’unica cosa importante nell’universo. Spesso lo ammiravo allenarsi al combattimento. Un vero spettacolo. Movimenti repentini ed eleganti, sembrava scivolare sull’acqua e danzare nell’aria, senza il minimo sforzo. Altre volte insegnava l’arte del guerriero a ragazzi e ragazze molto giovani, ma nessuno raggiungeva la sua fluidità e la sua velocità. Quando invece mi appariva nella Fortezza bianca i suoi occhi non ridevano più. Qualcosa in lui si era spento. Se ne stava spesso da solo, in cima alla torre centrale. Il vento gli agitava i capelli scuri, potevo quasi sentire il suo dolore e la sua solitudine, come se fossero i miei.

    Lo vidi, a volte, in compagnia di donne splendide. Era sempre affettuoso, cavalleresco e gentile, ma non guardava mai nessuna come aveva contemplato quella ragazza delle montagne.

    ~ • ~

    Nell’ordinaria vita reale, dove a volte tornavo con scarso entusiasmo, un giorno accadde una cosa che stimolò il mio istinto da segugio e stuzzicò la curiosità insita in chi fa questo mestiere. Era la fine del 2663. Un’archeologa famosa, la dottoressa Helena Sastri, esperta di fama mondiale di lingue antiche, cominciò a gironzolare dalle mie parti. Strano, molto strano.

    Il quadrante 166 della periferia ex Roma sud non è posto per vip. E’ un luogo con una storia antichissima, del tipo che può ingolosire gli archeologi, ma è da secoli che non vengono più effettuati scavi, per la precisione da quando hanno completamente portato alla luce tutto il sito di Castrum Inui. Gli scavi risultano tecnicamente ancora in corso, ma ciò che resta da portare alla luce è talmente in profondità che non è possibile accedervi. A circondare questa star dell’archeologia e della linguistica arcaica, c’era un gruppo di tecnici, febbrilmente intento ad armeggiare con una serie di apparecchiature altamente tecnologiche. Troppo. Sembravano prototipi avanzati. Fiutavo le tracce di una storia succulenta, così iniziai a documentarmi.

    Essere affetta da amnesia retrograda totale, mi aveva insegnato a studiare costantemente ogni cosa.

    Tutto è nuovo, tutto è misterioso, tutto è oscuro e va approfondito e compreso, se non sai niente di niente. Ad esempio: ti invitano a giocare a scacchi. Lo sai fare? Non lo sai. E’ necessario un immediato approfondimento sul gioco. Mentre esamini immagini e regole, ti rendi conto se conosci la materia oppure no. Solo in quel momento sei in grado di accettare o rifiutare l’invito.

    Dicono che vivere in un costante presente, azzerando i ricordi, sia quanto di meglio si possa fare per godere appieno della vita. Ovviamente chi lo sostiene ha il pieno possesso delle proprie memorie. Se soffrisse di amnesia retrograda totale, sono certa che non lo direbbe affatto. Posso assicurarvi che non è una situazione idilliaca. Non sai chi sei e da dove vieni. Non hai la più pallida idea di quali siano le cose che ami e quelle che odi, o le sostanze che per il tuo corpo sono nocive. Sai nuotare? Sai saltare? Sai arrampicarti? Soffri di vertigini? Sai danzare o magari suonare? Adori la storia o la matematica? Sei mai stata innamorata? C’è una famiglia che ti cerca? Sei una santa o una serial killer? Da dove vieni? Dove stai andando? Non lo sai.

    Di me conoscevo ben poco: mi piaceva il colore viola, amavo la storia, sapevo danzare molto bene, parlavo un italiano fluido, senza accenti particolari. Mi capitava di provare un senso di familiarità quando ascoltavo qualcuno esprimersi in idiomi di derivazione mediorientale. A volte credevo di cogliere il significato di alcune parole. Preferivo vestirmi in modo semplice ed informale, ma quando accadeva che fosse necessario indossare scarpe con tacchi altissimi ed abiti fascianti, mi muovevo comunque con disinvoltura. Vi sembra poco? Anche a me.

    La mia vita era una continua ricerca. Studiavo e compilavo schede informative su ogni cosa, perfino su me stessa. In quei giorni ne preparai una serie, per cercare di capire qualcosa in più su Ardea, sul sito archeologico Castrum Inui e sulla celeberrima dottoressa Helena Sastri.


    --- Ardea ---

    Terra antica con origini misteriose. Il luogo un tempo era chiamato Ardea dagli antichi, grande resta ancora il nome di Ardea, ma la sua fortuna è passata (Virgilio, Eneide VII, 411).

    Àrdea o Ardèa? Domanda di difficile risposta. Dipende da quale origine mitologica e quindi etimologica si sceglie. Ce ne sono svariate a disposizione, per entrambe le versioni.

    In favore dell’ipotesi àrdea.

    Gli abitanti del luogo l’hanno per secoli chiamata Àrdia e Dionigi di Alicarnasso ne fa risalire la fondazione ad Àrdeas, figlio di Odisseo e Circe.

    Altro mito delle origini vuole la città fondata da Danae, figlia del re di Argo, che dopo la nascita di Perseo da Zeus (il re degli dei la fecondò nella grotta - o nella torre di bronzo - dove era rinchiusa trasformandosi in pioggia d’oro), sarebbe giunta sulle coste laziali chiusa col neonato in una scatola di legno. Alla foce del fiume Incastro sarebbe stata tratta in salvo dal re rutulo Pilumno. Danae e Pilumno avrebbero risalito il fiume e fondato Ardea in corrispondenza di una ripida rupe tufacea. In tal caso il nome è da associarsi con ardua, riferito alla rocca difficile da espugnare. Àrduus latino, connesso con il persiano arda ed alla combinazione sanscrita di ar (spingere) conurdh-va (alto) rimanda ad alto e di difficile accesso.

    In favore dell’ipotesi Ardèa.

    Tra i locali era diffusa l’idea che il nome derivasse dai numerosi incendi subiti nel passato, quindi Ardèa in quanto ardeva, dal latino ardère (bruciare) ed arère (essere secco).

    Per Ovidio l’origine del nome di Ardea si deve all’alzarsi in volo di un airone cenerino (ardèa cinerea) dopo l’incendio e la distruzione della città ad opera di Enea, vittorioso sul re rutulo Turno, figlio di Dauno, che a sua volta era figlio di Danae e di Pilumno. Enea intendeva con l’incendio distruggere lo spirito del luogo (genius locii) del quale nessuno conosceva aspetto e dimora, essendo un’informazione nota solo ai fondatori. Turno muore. Ardea cade con lui, città fiorente finché visse il suo re. Morto Turno, il fuoco dei Troiani la invade e le sue torri brucia e le dorate travi. Ma, poi che tutto crollò disfatto ed arso, dal mezzo delle macerie un uccello, visto allora per la prima volta, si alza in volo improvvisamente e battendo le ali, si scuote di dosso la cenere. Il suo grido, le sue ali di color cenere, la sua magrezza, tutto ricorda la città distrutta dai nemici. Ed infatti, d’Ardea il nome ancor gli resta. Con le penne del suo uccello Ardea piange la sua sorte. (Ovidio, Metamorfosi, XV.)

    Nel XXI secolo era attestata una teoria che vedeva il nome significare Ara - dea, altare (luogo sacro) della dea.

    Da dove viene fuori la parola Ardea? Non si sa.

    I candidati sono: ardor latino, collegato al concetto di fuoco, e ardo greco, che rimanda ad acqua e bagnato, il sanscrito àrd-rà umido. Àrduus latino, il persiano arda e la combinazione sanscrita ar (spingere) con urdh-va (alto) associati al concetto di alto e di difficile accesso.

    C’è poi il sanscrito khar-as (forte, duro, roccia) che è reso dai germanici con la radice hardu.

    Nella Bibbia da Ard figlio di Beniamino e Ard nipote di Beniamino, discese la famiglia degli Arditi.

    Arditi è uno dei nomi degli abitanti di Ardit.

    E’ indubbiamente pre-latina la radice ard/t, diffusa nei toponimi più antichi a livello nazionale

    L’assonanza con Ardit è evidente.

    La storia di Ardea è talmente antica che affonda nel mito. Nel Paleolitico era già una zona abitata. Non si sa nulla o quasi del suo passato, se non che gli antichi romani la consideravano vetusta ed avevano poche certezze della sua misteriosa storia.

    Fra i suoi re, prima del più famoso Turno citato da Virgilio, compaiono Dauno (a volte detto suo padre, a volte suo antenato), Pilumno (a volte ritenuto fondatore della città) e Pico. Secondo Rufio Festo Avieno (IV secolo d.C.) fu il re di Ardea Lucero ad andare in soccorso di Romolo nella guerra contro Tazio, apportando un contributo di cavalieri tale che la terza centuria romana, successivamente istituita, sarà chiamata de’ Luceri.

    L’insediamento si sviluppò e prosperò grazie agli scambi commerciali, favoriti dal porto Castrum Inui e dalla posizione della città, compresa tra Latini, Volsci ed Etruschi. Nei secoli dall’VIII al VI a.C. fu uno dei centri più importanti del Lazio meridionale.

    Era una città rilevante da un punto di vista religioso. I romani la guardavano con reverente rispetto e scarsa simpatia.

    A più riprese gli abitanti di Ardea furono alleati o nemici di Roma, nell’ambito delle vicende della Lega Latina. Durante la seconda guerra punica, Ardea fu una delle dodici colonie che rifiutarono ai romani gli aiuti militari.

    La città progressivamente perse di importanza.

    Papa Leone V, assunto al pontificato nell’anno 903, era nativo di villa Priapi (horti priapei o luogo chiamato Priapo) nelle campagne di Ardea. Di quel periodo è la chiesa di San Lorenzo, adiacente alla torre cinquecentesca omonima.

    Nel 1130 l’antipapa Anacleto II attribuì la civitas Ardeae ai monaci benedettini della basilica di San Paolo fuori le mura. Successivamente il controllo feudale della città fu oggetto di aspre contese tra le famiglie nobiliari romane.

    Nel 1816, a causa dell’esiguo numero di abitanti, divenne una frazione di una vicina città collinare, Genzano di Roma.

    Nel 1870, quando entrò a far parte dell’Italia, contava un centinaio di abitanti.

    All’inizio del ventesimo secolo risultava disabitata e frequentata solo dai transumanti provenienti dalle montagne. A partire dal 1932 l’area circostante fu oggetto di lavori di bonifica idraulica, regimentazione delle acque ed appoderamento, cui seguì il ripopolamento controllato del centro e delle campagne. Il borgo fu ri-fondato e divenne parte della nuova città di Pomezia.

    Nel 1970 tornò ad essere comune autonomo.

    A seguito di una massiccia cementificazione, che attirò acquirenti dalla vicina Roma, la popolazione crebbe poi in modo esponenziale. Il totale dissesto idrogeologico e l’inquinamento ambientale portarono successivamente ad un progressivo spopolamento.

    Nel 2122 Ardea fu accorpata con Pomezia, Anzio e Nettuno. Le quattro città contavano 10.000 abitanti complessivi.

    Nuova inversione di tendenza si ebbe con il ritorno alla normalità dopo la pandemia delle metropoli del 2288. I sopravvissuti, in fuga dalle città, ripopolarono le zone rurali e costiere, incluso il territorio del quadrante 166, il nuovo squallido nome per Ardea.

    Con il calo demografico mondiale, le nuove tecnologie di bonifica ambientale ed il ritorno alla vocazione agricola, l’area ritrovò un equilibrio sostenibile tra suolo e popolazione, come il resto dell’Europa.

    Nel 2357 scavi archeologici per la riscoperta dell’acropoli.

    Nel 2409 bonifica e riscoperta della rete ipogea.

    Dal 2513 applicazione intensiva del teletrasporto e della trasformazione molecolare per la sanificazione delle falde acquifere e dei depositi di inquinanti.

    Dal 2550, con il disinquinamento del mar Mediterraneo, la costa è tornata balneabile. Attualmente nel quadrante 166 vivono 50.000 persone.


    --- Castrum Inui ---

    Castrum Inui, Inui Castrum, Castrum Invi o Invi Castrum. Vari modi per dire la Fortezza di Inuo. Secondo la leggenda era un insediamento fortificato fondato da Latino Silvio, figlio di Ascanio e nipote di Enea, 1300 anni prima di Cristo. L’insediamento era posto sotto la protezione di Inuo, figlio di Venere e di Giove, protettore della fertilità dei campi. Pesanti indizi portano da secoli ad ipotizzare che la divinità Inuo fosse in realtà il dio del sole delle popolazioni ancestrali. Una Fortezza d’Inuo è citata anche nel VI canto dell’Eneide.

    Altre fonti antiche parlano di Castrum Inui come di una città portuale abbandonata in epoca imperiale per una qualche insalubrità dei luoghi, dove sorgeva un importante santuario internazionale noto come Aphrodisium, dedicato alla Venere Afrodite, dea dell’amore e della fertilità, nata dal mare.

    Gli scavi archeologici alla foce del fiume Incastro ed il nome stesso di questo corso d’acqua, portarono già nel 2000 a teorizzare che l’antica Castrum Inui fosse da individuarsi proprio allo sbocco a mare dell’emissario del lago di Nemi, luogo sacro ove secondo il mito approdò la fondatrice di Ardea, Danae.

    Gli scavi iniziarono nel 1994 e, sotto la direzione dell’archeologo Francesco Di Mario, proseguirono quasi ininterrottamente fino al 2016.

    In questa prima fase fu individuata una vasta area sacra, sorta intorno al VII secolo e fortificata intorno al IV-III secolo a.C. Il luogo di culto era ancora attivo nel III secolo d.C., seppur in forma ridotta. Parallelamente al declino dell’area religiosa si sviluppava quella profana, con terme ed attività produttive. Dagli scavi si comprese subito che l’insediamento ebbe lunghissima vita e poi cadde nel dimenticatoio, scomparendo misteriosamente. Non fu però possibile effettuare indagini sugli strati sottostanti, in quel momento al di sotto del livello del mare e delle falde freatiche. Questo perché il livello del mare era mutato considerevolmente. Fu un’altra delle scoperte effettuate grazie a quegli scavi.

    Nel corso del V secolo d.C. l’area subì gli effetti di un terremoto importante. Molti edifici furono abbattuti o si inclinarono. Le mura crollarono senza distruggere i pavimenti sottostanti, che furono rivenuti coperti da conchiglie marine. Le murature mostravano segni di erosione alle quote pavimentali. La parte degli edifici che affacciava verso il mare presentava tracce di corrosione da flutti e su alcuni intonaci c’erano concrezioni di cirripedi (molluschi marini). Inoltre ad una quota sopra il livello del mare di qualche metro, gli archeologi trovarono aree di antica battigia, a circa duecento metri dalla posizione in cui si trovava in quel momento.

    Tutti questi dati attestarono che il sito archeologico, in un momento successivo al III secolo d.C. e per molto tempo, fu invaso dall’acqua del mare. C’era ancora quando l’insediamento fu devastato dal terremoto nel V secolo d.C., e le mura crollarono.

    Questo spiegava perché ad un certo punto gli autori antichi non seppero più dove collocare con esattezza Castrum Inui: era stato inghiottito dal mare e non c’era modo di stabilirne con precisione l’ubicazione.

    L’ipotesi sostenuta dal dott. Di Mario e suffragata dalla squadra di esperti multidisciplinari coinvolta nelle ricerche, fu che una parte della costa di Ardea fosse interessata da ciclici fenomeni di bradisisma positivo e negativo, legati all’attività del vulcano di Albano. Questa teoria spiegava come fosse possibile che solo 1500 anni prima vi fosse acqua stazionante e battigia in punti del sito in quel momento a svariati metri sopra la quota del mare. Divenne comprensibile anche il perché ci fossero strutture antiche a quote al di sotto del livello del mare.

    L’idea era coerente anche con le testimonianze dei pescatori che riferivano di avvistare periodicamente, in seguito a violente mareggiate, delle strutture murarie ad un centinaio di metri al largo, in mare. Questo significava che una parte del sito archeologico, quella costruita all’apice del bradisisma positivo, si trovava in profondità e probabilmente anche in mare.

    La teoria spiegava anche le strane cartografie antiche che spesso segnavano Ardea come affacciata su un grande golfo.

    Le successive scoperte geologiche sul comportamento di questo tratto di costa confermarono pienamente le teorie dello staff di Di Mario. Per alcuni decenni gli scavi si limitarono ad approfondire, ampliare e confermare quanto già individuato in precedenza, portando ad un totale di 12 il numero dei santuari rinvenuti nell’area sacra.

    Nel 2040 l’archeologa Tania Ramis, con la collaborazione dell’Istituto Nazionale di Geofisica, del CNR e di alcune grandi aziende private, riuscì ad individuare il primo porto di Castrum Inui a 1200 metri dalla linea di costa. Da quel momento in poi gli scavi si diversificarono fra porto ed area sacra e furono assegnati a direzioni diverse.

    Sei anni dopo l’archeologa Stefania Verzelli individuava altri 12 templi, al di sotto dei 12 già indagati dai suoi predecessori. Sollevando non poche polemiche nella comunità scientifica la direttrice puntò dritta allo strato più profondo, concentrandosi sullo studio del tempio XII.

    L’analisi del sito sconvolse ogni precedente formulazione della storia dell’Italia antica. La datazione era inconfutabile: 5600 anni prima di Cristo. La tecnica costruttiva era megalitica e straordinariamente simile a Sacsayhuaman... dall’altra parte del mondo.

    La Verzelli rinvenne quindi un’iscrizione su pietra, l’unica in tutto il tempio, che passò alla storia come reperto 38.

    Il testo non era in lingua latina e neanche in idioma etrusco, greco o punico. Era vergato in caratteri simili all’aramaico, o meglio in una forma linguistica che sembrava imparentata con buona parte delle lingue più antiche sparse nel mondo.

    Il contenuto, sul quale proliferarono teorie interpretative e traduttive di ogni tipo, sostanzialmente affermava di voler fissare a imperitura memoria il vero nome di una coppia di divinità primordiali, artefici della vittoria finale del bene sul male. Faceva riferimento alla scomparsa della leggendaria Ardit, celata dagli dei stessi. Le due divinità vengono chiamate Ptha.ris e Zeria e sembrano presiedere un culto collegato con la sapienza, la guarigione e la vita eterna. L’iscrizione si definisce una copia fedele effettuata da Numa VIII di un testo precedente posto nell’anno 20856 della Nuova Era, presumibilmente riferita a quando si svolse la celebrata vittoria del bene sul male. Il reperto è molto controverso ed

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