Rosaspina, una fiaba dark
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Info su questo ebook
Forse soccombere, forse scappare, forse lottare e scavare oltre la cortezza di apparenze e scoprire che, il lato oscuro, a volte è più seducente di una veste azzurra.
“Rosaspina, una fiaba dark”, è il primo romanzo di una duologia.
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Anteprima del libro
Rosaspina, una fiaba dark - Luana Semprini
Rosaspina
Una fiaba dark
di
Luana Semprini
Non tutte le fiabe iniziano
con c’era una volta
e finiscono
con e vissero tutti felici e contenti
.
L.S.
Copyright © Luana Semprini 2013
L’opera appartiene all’autrice, tutti i diritti sono riservati.
È vietata la riproduzione, anche parziale, senza il consenso dell’autrice.
Prologo
Nessuno osava distogliere la Principessa dal suo sonno eterno.
Non c’era cuore nobile o abbastanza coraggioso da provarci e tentare l’attraversamento della Foresta Oscura. Troppe storie di morti e d’imprese fallite avevano intristito anche i più arditi e così la Principessa rimaneva lì, giovane e bella, a dormire, senza poter essere rimirata come sarebbe stato giusto.
Il suo viso aveva il candore e la purezza di una bambina e le labbra erano rimaste per sempre dolcemente socchiuse. Un braccio sporgeva inanimato fuori dal giaciglio mortale e un dito sfiorava, quasi, il pavimento di pietra. I capelli, invece, avevano ormai creato migliaia di riccioli dispettosi che si diramavano lungo la stanza della torre, come propaggini di un’edera.
La Principessa era meravigliosa, seppure le vesti che portava fossero ormai logore e il bianco del tessuto avesse perduto il suo colore, diventando giallo.
Tutto, intorno a lei, faceva pensare alla morte. La vegetazione che cresceva fuori e all’interno della torre era così fitta che le piante avevano quasi occluso l’unica finestra e l’aria era divenuta rarefatta e irrespirabile.
La Principessa dormiva e non si sarebbe neppure accorta della sua morte.
Almeno finché qualcuno non si ricordò di lei.
1
Il sonno è una condizione benevola e amata dal corpo che, stanco, si prende finalmente un attimo di quiete. Un attimo, che può durare qualche ora, una notte intera, per le persone comuni.
Il mio attimo durò invece oltre una vita intera, a causa di una maledizione che mi costrinse a dormire per più di cento anni, precisamente non saprei quanti.
Non posso dire che il tempo mi fu nemico, giacché questi anni sono trascorsi senza che neppure io me ne accorgessi, mentre ero immersa in una totale beatitudine. Sognai per più di un secolo e questo fu la mia vita, ma, adesso, adesso non ricordo nulla di quel tempo irreale eppur così vero.
Adesso che ho aperto gli occhi. Le mie palpebre si sono alzate così, con naturalezza e senza alcuna fatica, ma la sorpresa è stata grande. Non rammento il sogno dal quale sono stata strappata con tale immediatezza, ma ora ne vedo la causa e la ragione.
Di fronte a me c’è un uomo. È vestito in modo diverso da come mi aspettavo, ma d’altronde qualcuno mi ha appena detto che è passato tanto tempo e le mode saranno cambiate. Lui porta un lungo mantello nero cenere, sopra un semplice panciotto di raso scuro. Ha le mani ferme sull’elsa di una spada, piene di graffi, ma un’espressione di assoluta soddisfazione sul viso. Osservo i suoi lineamenti in modo distratto. Sono confusa.
– Ben svegliata Principessa – dice una voce bassa e roca, la voce del giovane.
― Chi siete? ‒ domando, osservandolo adesso con maggior interesse. Ha la pelle molto chiara, quasi esangue, e un mento ben definito. Le labbra sono sottili e di color rosa pallido. Sposto lo sguardo ai suoi occhi e per un attimo rimango interdetta: sono dell’azzurro più chiaro mai visto. Anche i miei occhi sono azzurri, ma assomigliano più al cielo che ad altro. Gli occhi di questo giovane, invece, hanno il chiarore del ghiaccio, misto a una pennellata di cielo. Lo sguardo è fisso su di me, al di sotto di folte sopraciglia scure, come i capelli, portati in una coda sulla nuca.
Alla mia domanda lui non risponde subito, ma continua a fissarmi con assoluto compiacimento. D’un tratto divento rossa sotto quello sguardo e non ricordo più niente di me.
‒ Sono colui che vi ha salvata dalla vostra maledizione, Principessa. Io sono il principe Caspian.
Caspian
, macero questa parola nella mia mente, cercando stupidamente di ricordare se avessi mai sentito parlare di un Caspian nei miei diciannove anni di vita, ma poi, come in una sorta di shock, mi rendo conto di una cosa.
‒ Siete voi? ‒ domando portandomi una mano al petto ‒ Voi mi avete baciata?
Arrossisco e piego lo sguardo a terra. So che questo era l’unico modo per rompere una maledizione del sonno.
Lui s’inchina con grazia e poi sorride disinvolto, regalandomi uno sguardo da lince.
‒ Esattamente. E ora voi verrete con me.
Resto per un attimo immobile. Sono ancora seduta sul letto che mi ha ospitata per tutto questo tempo e non so ancora decidermi a lasciarlo. I capelli mi pesano sulla testa come lame e mi sento così stanca che non riesco a ragionare. Caspian mi ha salvata, ma io penso soltanto che voglio tornare da mia madre, al mio castello, alla mia famiglia.
Apro la bocca per dire qualcosa.
‒ Principe… ‒ le parole mi mancano ‒ Io voglio tornare a casa.
D’improvviso il silenzio centenario della torre viene invaso da un’acuta risata. Sono sorpresa, mentre mi guardo intorno. Non è Caspian a emettere questo stridulo suono, ma una figura, che si avvicina nell’ombra, dietro di lui.
‒ Principe! ‒ All’improvviso avverto un pericolo. Potrebbe essere la strega che mi ha ridotta al sonno?
Lui non si muove, mentre la figura arriva al suo fianco.
Ora non è più in penombra ed io posso scorgerla grazie ai pochi raggi che filtrano in questo luogo cupo.
È una donna di rara bellezza, fasciata in un lungo abito di velluto nero. La guardo e impallidisco di fronte al suo aspetto e alla sua assoluta sfrontatezza. Difatti l’abito che indossa non copre certo le curve sinuose del suo seno, anzi, le esalta.
‒ Principessa Rosaspina! La vostra famiglia è perita ormai un secolo fa e del vostro castello non rimane che un rudere in rovina.
Sobbalzo e mi porto una mano alla bocca. So che ha ragione, non può essere che così, eppure la realtà fa male. Rammento ancora di essere una ragazza appena diciannovenne e che fino a poco fa ridevo felice nel mio castello. È passato un secolo Rosaspina, la mente ti causa difetto
.
Mi porto una mano alla gola e scuoto la testa.
‒ Poverina… Ma dovete essere contenta, Caspian vi ha salvata ‒ riprende la donna, scoppiando nuovamente in una sonora risata. Mi chiedo perché lei continui a ridere in modo così fastidioso e perché Caspian non intervenga. All’istante lo guardo e vedo che la donna ha posato una mano affusolata e candida sulla sua spalla. Sono sorpresa.
Caspian inclina leggermente il capo, mentre continua a guardarmi.
‒ Prima di lasciare la torre vi taglieremo i capelli ‒ detto questo scuote il suo mantello e mi volta le spalle.
Rimango sola con la donna. La guardo e lei mi sorride, ma sento a pelle che non è sorriso buono.
‒ Forza, è ora di liberarvi da quella gretta chioma.
Sono seduta su una carrozza rivestita da pesanti tendaggi di velluto nero e cuscini in raso. A malapena riesco a scorgere il paesaggio che mi sto lasciando indietro, l’alta torre in cui ho riposato per così lungo tempo. Adesso lì, di me, resteranno soltanto i capelli. Getto una rapida occhiata alla donna seduta di fronte a me e lei scopre i denti in un sorriso, che assomiglia vagamente al ringhiare di una fiera. Non mi sta simpatica questa donna di cui non so neppure il nome, lo ammetto. Poco fa ha agitato le sue mani, come se stesse maneggiando un coltello, e la mia chioma è caduta a terra, lasciandomi con pochi boccoli sulle spalle. Non ho mai avuto i capelli così corti ed è una strana sensazione, ma la cosa peggiore è un’altra: la donna è una strega, non c’è dubbio.
Devo guardarmi da lei, dalla sua anomala bellezza e dai suoi sorrisi. Mi chiedo perché il principe Caspian abbia una strega al suo seguito. Lui non è nella carrozza con noi, mentre attraversiamo a fatica la Foresta Oscura, ma cavalca davanti al suo seguito, un gruppo di soldati.
La vegetazione è così impervia, che mi chiedo quanto ci abbiano messo a creare un sentiero in quest’oceano di verde.
Dopo del tempo, che passo immobile ad osservare fuori, trovo il coraggio di parlare.
‒ Dove stiamo andando? ‒ domando alla strega.
Lei sospira, accarezzandosi un ciuffo della sua intrecciata chioma rosso scuro.
‒ Al castello del principe Caspian, mia cara. Abbiamo grandi progetti per voi.
Sobbalzo. Abbiamo grandi progetti per voi
, cosa significano queste parole? Sono spaventata, eppure non dovrei esserlo, è assurdo, il principe Caspian mi ha salvata dalla terribile maledizione.
Per il resto del tempo rimango in silenzio e in sottile agitazione, finché scende la notte ed io mi accorgo che abbiamo lasciato per sempre la Foresta Oscura. Non ci fermiamo mai, fino all’alba, quando scorgo un castello addossato su un monte roccioso, come una protuberanza fastidiosa del suolo. L’aurora lo illumina appena, rischiarando soltanto un’alta torre merlata. Il resto rimane in ombra.
‒ Benvenuta al castello ‒ esclama la strega con gaiezza. Questa donna è strana, ma io devo sapere il suo nome.
‒ Come vi chiamate? ‒ domando, mentre i miei occhi si perdono nel roccioso sentiero che conduce alle mura del castello. Una sensazione di gelo mi pervade, non appena la carrozza varca un arco di pietra e si ferma stridendo in mezzo al niente.
‒ Io sono lady Roxane, principessa. ‒ Annuisco distrattamente, mentre cerco di scendere da quel gabbiotto stretto. Una mano, però, mi afferra per il polso e stringe talmente forte da farmi gridare.
‒ Cosa volete? ‒ esclamo, fissando la strega con sorpresa. La sua mano sembra un artiglio e mi sta quasi dilaniando la pelle sottile.
‒ Vi consiglio di portarmi rispetto e di non rivolgervi a me come se fossi una vostra servitrice. Ebbene, non lo sono.
La guardo con terrore e noto che i suoi occhi hanno uno strano colore, da castani sono sembrati diventare cremisi. Il cuore prende a battermi forte, ma finalmente lei mi lascia ed io riesco a scendere dalla carrozza. Penso subito che il principe Caspian mi aiuterà e sanerà i miei dubbi sulla megera, ma mi sbaglio. Lui è lontano qualche metro da me e sta lasciando il suo cavallo nelle mani di uno stalliere. Non mi rivolge neppure uno sguardo e volta le spalle, dirigendosi verso l’ingresso del maniero. Nessuno mi aiuta a scendere dalla carrozza, così faccio da sola, al colmo dell’irritazione e della sorpresa. Le gambe mi tremano e mi sento minuscola in confronto a questo roccioso castello. Non assomiglia per niente a quello in cui ho vissuto un tempo, con la mia famiglia. Questo sembra piuttosto la roccaforte spartana e lugubre di un reietto, non di un gentiluomo.
Che sciocca, Rosaspina, non pensare male del tuo salvatore!
mi ammonisce la mia coscienza. Allora io cerco di ritrovare quei buoni sentimenti che mi hanno sempre animata e assumo un contegno decoroso e sorrido perfino, quando due guardie m’invitano a seguirle all’interno del castello. Roxane mi supera, spalancando le porte con un distratto gesto della mano.
L’ingresso mantiene le promesse dell’esterno, rivelando un salone buio, le cui piccole finestre non riescono